A Cuba nessuno muore di fame
Sole, spiagge, palme, Havana 7, ballerini e ballerine, musicisti, la salsa, l’allegria e… luoghi comuni ne abbiamo più? Cuba è anche questo, ma NON SOLO QUESTO.
Uno parte per Cuba con gli occhi e i pensieri pieni di queste immagini, con l’idea di tuffarsi in acque cristalline, magari standosene in santa pace sopra al fenicottero rosa gonfiabile, con in mano una Piña Colada e puntando il morone/a di turno che fa sfoggio di muscoli/curve mozzafiato. Eh, che paradiso che è questa Cuba? Non è vero? Boh, noi saremo un po’ controcorrente, decisamente particolari, ma questa è la nostra personale visione dell’Isola…
Da sempre svilita, usata, conquistata, barattata, sfruttata, Cuba è un paese violato, una fucina di ideologie fallite, di promesse mai mantenute, di sogni tramutati in incubi, di vite sospese tra lo sbarcare la giornata e una sorsatina di rum. Si vive nel ricordo della rivoluzione che ha portato la libertà sull’isola, o meglio, si vive nell’illusione che questa famigerata libertà un giorno possa arrivarci per davvero su questo carcere di Isola.
A Cuba nessuno muore di fame, ma non esiste altro. Non ci sono insegne, pubblicità o vetrine; niente souvenir unico e inimitabile da riportare a casa, nessuna cosa tipica se non rum o sigari. Cuba puzza. Cuba puzza di tutti i puzzi del mondo: smog, gasolio, escrementi, muffe, cibo andato a male, decomposizione, fogna, alcool…; per tutti e 4 i giorni a L’Avana, il nostro punto di riferimento per ritrovare la casa particular era una testa di maiale, delicatamente appoggiata per terra in prossimità di alcuni cassonetti, confido che sia ancora lì a far da guardia a quell’incrocio.
A Cuba nessuno muore di fame, però la fanno. Grazie alla libreta possono ritirare alcune razioni di cibo ma non è detto che siano sufficienti a coprire i borbottii della pancia; mentre i turisti si pappano delle meravigliose aragoste, perdendo il conto dei cin e dei Cuc spesi durante la serata.
La nostra guida a L’Avana ci raccontava che negli ultimi periodi stavano avendo delle grandi difficoltà nel reperire il pollo… strano, sulle nostre tavole dire che abbondava è riduttivo… ah già, ma mica siamo del posto noi! E allora che si fa? Si prova a fregarli questi turisti; e sia chiaro che lo farei anche io, è sopravvivenza. Così ogni scusa è buona per “assaltarti”, per provare a portarti nel locale ggiusto dove suona la musica ggiusta; nella bottega in cui si vendono i sigari – dove venghino signori venghino, solo per oggi Cohiba a offerta speciale; nel ristorante più in voga del momento; a bere el mejor mojito; a fare l’escursione che ti giuro bella come questa non ti ricapita più.
Nessuno parla di politica o se lo fanno ti vendono una versione light in cui tutto sommato traspare che ok, il sistema è questo, noi non autoctoni non possiamo capire e alla base nemmeno loro ci riescono, però, dai, alla fine ci si abitua e in fondo potrebbe andare anche peggio, potrebbe pure piovere.
E ci sarebbe quasi da crederci se poi, per strada, non ti elemosinassero una caramella, una penna, un canottiera rossa in cambio di qualsiasi articolo si desideri tra la paccottiglia esposta sul banco della venditrice ambulante.
Cuba es libre pero los cubanos no son libres.
È abbastanza noto che ai cubani non sia assolutamente consentito uscire dal paese a loro piacimento, ma non tutti sanno che queste limitazioni valgono anche in patria. Ad esempio, se hai la sfortuna di nascere fuori dalla capitale, avrai bisogno di un particolare permesso per poterti trasferire; stesso discorso se una mattina ti alzi con la voglia di andare a fare il bagno in un paradisiaco Cayo… beh, il passaporto ce lo hai vero? Nooo?! Ma che sfiga, allora scordati il mare. Ah dimenticavo, sei cubano? E allora non puoi nemmeno salire in barca… eh che ci vuoi fare, così funziona la libertà da queste parti.
Al momento, grazie a tutta una serie di privatizzazioni e aperture politico-commerciali, la situazione sta lentamente evolvendosi. Ad esempio, al giorno d’oggi, per i pochi cubani che possono permetterselo è possibile andare al mare soggiornando negli stessi resort dei turisti. Però, sopratutto a L’Avana, difficilmente avrete la fortuna di intraprendere lunghe-simpatiche-costruttive conversazioni con gli abitanti del luogo, perché esiste il serio e concreto rischio di veder spuntare la polizia a bloccare il vostro interlocutore, interrompendo così i vostri discorsi.
