Barcellona, 23 años después…

Alla (ri)scoperta della capitale catalana: tutto il meglio, da Gaudì al Camp Nou
Scritto da: Bilbix
barcellona, 23 años después…
Partenza il: 03/06/2011
Ritorno il: 07/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Piccola premessa: svevo visitato da poco una mostra incentrata sul genio di Gaudì. In particolare sulla costruzione, ancora da completarsi, della Sagrada Familia, per la quale l’artista-architetto ha davvero speso al meglio ogni energia creativa. La mostra si teneva alla Galleria coperta del bastione di Saint Remy a Cagliari ed era impreziosita da numerosi plastici e video che mostravano e spiegavano i passaggi attraverso i quali l’opera è stata, ed è tuttora, realizzata: fasi di sviluppo di modelli geometrici e matematici di notevole complessità, legati indissolubilmente, nella mente di Gaudì, a una natura che doveva emergere incontrastata e positiva, nel risultato finale, quale celebrazione della divina perfezione del Creato e del suo onnipotente e misericordioso Artefice. Insomma: un evento interessante e unico ospitato nella mia città per diverse settimane e che ha destato in me il desiderio di ‘toccare con mano’ tale capolavoro, del quale conservavo in memoria singoli dettagli, come minuscole tessere di un mosaico ben più vasto, quale fu in effetti il viaggio che ben ventitré anni fa mi portò alla scoperta dell’intera penisola iberica e persino di un lembo orientale del Marocco, dipanandosi in un itinerario on the road durato circa un mese.

La nuova prospettiva era ora quella di ritrovarmi, e magari perdermi, anche se per pochi giorni, in una Barcellona cosmopolita, diversa da quella visitata coi miei genitori, sicuramente rinnovata e cresciuta sia negli spazi che nello spirito. Per concretarla coinvolgo un’amica che non la conosceva per niente, condividendone curiosità ed entusiasmi, e così in breve tempo facciamo i biglietti on-line e fissiamo le date: approfitteremo del ponte del 2 giugno, o meglio dei giorni subito appresso. Prenoto l’hotel sul sito booking.com e via, ci ritroveremo direttamente all’aeroporto spagnolo, che lei raggiungerà da Bergamo, ed io da Cagliari, entrambi ospiti affezionati di voli low cost della compagnia Ryanair. Non ci vedevamo da quasi un anno.

BARCELLONA, eccoci!

L’impatto con la terra di Spagna dopo appena un anno di assenza è stato nuovamente emozionante. Esattamente undici mesi fa, infatti, girovagavo per Valencia e dintorni, ed ora eccomi nel cuore della Catalogna.

Il terminal di Barcellona è moderno, accogliente e ancora in fase di ultimazione; molti degli spazi espositivi da adibire alle più celebri griffe sono ancora spogli; i corridoi risultano assai ampi e lunghi e le sale d’imbarco semicircolari con le uscite disposte a centoottanta gradi, alcune delle quali (la mia compresa) utilizzate sia per le partenze che per gli arrivi, cosa che al principio disorienta un tantino. Sceso dall’aereo e giunto all’interno della struttura mi ritrovo difatti amalgamato alla folla dei passeggeri pronti ad imbarcarsi dal medesimo varco, e dunque disposti in direzione contraria alla mia; l’idea è d’aver sbagliato qualcosa!

Noto una sorta di info point poco prima di lasciare il settore degli imbarchi e chiedo ragguagli sui percorsi che dovrà seguire la mia amica, sì da poterla poi trovare facilmente; la signorina mi rassicura che tutti i passeggeri in arrivo devono obbligatoriamente uscire per di là; allora proseguo avviandomi con calma all’ingresso principale del terminal, dove un’altra fiumana di gente è in attesa di parenti, amici o turisti da accompagnare in ogni dove. Entro in un bar per prendere qualcosa, ma finisco col comprare solo una bottiglietta d’acqua per placare l’immensa sete sopraggiunta nel frattempo.

Avrei dovuto aspettare Rosy per un’oretta, ma visto il notevole ritardo accumulato dal mio volo in partenza mi bastano appena quindici minuti, che spendo all’ufficio informazioni per procurarmi cartine e dritte varie sulla capitale catalana da un punto di vista prettamente turistico; ed ecco che anche lei atterra, così come conferma il tabellone degli arrivi, ed in men che non si dica ci abbracciamo nel lungo e vasto atrio, immortalandoci subito sotto una statua gigante rappresentante un cavallo alquanto formoso, opera di Botero, che pareva realizzata in ebano.

