Stati Uniti d’America tra California meridionale e sud ovest
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Martedì 11
Partenza in orario da Venezia alle 6,45 e arrivo ad Amsterdam alle 8,45: controlli con lo scanner e perquisizione personale quindi imbarco su un 747 400 della KLM con i 400 posti tutti occupati dove si sta un po’ stretti ma dotati dei consueti schermi personali con musica, film, giochi e aggiornamenti sul volo così posso vedere la distanza di 9.500 km. a una media di 950/ora che in quasi undici ore ci porterà a Los Angeles. Tutto sommato il tempo scorre in fretta e alle 11,50 (nove ore indietro rispetto all’Italia) atterriamo all’aeroporto di Los Angeles; sbrighiamo velocemente le formalità d’ingresso negli Stati Uniti, prendiamo la navetta Avis (come quella delle altre società di noleggio passa ogni cinque minuti) che dopo un lungo percorso ci lascia all’ufficio dove ci consegnano una Chevrolet Impala veramente spaziosa. Attraversiamo la strada e troviamo subito il SUPER 8 (88 €) che avevamo prenotato: fuori sembra un po’ trascurato ma all’interno risulta ampio, confortevole, pulito e il traffico aereo non disturba molto. Alle 13,30 siamo già nella nostra stanza dove finalmente possiamo rilassarci.
Mercoledì 12
Colazione continentale poi alle 8,30 partenza per Las Vegas; seguiamo le indicazioni che avevo stampato da google map così ci difendiamo bene nel traffico caotico che si sviluppa su sei corsie nelle due direzioni di marcia (una settima più veloce è riservata alle macchine con due o più passeggeri): prima entriamo nella 110 nord fino all’incrocio con la I-10 W che passa vicinissima al centro della città della quale vediamo gli alti grattacieli, attraversiamo bei quartieri residenziali e zone industriali mentre il traffico man mano si diluisce quando deviamo sulla I-15 W fino a Barstow nelle cui vicinanze si trova Calico Ghost Town. Proseguiamo attraverso un paesaggio desertico, arido (molti laghi asciutti) brullo, con sullo sfondo catene montuose che ricordano le nostre e dopo altri chilometri in mezzo al “nulla” siamo attirati da un reclamizzato outlet che copre un’area molto estesa e vediamo parecchi pullman di turisti stranieri (tanti giapponesi) che qui fanno sosta per procedere negli acquisti scontati di marchi famosi.
Entriamo nel Nevada e dopo una cinquantina di chilometri alle ore 14,00 arriviamo alla periferia di Las Vegas e ci dirigiamo subito al Microtel Inn & Suites, sempre prenotato su internet, che si rivelerà una scelta felice sia per il prezzo (58 €) sia per il servizio, per la dotazione nella stanza, degli accessori e degli spazi comuni.
Dalle 14,15 alle 17,30 ci riposiamo poi decidiamo di percorrere in auto lo “ strip” che ci lascia letteralmente senza fiato man mano che riconosciamo gli hotel che vi si affacciano come li abbiamo visti più volte alla Tv. Dal vivo però è un impatto impressionante con gente in frenetico movimento che sale e scende dalle scale mobili e da una rotaia sopraelevata che collega le costruzioni caratterizzanti gli hotel. Dopo quasi 10 Km. ritorniamo verso il centro che, scesa la sera, si è magicamente illuminato con milioni di luci colorate che ne fanno risaltare la unicità. Vorremmo fermarci per poi andare a piedi ma il parcheggio si rivela difficile così, dopo vari tentativi, ritorniamo al motel quando sono ormai le ore venti. Ci rechiamo a cena presso un locale gestito da una famiglia di origini italiane la cui storia è documentata sulle pareti con foto d’epoca e dei giorni nostri; la stanza è buia (candele sui tavoli) e fredda per l’aria condizionata e la cena viene “allietata” da una cantante ottantenne in abito da sera accompagnata al pianoforte dal marito altrettanto anziano: americanate! Percorsi 515 km.
Giovedì 13
Dopo una colazione veramente super che consumiamo con immenso piacere, alle 8,15 siamo pronti per affrontare la visita di Las Vegas a piedi; dopo aver parcheggiato l’auto all’inizio dello “strip”, incominciamo il tour entrando nei curatissimi giardini del Mandalay Bay con la sua torre dorata e splendente che vanta un tema vagamente birmano. Proseguiamo verso la piramide di vetro oscurato del Luxor (36 piani) alla successione di sfingi e palme che rispecchiano il tema dell’archeologia egizia; più avanti l’Excalibur è un falso castello medievale con ponte levatoio e torri merlate (mi faccio una foto) ed è rimasto fino al 1993 l’albergo più grande del mondo fino a quando sull’altro lato ha aperto l’Mgm Grand con le sue 5.000 camere. Questi due complessi si trovano all’incrocio fra il Las Vegas Boulevard e Tropicana Avenue, considerato il nodo stradale più trafficato degli Stati Uniti: la città ogni anno attira 37 milioni di turisti e vanta quattordici dei venti alberghi più grandi del mondo. Ognuno di essi comprende bar, ristoranti, casinò, parcheggi per gli ospiti e per i visitatori, negozi e giardini con piante e fiori incredibili. Il caldo comincia a farsi sentire così arriviamo solo fino al Monte Carlo e ritorniamo indietro fermandoci al New York-New York che è una ricostruzione della Grande Mela e vanta un profilo formato da dodici grattacieli separati di fronte ai quali si erge la Statua della Libertà. Rimaniamo veramente impressionati quando entriamo nell’immensa hall dell’hotel dove lunghe file di ospiti attendono di registrarsi e ancor più stupiti quando accediamo alla sala del casinò: una vastissima area illuminata solo artificialmente e dalle luci intermittenti che provengono da centinaia di slot machines azionate in continuazione da decine di persone presenti giorno e notte. Data l’ora il locale non è molto affollato così mi avvicino a un tavolo con la roulette per tentare la fortuna con 10$ che perdo. Usciti, ci fermiamo a prendere da bere e, deciso che ne abbiamo abbastanza, ritorniamo all’auto sotto un sole cocente e un po’ stanchi per i chilometri percorsi a piedi.
Visitare Las Vegas è un’esperienza incredibile per rendersi conto del genio, megalomania, sregolatezza ed eccessi degli americani: dico però che non ci tornerei un’altra volta.
Rientrati in hotel, prepariamo i bagagli così alle 10,30 ci immettiamo sulla I-15 S fino al lago Mead che ha una spiaggia lunga 800 km. e la diga Hoover Dam che è una delle più alte mai costruite (231 m.). Entriamo in Arizona e prendiamo la US-93 S che attraversa un lungo tratto deserto, brullo e arido, senza paesi, con sullo sfondo montagne e dal terreno ogni tanto spuntano dei massi di varie dimensioni come gettati da una mano gigantesca; poi la vegetazione si fa un po’ più fitta e si alterna alla pianura con erba verde, fiori gialli, mucche al pascolo fino a Kingman. Solitarie farm che spuntano in mezzo al “nulla” mi pongono tanti interrogativi: come vivono questi abitanti? Come fanno per la spesa, la scuola, il medico, la chiesa? Sono distanziati fra loro di parecchi chilometri e i centri commerciali o i paesi ancora più lontani: curiosità che mi piacerebbe soddisfare.
