Il verde d’Irlanda: un giro folle da nord a sud, attraverso luoghi magnifici i cui colori sono indimenticabili

Racconto di come in 4 giorni in solitaria ho girato l'Irlanda da Sud a Nord, vedendo una natura incantevole, visitando location de il Trono di Spade e assaporando l'amore locale per la birra
Scritto da: Viviaggia
il verde d’irlanda: un giro folle da nord a sud, attraverso luoghi magnifici i cui colori sono indimenticabili
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Quella che sto per raccontarvi è la storia di come una (malsana) idea mi ha portata a vedere l’Irlanda da sud a nord in soli 4 giorni. Ovviamente molte tappe sono state solo toccate, ma questo non ha reso meno bella l’avventura. Al contrario: mi ha solo fatto venire voglia di tornare in Irlanda e di vederla con un po’ più di calma, soprattutto a nord.

Già, perché non è detto che un posto mi conquisti o mi accolga e quindi la pazzia di assaggiarlo per vedere se ne valga o meno la pena non è tempo perso. Ci sono stati posti in cui ho passato troppi giorni rispetto a ciò che avrebbero meritato. L’Irlanda invece è stata quell’assaggio che ti fa venire voglia di averne ancora e ancora e conto presto di tornarci.

Ma andiamo con ordine. Tutto è cominciato con un’offerta Ryanair che ha deciso che sarei andata a Dublino. I primi giorni di settembre, quando tutti tornano a fatica alla normalità, mi piace sempre partire un po’ (lavoro ad agosto) e staccare con ritardo rispetto agli altri, per darmi l’illusione di un’estate che mi appartiene.

Così nel settembre 2018, in un periodo di insonnia (dobbiamo premetterlo), ho prenotato questo volo per Dublino convinta che ci avrei passato quattro giorni.

Come programma non era male: una capitale da visitare con calma, godendosi la vita della gente e il passeggiare calmo dei residenti, esplorandola un po’.

Dublino e il Temple Bar

temple bar

E così ho preso una stanza con Airbnb e dopo poco mi sono ritrovata in un appartamento condiviso da alcuni studenti, uno dei quali ha subaffitato la propria singola mentre era in Erasmus.

I coinquilini del mio host sono stati molto gentili, ma forse vederli in soggiorno a giocare alla Playstation mi ha riportata con troppa velocità alla quotidianità di casa e così ho iniziato a pensare che forse 4 giorni a Dublino sarebbero stati troppi.

L’appartamento era in una posizione fantastica, sul lungofiume ai piedi del centro storico, in una zona estranea alla baldoria notturna degli irlandesi ma a pochi passi dal Temple Bar. L’ideale per un’esplorazione in solitaria.

Così è partito il mio giro per le strade di Dublino, con la guida ancora intatta e nessun programma.

A Dublino ho visitato la cattedrale di San Patrizio, cui anche noi italiani siamo senza ragioni devoti il 17 marzo, giorno in cui la mia città si tinge di verde e tutti bevono guinness indossano strani cappelli e truccandosi con quadrifogli brillanti.

Sono arrivata fino al Castello, che però non mi ha incuriosita più di tanto, e ho camminato fino al Trinity College. Poi ho preferito perdermi tra la gente del posto, camminare lungo il fiume, entrare in un supermercato per capire un po’ dei gusti della gente, sorseggiare un caffè americano nel parco vicino.

Dopo qualche giro nel parco mi sono ritrovata al Temple Bar, meta obbligata di qualsiasi viaggio irlandese. Non appena ci entri è subito chiara la ragione per cui questo posto è così famoso: il bere è una religione cui molti devoti si dedicano fin dalle prime ore del pomeriggio, anche se è di sera che la celebrazione raggiunge un tale successo da costringere i fedeli del drink a occupare l’area circostante (a invaderla, diciamolo pure).

Io ero ancora al tramonto, alla seconda birra probabilmente (bisogna tenere ritmi che i locals possano considerare almeno accettabili), quando mi è venuta la brillante idea di chiedermi se ci fosse un modo per visitare le Cliff of Moher da Dublino, senza auto.

E così mi sono imbattuta in un’applicazione che da quel momento in poi mi avrebbe accompagnata per tutto il mondo: Get your guide.

Era giovedì sera, con il sole quasi andato a dormire, e non pensavo davvero che avrei trovato posto per fare un tour last minute. E invece l’applicazione aveva per me varie soluzioni (è il vantaggio di viaggiare soli: posto per uno si trova facilmente) tra le quali non avevo che da scegliere.

Senza pensarci troppo, probabilmente anche senza badare all’orario di partenza (06:30), ho prenotato un tour di 16 ore con guida in inglese per mete che ignoravo del tutto. E dopo la cena in solitaria e un nuovo giro al Temple Bar (gremito), sono tornata nella mia casa per studenti (deserta a quell’ora), ho fatto una doccia e sono andata a dormire. Cinque ore dopo, la sveglia mi avvisava che era ora di ripartire.

