Un tour in Sardegna tra mare cristallino, porcetto e Aspromonte
Il nostro viaggio in Sardegna è nato per caso e per costrizione: ad agosto 2021, freschi di matrimonio, con il sognato viaggio di nozze in Australia divenuto impossibile causa Covid, siamo costretti a muoverci in Italia. Certo, abbiamo la fortuna di vivere in un Paese bellissimo, ma che abbiamo già girato in profondità.
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Comunque, il bisogno di partire e staccare un po’ dopo l’organizzazione di un matrimonio è forte e così decidiamo di prendere un volo per la Sardegna last minute.
Altra cosa cui non siamo abituati è partire nella settimana di Ferragosto, di certo la peggiore da scegliere per qualsiasi vacanza di mare. Purtroppo, le ferie del congedo matrimoniale ce lo impongono e così, a malincuore, prenotiamo a prezzi altissimi, cercando con cura tra le poche strutture ancora disponibili.
Se la premessa non è delle migliori, lo è però il risultato: la Sardegna si è dimostrata molto più bella di quanto ci aspettassimo, non solo per il mare.
Primo giorno: volo per Cagliari – Laguna di Chia – Pula
Il 14.08.2021, due giorni dopo il nostro matrimonio e ripresici da poco dai festeggiamenti, andiamo a vedere il concerto di Max Pezzali in piazza. Dopo il concerto ci mettiamo in viaggio e alle 2:00 di notte raggiungiamo l’aeroporto, dormiamo in auto per un paio d’ore e alle 4:30 siamo in fila per imbarcare il SUP. Una notte quasi in bianco, presto smaltita sulle spiagge sarde.
Con il volo su Cagliari, la prima meta è intorno alla Laguna di Chia. Ci ero già stata nel 2016 per una mezza maratona e già allora, il 25 aprile, avevo fatto il bagno in uno splendido (e gelido) mare blu. Nella zona di Chia abbiamo trovato posto a prezzi modici solo a Casa Namastè, una struttura molto particolare che consiglio. Il gestore è un veneto che, dopo anni di eventi organizzati nel Nord-est, ha deciso di creare una struttura in cui le stanze sono pensate come cabine di una barca, sono tutte bianche e lisce, perfettamente adatte alla vita di mare, con obbligo di camminarci a piedi nudi. Nel centro, un bel giardino con l’amichevole cagnolone con cui a fine vacanza si fa la foto da esporre per il Natale estivo (il 25 giugno). C’è anche una piscinetta che consente un ultimo bagno prima del ritorno alla normalità.
Da Casa Namastè – dopo la provvidenziale siesta – ci dirigiamo a Chia, per un bagno nella spiaggia che sta di fronte alla laguna. È il giorno di Ferragosto e la spiaggia è piena, ma il mare è comunque blu intenso ed è pulitissimo. Il paesaggio intorno è ricco di natura, con le pinete e la vegetazione a farla da padroni. Non solo mare, dunque, in questa isola felice.
Raggiunto un ampio parcheggio, ci lanciamo nel disperato tentativo di trovare un ombrellone ancora libero. Gli allenamenti di corsa mi consentono di superare in velocità un discreto numero di persone che si dirigono nella mia stessa direzione e così, verso le 12:00 del giorno di Ferragosto, mi assicuro l’ultimo ombrellone ancora libero, a un prezzo onesto. Mi spiace per la famiglia che veniva dopo di me, ma dopo un matrimonio e una notte in auto abbiamo bisogno di crollare. E così facciamo.
La sera facciamo una passeggiata a Pula, cittadina ridente in cui ero già stata nel 2016. Questo è il classico paesino di mare in cui si trova un po’ tutto, incluso il bar-tabaccaio-edicola-ristorante (che con le mie amiche trasformammo anche in discoteca, in bassa stagione). Una cena a base di culurgiones “A casa di nonna”, una passeggiatina di ricognizione e dritti a dormire (il sonno dei giusti, finalmente).
Secondo giorno: il paradiso a Tuerredda
Il secondo giorno ci svegliamo presto per conquistare un posto nella spiaggia di Tuerredda, spiaggia a ingresso contingentato in cui si entra solo se si arriva in tempo o si prenota uno degli ombrelloni dello stabilimento. Noi l’idea di prenotare un ombrellone non l’abbiamo avuta, per cui ci è rimasta quale sola alternativa quella di presentarci alle 08:00. Le regole sono chiare: non è possibile mandare l’autista a parcheggiare e prenotare intanto l’ingresso in spiaggia, bisogna entrare tutti insieme. Riusciamo comunque a garantirci l’ingresso alle 08:00 del 16 agosto, con il nostro SUP pronto a condurci sul mare cristallino della Sardegna. Nel tragitto compriamo un provvidenziale ombrellone da un venditore ambulante, ma riusciamo comunque a noleggiare due lettini da un lido (svegliarsi presto aiuta).