Si viaggia abbastanza velocemente (75 miglia/ora massima per gli U.S.A.) sulla I-40 E, strada quasi senza traffico, con una temperatura di 30° così alle 13,20 arriviamo a Seligman dove ci fermiamo per una breve sosta; dopo altre miglia attraverso la foresta del Kaibab (composta da pini, ginepri, abeti rossi e pioppi) superiamo Williams e, dopo aver percorso un buon tratto della storica “Route 66” che collegava Chicago alla spiaggia di Santa Monica, arriviamo a FLAGSTAFF (posta a 2100 m. d’altitudine) dove abbiamo prenotato al Days Inn (52 €) un bel motel grande con piscina.
Sono le 15,00 e consulto la guida preziosa portata dall’Italia, che mi ragguaglia sui posti che abbiamo già attraversato, sulla storia e le attrattive degli stati che visiteremo.
Alle 18,15 a piedi, arriviamo al Galaxy Dinner un locale caratteristico che riproduce e mantiene lo stile e il fascino di quando la “Route66” era in auge. E’ presente un complesso con cantante (stonata e lagnosa), alle pareti foto con dedica di attori e attrici famose, un gruppo di turisti francesi con menù fisso, atleti grandi e grossi delle squadre universitarie. Fuori c’è il vento e la temperatura si è notevolmente abbassata così siamo contenti di ritornare al motel per il meritato riposo dopo una giornata intensa. Percorsi oggi 440 Km.
Venerdì 14
A intervalli regolari si sente lo sferragliare dei treni che qui passano giorno e notte essendo il centro di Flagstaff diviso in due dai binari della Santa Fe Railroad ma la stanza è ben isolata e il rumore arriva attutito e non disturba. Dopo un’abbondante colazione, partenza alle 8,20 sulla US-180 N che con un percorso di 120 km ci porterà all’entrata del Grand Canyon; la temperatura e di 14°, attraversiamo la distesa di 96 km del Coconino Plateau coperto dalle più grandi pinete di Pinus ponderosa del mondo e in lontananza scorgiamo i monti San Francisco con la vetta più alta a 3855 m. Ampi slarghi pianeggianti tipo brughiera con alberi bassi e arbusti con fiori di un giallo acceso si alternano a boschi di querce, pioppi, abeti e terreni aridi che ci accompagnano fino a Valle dove incrociamo la AZ-64 che sale da Williams.
Alle ore 10, subito a nord di Tusayan, arriviamo al punto di accesso del parco dove, al momento di pagare il biglietto, ci viene consegnata una copia del giornale gratuito The Guide che ci eviterà di entrare al Centro Visitatori sempre molto affollato. Parcheggiata la macchina (tre vasti piazzali a disposizione), dopo un breve giro di orientamento per sapere come organizzarci per la visita, ci dirigiamo verso il Mather Point che offre il primo contatto visivo su questa meraviglia della natura. L’effetto è spettacolare, strabiliante, mozzafiato, incantevole: davanti a noi si apre uno scenario indescrivibile di rocce di forme bizzarre e colori, di luci abbaglianti del deserto e ombre impenetrabili, di promontori spogli e pinnacoli d’arenaria che si prolungano all’infinito sia a destra sia a sinistra per 440 km, sotto un abisso spaventoso profondo più di 1,5 km con un’ampiezza che varia dai 6,5 a 29 km e in basso una striscia tortuosa rappresentata dal fiume Colorado (così chiamato perché le sue acque cambiano colore in base ai minerali presenti nelle rocce che ha eroso nel tempo!).
Riprendiamo l’auto e ci dirigiamo a est per circa 4 km e, dopo qualche giro a vuoto per trovare da parcheggiare, sostiamo a Bright Angel Lodge in attesa di prendere il bus navetta gratuito che, a intervalli regolari, percorre i 13 km fino al punto più occidentale del canyon: Hermits Rest. Un cortese signore che è già stato qui molte volte si offre di farci da guida e indicarci i luoghi che meritano una sosta; durante il tragitto, che richiede novanta minuti di percorrenza, si può scendere e salire liberamente per avvicinarsi ai nove punti panoramici che permettono di vedere il canyon da varie angolazioni. Noi ci limitiamo a un paio di fermate che ci consentono una vista sempre spettacolare! Da notare che di fianco alla strada corre il Rim Trail situato più vicino al bordo, asfaltato e riservato ai pedoni e alle biciclette, così si può scegliere di percorrere dei brevi tratti a piedi alternati alla navetta (a me piacerebbe molto fare uno di questi brevi tragitti, ma la vista del vuoto mi fa subito desistere mentre osservo che parecchi turisti, anche anziani, procedono spediti e li invidio!). Leggo sulla guida che il parco offre numerose escursioni per gli amanti del trekking sia in altura sia a fondo canyon avendo predisposto itinerari a piedi o con i muli, allestito aree di sosta e campeggi attrezzati. Alla fine si arriva presso l’edificio Hermit’s Rest, costruito nel 1914 per evocare l’abitazione di un cercatore d’oro del canyon; qui sono in vendita articoli da regalo e snack ma noi preferiamo aspettare il bus che ci riporta in breve al parcheggio. Siamo un po’ stanchi e frastornati per lo spettacolo naturale che abbiamo avuto la fortuna di vedere, il caldo si fa sentire così alle 14,00 saliamo in macchina e ci dirigiamo verso est sulla “64” Desert Wiew Drive che, con i suoi cinque punti panoramici offre altre viste magnifiche sul canyon; dopo 37 km facciamo una sosta a Desert Wiew per fare benzina (vedo sulla carta che la prossima stazione è distante molte miglia!) poi proseguiamo per altri 54 km fino a congiungerci con la US-89 presso Cameron.
Proseguiamo verso nord dopo aver percorso questi lunghi chilometri per 1/3 in mezzo al deserto, 1/3 su un terreno con rocce e montagne rosse e 1/3 di foresta alternata a campi con radi arbusti; strade lunghe e dritte, traffico nullo, paesaggi incredibili, canyon non molto profondi ma frequenti, attraversiamo il ponte Navajo sul fiume Colorado e a Marble Canyon giriamo a ovest sulla US-89 alt e, dopo altri 115 km superate Jacob Lake (da qui parte la strada che porta all’entrata nord del Grand canyon) e Fredonia, arriviamo a KANAB dopo essere entrati nello stato dello Utah.
La guida riporta che in questi aspri paesaggi si sono girati molti film western tra i quali “Il texano dagli occhi di ghiaccio” diretto e interpretato da Clint Eastwood.
Ormai sono le ore 18,00 ma quando entriamo nel motel Royal Inn& Suit (57 €), per fortuna prenotato, ci accorgiamo che l’orologio segna le ore 19,00 perché già da ieri senza accorgercene eravamo passati nella Mountain Time Zone. Durante il giorno, dopo la colazione di stamattina, non abbiamo toccato cibo così, affamati, ci dirigiamo al Nedras Too per la cena; Giovanni hamburger e purè per me verdure miste con hamburger: buonissimo. Poi subito a letto.
Giornata indimenticabile! Oggi abbiamo percorso 385 km.