Troviamo il bus numero quarantasei che, come da indicazioni appena ricevute, ci porterà alla piazza di Spagna; da lì proseguiremo a piedi per l’Avinguda Paral-lel che ci condurrà fin quasi al porto, nei pressi del quale sta il nostro due stelle: l’hotel Nuevo Triunfo; niente di eccezionale, ma confortevole ed assai pratico per girare la città in poco tempo, poiché ubicato a pochi passi dalla Rambla e dal centro storico, il famoso Barrio Gótico, nonché ben collegato via metro a tutto il resto.

Ci sistemiamo e spendiamo la prima serata sulla Rambla del Mar, inesistente al tempo del mio primo viaggio, un corridoio che collega idealmente la Rambla vera e propria alla stazione marittima, la quale è circondata da centri commerciali, ristoranti all’aperto ed un bel movimento. Il clima non è dei migliori, servono le maniche lunghe e di lì a poco verrà persino a piovere; ma intanto ci godiamo il rientro delle barche ai rispettivi pontili, in un crepuscolo un po’ uggioso. Il passaggio è segnato dall’apertura della parte centrale del ponte pedonale che appositi addetti manovrano con maestria; un segnale acustico avverte i passanti segnando il temporaneo alt. Il ponte non si solleva, bensì ruota su dei piloni sì da aprire un varco diagonale da cui accedono le imbarcazioni da diporto e non: suggestivo visto in notturna. L’operazione richiede qualche minuto di pazienza, utile a scoprire ulteriori dettagli tipici della vita di mare. Una volta riuniti i due assi del ponte e risollevate le sbarre possiamo completare il percorso giungendo sulla banchina adorna di ristoranti, negozi e gente d’ogni latitudine.

Ceniamo all’aperto al Centre Maremagnum: menù a base di pesce, forse un tantino caro ma ne è valsa la pena; la serata trascorre in piacevoli chiacchiere di primo relax, ancora increduli di trovarci fuor di patria a rigenerarci lo spirito in nuove e differenti atmosfere mediterranee.

L’indomani il cielo è ancora grigio dopo aver rovesciato acqua a catinelle durante tutta la notte. Comunque non ci perdiamo d’animo ed intanto troviamo un localino ideale dove fare colazione, a pochi passi dall’hotel, sulla Paral-lel, ma dall’altro lato rispetto al nostro. Dino Pan, ribattezzato familiarmente Pandino, sarà il nostro breakfast point per tutti e quattro i giorni: appena un euro e cinquanta per un caffellatte ed una pasta; ma la scelta poteva essere davvero vasta: dai panini alle pizzette, alle bibite, e poi tè, caffè e quant’altro in svariate combinazioni, che comunque non superavano i tre euro. Scopriamo presto che è anche il punto di ritrovo di molti lavoratori della zona, che evidentemente seguono, al mattino, i nostri stessi orari.

La giornata si apre all’insegna della scoperta del centro storico, partendo dalla Rambla. La percorriamo tutta, ma prima ci lasciamo trascinare dalla curiosità e, dopo aver immortalato el Mirador de Colón, ovvero l’alta colonna che ospita la statua di colui che, grazie a risorse spagnole, scoprì il Nuovo Mondo, decidiamo di salirci sopra per ammirare da lassù il panorama urbano: spettacolare. In ascensore ci accompagna un ragazzo che è stato in Sardegna e ce la descrive come un sogno, ne siamo felici e ricambiamo la sua gioia.

La Rambla collega il porto con la piazza Catalunya. Al suo interno si affacciano numerosi palazzi d’epoca: il Gran Teatre de Liceu, il vecchio emporio degli ombrelli che riporta simboli dei suoi prodotti tipici proprio in facciata, dando all’edificio richiami orientali; e non ultimo per una personale classifica di valori, l’hotel Oriente, che mi aveva ospitato durante la mia prima visita nel lontano 1988. Lo trovo identico, per lo meno dall’esterno, la facciata tale e quale a come me la ricordavo ed anche la scritta sul portone: un piccolo tuffo nel passato al quale dedico diverse foto. Dà sul gran viale anche il famoso mercato centrale de La Boquería, tripudio di gente, suoni, aromi e colori; ci perdiamo in esso per qualche minuto, assaggiando con gli occhi l’abbondanza che la terra di Spagna offre, esposta in svariate fantasie cromatiche davvero notevoli, e respiriamo la genuina atmosfera della quotidianità iberica, mischiata un poco all’internazionalità turistica a cui Barcellona è oramai vocata.