Noi non siamo mattinieri se si tratta di mare e l’acqua del mattino mi è quasi sconosciuta. Forse è per questo che, mentre sorseggio il mio caffè, resto quasi senza fiato per la bellezza del posto.
L’intelligenza di ridurre il numero di persone che possono accedervi consente a Tuerredda di restare incontaminata e selvaggia, pronta a stupire chi la raggiunge. La corrente è forte per usare il SUP e così ci limitiamo a nuotare e prendere il sole, a pranzare al lido Poseidon (con prezzi onesti, nonostante il luogo) e a goderci il giorno di mare più lungo. Nel pomeriggio la corrente diminuisce e il SUP ci consente di esplorare tutta la spiaggia, che non è affatto piccola e la cui bellezza non è minimamente scalfita dalla gente che la popola.
Non potete fare un tour della Sardegna del sud senza andare a Tuerredda, ve lo garantisco.
Alle 20, col sole che tramonta, ce ne rientriamo a Casa Namastè. 12 ore di mare credo di non averle mai fatte in vita mia, se non quando ero studentessa e stavo in spiaggia con gli amici come se non avessi casa. Se ci siamo rimasti così tanto è perché quello era un angolo di paradiso, ve lo assicuro.
La sera inizia il nostro tour degli agriturismi sardi. Lele ha deciso che deve mangiare il porcetto (non chiamatelo porceddu, i sardi non gradiscono questo nome fashion) e così ha prenotato ogni sera in un agriturismo diverso. Il primo è L’Agriturismo La biada, dove fanno il porcetto su spiedoni lunghi che girano sulla brace. Il luogo è bellissimo, con un ampio giardino fresco con vista sulle colline. Il menu è fisso e viene servito in contemporanea e ci sono buone alternative anche per i vegetariani. Peraltro, dopo un giorno di mare siamo più che affamati. Lele mangia il porcetto e si informa sulle tecniche di cottura, mentre io addento pane carasau come se non ci fosse un domani. Da bere, cannonau fresco (buonissimo, servito alla giusta temperatura) e in breve siamo sazi e rotolanti. Questa versione della Sardegna non mi vedrà ballare sulle sedie, mi sa.
Terzo giorno: il maestrale di Oristano e Orosei
Il terzo giorno è la volta di salpare da Casa Namastè. Foto di rito con il cane e via verso il centro. Decidiamo di fare la strada che passa da Oristano, per vedere l’altra costa. Al nostro arrivo a S’Archeddu, un maestrale imponente mette il mondo sottosopra: il mare è in subbuglio, la spiaggia deserta, neanche i surfisti osano tanto. Nell’unico bar aperto mi ritrovo, con la felpa addosso, insieme ad altre persone che hanno avuto la mia stessa idea e sono capitate nella bufera. Una birra e si riparte, senza aver mai capito com’è il mare da quelle parti quando Eolo non lo soffia in alto.
Raggiungiamo la nostra nuova meta, Orosei. Come siamo finiti a Orosei non riesco bene a ricordarlo, ma credo che sia stato perché era il solo posto con prezzi accettabili al tempo della nostra prenotazione last-minute.
Studiata o meno, Orosei è stata la meta perfetta: abbastanza grande e servita da offrire tutto ciò di cui avevamo bisogno, con un mare bello e vicina a calette stupende, piena di eventi diurni e notturni.
Raggiungiamo la spiaggia e proviamo a prenotare un’escursione in barca. Online ci danno solo i barconi da 100 persone e anche ai chioschetti del lungomare non abbiamo più fortuna. Muoversi all’ultimo minuto nella settimana di Ferragosto è da folli (del resto, per sposarsi bisogna esserlo). Quando stiamo per rassegnarci alla traversata nel carro da bestiame, una coppia cancella la prenotazione su un gommone da 8 posti e così, con una grandissima botta di fortuna, ci assicuriamo il giro delle calette d’oro: Cala Gonone, Cala Mariolu, Cala Goloritze.