Sabato 15
Quando anche Giovanni è pronto, con una temperatura di 16°, saliamo in macchina riprendendo la US-89 nord per arrivare a Bryce Canyon che dista 133 km; attraversiamo foreste, pascoli con mucche e cavalli poi deviamo sulla Hwy-12 e ancora sulla Hwy-63 che dopo 5 km arriva all’ingresso del parco. Sono le 10,25 quando paghiamo la tariffa d’ingresso, ci viene consegnato il giornale con tutte le informazioni e il ranger ci fornisce indicazioni particolari; dopo un breve orientamento, decidiamo di percorrere in auto i 29 km della Scenic Drive (lungo la quale si aprono quattordici aree di sosta panoramiche dove ci fermeremo al ritorno) per arrivare al punto più alto di Rainbow & Yovimpa quando termina la strada.
Già dall’auto possiamo vedere la natura particolare di queste rocce che formano il canyon: cime rosse, gialle e arancio simili alle fiamme di una foresta che brucia nell’altipiano fitto di alberi e in fondo l’arido deserto; in realtà il Bryce non è affatto un canyon, bensì una serie di anfiteatri sempre più grandi, scavati per 32 km lungo il margine orientale del Paunsaugunt Plateau a 2750 metri di altitudine. Alcune di queste rupi sono in calcare, altre di fango pietrificato; tutte si colorano di combinazioni di rosso, bianco, arancio, blu o giallo grazie a concentrazioni diverse di minerali, in special modo ferro. Visione stupefacente, incredibile che si prolunga nell’immensità e che abbiamo modo di apprezzare ancor di più quando ci fermiamo ai punti panoramici: ci ha colpito in particolare il Natural Bridge che si estende sopra a una ripida gola, sospeso in alto sopra la foresta, non è collocato sopra un fiume, per cui tecnicamente non è un ponte ma un arco di 26 metri. Prima di lasciare il parco raggiungiamo il Fairyland Point che la guida segnala come uno dei punti panoramici più tranquilli e più spettacolari di Bryce: siamo perfettamente d’accordo.
Voglio evidenziare che questi parchi sono gestiti in maniera ottima con strade curate, pulite, indicazioni precise facilmente interpretabili, servizi e spazi per disabili, aree pic-nic, alloggi, negozi, telefoni, sentieri con percorsi pedonali e bike, i limiti di velocità sono rispettati e il personale è disponibile e di una cortesia unica: altro mondo, altra civiltà.
Alle ore 13,00 usciamo dal parco e riprendiamo la Hwy-12 che sale verso Tropic tra paesaggi incredibili: vediamo rocce con striature rosse orizzontali poste a varie altezze, rocce color panna, un mare di affioramenti in arenaria color oro e rosso, pascoli con mucche e fattorie isolate, alte rocce di granito color rosa con pini abbarbicati alle pendici. Arrivati a Escalante alle 14,15 facciamo una piccola sosta per acquistare bibite e cracker (lo stomaco vuoto si fa sentire), mentre la temperatura è arrivata a quasi 30° oltrepassiamo Boulder e dopo entriamo in un’estesa foresta con alti alberi dal fusto bianco e dalle foglie giallo oro che creano un bellissimo contrasto! Ora la strada sale con tante curve fino a 3.300 m, la velocità per lunghi tratti è ridotta a 20/30 kmh in altri si possono raggiungere i 50/65 sempre con vedute suggestive che variano continuamente.
Dopo Torrey incrociamo la Hwy-24 (con la Hwy-12 sono segnalate, a ragione, come le strade più panoramiche non solo dello Utah) che per 32 km attraversa il Capitol Reef National Park, il secondo per grandezza dei cinque parchi nazionali dello Stato. Anche dall’auto possiamo ammirare il susseguirsi di rocce di colore rosso cupo o striate, i panettoni enormi che emergono dal suolo, gobbe ondulate di argilla grigio-azzurra, i canyon più o meno profondi; una strada veramente magnifica e affascinante.
Alle 17,30 arriviamo ad Hanksville che è soltanto un puntino sulla mappa, ma siccome il prossimo puntino in qualsiasi direzione si trova ad almeno 80 km, è risultato strategico per la prenotazione del piccolo motel (solo dodici camere) Whispering Sands (80 € )che si rivela una sorpresa piacevole: accoglienza calorosa, molto curato con attenzione per i particolari (cuscinetto con ricamo a mano “sweet dream”, caramelle con biglietto di benvenuto, microonde, frigo e condizionatore silenziosi, macchina per il caffè e the, salviette per pulire le scarpe, prodotti per la toilette ottimi, buono sconto del 10% al ristorante convenzionato (80 Euro spesi bene!). Gli unici appunti che si possono fare a tutti i bagni dei motel degli Stati Uniti sono: mancanza del bidè che rende un po’ disagevole la pulizia personale e la misura dei water che sono bassi e piccoli ( non so come fanno i moltissimi “culoni”!). Alle 18,30 andiamo a cena in un locale tipo McDonald’s così finalmente mangio un grosso hamburger con avocado, tacchino, formaggio, patatine fritte e coca-cola (15 € in due!).
Fa ancora molto caldo perciò mi siedo fuori a godermi il tramonto che illumina di rosso le rocce davanti al motel, leggo un po’ ma devo rientrare perché delle zanzare giganti non mi lasciano in pace. Altra giornata memorabile. Oggi abbiamo percorso 485 km.
Domenica 16
Alle 9,00 dopo la colazione, siamo pronti per una nuova giornata che dovrebbe portarci a visitare la mitica Monument Valley; la temperatura è di 15/16° quando ci immettiamo sulla Hwy-95 sud che attraversa prima una pianura estesa poi pareti di rocce lisce rosate, panettoni a scaglie o bucati o scalpellati verticalmente, rocce bianche che escono dal suolo. Alle ore 10,00 quando la temperatura si è stabilizzata sui 23° percorriamo il ponte sul fiume Colorado che più a sud va a formare il lago Powell le cui sponde si estendono per 3.155 km e sono più lunghe dell’intera costa statunitense sul Pacifico. Incontriamo ora tanti canyon più o meno estesi e profondi quindi un po’ di verde formato da arbusti e alberelli; guardando sulla guida ho notato che prima di arrivare alla nostra meta è segnalato il Natural Bridges National Monument che stuzzica la mia curiosità e propongo a Giovanni di fermarci. Così, dopo aver percorso 160 km senza aver visto alcun paese, segni di vita e solamente sei o sette macchine, alle ore 11,00 deviamo su una strada lunga 6,5 km che ci porta al centro visitatori (funziona grazie all’energia solare e ospita l’unico telefono pubblico nel raggio di 200 km) da dove inizia un anello asfaltato di 15 km che permette di accedere ai tre ponti naturali più ampi del mondo: ciascuno di essi può essere ammirato camminando per un breve tratto verso un belvedere. Il primo che si incontra è il “Sipapu” (nella mitologia Hopi è un ingresso dal quale sono emersi in questo mondo) con i suoi 67 m di altezza e 82 di larghezza; il secondo “Kachina” (chiamato come i danzatori che hanno un ruolo centrale nella tradizione religiosa Hopi) è formato da un tunnel sotto un’ampia estensione di arenaria macchiata di lacca nera del deserto ed è considerato il più giovane dei tre a causa dello spessore del suo arco. Il terzo “Owachomo” (in Hopi significa “cumulo di roccia”) ha solo 5.000 anni, è il più antico del parco e sebbene sia ampio 55 m. ha uno spessore inferiore ai 2,70 m; un sentiero sul letto del torrente, raggiungibile attraverso scale di legno e ferro per superare il dislivello, collega i tre ponti e offre una passeggiata deliziosa sotto gli alberi.
