Vivere di e viaggiare a Cuba oggi
Era però per Cuba quello (1997) anche un momento terribile, credo il più duro dall’inizio della rivoluzione castrista che pose fine alla precedente dittatura del generale Batista (1959). Giunsi infatti a Cuba sul finir del famigerato “periodo especial”, un quinquennio di grave crisi economica iniziato poco dopo la caduta del muro di Berlino e lo sgretolarsi dell’Unione Sovietica. L’URSS infatti, dopo l’embargo americano verso Cuba che ne soffocava l’economia (che vige ancora oggi: embargo seguito alla nazionalizzazione e confisca di tutte le proprietà straniere – in maggioranza americane – da parte di Fidel Castro e Che Guevara, dopo la rivoluzione), era rimasto l’unico (ma notevole) partner commerciale: comprava la canna da zucchero cubana e forniva petrolio e aiuti vari. Anche (soprattutto) per motivi di guerra fredda.
Crollata l’URSS, i russi avevano altro a cui pensare che ai poveri cubani, e la già povera economia cubana crollò bruscamente.
Il presidente Castro impose pesanti restrizioni alla popolazione e ridusse la già misera razione giornaliera di cibo che lo Stato passava (e passa ancora oggi) ad ogni suo abitante.
Io con un amico, 11 anni fa, affittammo un appartamento in un disastrato condominio nel Malecon dell’Avana, il suo affascinante lungomare. Una casa privata, che veniva affittata abusivamente da una famigliola per arrotondare il magro bilancio familiare. Con un borsone di viveri portato dall’Italia per risparmiare sui costi totali del viaggio, ogni giorno cucinavamo in casa. Pasta italiana, panini cubani (con formiche dentro) e, da buoni sardi, formaggio e salsiccia. E accadeva che, in un modo o nell’altro, ogni giorno avevamo ospiti cubani alla nostra tavola, ragazzi e ragazze. Mangiavano tutto, ovviamente, fino all’ultima briciola, ma una delle cose che mi colpì in quegli allegri pranzetti fu il fatto che i cubani conservavano e riciclavano tutto. Non si buttava mai via niente, neanche 3 spaghetti rimasti attaccati al fondo della pentola.
E in giro non si vedeva un solo obeso, non c’erano gatti (li avevano mangiati tutti), i cani erano pochissimi e solo di piccola taglia (mangiano meno). La luce mancava per diverse ore ogni giorno nella capitale (figurarsi nelle province). I ragazzi per strada provavano a vendere di tutto ai turisti (sigari, rum, affitto di case, pasti nei ristoranti clandestini, donne – anche la propria fidanzata o sorella –, ecc.) e le ragazze li inseguivano anche solo per avere in cambio un pasto decente.
Insomma, c’era fame! Da allora sono passati 11 anni, durante i quali tante cose sono successe a Cuba.
C’è stata l’importante visita del Papa, nuove severe leggi contro la prostituzione e, nonostante ulteriori restrizioni all’embargo da parte americana, pian piano nuovi importanti accordi commerciali son stati abilmente fatti da Fidel Castro con paesi come Cina, Vietnam e, soprattutto, un importante e potente vicino, il Venezuela di Hugo Chavez, con il suo prezioso petrolio. Qui ha scambiato la preparazione di migliaia di medici cubani – inviati in Venezuela per assistere la popolazione che vive nei miseri “barrios” (le “favelas” venezuelane), con i barili di petrolio. E, poco a poco, il “periodo especial” è (quasi) sparito (ma secondo alcuni cubani non è mai finito).
Infine, da pochi mesi a questa parte, dopo 50 anni sempre a capo del governo, Fidel Castro ha “abdicato” in favore del fratello Raul (ufficialmente con una elezione, ma… ).
Nei primi giorni di questo nuovo viaggio, 11 anni dopo, mi vengono subito da notare i tanti obesi, i tanti gatti, i cani anche di grossa taglia, diverse auto moderne in più, la luce sempre presente. Ma, nelle settimane successive, ore e ore passate a parlare con tanta gente mi faranno capire che, nonostante queste poche appariscenti differenze, in realtà non è cambiato quasi nulla.
Perché?
Vivere (e viaggiare) a Cuba oggi La prima settimana cubana, passata a Santiago, la seconda città del paese situata a Sud (o ad Oriente, come chiamano qui tutta la parte meridionale dell’isola) mi lascia una sensazione amara che, alla fine della permanenza a Cuba, solo in parte si attenuerà.