Proseguiamo la passeggiata sulla Rambla per poi deviare sul lato destro e immergerci nell’atavica magia del quartiere gotico, con le sue mura vetuste, i vicoli stretti ed un’ambientazione dall’eco medievale molto evocativa. Qui visitiamo la cattedrale dedicata a sant’Eulalia, patrona di Barcellona. Nel chiostro sono ospitate ben tredici oche, tante quanti gli anni che la martire aveva al momento in cui venne uccisa dai romani per la sua fede. Proseguendo per le vie circostanti, troviamo il municipio dal quale esce una coppia di giovani sposi che celebrano l’inizio della loro nuova vita con foto straordinarie ed artistiche.

Giungiamo poi per caso al ristorante Los Caracoles nel quale assaggiai la prima paella assieme ai miei genitori. L’idea era di fare il bis una di quelle sere, cosa che non sarà possibile data l’esorbitante fila all’ingresso, ottimo deterrente che ci farà infine desistere a favore di un locale affacciato sull’elegante piazza Reial, un salotto cittadino accogliente e raccolto situato a pochi passi dalla Rambla e formato da bellissimi edifici d’epoca completamente porticati, ben frequentato nel pomeriggio e pullulante di vita la sera, soprattutto di turisti a caccia dei tesori gastronomici locali. Noi ci capitiamo un po’ a sorpresa dopo averla cercata invano per diverso tempo, dissimulata com’è dal contesto urbano piuttosto intricato che la attornia e quasi la protegge.

Dalla Piazza Catalunya ridiscendiamo verso il porto per una parallela alla Rambla, la via Laietana. Qui incontriamo il palazzo della musica, parte delle antiche mura di cinta, il mercato di santa Caterina e poi, quasi per caso arriviamo alla chiesa di Santa Maria del Mar, un capolavoro gotico che ci ha letteralmente affascinato, molto più della stessa cattedrale: bellissima ed imperdibile, e anch’essa allietata dalla celebrazione di un matrimonio finalmente cristiano. Poco oltre, lungo il suo perimetro laterale c’è il monumento ai caduti, moderno, una sorta di fiaccola olimpica in metallo a ridosso di un muretto rivestito in granito rosso, che riporta delle scritte in catalano, e che delimita una piazzetta. Camminando ancora un po’ arriviamo al parco della cittadella che attraversiamo per intero fino all’arco di trionfo, della cui esistenza non avevo alcuna memoria. Lungo i viali sono state allestite numerose bancarelle e stand in occasione della celebrazione del gemellaggio con la città di Colonia. In ogni angolo è possibile avere traduzioni in o dal tedesco, opuscoli informativi, ed ovviamente assaggi di ogni ben di Dio tipico della Germania, würstel in testa. Siamo tentati, ma il meccanismo di prenotazione che ci avrebbe costretto ad un penoso dietrofront scoraggia ogni iniziativa a riguardo spingendoci verso un rientro in hotel per una doccia veloce, seguita da una cena, diciamo, più classica e… autoctona.

Percorriamo dunque una parte della Ronda del Litoral ed il Passeig de Colón fino a giungere nuovamente all’imbocco della Rambla, e da lì ancora il tratto che ci separa dalla Paral-lel e che arriva al nostro hotel situato in una traversa laterale, quasi all’ombra di tre alte ciminiere di una vecchia fabbrica le cui moli imperiose ricordano i fasti del passato industriale, che ora ha ceduto il passo a edifici di nuova costruzione ed architettura. In appena un giorno avremo percorso minimo una decina di chilometri; niente male come incipit!

La serata vola tra una portata e l’altra: paella, tapas, qualche bicchiere di vino, battutine e confidenze, immersi nell’atmosfera dolce e quasi irreale della Plaça Reial, ravvivata da un piacevole sottofondo musicale, rigorosamente live, ovvero simpatici suonatori di strada che facevano il giro dei vari ristoranti per allietare gli animi e rimediare qualche euro per tirare avanti.

Anche la seconda notte diluvia, ma poiché la buriana inizia sul tardi, dura fino al mattino e si spinge fin quasi a metà giornata rovinando un tantino i nostri programmi. Avevamo infatti deciso di prendere il pullman turistico per esplorare comodamente la città e fermarci in alcuni punti nevralgici posti a base del nostro calendario, ma desistiamo a favore di una passeggiata che inizialmente non sappiamo bene dove ci condurrà ma che in effetti si rivela molto suggestiva e culturale. Partiamo ‘dai dintorni’ con la visita del Palazzo della Musica Catalana che è stato una vera sorpresa; mi aspettavo fosse interessante ma non così bello e pregno di cultura. Ascoltiamo la voce della guida che si esprime in pura lingua catalana e con meraviglia scopro di capirne più o meno i vari significati, anche se spesso in linea di massima, trovando persino affinità con la nostra lingua sarda in qualche locuzione. Ringrazio in cuor mio che il giro in castigliano fosse troppo tardi sì da ‘costringerci’ ad una scelta diversa ed immediata che però ci ha consentito di immergerci davvero completamente in questa cultura eccezionale della quale giustamente gli oriundi vanno fieri. La visita dura un’oretta o poco più; tempo che è letteralmente volato, immersi com’eravamo in un ambiente elegantissimo, variopinto e fantastico come solo un teatro, divenuto tempio della musica può essere. Veniamo tra l’altro catturati dalle note dell’antico e maestoso organo a canne, ristrutturato da poco, le cui caratteristiche melodiche legate in particolare alla sua originaria struttura ci vengono opportunamente spiegate prima di procedere all’ascolto del brano registrato. Il Palau del la Música Catalana è luogo da non perdere per chi volesse esplorare più da vicino l’anima di questa vibrante metropoli europea.