Noi ci siamo limitati a sostare nei punti panoramici, percorrere i brevi tratti fino al belvedere e scattare una serie di foto a ricordo di questo posto fuori programma ma interessante e suggestivo.
Usciti dal parco alle 12,15 riprendiamo la Hwy-95 poi la Hwy-261 verso Mexican Hat attraverso boschetti di piante basse, arbusti con fiori gialli; dopo essere saliti a 2.000 m vediamo sotto di noi una pianura sterminata che si estende da est a ovest poi iniziamo la discesa. La Moki Dugway, che scende di 335 m in poco meno di tre km, è un percorso terrificante con curve a gomito a ripetizione lungo una strada stretta e ghiaiosa, solamente le curve più pericolose sono asfaltate; Giovanni deve guidare con molta prudenza e velocità limitatissima sperando di non incontrare veicoli che arrivano dal lato opposto o incappare in una foratura. Per fortuna va tutto bene così alle 13,30, con una temperatura di 30° arriviamo a Mexican Hat dove ci fermiamo per acquistare delle bibite e mangiare un buon hot-dog (siamo nella terra dei Navajo per la verità non molto accoglienti e disponibili al distributore e al supermercato, i turisti sono mal tollerati).
Vediamo in lontananza Mexican Hat Rock, il sombrero in arenaria da cui l’insediamento prese nome, che si affaccia sul fiume San Juan di là dal quale si scorgono le impressionanti striature a zigzag delle rupi bianche e grigie (si dice che questo disegno mostri i segni della pelle di un pitone gigantesco che abita nel fiume sottostante) mentre la terra e le rocce più vicine sono di colore mattone ed hanno strane forme. Anche su queste strade, che mi ricordano le ambientazioni di molti film americani, il traffico è quasi nullo per parecchie miglia.
Da qui prendiamo la US-163 che dopo 40 km. ci porta all’entrata di Monument Valley Tribal Park, roccaforte della cultura navajo, attraverso un paesaggio da selvaggio West fatto di colline di arenaria e di irti pinnacoli rocciosi che spuntano da un’infinita distesa di sabbia rossa spazzata dal vento. Dopo aver pagato il biglietto d’ingresso e parcheggiato, ci avviciniamo al centro visitatori (nello stesso complesso si trovano: un piccolo museo di storia e cultura navajo, un ristorante, un lussuoso albergo, un negozio con un vasto assortimento di souvenir di artigianato locale) dalla cui terrazza si gode un panorama straordinario sulla Valle. Sono ben visibili i monumenti che hanno reso celebre questo luogo: si potrebbe fare un giro di 25 km con la propria auto per ammirarli più da vicino ma la strada è uno sconnesso sterrato perciò desistiamo (alle macchine a nolo è vietato) ma anche ciò che vediamo da qui ci soddisfa completamente. Fa un caldo torrido così alle 15,20 riprendiamo il nostro andare attraversando un’estesa pianura rosso mattone da cui emergono i monoliti, si distinguono in lontananza le caratteristiche case dei navajo, il deserto con la solita brulla vegetazione, ancora rocce rosse mentre si sale poi si scende in un’altra vasta pianura delimitata all’orizzonte da rocce lisce bianche con venature diagonali rosa: paesaggi meravigliosi.
Proseguiamo sulla US-191 fino a Bluff, piccolissimo paese di 380 abitanti lungo il fiume San Juan costeggiato dai pioppi, dove abbiamo prenotato il Kokopelli Motel (discreto e tranquillo con tutte le sue 26 camere occupate); ci riposiamo dalle 16,30 alle 18,00 poi ci spostiamo in auto al Twin Rocks Cafe per la cena. Si tratta di un locale caratteristico con veranda posto sotto le rocce gemelle (da qui il nome) dove consumiamo dei piatti tipici. Rientriamo alle 20,00 stanchi ma contenti per questa giornata piena e gratificante. Percorsi oggi 380 Km.
Lunedì 17
La colazione è molto misera, solo un muffin e latte in polvere! In bagno non ci sono lo shampoo né la macchinetta per il caffè: troppo poco per il prezzo pagato di 70 euro.
Desiderando fare delle foto delle Twin Rocks, alle ore nove mi avvio a piedi mentre Giovanni mi raggiungerà con la macchina; dopo aver percorso circa un chilometro e mezzo e sostato al tourist center (breve visita alla ricostruzione di un forte) arrivo, fotografo, entro nel negozio navajo dove vendono dei carissimi oggetti e gioielli d’argento, quindi alle 9,45 con una temperatura di 18° riprendiamo la US-191 che corre attraverso colline, pianure con fattorie, silos di grano e campi di frumento e fagioli: dopo tante formazioni rocciose ritroviamo l’America degli altri viaggi. Il cielo è un po’ nuvoloso e quando, dopo aver superato Blanding, ci fermiamo a Monticello per fare benzina soffia un vento leggero che ci accompagna fino a Dover Creeck al confine con lo stato del Colorado dove inizia la US-491 che ci porta a Cortez situata a 2000 mt. Qui facciamo una sosta all’ufficio turistico (bellissimo, diviso in sezioni che comprendono tutto lo stato con decine di depliant) per chiedere informazioni su Mesa Verde National Park che andremo a visitare.
Sono ormai le 14,00 quando paghiamo l’ingresso di 10$ e calcoliamo che per arrivare al Centro Visitatori e poi a Chapin Mesa (toilette, ristorante, negozio, ufficio postale, aree attrezzate per i picnic, museo e libreria) dobbiamo percorrere ancora 32 km su una bellissima strada panoramica tutta a curve con l’attraversamento di un lungo tunnel. Noi sostiamo qui e facciamo un breve giro a piedi fino a un terrazzo da cui si possono vedere gli insediamenti scavati nelle grotte dagli antichi “pueblo” nel 1200: ci sono dei sentieri attrezzati che conducono fin dentro le dimore ma sono alquanto difficoltosi così mi accontento di fotografare quello che posso scorgere da qui e farmi comunque un’idea di dove vivevano questi popoli; visitando poi il bel museo (sono ricostruite con “diorami” le varie evoluzioni abitative e si possono ammirare vari reperti: attrezzi, vestiti, alimenti, ceramiche) comprendiamo meglio la cultura, gli usi e costumi dei “pueblo”. Davanti al museo si trova un piccolo giardino botanico con alberi e arbusti tipici della “mesa” come ginepro, pino, artemisia.
Vedo sulla mappa consegnataci all’entrata che, proseguendo per altri 10 km, si arriva ai siti più importanti ed estesi: Cliff Palace che vanta 217 stanze e 23 kiva (camere usate per le cerimonie religiose) e Balcony House a sinistra, mentre a destra dopo aver percorso una tortuosa strada di 32 km si arriva a Wetherill Mesa da dove parte un trenino gratuito per il giro della cima della “mesa” (vasto affioramento di roccia piatto). Purtroppo il tempo è trascorso in fretta allora decidiamo di riprendere la nostra macchina e dirigerci verso Durango dove arriviamo alle 16,30 dopo aver percorso altri 60 km sulla US-160 E; la ricerca di un hotel si rivela un po’ complicata sia per il traffico intenso sia per le confuse indicazioni riportate dalla guida.