Giant’s Causeway

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Per fortuna il viaggio in bus è stato abbastanza lungo da permettermi di recuperare un po’ di sonno e ricaricare le pile per la lunga giornata che mi attendeva.

Questo tour, preso per caso senza alcuna programmazione, si è dimostrato immediatamente molto più bello di quanto promettesse.

Innanzi tutto, perché l’Irlanda è davvero bella: il verde acceso delle sue coste con lo sfondo di un cielo mai uguale a se stesso rende il tragitto piacevole e vario (se lo fate da svegli).

Non solo! Questo tour prevedeva delle tappe molto interessanti, che hanno reso giustizia alle 16 ore di vita che ci ho investito.

La prima tappa è stata a The Gallows, Dunluce Castle, con vista alle Skerries Island. Già qui il panorama ti porta in un mondo parallelo: nebbia all’orizzonte, isole che si intravedono in mezzo al mare, verde e marrone di alte scogliere e vento sferzante.

Abbiamo percorso la Causeway coast road arrivando a downhill beach, luogo del Trono di Spade (è qui che Stannis Baratheon rifiuta i sette dei antichi di Westeros, viene proclamato Signore della Luce ed entra a roccia del Drago nella guerra dei cinque regni).

Poi è stata la volta della Giant’s Causeway, di cui letteralmente ignoravo l’esistenza fino al momento in cui ci sono andata.

Un sentiero di ciottoli neri e scuri dalla forma ottagonale, che a guardarli ad altezza gatto sembrano comporre un alveare. Un percorso lungo verso il mare in tempesta e un altro ripido verso la salita sul monte. Non sembra di essere sulla terraferma, ma in un qualche universo parallelo di quelli dei film della Marvel. Ci vedrei bene i Guardiani della Galassia.

Il tempo a disposizione per esplorare la Passeggiata dei giganti è sufficiente per percorrerla tutta e ammirare questo paesaggio lunare interrotto dal verde pungente di quest’isola.

A quel punto (siamo a sei ore circa dalla partenza) arriviamo al National Trust Carrick a Rede, un ponticello malfermo composto da una passerella in legno sorretta da corde che conduce a un’isoletta. Il ponte è sensibile al vento e oscilla terribilmente. Il passo è malfermo e incerto (mi prefiguro già di precipitare giù come Homer Simpson, senza la sua capacità di sopravvivenza), ma dopo poco mi rendo conto che sto molto esagerando e che è semplicemente una piacevole passeggiata sospesi nel vuoto. Il paesaggio intorno è incredibile: ci si trova davanti un’intera tavola di sfumature del verde, da quello trasparente dell’acqua a quello vivissimo dell’erba, roba da fare impallidire la Pantone. Anche col marrone non si scherza, passando dal fango fluttuante del fiume che scorre sotto il ponte alla tonalità scura e decisa della scogliera.

L’Irlanda mi si presenta da subito con questa natura accogliente e imponente, da esplorare e assaporare.

The dark hedges (per gli appassionati del Trono di Spade)

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Dopo un’ora di autobus il nostro tour ci porta ancora in una dimensione diversa, fiabesca, fatata, nel regno di Mago Merlino o della Fata turchina. Con pochi passi raggiungiamo un bosco naturale che ha dell’irreale: i tronchi sono curvi, i rami seguono le linee di una danza e la prospettiva verso lo sfondo è di un tunnel misterioso. Siamo a The dark hedges. Questa è una delle location del Trono di Spade: non potete perderla (qui hanno girato le scene del viaggio che Arya compie verso Grande inverno vestita da ragazzo).

Quando sono andata in Irlanda, non avevo ancora visto il Trono di Spade e non sapevo che fosse così famoso, ma ho iniziato a intuirlo dall’entusiasmo con cui la gente ha accolto l’annuncio che durante il tour saremmo giunti in alcuni dei siti in cui è stato girato.

Quando l’ho visto, anni dopo, avevo ancora negli occhi l’immagine nitida di quei luoghi e mi sono ricordata immediatamente di averne visti alcuni, sebbene poi molte scogliere o molti edifici abbandonati mi siano sembrati simili tra di loro.

Belfast

Abbandonato lo smarrimento per questo luogo incantato e ritornati alla realtà, dopo poco raggiungiamo Belfast.

Di Belfast non posso dire quasi nulla: il tempo a disposizione per vederla è stato troppo poco e certamente è da qui che ripartirò, quando tornerò in Irlanda. Sì, perché questo assaggio di Belfast mi ha fatto venire una terribile fame di esplorarla, di conoscerne meglio la storia, di scoprire cosa si cela dietro i taxi neri e i murales che la ricoprono.