Usciti dal teatro la giornata è ancora piovigginosa così optiamo per la visita della casa Pedrera di Gaudì, che doveva essere la nostra prima tappa del tour by bus ma che invece anticipiamo, raggiungendola a piedi dopo una bella passeggiata sul Passeig de Gràcia, magnifica arteria commerciale del centro che parte dalla piazza Catalunya, lungo la quale si trova anche un’altro capolavoro dell’architetto barcellonese: la casa Batlló, che logicamente immortaliamo, assieme agli storici lampioni in ferro muniti di panchine in pietra, che adornano la via.

Facciamo una breve fila all’ingresso della casa Pedrera per l’acquisto dei biglietti, e subito dopo ci invitano a salire gli otto piani di scale che conducono direttamente alla spettacolare terrazza che ospita i famosissimi comignoli disegnati dall’artista, i quali creano una sorta di inverosimile giungla urbana affacciata sulla città: magnifica!

Scattiamo decine di foto da ogni angolatura possibile dopodiché ridiscendiamo a visitare l’unico appartamento aperto al pubblico; la casa è infatti una sorta di condominio di gran lusso abitato da persone sicuramente amanti dell’arte ed assai danarose. Qui l’arredamento ed i corredi sono quelli di una volta, alcuni ricordano addirittura gli utensili che possedevano anche i miei nonni, macchina da cucire Singer compresa, inserita nel suo apposito mobiletto; ed essi erano immersi in ambienti eleganti ma senza ostentazione, e rispecchiavano il tenore di vita di famiglie agiate sì, ma sobrie. L’arredo classico era poi arricchito dall’importante presenza del genio eclettico di Gaudì, vero protagonista dell’esposizione: dai muri interni quasi privi di spigoli, ai balconi muniti di ringhiere indescrivibili fatte di volute e riccioli di ferro battuto, quasi inspiegabili ma che definiscono il palazzo, rendendolo unico nel suo genere ed alquanto inquietante nell’assieme, fino ad arrivare alle panchine e alle poltrone aventi caratteristiche ergonomiche del tutto peculiari: insomma è certamente da vedere; quanto all’intrinseca bellezza degli oggetti e dell’intero edificio, beh, la valutazione sta negli occhi e nei gusti di ognuno; posso solamente dire che al sottoscritto ha suscitato indubbiamente delle emozioni ma senza galvanizzarmi particolarmente; detto in altri termini: non farei di sicuro carte false per viverci, pur se potessi permettermelo.

Riemergiamo in strada dopo qualche ora ed è tempo di metter qualcosa sotto i denti. Cerchiamo un locale dove avevo intravisto offerte di tortille d’ogni genere che desideravo assaggiare da appena atterrato, ma di fatto la lunga maratona su e giù per il Passeig de Gràcia non è infine valsa ad appagarmi, le tortille erano assi piccine, fatte in serie e decisamente troppo care. La conclusione è stata un panino dall’aspetto invitante comprato in un bar poco distante dalla Pedrera, mentre alla mia amica era passato del tutto l’appetito.

Torniamo in albergo per una breve pausa rigenerante e decidiamo quindi di prendere la funicolare dalla vicina stazione della metro, per salire al castello. Arrivati alla stazione scopriamo di poterci inerpicare a piedi per il vasto parco Montjuïc, oppure raggiungere la vetta in funivia, prendendo la Telefèric de Montjuïc. Optiamo per la seconda, ovviamente e, pagato il biglietto di andata e ritorno, circa dieci euro a testa, ci scegliamo una cabina tutta per noi da dove poterci scatenare a fotografare l’impossibile. Il percorso dei cavi forma una elle e dunque si sale in direzione del mare per poi girare ad angolo retto verso il castello; e man mano che si sale il panorama diventa sempre più mozzafiato; pareva d’esser sospesi in un’immensità racchiusa tra terra, mare e cielo: bellissima esperienza.