Comunque alle 18,00 ci fermiamo all’Econo Lodge a un prezzo eccessivo (95 €) ma siamo stanchi e Giovanni comincia a innervosirsi perché si sta facendo buio. Per la cena ci rechiamo al Mexican Pizza (locale caratteristico che fotografo) dove ci mangiamo una favolosa pizza messicana.
Percorsi oggi 345 Km.
Martedì 18
Stanza molto fredda e pavimento scricchiolante mi fanno dormire male; la cittadina è situata a 2.000 metri di altitudine e fuori la temperatura è di soli 10° quando alle ore 9,15 ci immettiamo sulla US-550 sud (2+2 corsie a una velocità di 70 k/ora) attraversando il confine con il New Mexico e una bella pianura con tante fattorie e campi coltivati fino a Aztec, capoluogo della contea di San Juan (gradevole e pittoresca cittadina con edifici in stile frontiera); superata Bloomfield prendiamo la Hwy-44 e da qui incomincia il deserto con le caratteristiche “butte” (rocce emergenti dal terreno) e all’orizzonte basse catene montuose, strade dritte, poco traffico, altitudine sui 2.150 m, temperatura di 20°. Dopo Cuba scorgiamo una catena di rocce con pini e il panorama è caratterizzato da un magnifico canyon non molto profondo con pareti rosso carico; in questa zona sono presenti tanti piccoli “pueblo” (villaggi) ancora abitati dagli indiani che preservano la loro cultura e hanno le proprie leggi e sistema di governo. Pueblo di Jemez, di Zia e di Santa Ana (circa 600 abitanti) che ha subito una straordinaria trasformazione con l’introduzione del gioco d’azzardo: il suo Casinò situato lungo l’autostrada comprende quattro ristoranti e un grande bowling i cui proventi sono stati investiti in molte altre attività tra cui ottimi campi da golf, ventidue campi da calcio, numerosi negozi di antiquariato e una struttura turistica di lusso (una joint venture tra il pueblo e la Hyatt Corporation) che offre 350 camere e suite, tre piscine, palestra e centro benessere, quattro ristoranti, un campo da golf professionale, cavalli e una mongolfiera!
Ci colleghiamo con la I-25 e proseguiamo verso Albuquerque posta in uno scenario magnifico tra il Rio Grande contornato di grandi pioppi e le spettacolari e scintillanti Sandia Mountains; la attraversiamo e proseguiamo verso Socorro e San Antonio. Lasciamo l’autostrada e ci dirigiamo sulla US-380 percorrendo molte miglia di deserto che prima di Carrizozo offre lo spettacolo di un fiume di lava nera riversatosi per più di 65 km circa 1500 anni fa. Ci incuriosisce un’indicazione “Trinity Site” così vado a leggere sulla guida e scopro che è il luogo dove il 16 luglio 1945 fu fatta scoppiare la prima bomba atomica posta sulla cima di una torre d’acciaio e lo scoppio arrivò a frantumare le finestre di Silver City, 194 km a ovest, fondendo la sabbia trasformandola in una spessa lastra di vetro verde radioattivo conosciuto come “trinitite” venduto ancora oggi a pezzetti sulle bancarelle; due volte all’anno i turisti fanno un pellegrinaggio in questo luogo.
Prendiamo la US-54 W fino a Tularosa poi la US-70 attraversando un’ampia pianura con estese coltivazioni di viti e pistacchi con arrivo alle 17,45 ad ALAMOGORDO, grosso centro con strade suggestive, e ci fermiamo al Days Inn (62 €) un motel molto buono situato sulla statale.
Finalmente, dopo tanto viaggiare, ci rechiamo a cena al Pepper’s Grill dove scelgo un piatto di pesce gatto con patate, insalata, grana, pezzetti di pane tostato e salsa che divoro con immenso piacere. Oggi abbiamo percorso 700 Km.
Mercoledì 19
Dopo un’ottima e sostanziosa colazione leggo sulla guida che qui vicino si possono visitare delle dune particolari non di sabbia ma di finissima pietra di gesso oppure, più a est, passare un po’ di tempo nella piccola cittadina di Lincoln che mantiene ancora le strutture del selvaggio West fine ottocento famosa anche per le vicende di Pat Garrett e Billy the Kid. Scegliamo le “dune” che si trovano sulla nostra direttrice di marcia sulla US-70 che percorriamo per 22,5 km fino all’entrata del centro visitatori (caratteristico stile messicano): alle 9,40 con una temperatura di 25° paghiamo il biglietto, accediamo al White Sands National Monument e vediamo i primi scorci di sabbia bianca tra la vegetazione stentata. Dopo 8 km raggiungiamo il cuore delle dune e gradualmente entriamo in un mondo bizzarro e magico costituito da abbaglianti creste affilate e dolci pendii, da luccicanti dune alte quanto tre piani che si perdono all’infinito; guidiamo intorno a un labirinto di 9,5 km a senso unico in cui la strada è a tratti ampia centinaia di metri, in altri si restringe a un sottile canale perché i venti spingono costantemente le dune che a volte ingombrano la carreggiata per cui si rendono necessari gli “spazzaneve”! La guida richiede molto attenzione (c’è il rischio di scivolare) ma non c’è traffico perciò ci prendiamo tutto il tempo che occorre per fare delle soste, fotografare, gustare il silenzio e la bellezza di questo paesaggio bianchissimo e surreale. Al ritorno ci fermiamo all’Interdune Boardwalk da dove parte una lunga passerella sopraelevata (accessibile alle persone su sedia a rotelle e passeggini) che si inoltra per 300 m fra le dune e offre una vista da vicino dei molti fiori selvatici che crescono qui: ci sono segnali informativi anche sulla fauna (volpi, conigli, coyote, porcospini, serpenti che escono solo di notte perché di giorno sul bianco sono facili prede) e panchine situate in vari punti panoramici. Una perfetta organizzazione.
Questa è la visita che mi ha più colpito per la sua stranezza e originalità: trovare la “neve” in mezzo al deserto.
Siamo stati fortunati perché leggo sulla guida che circa due volte alla settimana sia la US-70 sia la Dunes Drive chiudono per due ore quando sono in corso test missilistici; lasciamo il parco alle 10,55 e viaggiamo ancora in mezzo al deserto con sullo sfondo catene montuose. Alle ore 12,00 con un caldo afoso entriamo in una base militare dove, ottenuto un pass previa esibizione di documenti vari (passaporti, patente di guida, libretto della macchina) possiamo inoltrarci a piedi per circa 300 m e visitare il parco missilistico all’aperto che offre la possibilità di ispezionare da vicino le armi della guerra fredda, tutti i missili testati a White Sands e il razzo V-2 lanciato dai nazisti su Londra: spettacolo impressionante.
Alle 12,40 dopo questa breve deviazione riprendiamo il nostro andare superando un Centro della Nasa dirigendoci a ovest verso Las Cruces, la seconda più grande città del New Mexico, che attraversiamo alle 13,30 mentre la temperatura è ulteriormente salita a 32° e prendiamo la I-10 W; poco dopo ci dobbiamo fermare per un controllo dei passaporti (il confine con il Messico passa a pochi chilometri) e per fare benzina. Superiamo Deming, tipico paesino del deserto, dove sono segnalati e vediamo con i nostri occhi, vorticosi e onnipresenti mulinelli di sabbia.
Continua il viaggio in mezzo al deserto punteggiato da piccole o grandi piante di yucca, a lato la ferrovia con un treno formato da 60 container, sulla strada un traffico intenso di camion che filano alla velocità di 120 km/ora, ancora avvisi di massima cautela per 23 km a causa dei vortici di sabbia.