Camminando per strada, con una riconoscibile faccia da turista, si è soggetti ad un continuo assalto di trafficoni di ogni tipo, tutti che recitano lo stesso identico copione iniziale: – “Holà amigo, de que pais?” (Di dove sei?) – “Italia” – “Oh, Italia, che bello! E Italia di dove?” – “Sardegna, una isola” – “Ah, Sicilia, la mafia” – “No, Sardegna, un’altra isola” Poi un’altra manciata di domande: – “Prima volta a Cuba?” – “Ti piace Cuba?” – “Che lavoro fai in Italia”? – “…” Finché, dopo un tempo variabile da pochi secondi a qualche minuto (a seconda dell’attenzione che gli si dedica), si arriva al dunque, il vero motivo dell’approccio: vendere qualcosa o spillare in qualsiasi modo qualche C.U.C. (“Peso Cubano Convertible”, la moneta cubana pregiata in uso ai turisti).
Se son ragazzi, provano a vendere sigari (tutti, secondo loro, rubati dalla cugina che lavora in una fabbrica dello Stato, ma che poi quasi sempre sono fatti in casa, molto bene, ma… con foglie di banano!) o indirizzi di alloggi per dormire o ristoranti privati o tour turistici o taxi o marijuana o prostitute o banconote da 3 pesos con la faccia di Che Guevara (false) o chiedere i soldi per una bibita o per un “trago de ron” (bicchierino di rum) o per le sigarette o per il latte per il figlio o per il loro compleanno che è proprio oggi o “compagnia” alle turiste donne o cento altre scuse o, infine, solo soldi, senza scuse.
Se son ragazze, invece, sempre dopo la solita serie di domande iniziali, l’oggetto in vendita è il proprio corpo, a volte camuffato da vaghi “innamoramenti a prima vista”, oppure la bibita, sigarette, latte per la figlia, ecc di cui sopra.
Ok, dopo breve tempo li si riconosce subito e ci si comporta di conseguenza (pur se con il passar dei giorni con sempre meno sopportazione), ma il maggior fastidio era rappresentato da quelli che, anche se per breve tempo, inizialmente apparivano come semplici e normali incontri amichevoli, come capita in tanti altri paesi.
Un esempio.
Dopo tante serate, a Santiago, nell’ottima “Casa De La Trova”, dove ho assistito a splendidi concerti di gruppi musicali cubani (in genere “setteti”, 7 musicisti) con pubblico però costituito al 90% da turisti stranieri, una sera sono andato nella periferia della città dove c’era la molto meno battuta “Casa De Las Tradiciones”, piccola, senza insegne esterne, povera.
Entro. Pubblico pagante: 1. Io. Più tardi arriveranno altri 4 o 5 cubani, e solo un altro turista.
Mi siedo comodamente in prima fila in una sedia a dondolo, e inizia il concerto quasi privato. Salsa, son, cha cha, ottima musica, ottimi musicisti, zero turisti, birra ghiacciata in mano. Si può stare meglio? E qui scatta il mio “errore”: faccio un sorriso di compiacimento ad un musicista (il suonatore di congas) facendogli intendere che apprezzavo la loro musica. Lui risponde con sorrisi ancora più grandi, facendomi intendere che lui apprezza che io apprezzo loro (si capisce? 🙂 ).
Ormai però il danno è fatto, e da quel momento non mi mollerà più.
Dopo quindi aver già pagato il biglietto d’ingresso, in una pausa si avvicina il cantante e mi chiede se gli compro un loro CD. Se in tutti i precedenti concerti non ne avevo mai acquistato neanche uno, qui mi trovo un po’ a disagio a rifiutarlo e lo compro (qualità audio pessima!).
Subito dopo passa quello che mi sorrideva e mi chiede di comprargli una birra. Ok, una birra non si può negare. Dopo altre 3 o 4 canzoni passa un altro del gruppo con uno strumento cavo dove dice di infilare un’offerta per gli artisti, e infine a fine serata sempre quello che mi sorrideva mi invita a sedermi vicino a lui per chiacchierare e mi offre un bicchierino di rum.