Il castello, ben ristrutturato e valorizzato nei suoi vasti spazi, racchiude un museo, un bel cortile interno e magnifiche terrazze affacciate sulla città e sul mediterraneo; è sicuramente un sito vocato a mostre ed eventi culturali di certa importanza e suggestione.

L’amenità del luogo, frequentato prevalentemente da turisti, ci rapisce per un altro paio d’ore, e quando decidiamo di tornare nella mischia, lo lasciamo quasi con rammarico. Giunti nuovamente alla metro utilizziamo il medesimo biglietto per percorrere sotto terra il breve tratto che ci separa dalla piazza di Spagna. Qui visitiamo dapprima l’arena, convinti di trovare veramente il classico tempio della corrida, mentre invece con immenso stupore, appena varcato l’ingresso dallo stile vagamente arabesco, ci troviamo immersi in un modernissimo centro commerciale adorno di cartelloni pubblicitari ed attraversato da numerose scale mobili che ne segnano l’alta volumetria. Dove un tempo tori e toreri si sfidavano in prodigiosi duelli all’ultimo sangue ora c’è una sorta di crocevia interno, uno spiazzo circolare nel quale convergono i vari corridoi dello shopping nonché le scale mobili e l’ascensore di vetro trasparente, mentre quelli che furono i gradoni per il pubblico sono stati convertiti nei diversi piani che oggidì ospitano gli innumerevoli negozi. All’apice infine si trova la terrazza, raggiungibile anche da un ascensore esterno: un’ampia circonferenza che si affaccia sulla città a trecentosessanta gradi, offrendoci nuove prospettive visive della stessa vista dall’alto di un suo celebre ‘monumento’.

La serata è dedicata alle straordinarie fontane della piazza di Spagna, o, per esser più precisi, della Avinguda de la Reina Maria Cristina che in quella piazza sfocia. La principale protagonista è la cosiddetta Font Magica de Montjuïc che si trova proprio al centro della via, tra le due gradinate che dal viale conducono al museo costeggiando la zona fieristica, ai piedi di quattro colonne romane, simbolo di un glorioso passato. Ne fui particolarmente incuriosito già dai racconti di mio padre, il quale le descriveva come fossero uscite da le mille e una notte, un sogno che purtroppo non riuscii a vivere all’epoca del mio primo viaggio a causa dell’unico giorno in cui venivano accese, il mercoledì, lasciandomi così in sospeso per tanti anni il desiderio di poterle ammirare. Ed ora il nodo poteva essere finalmente sciolto grazie al fatto che tale manifestazione di gioia, perché è ben difficile descriverla in altro modo, è divenuta un evento quotidiano che catalizza migliaia di persone e le inghiotte in una sorta di prolungato incantesimo di suggestive emozioni sensoriali, che toccano davvero lo spirito di ognuno risvegliandone quella parte infantile pronta ancora a stupirsi dinanzi a simili, semplici meraviglie, nate dall’unione sublime di un genio artistico sposato all’elemento più naturale del mondo e di cui tutti siamo fatti: l’acqua; elemento versatile per eccellenza che all’uopo si fa musica avvolgente d’ogni genere e provenienza, ballerina leggiadra, farfalla variopinta d’ogni accesa cromatura, in un divenire crescente ed incantevole, in una poesia romantica o burlesca che letteralmente ti cattura. A completare il quadro è ovviamente uno sfondo altrettanto artistico ed impareggiabile: l’edificio del Museo Nazionale d’Arte della Catalogna che, ubicato quasi in cima alla collina, chiude il viale dedicato alla regina Maria Cristina. Dalla sua cupola, nella notte, si irradiano fasci di luce azzurrognola all’intorno i quali abbracciando cielo e terra, donano all’insieme un effetto a dir poco cinematografico e quasi surreale.

La Font Magica de Montjuïc e le sue tante sorelle, può senz’altro rappresentare persino l’unico scopo di una visita a questa città, perché da sola vale l’intero viaggio a Barcellona.

Lo spettacolo viene proposto ogni sera a partire dalle otto e trenta e fin quasi alla mezzanotte, salvo casi specifici. Ventitré anni fa lo persi proprio a motivo di una costrizione oraria legata ad un solo giorno della settimana, sfortunatamente non compreso tra quelli che io trascorsi qui coi miei genitori, che invece ne serbavano uno straordinario ricordo risalente al loro viaggio di nozze, durante il quale lo ammirarono per la prima volta rimanendone incantati.

