Tre giorni a Casteddu: tra santuari e spiagge d’autore per scoprire una vera città d’autore
Cerchiamo di sfruttare le destinazioni che offre il nostro piccolo aeroporto regionale, e questa volta la scelta è caduta su Cagliari/Casteddu, complice anche un’offerta imperdibile di fine anno. Il viaggio sarà breve, dovendo coniugare il dilettevole alle esigenze lavorative: in pratica tutto si riduce ad un giorno e mezzo, ma sarà sufficiente per visitare i luoghi più iconici dei tre quartieri della vecchia Cagliari.
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Diario di viaggio
23 febbraio 2024, venerdì
Peggio di così non poteva iniziare. Giungiamo all’aeroporto accolti da qualche gocciolina di pioggia, che nel giro di un quarto d’ora si tramuta in un copioso rovescio accompagnato da raffiche di vento e foschia. Alle 17, orario di prevista partenza, ci viene comunicato che l’aereo in arrivo è stato dirottato ad Ancona per ragioni di sicurezza, e di attendere comunicazioni. La faccio breve: alle 18,20 ci imbarcano su quattro pullman e ci trasferiscono a Falconara Marittima, dove riusciamo finalmente a decollare alle 20,00 abbondantemente passate. Il volo è veloce, e dopo un’ora tocchiamo il suolo sardo all’aeroporto di Elmas; di buona lena, seguendo le indicazioni, ci dirigiamo verso la stazione ferroviaria, dove riusciamo ad arrivare in concomitanza dell’arrivo del treno da Decimomannu. Alla biglietteria automatica fortunatamente non c’è nessuno, così stampo i biglietti (1,30 euro) e riusciamo a salire al volo sulla corsa delle 21,28 che in nove minuti (fermata intermedia a Santa Gilla) ci porta a Cagliari.
Usciti dalla stazione ci incamminiamo lungo via Roma sotto i bei portici fino alla intersezione con Largo Carlo Felice, dove voltiamo a sinistra ed iniziamo a salire fino a piazza Yenne, stracolma di gente; la vetrina di un bar sul lato sinistro è coperta da una gigantografia di un calciatore in corsa, dove campeggia la scritta: “per sempre Gigi Riva”, tributo all’uomo simbolo di questa città. Una volta in piazza prendiamo una traversa a destra e ci rifocilliamo con un trancio di ottima pizza, dato che la cena è andata, e proseguiamo in una salita che si fa sempre più ripida fino a varcare la Porta dei Leoni, accesso al Bastione di Saint Remy. Finalmente siamo in via dei Genovesi, che percorriamo fino al civico 83 per prendere possesso della camera prenotata al BB “L’Antica Torre”, dove la proprietaria, debitamente avvisata del ritardo, ci apre per concludere una disgraziatissima giornata. Sono le ventitré.
24 febbraio 2024, sabato
Oggi il cielo è plumbeo, alle 13 è prevista pioggia. Consumata una buona ed abbondante colazione, ci apprestiamo a visitare il quartiere Castello: iniziamo scendendo la via per raggiungere l’imponente bastione, colpo d’occhio eccezionale, non fosse per i monconi in pietra delle panchine in marmo che costeggiano il muro, spaccate e divelte dai soliti perditempo nullafacenti che popolano le nostre città; l’ultima devastata mostra le conseguenze del vandalismo di questa notte. Ne sono rimaste integre pochissime, ma destinate sicuramente a scomparire, preda di questo scempio imperante. Che tristezza! Da quassù la visuale è magnifica, e non potrebbe essere altrimenti considerando lo scopo difensivo al quale quest’opera è stata costruita; proseguiamo e raggiungiamo la Torre dell’Elefante, in prossimità dell’Università, così definita per la statua di questo animale posta a sbalzo sul lato anteriore, e facciamo inversione per risalire fino alla sommità del colle, a piazza Palazzo, dove visitiamo la Cattedrale di Santa Maria Assunta; la chiesa è molto bella, con una Pietà lignea al centro della navata, punto di raccolta di alimenti per i diseredati, ma è la cripta il vero capolavoro, nel quale sono stipati i resti di una innumerevole serie di martiri cagliaritani, ognuno dei quali identificato da una piccola lapide quadrata: ad occhio, ma con buona approssimazione, dovrebbero sfiorare le duecento unità.