Leggenda vuole che uno arrivi sull’isola e magicamente riesca a spostarsi da una parte all’altra su mezzi di fortuna (tipo i carretti trainati da cavalli), condivisi oppure in autostop, niente di più sbagliato; o meglio, non è impossibile che questo accada, solo che magari dovrai aspettare 3 o 4 ore prima di riuscire a trovare la persona giusta che “accetti il rischio” di farsi vedere in compagnia di uno straniero. Ricordate, siete Cuc ambulanti, il sistema non può permettersi il rischio che possa succedervi qualcosa, di conseguenza nessuno può importunarvi, tanto meno parlarvi della vera vita-vissuta dell’isola.
E così ti trovi a girovagare tra la tua voglia di sapere, capire, conoscere e i mezzi sorrisi degli isolani, che in quanto a “sibillinità” non sono, quasi, secondi a nessuno.
Il concetto di noi e di loro è tangibile: lo vedi, lo senti, lo percepisci e lo respiri pure. Il nostro profumare di shampoo e bagnoschiuma delicati, non allergenici e auto-scrubbanti, assieme il nostro alito mentolato al sapor di colgate, fa da contrasto all’odore delle loro saponette e dentifrici… sì, proprio quelli considerati beni di lusso e per questo irreperibili negli scaffali dei negozi.
Salvo casi più unici che rari, non ci spostiamo nemmeno con gli stessi mezzi: noi seduti sui comodi taxi, possibilmente cadillac rosso fiammante anni 50, loro in carri da bestiame convertiti a bus collettivi.
E le belle chilometriche spiagge bianche, punteggiate di palme in cui passeggiano aitanti sirene e tritoni con il cocktail in mano? Certo che esistono, ma sono le “nostre”, quelle “appartenenti” ai resort esclusivi o ai Cayo tabù. Le “loro” sono sporche, piene di rifiuti che non fanno altro che aumentare di minuto in minuto; si narra che ad oggi non esista persona al mondo che sia riuscita a passare dalla strada al mare senza essere inciampata in qualche bottiglia di rum, lattina di birra, rifiuto o residuo alimentare “momentaneamente” appoggiata in spiaggia.
A Cuba nessuno muore di fame, però chi ha a che fare con i turisti ha la pancia un po’ più piena. Avvocati, ingegneri, dottori, professionisti in genere, mollano la professione per mettersi alla guida di un taxi, spesso come autista per qualche società perché comprarsene una propria costa tanto. Una macchina può costare dai 50.000 ai 150.000 Cuc (1 Cuc vale circa 1 dollaro americano), vabbè anche in Italia i suv costano queste cifre, noi non navighiamo nell’oro eppure ne siamo comunque invasi. Quindi dov’è il problema? Ecco, il problema sta tutto nel fatto che lo stipendio medio per un cubano si attesta sui 12/15 Cuc al mese; ad esempio la pensione da ex professore d’italiano della nostra guida a l’Avana, ammonta a 30 Cuc mensili, mentre come guida turistica ne percepisce 40, a gruppo.
Tanto per fare un mero gioco di proporzioni, possiamo considerare che un’aragosta al ristorante costa 15-20 Cuc, un sigaro dal campesino (a cui lo stato trattiene il 90% della produzione) 4, una cassa grande d’acqua 6, mentre per acquistare una bella casa ristrutturata nella capitale, occorrono circa 25.000 Cuc. Ognuno tragga le sue di conclusioni.
E in tutto questo noi non facciamo altro che ripetere quanto, nonostante tutto, siano felici i cubani; quanto sorridano; che allegri come loro non se ne vede; che gli basta ballare per essere in pace con il mondo.
Ma come possiamo pensare che quei sorrisi, in realtà, non siano il fondo del barile? Come possiamo scambiare la loro mitologica allegria con il “non ci resta che piangere”?! Fingere rispetto per chi ti obbliga a uno stile di vita annichilente, verso chi sotto minaccia pretende i tuoi applausi, la tua forza lavoro e il tuo sudore… ostentare amore per il tuo burattinaio… ma è da uscire di testa. Ritrovarsi in un Truman show in cui mai e poi mai, se non nel segreto della tua anima, puoi lasciarti sfuggire una mezza critica, un mezzo dissenso o una minima espressione dubbia o accigliata; perché la gente osserva e corre a denunciare il sovversivo per prendersi la ricompensa, una porzione di carne in più ad esempio. Guardarsi intorno e non trovare occhi complici, comprensione, gruppo, fronte comune… A Cuba non esiste nessuna rosa bianca per l’amico sincero che ti dà la sua mano franca. Esistenze spese nel tentare di strappare un momento o magari giorni all’oblio del sistema castrista, in cui le libertà sono immaginarie e in cui, forse, per la maggioranza della popolazione i beni rifugio sono rappresentati da: ballo, rum e sesso; ossia da quei rari frangenti in cui potenzialmente hanno la possibilità di far evadere la mente da quel maledetto regime.
Ma… ragazzi, ma che mare esagerato che c’è a Cuba??