Inutile dire che siamo rimasti incollati là quasi tutta la sera, a studiarne gli effetti da ogni prospettiva possibile: vicino, lontano, dall’alto e dal basso. Per cui giocoforza la cena è saltata a tarda notte ma non per questo è stata frugale, anzi! La fame, alimentata anche dalle lunghissime passeggiate, ci chiamava a raccolta, bacchettandoci. Troviamo viciniori un locale tipico che fa al caso nostro, la Cerveseria Xop d’Or, situata proprio sull’oramai familiare Avinguda Paral-lel, dove ci permettiamo di omaggiare la dea abbondanza, gustandoci sia la paella, sia la tortilla, specialità che dopo due giorni di assidue ricerche mi stava davvero facendo sospirare; il tutto preceduto da diversi assaggi di antipasti a base di pesce: insomma la lunga camminata di rientro sulla Paral-lel è stata infine ben più che una dovuta marcetta digestiva, a chiusura della quale ammetto di avere avuto anche qualche piccolo, spiacevole effetto collaterale che mi ha costretto a fare le ore piccole, mio malgrado!

L’indomani il sole brilla finalmente dal mattino, il cielo è terso e la giornata promette faville, così dopo una colazione più sobria, a base di tè, si parte alla volta dell’agognato tour by bus alla scoperta di altri luoghi caratteristici della città che avevamo in programma; primo fra tutti la Sagrada Familia.

Avevamo già fatto il biglietto che consente di poter prendere tutti i pullman turistici nell’ambito di uno o due giorni. Questi sono suddivisi in ben tre linee, contraddistinte da colori diversi, ognuna delle quali attraversa alcuni quartieri della città proponendo percorsi tematici differenti: dal mare e dalle zone moderne della linea verde, al centro storico della rossa, al più impegnativo itinerario di quella blu, che nel ricomprendere le più importanti tracce architettoniche lasciate dal genio di Gaudì, raggiunge la parte alta dell’urbe per poi riprecipitare verso il porto, passando per lo stadio e la zona sportiva.

Noi, per cominciare, scegliamo il tragitto di quest’ultima, partendo dalla fermata di piazza Catalunya. Salendo però ci capita un piccolo inconveniente: avevo infatti acquistato quel biglietto il giorno innanzi e l’addetta me lo aveva obliterato con quella data, senza probabilmente capire che mi sarebbe servito per l’indomani; dunque al momento risulta scaduto, e la guida non può accettarlo. Ci indirizza allora all’ufficio turistico, ubicato sotto la piazza, proprio lì a due passi, e risolviamo la questione in pochi minuti. Due impiegati dai modi squisiti ci cambiano prontamente il biglietto appena gli narriamo, in breve, il disguido. Ritorniamo velocemente al punto d’origine col nuovo ticket, stavolta regolare; il bus è ancora lì: finalmente si parte!

Alla Sagrada Familia ci attende una coda di almeno un’ora che ci rassegniamo a fare con calma. Giunti alla biglietteria la mia amica si accorge di non avere il portafoglio ed entra nel panico. Le anticipo io la quota e decidiamo di proseguire onde evitare di rinunciare definitivamente alla visita; sarebbe stato un vero peccato. Appena terminato il giro saremmo tornati in albergo a controllare. Visitiamo così il più grande, conosciuto e celebrato capolavoro di Gaudì, immergendoci nel suo mondo fantastico e geniale. L’interno della chiesa ormai concluso e consacrato, pare davvero un bosco formato d’alberi di diverse specie i cui maestosi tronchi sono in realtà colonne colossali fatte di materiali differenti in caratteristiche e colori.

Ammiriamo le varie facciate della chiesa tra cui spicca la più nota ed ormai terminata, che è quella della natività. Dinanzi ad essa è stata ricavata un’apposita terrazzina che consente al visitatore di poterne studiare ogni dettaglio nonché di fotografarla nel migliore dei modi. La facciata della gloria, l’ultima in ordine di costruzione, sarà completata fra qualche anno, e per il momento si può ammirare solo dall’esterno. In mezzo alle sue guglie troneggia una scultura rappresentante l’ascensione al cielo di Nostro Signore; un Gesù quasi leggiadro, appena poggiato sul ponte che unisce i due gruppi di torri, e talmente alto che non dà nemmeno nell’occhio, pazzesco!; difatti l’ho notato bene solo mentre immortalavo l’intera prospettiva.