A Belfast avrei potuto scegliere di fare un giro al Museo del Titanic, ma francamente non è una cosa che mi entusiasmi. Ho preferito salire su un taxi nero e fare un giro dei murales che spiccano nei quartieri popolari, a ricordare il passato burrascoso della città.

Di buona lena mi sono diretta al The Crown Liquor Bar Saloon, risalente al 1880.

Per non tacere del tutto su Belfast, dirò che qui ho avuto la percezione reale di ciò che ripetevano sempre dei miei amici inglesi, che loro bevono ma non quanto gli irlandesi. All’ora dell’aperitivo Belfast era un unico grande boccale di birra, un festoso chiacchiericcio di gente che forse fino a un bicchiere prima non si era mai rivolta la parola, un senso di relax e libertà dalle preoccupazioni quotidiane che è difficile da descrivere. Bisogna andare lì per capirlo.

Alle 21:00 rientro a Dublino, con gli occhi pieni di panorami da elaborare e ricordare. Vado a cena al pub sotto casa, The brazen head, faccio un giro in centro, bevo un paio di Guinness per non mancare di rispetto a nessuno e torno al mio appartamento da studenti (vuoto a quell’ora). Doccia e nanna.

Cliffs of Moher

cliffs of moher

Dopo cinque ore di sonno, la sveglia mi avvisa che è ora di mettersi in cammino. Come ho detto, era un periodo di insonnia e quindi non mi è sembrato un grande sacrificio dormire così poco. Anzi, la stanchezza del viaggio ha aiutato il cervello a crollare di sera e a sognare distese verdi e mari in tempesta.

Anche questa volta, giro in autobus con sonno a bordo. La prima tappa è quella che fa da copertina alla mia guida: le Cliffs of Moher. Devo ammettere che il giorno precedente avevo visto un’infinita distesa di scogliere dai colori eccezionali, ma nulla di paragonabile a questo. Le scogliere sono altissime, imponenti, maestose, e ad avvicinarsi al bordo danno quel senso di vertigine che si prova sempre quando ci si chiede cosa possa succedere se si cade giù. Le foto non rendono giustizia al senso di onnipotenza di questo gigante verde.

Oggi il cielo è più clemente e mostra anche diverse sfumature di azzurro, incluso un angolino illuminato dal sole. Il giorno prima ha piovuto (ma pioverà anche dopo, come sempre in Irlanda) e la luce del sole riflessa sulle pozzanghere mi dà l’immagine netta della mutevolezza del clima in questo inizio di settembre.

Le scogliere sono gremite di turisti e triste scenario dei lucchetti di Moccia che ci hanno lasciato innamorati speranzosi e romantici.

Non mi resta che camminare senza fretta finno alla O’Brien’s Tower, dove chiedo ai passanti di farmi le foto.

Nelle foto del giorno prima ho la sciarpa e il piumino (siamo a settembre, ma l’Irlanda è fredda e io sono meridionale). Oggi il sole mi consente di stare in felpina e maglietta, che sfoggio in omaggio al benedetto abbigliamento a cipolla. Il biondo dei ricci nella foto è luminosissimo: qui i colori, quando sono illuminati dal sole, sono come sotto un flash potentissimo che li esalta e li fa brillare.

Camminando si incontrano anche delle mucche che pascolano su questi prati freschissimi e sono mucche davvero fortunate.

Le Cliffs of Moher valgono la loro fama e andare in Irlanda senza vederle sarebbe stato un grave errore. La natura qui si presenta indifferente alle migliaia di turisti che la calpestano e conserva la sua maestosa imponenza senza curarsi di noi. Vale il viaggio.

Galway

Dopo qualche ora di bus il nostro tour si sposta a Galway, altra città in cui vorrei tornare per passarci una notte.

Galway è una città in musica: ovunque si incontrano artisti di strada e band che si esibiscono per i passanti e ogni passo ha la sua colonna sonora. Andateci ascoltando “Il cielo d’Irlanda” della Mannoia, giusto per collocare geograficamente una canzone che avrete ascoltato infinite volte.

Mi sono letteralmente innamorata del quartiere latino, a partire da Eyre Square e percorrendo William Street e Shop Street. Dopo un’esplorazione in lungo e in largo tra le vie del centro storico, ho impostato il navigatore verso Spanish Arch: da qui parte la passeggiata verso il mare.

A pochi passi è d’obbligo arrivare al The Long Walk (le case colorate).

A me queste casette non è che sembrino così eccezionali: le abbiamo viste ad Amsterdam, a Bergen, a Bruges, a Burano, etc. etc. etc.. Però la foto l’ho fatta e postata anche io, perché in fondo resta sempre una bella immagine.

