Cuba in pullman, zaino in spalla ii, l’oriente

Avevamo ancora qualche conto in sospeso con Cuba, dopo il primo viaggio del 2004: quest’anno abbiamo deciso di ritornarci, con l’intenzione di spostarci molto di più rispetto alla prima volta e di visitare… l’Oriente! 15 luglio 2007 Siamo partiti da Milano Malpensa alle 8.30 con un volo Blu Panorama che in 14 ore ci ha condotti a...
Scritto da: gisellaN
cuba in pullman, zaino in spalla ii, l’oriente
Partenza il: 15/07/2007
Ritorno il: 31/07/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Avevamo ancora qualche conto in sospeso con Cuba, dopo il primo viaggio del 2004: quest’anno abbiamo deciso di ritornarci, con l’intenzione di spostarci molto di più rispetto alla prima volta e di visitare… l’Oriente! 15 luglio 2007 Siamo partiti da Milano Malpensa alle 8.30 con un volo Blu Panorama che in 14 ore ci ha condotti a Holguin, prima tappa del nostro viaggio. A differenza di tre anni fa (vedi reportage 2004 – Cuba in pullman zaino in spalla) il volo è stato perfetto, senza imprevisti o disagi.

Arriviamo a Holguin verso le 17.00 e, per 10 CUC, raggiungiamo il centro della cittadina in taxi (ricordiamo che ormai da qualche anno non è più accettata la valuta statunitense, ma soltanto i pesos convertibles – CUC, appunto. Al momento 1 € equivale a 1, 18 CUC circa).

Fa molto caldo, come sempre, ma siamo già eccitati all’idea di essere di nuovo in questa terra per un’altra avventura. Troviamo alloggio da Isabel, una gentile signora che vive in una casa colonial grande e con uno splendido patio sul retro insieme alla sorella Maria e un’amica, Rebeque.

In soggiorno, un ragazzo guarda una partita di calcio in tv. E’ Alfredo, di Oristano, con cui facciamo amicizia, che torna a Holguin circa tre volte l’anno e che ci dà un mucchio di suggerimenti sui posti da vedere e su quelli da evitare.

Gironzoliamo per le strade di Holguin, il cui cuore è il Parque Cespespedes, sempre affollato di gente. Cerchiamo un posto dove cenare e optiamo per un chiosco nella piazza centrale, dove mangiamo una bella coscia di pollo fritto a testa con papas fritas, accompagnati da birra ghiacciata. Il tutto per poco più di 90 pesos cubani, l’equivalente di 4 CUC! Mentre siamo seduti ascoltiamo la banda del paese e vediamo due ragazzi di Latina che erano con noi sull’aereo. Si siedono con noi a scambiare quattro chiacchiere, ma siamo tutti stanchi e dopo un po’ rincasiamo.

L’intenzione iniziale era di partire dopo la prima notte a Holguin per Santiago, però Isabel ci invoglia a vedere Guardalavaca, quindi per domani ci siamo messi d’accordo con un suo amico che per 40 CUC ci porterà con la sua macchina sino alla spiaggia per poi riaccompagnarci a casa.

Dopo una sigaretta e quattro chiacchiere con Isabel e Rebeque nel fresco patio, dove Sergio ha fatto amicizia con il tacchino (!), andiamo a dormire, distrutti.

16 luglio 2007 La colazione è sempre divina qui a Cuba: mango, banane, guayaba, piña, burro e marmellata, tortillas o huevo, caffè, latte e succhi. Ci ingozziamo per bene e alle 9 partiamo. L’amico di Isabel guida una Cadillac del 1955 e ci raccomanda di abbassare la testa qualora incontrassimo la polizia. Il suo non è un taxi autorizzato e potrebbe passare guai seri.

Solo adesso mi sembra di realizzarlo: siamo a Cuba, perbacco! Meravigliosa, calda, accogliente, bizzarra Cuba! E’ un sogno tornare qui dopo tre anni. Il tempo sembra essersi fermato e pensare che tu parti, vai, fai, disfi e poi torni qui e tutto è come sempre è una sensazione malinconica e che ti riempie il cuore al tempo stesso.

Arriviamo a Guardalavaca, a circa 60 km da Holguin, e ci sistemiamo sotto un ombrellone di paglia di quelli che fanno tanto Carabi… Il mare è stupendo, l’acqua fresca e placida, il cielo ha un colore splendido. Poco più in là troviamo un’insenatura con scogli tutt’intorno… Sembra una piscina! Bellissimo, ci manca il fiato. Sulla spiaggia c’è pochissima gente. Purtroppo è un posto per turisti, si vedono pochi cubani… Per dover di cronaca devo dire che mi aspettavo di trovare un posto simile a Varadero, mentre Guardalavaca è molto più discreta… Non si notano le strutture alberghiere che eppure ci sono, non ci sono ristoranti o locali (almeno facilmente visibili) sulla spiaggia… Solo un paio di baretti poco riforniti; in uno di questi ci fermiamo per bere una Cristal. Sarà che è metà luglio e non c’è proprio il pienone, però questo posto ci appare molto bello e tranquillo.