Facciamo un bagno alla spiaggia di Orosei (pulita, acqua blu, ben servita) e poi una birra in un bar incredibilmente fornito (non solo Ichnusa in Sardegna). Sosta alla palude di Osalla, con mare cristallino, subito profondo, con le montagne sullo sfondo.
La sera, aperitivo al Bar Yesterday e secondo agriturismo, Nuraghe Mannu. Questa volta si sale un po’ in alto e la vista ripaga ampiamente. Il servizio qui è più libero, il cibo di minore quantità (umanamente gestibile, diciamo) e sempre ottimo. Il porcetto qui è cotto in modo diverso, aperto a metà e messo a cuocere intorno alla brace.
Dopo la solita bottiglia di cannonau fresco, siamo pronti per il collasso notturno.
Quarto giorno: Cala Mariolu, Cala Gonone e Cala Goloritze
La mattina ci svegliamo per la nostra agognata escursione in barca e tentiamo di organizzarci un pranzo al sacco. Non abbiamo portato nulla, ma all’MD di Orosei troviamo borsa termica, siberini già ghiacciati e tutto ciò che serve per organizzare una borsa frigo e passare l’intera giornata in barca. Saliamo sul gommone insieme ad altri 4 turisti e ci dirigiamo con fiducia verso la meta, attraversando una costa stupenda, con le caprette arrampicate in bilico sul nulla che brucano senza badare allo strapiombo. La scena dal basso è incantevole.
Ci fermiamo a Cala Mariolu, Cala Goloritze, Cala Gonone.
Io non credo di aver mai visto in Italia un mare così bello e pulito, nonostante sia nata in Salento e sia abituata a un mare cristallino. È il blu intenso dell’acqua a rendermelo indimenticabile. L’acqua è fresca e ci si nuota con tranquillità nonostante il numero eccezionale di gommoni che arrivano. Ogni tanto si intravedono anche i traghetti da 100 persone, che si fermano un po’ più a largo e fanno scendere gli occupanti armati di giubbetto. Se volete fare un giro delle calette da Orosei, dovete assolutamente prenotare in anticipo per godere al meglio del paesaggio.
Dal gommone vediamo sulla montagna gente che fa trekking su un sentiero che ritengo sia un po’ troppo vicino al precipizio, ma la gente saluta con fiducia incurante del pericolo (che forse è solo percepito da me) e del caldo (oggettivo). Se siete amanti del trekking, questo paradiso lo potete vedere anche dall’alto.
Nuotiamo, facciamo snorkeling, entriamo nelle grotte, facciamo amicizia col nostro skipper e passiamo il giorno più bello del viaggio dopo Tuerredda (meglio il lettino del posto su un gommone condiviso). La nostra guida ci propone di andare a visitare luoghi meno famosi e gettonati e la scelta ci premia: qui non arrivano barconi e l’acqua è ugualmente blu cobalto.
Al ritorno, il cielo diventa improvvisamente grigio. Il nostro skipper inizia ad accelerare, ma è inutile: un temporale estivo ci prende in pieno mentre siamo a metà del percorso. L’autista accelera ancora (non credevo fosse possibile) e inizia il mio terrore di finire in acqua e ritrovarmi come sposa novella dispersa nelle acque sarde. In lontananza si vedono i fulmini, mentre il gommone plana sull’acqua.
Arriviamo comunque alla meta, fradici, con le borse completamente bagnate e gli asciugamani da strizzare. Anche questa è stata esperienza, in fondo. E anche con il cielo grigio e nero l’acqua della Sardegna rimane stupenda.
Per cena abbiamo prenotato un altro agriturismo, Sos Ozastros. Cena più leggera, con ordinazione alla carta. Per me, pecorino sardo e pane carasau che non credevo mi sarebbe piaciuto così tanto.
Bottiglia di cannonau fresco e un altro giorno è andato.