Usciti dalla chiesa, sullo stesso lato troviamo il Palazzo Regio, ma apre alle dieci; proseguiamo oltre, fermandoci al belvedere con l’ascensore che scende al viale Regina Elena, e raggiungiamo di seguito Piazza dell’Arsenale, con la Torre di San Pancrazio, torre di avvistamento costruita sul punto più alto del colle, e il Regio Arsenale, oggi Cittadella dei Musei. Usciamo dalle mura del borgo fortificato transitando dalla Porta Regina Cristina, a sinistra, e scendiamo alla volta dell’Anfiteatro Romano, onestamente nulla di che, al quale dedichiamo solo un’occhiata dall’alto, e poco avanti, sull’altro lato della strada, entriamo nella Chiesa dei Cappuccini, dove si venera il Beato Fra Nicola da Gesturi, oggetto di una mostra permanente che evitiamo di visitare. Di un certo interesse la scarna e spartana cella del frate. Raggiunta la fine della discesa voltiamo a destra e risaliamo lungo la via parallela, dove, una volta preso un caffè in un bar, entriamo nell’orto dei Cappuccini, dietro la chiesa; breve visita per conoscere una moltitudine di piante e verdure ed osservare un sistema di raccolta dell’acqua sorgiva, e proseguimento sino alla sommità della via, dove passeggiamo in mezzo a due file di alberi che costeggiano una poderosa fortezza oggi adibita a Istituto di Pena.
A questo punto torniamo in Piazza Palazzo per la visita del Palazzo Regio (ingresso 3 euro): oggi è la sede della Prefettura, ma al primo piano è stata lasciata un’ala destinata a museo nel quale sono state conservate alcune stanze, uffici e la sala Consiliare, con arredamenti che risalgono alla permanenza dei Reali Sabaudi durante l’esilio all’epoca Napoleonica: breve la visita, ma molto interessante. Scendiamo ora lungo via Lamarmora per visitare la chiesa della Purissima, quindi attraverso un vico raggiungiamo la nostra camera perché inizia a piovere: le previsioni meteorologiche ci hanno preso in pieno.
Facciamo una pausa di mezz’ora poi, preso l’ombrellino tascabile, usciamo un’altra volta per uno spuntino veloce, e scendendo verso piazza Yenne ci fermiamo alla pizzeria di ieri sera per un trancio di Margherita. Puntiamo ora verso il quartiere Stampace, con l’obiettivo di visitare la chiesa di Sant’Efisio, ma con grande delusione constatiamo che gli edifici di culto riaprono alle 17,00. Di fianco alla chiesa di Sant’Anna troviamo aperta la cripta di Santa Restituta (ingresso 2 euro) e l’impiegata ci informa che le chiese di Santa Restituta e di Sant’Efisio non sono fruibili al pubblico, aperte solo in determinate e sporadiche occasioni. La cripta è una caverna naturale ampliata nel corso dei millenni, e da ultima utilizzata come rifugio antiaereo nel corso della seconda guerra mondiale, ma tutto sommato è interessante nell’evidenziare l’attaccamento della popolazione alla fede.
Riemersi in superficie ci indirizziamo verso il quartiere Marina, e dopo una passeggiata di circa quindici minuti giungiamo alla Basilica Paleocristiana di San Saturnino, originariamente a croce greca ma mutilata oggi dei bracci laterali ed anteriore, demoliti per riutilizzare i materiali da costruzione. Nell’area laterale esterna alla chiesa sono stati trovati e riesumati i resti dei tantissimi martiri cristiani che sono stati ricollocati nella cripta della Cattedrale di Santa Maria Assunta. La visita è istantanea, non è rimasto quasi nulla da vedere.