Alle 15,30 entriamo in Arizona e alle 16,45 sostiamo per varie necessità presso un grande emporio che vende prodotti tipici indiani e tante “cianfrusaglie”; dopo aver superato San Simon, Bowie, Willcox, Benson (una strada a sud porta alla leggendaria cittadina di Tombstone dove avvenne la sparatoria all’OK Corral tra i fratelli Earp e i Clanton) il deserto lascia spazio a piccoli canyon, un po’ di verde, alte margherite gialle, fichi d’india,cactus e in alto qualche nuvola dopo giorni di cielo terso.
Alle 17,30 poco prima di arrivare a Tucson usciamo dall’autostrada e troviamo il Quality Inn di cui avevamo un coupon con lo sconto: motel super, pulito, ben fornito, silenzioso a soli 45 Euro; siamo ritornati indietro di un’ora (Mountain Time Zone) così possiamo riposarci prima di andare a cena presso lo “Steakhouse Salon” un locale caratteristico tipo Far West dove abbiamo mangiato benissimo (Giovanni due etti di carne alla griglia+ sei gamberoni, patate fritte e dolce al formaggio; io quattro grossi pezzi di pesce+sei gamberoni panati e fritti, purè, insalata con pezzetti di pane tostato e salse varie) al prezzo di 27 € mancia compresa.
Ritorniamo al motel alle ore 20,00 con il termometro che si è stabilito a 38° e rende difficile stare all’aperto; anche oggi giornata interessantissima e appagante ma faticosa perciò vado subito a letto. Percorsi oggi 585 Km.
Giovedì 20
Giovanni si è recato al vicino aeroporto per sostituire la macchina (la sua lunga pratica all’Avis gli ha permesso di accorgersi che quella noleggiata a Los Angeles aveva bisogno di fare il tagliando). E’ rimasto fuori a lungo ma è ritornato al volante di una Ford Fusion altrettanto comoda e spaziosa. Facciamo quindi una ricca colazione (oltre ai soliti fiocchi, waffels, marmellate, frutta troviamo anche frittatine, hamburger e uova sode) seduti in un ampio salone molto accogliente e pulitissimo: veramente un motel da dieci e lode.
Il cielo è un po’ nuvoloso ma si rasserena presto e alle 9,25 con una temperatura di 25° siamo pronti per un’altra giornata; dopo pochi chilometri, seguendo una curiosa indicazione, ci fermiamo al “Pima Air & Space Museum” che ci introduce a un’esposizione di aerei vecchi e nuovi (300 pezzi che raccontano la storia di cento anni dell’aviazione) sistemati sia all’interno in cinque immensi hangar sia in uno spazio aperto talmente vasto che si può attraversarlo in tram. Ammiriamo dei pezzi veramente unici (il Wright Brothers’ 1903 Flyer e la capsula spaziale Apollo sono delle copie) e originali compresi molti bombardieri della seconda guerra mondiale, i prototipi degli elicotteri e il velocissimo caccia X-15. L’organizzazione è come sempre perfetta: all’entrata sono parcheggiate parecchie carrozzine per chi ha problemi a camminare, i percorsi sono ben segnalati e facilitati anche per gli handicappati, ci sono sedili all’interno e all’esterno con toilette pulite, video nei vari hangar per illustrare le tappe dell’aviazione, fontanelle per bere con pedana rialzata per i bambini, assistenza cortese dei veterani (alcuni su sedie a rotelle per ferite di guerra) e all’uscita l’invito a mettere un segnalino sul paese dal quale proveniamo (nessun italiano per questo mese!). Una sosta davvero interessante che termina alle 11,40 quando riprendiamo l’auto per dirigerci verso Phoenix che dista 160 chilometri lungo l’interstatale I-10 con una temperatura che si è notevolmente alzata: vorrei tanto visitare lo spettacolare “Saguaro National Park” che ospita la più estesa concentrazione di questi possenti cactus dalle molte braccia (40 ca. la prima delle quali spunta dopo 75 anni) che possono raggiungere i 15 m di altezza e pesare fino a 8 tonnellate. Raggiunge questa altezza a circa 150 anni e dopo altri 50 muore: ogni anno dall’età di trent’anni in poi, tra aprile e giugno, il saguaro fa fiorire un centinaio di fiori bianchi, ognuno dei quali dura una sola notte e muore il pomeriggio seguente. Purtroppo, la temperatura è arrivata a 42/43° perciò è sconsigliabile avventurarsi all’aperto per una anche breve passeggiata: peccato davvero.
Arriviamo velocemente a Phoenix, grossa città di 600.000 abitanti, con pochi grattacieli ma molto estesa per cui impieghiamo quasi un’ora per attraversarla (60 km.) anche se il traffico è scorrevole e si svolge su quattro corsie più una veloce su entrambe le direzioni; facciamo delle brevi soste ma io non scendo mai dalla macchina perché il sole brucia e ci sono cartelli che invitano alla prudenza per la presenza di scorpioni e serpenti! Viaggiamo in mezzo al deserto per altri 240 km senza incontrare paesi o segni di attività o traffico e, dopo aver attraversato il confine con la California, ci fermiamo a BLYTHE presso il California Inn (75 €) un motel molto curato e confortevole.
Ci riposiamo in camera dalle 17,30 alle 19,00 poi ci rechiamo presso un classico ristorante messicano per la cena. Pomeriggio monotono e stancante; percorsi oggi 490 Km.
Venerdì 21
Alle 9,20 saliamo in macchina e proseguiamo il viaggio seguendo la I-10 W che corre per parecchi chilometri in mezzo al deserto; alle 10,25 ci fermiamo per fare benzina a Chiriaco Summit e, mentre Giovanni si dedica a questa mansione, io a piedi vado a vedere il Memorial Museum dedicato al generale Patton, uno dei protagonisti della seconda guerra mondiale. La temperatura con i suoi 37° mi consente di fare solo un giro veloce all’esterno, scattare alcune foto e sperare che Giovanni arrivi in fretta per rifugiarmi in auto con la sua confortevole aria condizionata. Il paesaggio non offre nulla d’interessante (solito deserto e montagne sullo sfondo) ma quando arriviamo a Indio, Palm Desert, La Quinta ci troviamo in un mondo completamente diverso: finalmente palme, aiuole fiorite, erba verde, parchi e giardini curatissimi, campi da golf, residence chiusi ed eleganti, strade alberate indici di una sicura ricchezza; una vera oasi dopo tanto arido e secco. Decidiamo di scendere a sud sulla “86” ai lati della quale vediamo estese piantagioni di palme con i caschi di datteri (4/5 per pianta) coperti uno a uno da sacchetti bianchi di stoffa (per farli maturare? per andare meglio a raccoglierli?): le più alte sono munite di scalette di ferro per salire. Non ho mai visto nulla di simile e mi domando quanta mano d’opera si deve impiegare per fare un lavoro del genere (tutti messicani clandestini?). Dopo le palme si susseguono interminabili colture di viti e di pompelmi rosa: convinco Giovanni a fermarsi in un posto isolato e riesco a staccarne uno dalla pianta.