– ”No, grazie, rum non ne voglio”, rispondo – “No, bevi!” – “Ok, bevo” Poi bla bla per meno di un minuto, e arriva al dunque: – “Mi daresti 2 o 3 dollari per comprarmi una bibita per quando rientro a casa?” (!!!) L’interesse è dietro ogni azione, quel bicchiere di rum che mi ha offerto era solo un “investimento” per accattivarsi la mia simpatia e poi chiedere con maggiori probabilità di successo, così come i sorrisi del cantante. Questa volta però gli va male…
E alla fine della giornata tutte queste micro-situazioni sono decine e decine, e si sommano tutte. E stancano. Dai rompic… per strada ai finti amici o ai finti bisognosi. Chiunque, dico chiunque, i primi giorni (ma anche dopo non è cambiato di molto) mi abbia rivolto un saluto cordiale, poi puntualmente mi ha chiesto qualcosa. Negli altri paesi latini (e poveri) da me visitati non era così, si potevano sì trovare persone simili ma solo nelle zone più turistiche, nelle altre parti invece si facevano buone amicizie. Con tante persone di quei paesi sono ancora in contatto e non mi hanno mai chiesto un solo centesimo.
Alla fine del viaggio, Santiago e L’Avana si riveleranno, da questo punto di vista, le città peggiori. Gli “assalti alla diligenza” erano infatti proporzionali alla quantità di turisti presenti, mentre in altre città meno battute, come Holguin e Santa Clara per esempio, erano minori. In poco più di un mese, le conoscenze disinteressate che ho avuto si possono contare nelle dita di una mano (ok, forse di due mani): un gruppo di ragazze a Santiago (ma qualche dubbio su loro ce l’ho ancora), un vecchio musicista a Baracoa, due simpatici minatori ad Holguin, una famigliola a Trinidad, un insegnante a Santa Clara, qualche anziano vicino di casa, … Chi altro? Ah, i proprietari degli alloggi dove dormivo (però loro avevano già ottenuto il loro “business”, con l’affitto della stanza, quindi si lasciavano andare. Avendo già pagato la casa, l’eventuale “amicizia” era compresa nel prezzo). Nessuno all’Avana! Ma perché a Cuba ciò avviene più che negli altri paesi latini? La spiegazione c’è, e proprio il conoscerla mi aiutava a sopportare tutte queste falsità, pur se non sempre facilmente.
Prima però c’è da fare una premessa sulla situazione cubana.
A Cuba, tranne poche eccezioni, non esiste l’impresa privata. Tutte le attività sono statali, gestite e controllate dallo Stato. Vai in gelateria? La gelateria è dello Stato. Vai al cinema? E’ statale. E così gli alberghi, i ristoranti, le discoteche, le industrie, i campi coltivati, il giornalaio, il supermarket, l’ottico. Tutto. Uffici statali dappertutto, sarebbe l’incubo per Brunetta (il nostro nanerottolo ministro)! E di conseguenza tutti i lavoratori cubani sono dipendenti statali. Uniche eccezioni di imprese private (comunque controllatissime e con alte tasse): le “casas particulares” (le case affittate ai turisti), pochi “paladares” (ristoranti a gestione familiare), alcuni taxi, i venditori di cibo nelle bancarelle di strada, e pochissimi altri. E infatti tutti questi lavoratori privati sono quelli che stanno meglio, incassano direttamente valuta pregiata (i C.U.C.). Ora quindi arriviamo alla causa principale degli “abbordaggi” di cui sopra. Tenetevi forte! Dopo aver sentito qui e là notizie sui salari, un giorno sul “Granma”, uno dei 3 quotidiani nazionali (statali anche questi, naturalmente) ho trovato l’elenco di alcuni salari mensili ufficiali. Eccolo! (1 CUC = 24 pesos cubani; 1 euro = 1,40 CUC = 33 pesos cubani) • Contadino: 331 pesos cubani (cioè 13,80 CUC, 10 euro); • Insegnante: 360 pesos cubani (cioè 15 CUC, 10,80 euro); • Infermiere specializ.: 510 pesos cubani (cioè 21 CUC, 15,40 euro); • Medico: 600 pesos cubani (cioè 25 CUC, 18,10 euro); • Ispettore del fisco: 1070 pesos cubani (cioè 44,50 CUC, 32,30 euro); • Giudice: 1300 pesos cubani (cioè 54 CUC, 39 euro).