Ricomincia a cadere qualche goccia di pioggia, e decidiamo di concludere il pomeriggio con la visita al Museo Archeologico Nazionale. Altra scarpinata arrancando sulla salita fino a raggiungere l’ascensore di viale Regina Elena, quindi breve tragitto fino all’Arsenale dove entriamo nel Museo (ingresso 9 euro con la visita cumulativa della pinacoteca). Tre piani di reperti che spaziano dal 1500 a.C. partendo dall’epoca nuragica, attraversando quelle fenicia, cartaginese e greca, per giungere fino a quella romana; pochissima affluenza di visitatori. La pinacoteca è collocata dietro il museo, in posizione sopraelevata, e contiene dipinti di pittori sardi di scuola prevalentemente spagnola e a sfondo religioso; piacevole comunque la visita.
Si è fatto buio, quindi rientriamo per prepararci alla cena, e dare un attimo di tregua agli arti inferiori che sono diventati di marmo. Dopo la doccia scendiamo nuovamente alla Marina e ci rendiamo conto quanto sia arduo trovare un tavolo: al quarto tentativo troviamo posto al ristorante “Sa Marina”, e ci riteniamo soddisfatti: ottima e abbondante cena, molta cordialità e il tatto di offrirci mirto e “filu ‘e ferru” a fine pasto, quindi ultima risalita con sosta a prendere una bottiglia d’acqua ad un dispensatore automatico in previsione di qualche problema di digestione. Arriviamo alla camera per crollare come sassi sul letto, ma, tutto sommato, oggi ci siamo difesi bene.
25 febbraio 2024, domenica
La mattina dopo aver fatto colazione scendiamo nuovamente alla Marina e percorriamo viale Bonaria fino al Cimitero Monumentale; all’ingresso c’è un ufficio informazioni, e chiedo della tomba di Gigi Riva, per un saluto al monumento del calcio della mia infanzia ed adolescenza. L’impiegata mi da le dovute informazioni, rimarcando per due volte “la settima cappella a destra”; vorrei rispondere che ancora conservo un minimo barlume di lucidità, ma sto zitto e faccio bene, perché quando giungo a destinazione, faccio fatica a credere che questo sia il luogo di sepoltura di una persona così famosa: la cappella è senza nome, inaccessibile per via di un cancello chiuso da un grosso lucchetto, il sepolcro (presumo) coperto da un grande drappo rosso che lo cela scendendo fino a terra; niente maglie, sciarpe, fotografie e gagliardetti; solo una ormai secca composizione a cuore di fiori rossi e blu e qualche sporadico fiore fresco lasciato da poco. A pensarci bene, però, il tutto rispecchia lo stile di un grande sportivo e uomo immenso, riservato e di poche parole. Un ultimo, estremo saluto, poi intraprendiamo la strada del ritorno, in mezzo ad un’oasi di pace che mi ricorda il cimitero degli artisti di Parigi, per via delle belle tombe di altri tempi e gli alberi dalle folte chiome. Usciti dal cimitero proseguiamo per circa duecento metri e ci troviamo al cospetto della Basilica di Bonaria: la chiesa è maestosa ma asettica, niente di che; merita una visita approfondita la cappella laterale, l’antico originario santuario dove è stata collocata la statua rinvenuta nel 1370 sulla spiaggia di “Su Siccu”, qui sotto alla base del colle. Non si sa nulla del luogo di provenienza della statua, che era in una cassa di legno simile ad una cassaforte, gettata in mare nel corso di una tempesta per alleggerire il carico della nave spagnola che la trasportava, ed è visibile ancora oggi in una teca di vetro collocata nel corridoio che dà alla sagrestia, sovrastata da una quantità considerevole di testimonianze di miracoli avvenuti per grazia di “Nostra Signora”, elevata al rango di Santa Protettrice dei naviganti.
La città di Buenos Aires porta il nome di Bonaria, voluto fortemente dai marinai sardi che portarono il governatore spagnolo in Argentina. Oramai il tempo stringe, e ripercorriamo i portici di via Roma per la nostra ultima passeggiata: strada facendo facciamo una visita alla chiesa di San Francesco da Paola ed una sosta per un caffè, dove approfitto per fare il check – in sulla app della Compagnia. Torniamo alla nostra casa vacanza per darci una rinfrescata e, presi gli zaini, ci dirigiamo alla stazione per il treno delle 12.22 che ci condurrà in aeroporto.