Quinto giorno: Aspromonte e pranzo coi pastori
Questa giornata decidiamo di non dedicarla al mare (che in fondo abbiamo comunque sempre a 10 minuti da casa, anche se meno blu). Lele da tempo preme per comprare una jeep che io ritengo inutile (viviamo in piena pianura) e penso che un buon compromesso sia fargli fare un tour in jeep nell’entroterra sardo (un vero compromesso da moglie, non c’è dubbio…). L’escursione, prenotata come sempre con Getyourguide e organizzata da www.supramonte.it, prevede un giro in una jeep per 6 persone che si arrampica su strade sterrate e sormonta colline abbandonando i sentieri battuti. È tranquilla tutto sommato, ma al tempo stesso adrenalinica. Nell’escursione scopriamo che il pastore sardo del 2021 non sta sotto gli alberi a guardare le pecore dall’alba al tramonto, ma è molto più evoluto: le pecore seguono il SUV del pastore, vengono lasciate libere per tutto il giorno e nel pomeriggio ritornano all’ovile seguendo il solito SUV del pastore che è tornato a prenderle. Ogni proprietario ha un segno distintivo che appone sulla pecora e a quanto pare c’è grande rispetto e le pecore fuggitive sono restituite al proprietario. Sarà… ma ricordo bene che in Sardegna esiste ancora l’abigeato, reato che pensavo fosse un po’ un unicorno del diritto.
Siamo in Aspromonte. Tore, autista/guida, ci racconta degli anni dei sequestri, di come i malviventi si nascondessero con facilità nei boschi inospitali della montagna senza essere catturati, dei tempi dei riscatti, dell’orecchio mozzato al bambino rapito. Io ricordo che da bambina avevo paura anche io di essere rapita e di essere portata in Aspromonte, ma mia madre mi rassicurava dicendo che tanto noi i soldi per pagare un riscatto non li avremmo avuti e i rapitori lo sapevano. Qualche anno più tardi ho capito che diceva il vero, ma da bambina non avevo idea di cosa fosse il denaro e il TG mi metteva un’ansia tremenda. Tore ci racconta che il fenomeno è cessato quando hanno mandato i militari e i poliziotti in Aspromonte, gli hanno consentito di imparare i sentieri nascosti, gli hanno reso familiare il luogo e hanno messo fine all’impenetrabilità della montagna. La mia mente ripercorre le immagini di un documentario che vidi sul rapimento di De Andrè, mentre le note delle sue canzoni riecheggiano nel frusciare delle foglie.
Terminato il giro in salita tra foresta, laghetti naturali e artificiali, torrenti, mandrie di mucche, pecorelle smarrite, giungiamo nel posto in cui è previsto il pranzo. Tore, il nostro autista, scompare e dopo poco ci porta un vassoio di legno, dicendoci di accomodarci a cavalcioni su una panca. Sempre Tore, insieme agli altri autisti delle altre jeep, ci serve il pranzo, che consumiamo alla buona, su questa panca di legno piuttosto instabile. Pane carasau, pecorino e porcetto e, ovviamente, cannonau fresco. Dopo un po’, mentre ci godiamo il fresco della montagna e il vino alimenta i malumori di una coppia seduta accanto a noi, Tore e i suoi colleghi autisti/camerieri si mettono in cerchio e intonano le note di una canzone sarda. Lo so, è una cosa costruita per i turisti, ma mi ha colpita molto il ruolo di Tore. Finora avevo visto solo in realtà meno evolute questa guida da minotauro che è mezza autista e mezza cuoco/cameriere/cantante/tuttofare. Mi sarei aspettata di trovare dei camerieri e di vedere un gruppo che si esibiva, ma scoprire che le stesse persone ricoprivano tutti i ruoli del copione mi ha stupita.
Dopo il pranzo, è ora di tornare. Lele chiede a Tore – con il quale abbiamo parlato a lungo – se è possibile visitare insieme a lui la città di Orgosolo. Orgosolo è famosa per i murales che la ricoprono ed è vicina ai luoghi dell’Aspromonte che abbiamo visitato e che tante storie ci hanno raccontato. La nostra idea è ovviamente di pagarlo, visto che sa fare praticamente tutto.
Tore accetta volentieri e alle 16 ci diamo appuntamento al bar di Orgosolo. Ci offre il caffè (inutile provare a pagare) e con occhi scintillanti ci accompagna per i vicoli del paese, raccontandoci di ogni immagine che vediamo, delle vecchiette che un tempo sedevano sempre di fronte alla casa su cui oggi sono ritratte, dei ragazzini della città, dei misteri, delle abitudini, delle tradizioni. Tore parla, risponde alle nostre domande, spiega tutto con amore e devozione, come solo chi ama il suo paese può fare. Al termine di un tour di due ore con pausa gelato (che riusciamo a pagare dopo grandi lotte), torniamo al bar per il caffè finale. A questo punto chiediamo a Tore quanto dobbiamo dargli ma lui si rifiuta categoricamente di essere pagato. Insistiamo, proviamo in ogni modo a dirgli che non ci sembra giusto aver rubato due ore del suo riposto e aver fatto tante domande, ma lui è irremovibile: se qualcuno vuole conoscere Orgosolo, lui glielo fa conoscere senza chiedere nulla in cambio. Non vuole che il suo paese sia dimenticato, vuole che la gente se ne innamori come lui, vuole che la gente torni a casa parlando di ciò che ha visto. Ed è ciò che faccio io, qui, mentre penso a quanto raro sia Tore come essere umano genuino e generoso, personaggio perfetto di questo scenario suo malgrado noto alle cronache, sardo autoctono che mai dimenticherò. Mentre rientriamo a Orosei, le note di De Andrè e le sue parole ci affollano la mente. La Sardegna è anche questo: entroterra, storia, musica, cultura, genuinità.