A Galway è tradizione regalare un anello speciale, Claddagh Ring, che simboleggia amore, amicizia e fedeltà. Anche io l’ho comprato e regalato a quello che poi qualche anno dopo sarebbe diventato mio marito; quindi, forse vale la pena di seguire la tradizione. Secondo la tradizione, ha la forma di due mani che abbracciano un cuore sormontato dalla corona. Le mani sono simbolo di amicizia, il cuore di amore e la corona di lealtà

Galway è una cittadina colorata e festosa, piena di giovani, accogliente, come sempre ricca di pub dove bere dell’ottima birra. Ci avrei passato volentieri più tempo e spero di tornarci.

Questo tour ha una durata umana e al tramonto sono già a Dublino. Il tramonto visto sul fiume è spettacolare, come sempre. Del resto, oggi il tempo è stato clemente e il sole mi ha fatto compagnia a lungo.

Dopo una doccia rigenerante, con la casa vuota (è sabato, gli studenti sono fuori), me ne vado a spasso verso il Castello di Dublino. Esploro un po’ e poi di nuovo al Temple Bar.

Dopo la genuflessione davanti alla statua di Molly Malone, ceno con musica live al John Mulligan, ritoccando e selezionando le mille foto e ripercorrendo le immagini più belle della giornata.

È tempo di andare a dormire ormai, la stanchezza si fa sentire.

La fabbrica della Guinnes

La mattina dopo mi consento una sveglia a orario decente. I miei coinquilini non si vedono, sono in letargo dopo chissà quale nottata irlandese (sono tutti stranieri).

Per la mattinata ho prenotato la visita alla fabbrica della Guinnes. Si dice che la Guinness in Irlanda sia diversa, ma non so confermare in quanto di fatto l’ho bevuta solo lì (a parte rare eccezioni). La leggenda narra che questo gusto diverso sia dovuto all’ingrediente segreto (l’acqua del fiume). Anche su questo non saprei esprimere un’opinione, se non quella basata sul dato empirico che non mi risulta che abbia mai fatto male a qualcuno (per cui o è estremamente purificata o non è acqua di fiume).

Il tour interattivo della creazione della birra è sempre molto interessante, soprattutto perché in questi giorni ho compreso e toccato con mano quanto amino bere gli irlandesi. La visita ha tutto un altro sapore, quando sai che stai scoprendo le origini di un prodotto così amato e venerato nei pub. Del resto, finora nessuno mi ha stupita come gli irlandesi, in fatto di bere (neanche gli inglesi in giacca e cravatta devastati del venerdì sera reggono il confronto).

Della visita mi colpisce un grosso pesce in bicicletta racchiuso in una teca: la scritta dice “a woman needs a man like a fish needs a bike”. L’immagine è di impatto immediato: il pesce ha evidenti difficoltà a pedalare e non ne avrebbe di meno usando l’hydrobike. Da lì all’acquisto della calamita è stato un attimo … e ancora oggi la guardo orgogliosa sul mio frigo, sentendomi come un pesce che non ha bisogno di pedalare.

La visita si conclude con una degustazione della Guinness (sono le 11 del mattino e sono a stomaco vuoto, ma non posso sottrarmi al rituale; inizio, infatti, a pensare che siano previste pene per gli astemi). All’uscita compro gadget vari: dall’utilissima calzina che mantiene fredda la lattina alla maglia da corsa firmata Guinness (che ancora oggi Lele usa, per smaltire la birra).

Si torna a casa

Nel primo pomeriggio il volo di ritorno mi attende. Torno a casa, prendo la valigia e vado via. Mando un messaggio al coinquilino del mio host per dirgli che ho lasciato la stanza. Mi risponde: “Viviana, in quattro giorni non ti abbiamo mai vista. Abbiamo avuto il dubbio che fossi già andata via”.

Ne è valsa la pena vivere così poco il riposo per vedere così tanta Irlanda? Certamente sì. Avrei voluto avere più tempo, ma non ne avevo. Dublino non mi ha incuriosita così tanto da indurmi a esplorarla a fondo e sono contenta di aver iniziato dalla natura, dai colori forti, dal cielo mutevole, dalla pioggia e dal vento e dal sole, dalle foreste incantate, dai suonatori di strada, dai villaggi dei pescatori. Lo stesso viaggio lo avrei dovuto fare almeno nel doppio del tempo, anche se solo Galway e Belfast mi hanno lasciato la voglia di scoprirle ancora.

Comunque, se tornassi indietro affitterei una macchina e girerei l’Irlanda in auto, senza avere lo stress di tornare ogni notte a Dublino. Anche se nei viaggi in solitaria viaggiare on the road è sempre piuttosto costoso, ma basta organizzarsi nel modo giusto. Ci rivedremo, Irlanda.

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