Quindi gli stipendi oscillano fra i 10 e i 40 euro al mese. Non ho mai visto nessun altro paese al mondo con salari così bassi (forse la Birmania? Non ricordo – In Brasile partono da 130 euro, in Nicaragua da 85, in Thailandia i salari più bassi, pagati ai lavoratori-profughi birmani, erano di 40 euro, ma per i tailandesi erano più alti). E si può vivere con queste cifre? Cosa si può comprare? Oltre al salario, lo stato passa ad ogni cubano la “libreta”, una tessera con la quale si ha diritto all’acquisto di alcuni beni di prima necessità a prezzi particolarmente bassi, però in quantità limitata. Riso, fagioli, sale, zucchero, pasta, sapone (scadente), dentifricio, ecc.
Ma non si vive di solo riso e fagioli, e comunque le razioni non bastano per tutto il mese.
Per esempio un paio di scarpe da donna leggere, aperte, semplici, costano fra i 200 e i 300 pesos cubani (quasi uno stipendio da insegnante), una borsetta 180, un deodorante stick da 1 a 1,50 CUC (3 giorni di lavoro), uno shampoo piccolo 1,50 – 2 CUC, il detersivo per i piatti addirittura 3,50 CUC (1 litro) e carissimo è anche quello per bucato, una saponetta buona (Lux) 0,75 CUC, una più economica 0,50 CUC. I cibi comprati nelle bancarelle di strada costano poco (pizza piccola 5 pesos cubani – Buona! – ma un mattone, carica di grassi; un panino imbottito 5 pesos; un gelato di “macchina”, quelli a spirale, 1 peso; una “cajita”, cioè una scatolina con riso, pollo fritto e fettine di banane fritte, 25 pesos) ma se teniamo presente l’entrata giornaliera di un insegnante (10 pesos = meno di mezzo euro) allora anche la economica pizza non si può comprare spesso. Per completare il quadro c’è da dire che l’istruzione (anche universitaria) e l’assistenza medica sono completamente gratuite e di buona qualità.
Come si fa quindi a vivere? Qui entra in gioco l’economia “sommersa”, nascosta, presente ovunque a Cuba. Oltre i faccendieri di cui ho parlato prima, tutti si ingegnano a cercare altri “negocios” illegali, affari vari, di ogni tipo. Ad Holguin ho conosciuto due minatori che vivevano in un paesino di provincia, e ogni due fine settimana andavano in città a comprare beni che in provincia non si trovavano, e poi li rivendevano al loro paesello, e in città invece portavano cipolle e aglio che venivano venduti ad un prezzo più alto di quello pagato in paese. Piccoli margini di vendita, ma importantissimi. E poi chi lavora nei ristoranti statali rubacchia qui e lì olio, zucchero, caffè e cibi vari che poi porta a casa o rivende. In qualsiasi negozio statale, industria, campagna si ruba qualcosa, per necessità. Un gestore di casa particular mi ha detto che ormai l’economia di Cuba si regge quasi esclusivamente grazie a quest’economia sommersa. Se il Governo decidesse di bloccarla il paese crollerebbe immediatamente.
Ultima fonte di introiti, non trascurabile: quasi in ogni famiglia c’è un familiare che è riuscito a scappare in Florida o in Europa o da qualsiasi altra parte, e manda così ai familiari un aiuto economico ogni mese. La solidarietà è sacra a Cuba, ad ogni livello, retaggio dei vari periodi difficili attraversati. E poi? Così può bastare? Io ancora non riesco a crederci, mi sembra troppo poco per vivere. Non parlo dei trafficoni, che loro guadagnano bene, ma di chi vive nelle province, lontano dalle mete turistiche.
Una sera mi trovavo sotto un portico del centro di Santa Clara, e aspettavo che finisse la forte pioggia per andare in un viale illuminato vicino dove avevo notato diversi bar affollati. Mi capita così, per caso, di iniziare a conversare (inizio io questa volta) con un vicino che anche lui aspetta la fine della pioggia. E’ un insegnante di scuola superiore, Alberto, che fra le altre cose ad un certo punto mi chiede cosa ne penso di Cuba, e da quella domanda inizia una lunghissima ed interessante conversazione che, però… mi farà saltare la serata nel viale illuminato che ho citato! A parte i lati negativi dell’economia cubana, provo a spiegargli (questo lo farò spesso a Cuba) che negli altri paesi latini vicini, molti da me visitati, ci sono altri aspetti negativi che invece a Cuba sono assenti (forte criminalità, miseria estrema e accattonaggio, ignoranza, sanità costosa) ma lui non ne vuole assolutamente sapere di questi discorsi.