Ora stiamo costeggiando il lago Salton ed entriamo prima a Sea Beach ma scappiamo subito disgustati dallo squallore (povertà e sporcizia) poi a Salton City dove giriamo a lungo ma non si arriva mai a vedere l’acqua così ritorniamo sulla “86” che corre ancora in mezzo al deserto con bassi rari arbusti, con la terra colore marrone chiaro e grandi depositi di fieno pressato in grosse mattonelle rettangolari fino a Brawley che si presenta con campi coltivati o appena arati. Alle 14,55 la temperatura è salita a 45° quando arriviamo a El Centro dove deviamo sulla I-8 W e all’improvviso vediamo colline di piccoli o grossi macigni e sassi sparsi alla rinfusa emergere dal suolo in forme bizzarre; la strada corre a soli pochi chilometri dal confine messicano, poi comincia a salire fino ai 1.300 m e noto che ogni 100 m sono sistemati dei contenitori dell’acqua per i radiatori (previdenza americana). Infine si scende e si attraversa una foresta che ci porta fino a EL CAJON, periferia di San Diego, ma abbiamo imboccato l’uscita sbagliata così percorriamo tutta la cittadina da est a ovest prima di trovare il motel Relax Inn e Suites (57 €) che avevamo individuato nei coupons.
Sono le 17,45 quando prendiamo possesso della nostra camera, la temperatura è di 30° così si sta finalmente bene anche all’aperto. Per la cena ci rechiamo al vicino Denny’s molto buono; oggi abbiamo percorso 530 Km.
Sabato 22
Partenza alle 8,50 quando ci immettiamo sulla I-8 W dove il traffico è sostenuto (4+4 corsie) ma scorrevole perché non circolano gli enormi Tir. Lasciamo San Diego a sud e ci colleghiamo con la I-5 N fino a Dara Point quando decidiamo di spostarci sulla CA-1N: superiamo Oceanside, Laguna Beach, Newport, Long Beach e il porto di Los Angeles che mi ha molto impressionato per la sua estensione dove erano ben visibili gru, container, depositi di carburanti e navi grandi e piccole. Alle 13,05 ci troviamo nei pressi dell’aeroporto e subito dopo vediamo vaste colture di fragole coperte da nylon e decine di persone che le curano; attraversiamo le località più famose e celebrate della costa meridionale californiana (Venice, Santa Monica, Malibù), cittadine affollate, colorate, piene di negozi, di palme, di prati e giardini curatissimi con fiori dai colori gialli, rossi, rosa, viola e blu. Un flusso ininterrotto ma ordinato di macchine che procede lento e ci permette di assaporare le bellezze di queste zone.
Alle 15,30 dopo parecchi chilometri arriviamo a Ventura e Giovanni improvvisamente devia sulla US-101 N indicata anche come “El Camino Real” (collegava San Francisco a San Diego tramite Missioni e Pueblos) che in alcuni tratti conserva ancora il tracciato originale segnato a intervalli regolari da una campana posta sopra un supporto di ferro alto 3,35 m a forma di bastone da passeggio francescano. Attraversiamo anche Santa Barbara dagli edifici in stile mediterraneo coperti da bougainville e finalmente alle 17,10 dopo tante ore ininterrotte di viaggio, ci fermiamo a BUELLTON dove troviamo per miracolo una stanza fumatori al Motel 6 con prezzo raddoppiato perché è sabato (85 Euro per una camera senza sveglia, caffè, phon, frigo) ma non abbiamo scelta.
Per smaltire un po’ la stanchezza e la rabbia, faccio una lunga passeggiata prima di andare a cena da Gino’s dove consumo una buonissima pizza havajana con prosciutto e ananas mentre Giovanni ne prende una con salame piccante e salsiccia.
Alla fine di questa giornata un po’… strana vedo che abbiamo percorso 460 Km.
Domenica 23
Partiamo alle 9,00 prendendo la CA-246W che devia verso l’oceano e dove la mappa segnala alcune Missioni; subito troviamo colline e pianura con vaste estensioni di vigneti (non per nulla questa zona è conosciuta anche come la contea del vino) ma subito dopo quando ci si alza un po’, entriamo in una fitta nebbia che ci accompagna per parecchi chilometri e la temperatura esterna di 14° ci induce ad accendere il riscaldamento. La strada prosegue in mezzo alle viti fino a Vandenberg (sede di una base aerea per il lancio di satelliti e missili balistici) prosegue per Orcutt e Guadalupe tra coltivazioni di patate, fragole e mirtilli.
Siamo vicinissimi all’oceano, che poi lasceremo per andare verso il centro della California, così Giovanni si lascia convincere ed entra in un parcheggio a pagamento per una sosta a Pismo Beach; il cielo minaccia pioggia e fa freddo ma io sono ben attrezzata così mi avvio su una spiaggia lunghissima e faccio una piacevole passeggiata. Non c’è molta gente sul litorale ma parecchi surfisti che con le loro tavole e i costumi colorati risaltano e fanno le loro acrobazie sull’acqua; ritorno al parcheggio dove Giovanni è rimasto ad aspettarmi poi insieme percorriamo il molo che si spinge per una cinquantina di metri sull’oceano.
Siamo rimasti quasi un’ora e quando riprendiamo l’auto sono le 11,30: il percorso sulla Hwy-101N prosegue fra boschi di faggi, pini, colline gialle e aride, poi ancora vigneti; è tornato il sereno e la temperatura è salita a 32,8° mentre arriviamo ad Atascadero dove prendiamo la CA-41 N che si rivelerà tutta a curve per cui la velocità è ridotta a 30/40 km sempre tra colline brulle, in mezzo al nulla per chilometri e traffico completamente assente. Solo uno scoiattolino ci attraversa fulmineo la strada tanto che Giovanni è costretto a una brusca sterzata che mi fa sobbalzare; siamo gli unici esseri viventi quasi come degli alieni.
Alle 13,15 con una temperatura che supera i 38°, arriviamo a Kettleman dove la strada si allarga a 2+2 corsie e ritorna la pianura con altre estese coltivazioni di mais, nocciole, patate, pesche, olive, arance, limoni e altri alberi da frutto che si sviluppano all’infinito; dopo Hanford deviamo sulla CA-198 E perché vogliamo visitare il Sequoia National Park alla cui entrata arriviamo alle 15,45. Chiediamo informazioni sul percorso e il ranger ci consegna la mappa, ci indica il tragitto da seguire e ci precisa che fino all’uscita dal parco bisogna percorrere 103 km ca; facciamo un po’ di conti e vediamo che possiamo farcela per arrivare a Fresno prima di sera. Purtroppo la prima parte del percorso (sulla Generals Highway) risulta difficoltosa per i tornanti stretti che limitano la velocità aggravata da un lungo tratto con lavori in corso regolato da semaforo per la circolazione alternata che ci fa perdere tanto tempo: Giovanni è bravissimo, paziente e attento nella guida.
Notiamo lontane catene montuose la cui altezza si aggira sui 2/3000 metri ma leggo sulla guida che il Monte Whitney si eleva a 4400 m ed è la più alta vetta degli Stati Uniti; al principio troviamo una vegetazione bassa e arida ma ben presto ci inoltriamo in boschi di sole sequoie svettanti verso l’alto tanto da impedirci di vedere il cielo. Incontriamo anche dei cartelli che indicano la presenza di animali selvatici compresi gli orsi neri che si aggirano in questi luoghi; noi abbiamo incrociato lo sguardo spaurito di un cerbiatto fermo in mezzo alla strada che si è dileguato in un attimo.