Infine saliamo su una delle altissime guglie che in un prossimo futuro saranno ben dodici, come gli apostoli e racchiuderanno l’intera struttura in mezzo alla quale spiccherà la più alta dedicata ovviamente al Redentore. Scegliamo il gruppo delle quattro guglie sul lato della natività; l’ascensore impiega pochi secondi per condurci sopra, dopodiché la discesa è affidata ai nostri piedi, alla personale velocità ed alla curiosità di passare da una torre all’altra in una sorta di gioco labirintico e tortuoso assai particolare e divertente, intramezzato da ovvie pause dedicate alle foto, o semplicemente ad ammirare i panorami sempre nuovi di una città che non finisce di sorprendere. Gli spazi di manovra son però alquanto angusti, e ciò obbliga ad appiattirsi contro i muri ogniqualvolta vi sia la necessità di cedere il passo a qualche altra persona.

Lungo le infinite scale a chiocciola che sprofondano verso terra si possono anche osservare più da vicino, dalle diverse finestrelle fatte quasi a mo’ di feritoie, le particolarità della costruzione, nonché i numerosi operai al lavoro, appesi su robuste imbracature.

Dopo la basilica io ho visitato anche le scuole, ricostruite identiche alle originali purtroppo andate distrutte da un incendio. Qui venivano ospitati i figli dei lavoratori che portavano avanti l’immane progetto, il quale, forse, avrà termine intorno al 2030; del resto, come amava dire il suo stesso ideatore, il committente non ha premura, avendo tutto il tempo a disposizione!

Completata la lunga visita, sospendiamo temporaneamente il tour in pullman per consentire a Rosy di tranquillizzarsi circa la fine dei suoi averi. Scopriamo con somma gioia che la linea di metropolitana che passa alla Sagrada Familia fa capolinea proprio alla fermata del nostro albergo, sulla Paral-lel, e così in men che non si dica facciamo dietrofront. Per fortuna la tanto temuta disgrazia si è rivelata in realtà solo una banale dimenticanza, come del resto il sottoscritto supponeva e lei auspicava.

Poiché si è fatta ora di pranzo e son cambiate le nostre coordinate geografiche, decidiamo di cambiare programma ed optiamo per la linea verde, sì da goderci un po’ l’atmosfera marittima e balneare di Barcellona, rinviando ad orario più consono la visita al parco G üell. Prendiamo dapprima la linea rossa fino al parco olimpico, che attraversiamo fino ad affacciarci sulla famosa spiaggia della Barceloneta; lungo il percorso compriamo un bel gelato per rifocillarci e rinfrescarci le idee, visto il gran caldo. Infine ci rilassiamo per circa quaranta minuti sul bus verde, sul quale la voce guida ci descrive pacatamente, e con dovizia di particolari, la crescita e l’evoluzione, moderna e modernista, di una città in continuo divenire, sempre più proiettata ad un futuro europeo e cosmopolita.

Concludiamo la serata al parco Güell, altra geniale trovata di Gaudì, che si adagia sul versante di un colle, abbastanza distante dal centro; cosa che non mi aspettavo. Anche dalla fermata del bus abbiamo dovuto spostarci di almeno mezzo chilometro, e tutto in salita, per raggiungerlo, ma le straordinarie vedute di lassù meritano davvero tutta la fatica.

Il parco prende il nome del principale mecenate dell’artista, Eusebi Güell, ed è un coacervo fantasioso di opere murarie e architettoniche dove ceramiche e vetro la fanno da padroni in composizioni e mosaici dalle varietà cromatiche di straordinario impatto visivo ed emotivo. In origine l’area de El Carmel doveva ospitare una città giardino in stile inglese, con annesso quartiere residenziale, ma poi le vendite non andarono secondo le aspettative, e dunque venne riconvertita in parco pubblico. Abbraccia un’intera collina sulla quale si aprono numerosi sentieri percorribili a piedi o in bicicletta, ed assai panoramici; appollaiata in cima sta anche la casa in cui visse il suo ideatore fino al momento in cui, armi e bagagli, si trasferì al cantiere della Sagrada Familia.

Tra le chicche imperdibili si annovera sicuramente la lunga panchina tortuosa che sovrasta il colonnato; il complesso è non solo bello ma utile per lo scolo dell’acqua piovana. Ovviamente colpiscono gli edifici dell’ingresso: la guardiania e quello che ora ospita i negozi di souvenirs, che paiono proprio giganti abitazioni dei puffi; ed infine la grande salamandra variopinta che domina la scalinata principale, appena varcati i cancelli.

Fatta una lunga camminata all’interno del parco, ridiscendiamo verso la strada principale per riprendere il nostro amato bus della linea blu e completare il tour. Dopo appena qualche minuto saliamo su un’altra collina e ci fermiamo ai piedi del Tibidabo, famoso parco dei divertimenti di Barcellona, ma non solo. La vetta è raggiungibile prendendo la funicolare dall’interno del parco, che permette di arrivare alla chiesa; ma ovviamente non a quell’ora.