Dopo un giorno passato tra i monti, cena leggera, bottiglia di cannonau e a nanna.
Sesto giorno: Cala Ginepro e Cala Liberotto
Ultimo giorno prima del rientro a Cagliari: Cala ginepro e dintorni. L’acqua è bassa con secche, scogli affioranti, un torrente e uno stagno; la natura è incontaminata e selvaggia. Questa volta decidiamo di utilizzare il SUP per esplorare la zona, ma gli scogli affioranti lo rendono più difficile. Percorriamo comunque un torrente interno molto più calmo e riusciamo a raggiungere una spiaggia vicina, dove ci accampiamo per il pranzo.
Al rientro cerchiamo un Nuraghe e camminiamo a lungo su una stradina di campagna sterrata che sembra poco rassicurante. All’arrivo niente che valga la pena vedere, abituati come siamo alle pagghiare e ai trulli, ma sicuramente ce ne saranno di più belli.
Settimo giorno: Cagliari
Il giorno del rientro dormiamo a Cagliari e ne approfittiamo per esplorare un po’ la città. Qui finalmente troviamo un mare non proprio pulito. Dico “finalmente” perché la perfezione non mi piace e un mare sempre cristallino e trasparente, nonostante le onde, il vento, la gente, i bambini, la sabbia non sembra realistico. Il primo neo delle acque sarde ci rende la Sardegna più umana.
Dopo la doccia, saliamo tra i vicoli di Cagliari ed esploriamo il suo centro storico, con un castello diffuso, i pub nei saliscendi, i colori del tramonto sullo sfondo. Ceniamo in centro, in un posto che fa cose divine anche per i vegetariani, e finalmente abbandoniamo il cannonau fresco per un buon bianco.
Sardegna nel cuore – Le nostre considerazioni
Siamo finiti in Sardegna come ripiego last minute, abbiamo prenotato 10 gg prima di partire e abbiamo trovato posto solo a Pula e Orosei. La nostra è stata dunque una meta scelta dal caso anziché da noi.
Tuttavia, la parte di Sardegna che abbiamo visto si è rivelata incredibilmente bella e ricca di cose da fare e vedere, con una natura spesso incontaminata e un’ospitalità che non mi sarei aspettata.
Mi ha molto colpita l’orgoglio dei sardi, il loro bisogno di rivendicare il loro essere isola sventolando ovunque la loro bandiera e la necessità di sottolineare anche la propria area di provenienza. All’inizio in Sardegna tutto mi è sembrato perfetto: il mare pulito anche col vento forte, il cibo ottimo a poco prezzo, le spiagge con ingresso contingentato, la natura, i colori, i sorrisi, i profumi. Per fortuna sono poi arrivati il mare meno pulito, la folla in spiaggia, l’oste scortese, il cibo non tanto buono, il sentimento di distanza tra isola e continente a colorare di verità un’immagine troppo perfetta. Se viaggiando trovi solo perfezione e ordine, non hai viaggiato affatto. Viaggiare vuol dire perdersi, guardare sotto il tappeto, osservare strade che la guida e TripAdvisor non menzionano. Anche se in Sardegna abbiamo “viaggiato” nel turismo da cartolina, avendo bisogno di perfezione dopo un anno da dimenticare, non è mancato un pizzico di realtà.
La Sardegna mi ha fatto venire voglia di tornarci, di scoprirla ancora, di starci ancora un po’. La Sardegna mi ha anche confermato che il bel mare salentino sarà presto dimenticato, se non si perde la visione provinciale e miope che si è avuta finora.
Nell’attesa, continuiamo a vagare, per la stessa ragione del viaggio …viaggiare.