Arriviamo finalmente a un parcheggio da dove, percorrendo circa un chilometro a piedi, si arriva a vedere il “General Sherman” la più imponente sequoia gigante con i suoi 83,8 m di altezza, una circonferenza alla base di 31,3 m e che si ritiene abbia tra i 2300/2100 anni. Io mi avvio piena di buona volontà su un sentiero asfaltato e ben segnalato (sento urla e schiamazzi: sono italiani!) che scende parecchio ma presto mi accorgo che ci vuole troppo tempo così rinuncio e mi accontento di gustarmi la visione delle molte altre sequoie che mi circondano e che ritroveremo lungo tutto il tragitto. Vediamo alberi di tutte le dimensioni e altezze, molti inceneriti protendono i rami scheletrici e i tronchi anneriti: percorriamo ancora quaranta chilometri prima di uscire dal parco alle ore 17,55 e ce ne vorranno altri ottanta sulla CA-180 W, sempre su strada tortuosa e rallentata in alcuni tratti perché non si può sorpassare, prima di arrivare in pianura con le sue aree coltivate che ci portano alla CA-99 alla periferia di Fresno dove arriviamo seguendo un tramonto incredibile che colora il cielo di rosso e risalta tra il biancore delle nuvole. Sono già le 19,30 e ormai si è fatto quasi buio, Giovanni è stanco e un po’ preoccupato ma troviamo in breve una buona sistemazione presso un Super 8 (53 €) catena che già ben conosciamo e non ci delude; la temperatura è ancora di 30° quando usciamo per andare a cena in un locale lì vicino, da Denny’s, dove ordino un menù “old” comprendente zuppa di pollo, spiedino di sei gamberoni alla griglia, riso con carote-piselli-broccoli e per finire una mattonella di cioccolato ricoperta di gelato alla crema. Giovanni mangia un tostone con tacchino, bacon, formaggio, pomodoro, patate fritte e una fetta di cheesecake (in tutto abbiamo speso 28 €). Dopo una giornata così impegnativa ci siamo ben meritati un pasto così appagante! Oggi abbiamo percorso 575 Km.
Lunedì 24
Dopo colazione alle 9,35 siamo pronti per affrontare quest’ultima giornata di avvicinamento a Los Angeles prendendo la CA-99 S e seguendola fino a Delano; il cielo è sereno, la temperatura di 28° e il paesaggio è caratterizzato da estese piantagioni di viti, arance, limoni, pompelmi, pesche, broccoli, mais, nocciole e pistacchi che si alternano e susseguono a vista d’occhio per nove chilometri. Trovano posto anche grandi allevamenti di mucche rinchiuse in lunghe file in spazi angusti, campi appena arati e seminati, una grossa centrale del latte, braccianti occupati nella raccolta di uva e olive.
Vedo sulla mappa che facendo una deviazione si può arrivare al Lago Isabella e propongo a Giovanni di andare a vederlo poiché abbiamo del tempo a disposizione: lui è d’accordo così a Delano entriamo nella CA-155 E dove a un tratto terminano le coltivazioni e iniziano le colline e un vasto altipiano di erba gialla, boschetti con piante verdi sparse qua e là che fanno un bel contrasto. Poi la strada comincia a salire con un tragitto tortuoso, curve a gomito, tornanti che richiedono la massima attenzione nella guida: per fortuna non c’è traffico ma ci vuole molto tempo per percorrere i cento chilometri che ci separano dal lago. Siamo ancora nell’area del Sequoia Park nella parte meridionale della Sierra Morena quando saliamo fino ai 1500 m poi nella discesa i freni sono messi a dura prova e si surriscaldano, la benzina sta finendo e non ci sono paesi segnalati; veramente una brutta situazione che ci fa stare in ansia fino a quando, con soli 37 miglia di autonomia, arriviamo in pianura e la pompa di benzina ci appare come una liberazione. Durante la sosta dalle 12,45 alle 13,10 troviamo una temperatura di 33° e un vento caldo perciò tiro fuori il pompelmo che avevo raccolto e conservato e lo gusto pian piano con enorme piacere.
Costeggiamo tutta la riva orientale del lago fino all’incrocio con la CA-178 W strada che lascia il Kern River, fiume selvaggio e tumultuoso a destra e a sinistra grandi rocce di granito che incombono maestose: in fondo si apre ancora una pianura sconfinata con colture di agrumi che ci accompagnano fino a Bakersville. Qui riprendiamo la CA-99 S poi la I-5 S, una bella autostrada a 4+4 corsie, che sale dolcemente fino a 1260 m con un percorso di quaranta chilometri in mezzo a una fitta foresta: il traffico è intenso perché circolano anche tanti camion (i tipici trucks americani)
Che salgono lentamente nella corsia a loro riservata formando un lungo serpentone su e giù come sulle montagne russe!
Poco dopo Valencia deviamo sulla I-405 S e alle 15,50 con una temperatura di 38° siamo alla periferia di Los Angeles: il traffico s’intensifica ulteriormente ma nella nostra direzione di marcia procede regolare mentre dall’altro lato si formano delle lunghissime colonne di auto quasi ferme che si allungano per 21 km (li ho calcolati); con Giovanni commentiamo che siamo stati fortunati.
Finalmente, dopo aver girato un po’ a vuoto, alle 16,40 ci fermiamo presso un Super 8 (58€) che avevamo individuato tramite il giornale con i soliti coupon scontati e scelto perché situato nelle vicinanze dell’aeroporto: discreto, con un ampio bagno appena rinnovato e abbastanza silenzioso.
Dopo un’oretta di rilassamento ci avviamo a piedi verso un vicino ristorante dove consumiamo un delizioso pasto per soli 17 € tutto compreso. Oggi percorsi 490 Km.
Martedì 25
Avendo parecchio tempo a disposizione prima di andare all’aeroporto, scartata l’idea di recarci al centro di Los Angeles la cui visita anche parziale richiede almeno una giornata, decidiamo di fare una passeggiata lungo il Century Blvd che si allunga verso est. Sono le 9,20 quando ci avviamo di buon passo per il marciapiede di questo vialone che si proietta all’infinito, superando strade laterali residenziali con belle case, negozi, supermarket; arrivati al sottopasso del cavalcavia della I-405 troviamo uno spettacolo da terzo mondo: un centinaio di metri su ogni lato sono adibiti a rifugio per diseredati e drogati che hanno lasciato materassi, rifiuti, siringhe ed escrementi. Mi domando come sia possibile un simile degrado anche perché poco più avanti possiamo ammirare la maestosità di grandi complessi alberghieri quali Embassy, Marriott, Sheraton, Best Western e altri. Il tempo trascorre velocemente, la temperatura di 34° si fa sentire così decidiamo di tornare; alle 10,45 siamo in motel dopo aver percorso otto chilometri, prepariamo le valigie e ci dirigiamo alla sede dell’Avis per consegnare l’auto e pagare il noleggio, volo di rientro e fine della nostra meravigliosa avventura.
Qualche numero
– Totale km percorsi: 6.400
– Costo totale: € 4.450 di cui aereo 1.590 + 140 sedili plus al ritorno
– Polizza Assicurazione sanitaria: 290 €
– Autonoleggio massima copertura: 460 €
– Benzina: 430 €
Pernottamenti 2 letti matrimoniali: 940 €
Pasti-bevande-ingressi-varie: 600 €