Siamo al crepuscolo, il bus continua la discesa verso il centro enucleando altre particolarità meno note della città, finché giungiamo al Camp Nou, tempio della celeberrima squadra locale, il Barça, divenuta, direi, mitica in questi ultimi anni, balzando all’onore delle cronache sportive di tutto il mondo grazie alle sue audaci imprese e le progressive e costanti vittorie conquistate in poco tempo sotto la guida di un allenatore di indubbie capacità: il catalano Josep Guardiola. Il campo, di proprietà del club, fu inaugurato nel 1957 ed ha una capienza di 98.787 posti, tutti a sedere; è inoltre uno dei quattro stadi europei catalogato come “Stadio a cinque stelle” dalla UEFA. La guida registrata aggiunge che il Futbol Club possiede anche altri impianti sportivi, ed offre numerosi e diversificati servizi legati allo sport, portando avanti un progetto che va quindi ben oltre l’attività calcistica, che rimane, ovviamente, quella principale.

Comincia a rinfrescare, il vento si fa insistente, quasi fastidioso, e provoca qualche brivido di troppo per essere al principio di giugno, specie per chi, come noi, è vestito estivo e sprovvisto di una qualche felpa anche leggera. Io per fortuna ho una maglietta a maniche lunghe, tuttavia non basta a fermare l’aria fattasi pungente. Così imito la mia amica, che nel frattempo si era trasferita al piano inferiore, e la raggiungo per completare l’ultimo tratto di giro che ci separa dal capolinea.

Dopo un’altra mezzora, senza quasi più attenzione, giungiamo alla piazza Catalunya da cui lentamente ridiscendiamo verso la Rambla, sulla quale troviamo il ristorante della nostra ultima serata spagnola, guarda caso dal nome assai evocativo quanto a viaggi ed avventure: il Jules Verne. Io, memore dei recenti trascorsi, opto per una sopa de cebolla rivelatasi davvero ottima, ed un secondo di carne; Rosy mi imita per metà condividendo l’idea di un buon consommé ma concludendo infine, con un’ultima paella verace, a gloria della gastronomia ispanica, a noi ben gradita. E così, tra piacevoli chiacchiere di giorni che son già quasi ricordi, si consuma il nostro pasto.

La discesa sulla Rambla, verso l’hotel, è motivo di piccoli bilanci, progettazioni di future avventure e genuino relax, a conclusione di una gita lampo, intensa ed appagante. L’unico inconveniente incontrato in questa città, per il resto grandiosa ed ospitalissima, è stato l’aver percepito odori non sempre gradevoli che spesso, inaspettatamente, feriscono le narici lasciando quasi di stucco l’impreparato passante; zaffate di indefinibile consistenza e provenienza che ti colgono all’angolo di una strada, in mezzo ad un viale o al centro di una piazza, vicino e lontano dai cassonetti, nei pressi dei quali la cosa potrebbe anche essere giustificabile, o quantomeno prevedibile; invece no. E’ un nemico invisibile che ti segue dappertutto, o ti sorprende ovunque, marcando le zone con fetide scie. Un aspetto sicuramente meritevole di un intervento ad hoc da parte dell’amministrazione locale, onde poterlo debellare, o almeno contenere, scovando al più presto origini e/o cause.

Giunti in albergo ritiriamo le chiavi e ci salutiamo in ascensore (unica nota stonata dell’hotel: è più lento di una lumaca claudicante!) poiché l’indomani partiamo ad orari diversi: lei all’alba, io a mezza mattina. Chiudiamo così la nostra bella avventura catalana dandoci appuntamento alla prossima gita, che sicuramente non tarderà ad arrivare.

E siamo al martedì di rientro. Raggiungo l’aeroporto seguendo l’itinerario che mi ero predisposto, prendendo il medesimo bus cittadino dell’andata, ma a percorso invertito, nei pressi della piazza di Spagna. La Gran Vía de les Corts Catalanes si allunga fino agli estremi confini urbani dando uno spaccato di una società in moto perenne, e sborda fino alla periferia commerciale ed industriale, generosa di nuovi spazi, in vendita o affitto, su grattacieli iperbolici e ricchi di promesse. Infine si congiunge alle arterie che conducono fuori città, in altri mondi e realtà, a volte differenti, a volte simili.

Scendo al terminal due, raggiungo l’uscita; faccio un ultimo giretto per i negozi di una struttura non ancora del tutto allestita, ma già funzionale e sicuramente promettente; ed infine do il mio arrivederci a Barcellona.

Il volo è puntuale e nel giro di due ore sono già a casa, pronto a ripercorrere con la mente, e più in là con la tastiera, il magnifico viaggio appena vissuto, intriso ancora della vivace atmosfera catalana.



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