– “Anche il Governo ci fa vedere spesso in Tv i bambini con la pancia grande che vivono (e muoiono) in Africa, ma non esiste solo l’Africa. Ci sono gli Stati Uniti…Bla bla.” – “Ma” gli rispondo “secondo me Cuba è più corretto confrontarla con gli altri paesi latino-americani, più simili per cultura, storia, clima, economia. Non ha senso confrontare Cuba con gli Stati Uniti o l’Europa”.
Niente da fare, anzi qui inizia ad adirarsi. Nel suo tono si sente l’esasperazione di tutta una vita di precarietà e di sacrifici. Mi dice che, per esempio, in Venezuela ma anche in centro America sono in maggioranza di razza india (o misto india), mentre a Cuba ci sono tanti discendenti europei (lui infatti ha la faccia proprio da italiano, tanto che anche io mi sono prima rivolto a lui scambiandolo per un italiano conosciuto qualche giorno prima). Quindi anche per questo motivo sente che può confrontarsi meglio con gli europei che non con i vicini nicaraguensi, per esempio. E poi mi dice perché non provo io a fare la sua vita per qualche giorno, anziché dormire nelle belle “casas particulares” per turisti, che poi ne riparlavamo.
Se però io non convinco lui, anche lui non convince me su questo punto. Cuba ed Europa (od Italia) son paesi troppo diversi per potersi confrontare, pur se certamente tutti gli abitanti del mondo hanno gli stessi diritti.
Comunque, dicevo, come si fa a vivere con quei ridicoli salari, oltre avendo lavoretti illegali? Lui mi dice (la chiacchierata con Alberto vale per me più di un intero libro su Cuba!): – “vivendo in una casa che sempre più cade a pezzi, con manutenzione impossibile per i costi, poi per esempio camminando con accortezza per non rovinare le scarpe e farle durare di più, mangiando “mierda” (traduzione facile), cioè solo carboidrati che sono più economici (pizza, spaghetti, pane, ecc.), … Come voi italiani!” Fra l’altro mi spiega che è proprio per questo che vedo tanti obesi in giro. Non è segno di benessere, ma dovuto alla cattiva alimentazione di quasi solo carboidrati, poche proteine. E io che i primi giorni pensavo che gli obesi fossero più facoltosi degli altri! Dopo un po’ che parliamo mi dice di spostarci e camminare. C’era infatti un ragazzo vicino a noi che poteva ascoltare, e mi dice che può essere pericoloso per lui criticare il Governo a voce alta.
Alla fine della serata mi invita ad andare a casa sua il giorno dopo, ma io devo ripartire la mattina presto. Allora mi lascia la sua e-mail e mi chiede di scrivergli in futuro.
E questo certamente lo farò! Ecco spiegato perché tutti vedono nel turista un possibile “negocio”, un affare, un’entrata supplementare. Son troppe le cose che servono per arrivare a fine mese, al nuovo salario di altri 300-500 miseri pesos. Non c’è tempo per le amicizie disinteressate. Quelle le lasciano agli altri paesi che se le possono permettere, qui non si può.
L’Uomo Nuovo che Che Guevara voleva per Cuba non è certo come quello che viveva qui ai tempi del dittatore Batista, prima della rivoluzione. Ora l’Uomo Nuovo cubano è istruito, ha molto spesso una laurea universitaria (una vera rarità nel resto dell’America Latina), ha l’assistenza sanitaria gratuita per tutta la vita e una “speranza di vita” uguale a quella dei paesi più ricchi del mondo. Primeggia nello sport (alle recenti Olimpiadi cinesi la piccola Cuba ha vinto più medaglie di qualsiasi altro paese latino-americano) ed è rimasto immune dai difetti del capitalismo e della globalizzazione presenti in quasi tutto il resto del mondo (Cuba è la più duratura società socialista di tutto l’Occidente), resistendo per 50 anni a tutti gli attacchi economici (e anche alcuni militari) che la più grande potenza del mondo (Usa) gli ha sempre riservato.
Però l’Uomo Nuovo cubano, ora come allora (e forse anche più di allora) continua ad essere insoddisfatto, anzi profondamente scontento.
Hasta la victoria, siempre! diceva appunto il Che, ma quale è, oggi, questa vittoria da raggiungere per Cuba? (Altri racconti su Cuba su travelbaila.It ) Ciao! Pietro