Alle 16, sotto un acquazzone tropicale, torniamo a Holguin.

Ceniamo a casa di Isabel, per 5 CUC a testa, insieme a Alfredo e Neri, la sua ragazza ..

Dopo cena usciamo e intorno c’è buio totale: black out. Beviamo un succo tropical in un chiosco nella piazza e, quando ormai ci siamo rassegnati a tornare a casa… Ecco la luce! Incontriamo per caso Alfredo e Neri e passiamo la serata insieme alla Casa della Trova, ascoltando il son de Cuba. Noi beviamo, Loro ballano la salsa, sono bravissimi. E’ una bella serata. Due mojito e un cuba libre a testa. Evviva! 17 luglio Salutiamo i nostri amici e, alle 9, siamo in partenza con il Viazul per Santiago. Alla stazione dei pullman incontriamo Guillermo, un ragazzo cubano di 27 anni che si ferma a parlare con noi. Ci racconta delle solite contraddizioni del regime castrista. A differenza di tre anni fa sappiamo quasi tutto quello che c’è da sapere sul sistema cubano e su quello che pensano gli abitanti, delle difficoltà dei cubani di arrivare a fine mese, se non sei un privilegiato. Guillermo ci dà l’indirizzo di una casa particolar a Santiago.

Il Viazul è sempre la solita ghiacciaia di tre anni fa… Senza una felpa si rischia l’assideramento. Quando scendiamo a destinazione, dopo 4 ore e mezza, siamo travolti da un’ondata di caldo umido che toglie il respiro. Recuperiamo i bagagli e ci dirigiamo verso l’uscita. Ecco, devo dire che la scena che mi ritrovo davanti agli occhi è quella che più mi ha colpito di tutto il viaggio: dietro alla porta a vetri tenuta chiusa dalla guardia, ci sono decine di uomini accalcati l’uno all’altro, che bussano alla vetrata per attirare la tua attenzione, urlano, ammiccano, ti fanno dei gesti che indicano che hanno una casa o altro da proporti. Uscendo dalla porta sei travolto da questa calca umana, ma devo ammettere che nessuno ti tocca o ti strattona: ti propongono una casa o un passaggio. A un certo punto un ragazzo, Nazaro, dice di conoscerci e ripete i nostri nomi. Solo dopo un po’ capiamo… E’ l’amico di Guillermo che sapendo l’orario di arrivo del Viazul è lì ad aspettarci. Lo seguiamo e lui ci porta alla casa particular di cui ci parlava Guillermo … La casa non è il massimo e manca anche l’acqua corrente per buona parte della giornata, ma è in centro e ci fermiamo lo stesso. La padrona di casa è quasi a disagio per il poco che ha da offrire… Usciamo di casa. Il caldo è quasi nauseante, c’è un terribile odore di piscio e di fogna tutto intorno… Le case sono davvero fatiscenti, insomma, il fascino dell’Avana, anch’essa decadente e confusionaria, è assai lontano. Santiago è calda, molto calda. Non fai altro che asciugarti il sudore che ti gronda dalla fronte. Santiago è nera, molto nera. Gente che cammina in ogni direzione, velocemente. Chi ti guarda, chi ti ferma per venderti l’erba. Ma poi, in una piazza, inaspettatamente, puoi assistere alle prove di danza di un centinaio di ragazzine. Cuba ti stupisce, come sempre, anche quando meno te l’aspetti. Bighelloniamo a piedi ascoltando un gruppo di musicisti che, di fronte a Palazzo Bacardi, ci suonano Comandante Che Guevara. Mangiamo un piatto veloce in Plaza Dolores e proseguiamo nel nostro cammino. Torniamo a casa per riposarci un po’ e nel frattempo, da Holguin, è arrivato in macchina anche Guillermo. Ci si arrangia così, a Cuba. Trovi dei turisti da accompagnare in macchina e cambi il programma della tua giornata.

La sera mangiamo pollo asado in una locanda dove si paga in pesos cubani. E concludiamo la giornata alla Casa della Trova. Beviamo i soliti mojitos ascoltando musica tradizionale cubana, ma io sono un po’ turbata dalla presenza di due bavosi sessantenni italiani che stuzzicano una ragazzina di meno di vent’anni. Cuba è anche questo.

La notte è un dramma, fa molto caldo e il ventilatore non ci dà sollievo… Non vedo l’ora di essere nella ghiacciaia Viazul, alla volta di Baracoa.

18 luglio Il Viazul per Baracoa parte presto e in sala d’attesa conosciamo una coppia di pittori cubani. Lei è di Santiago, lui di Baracoa, dove lavorano entrambi. Si vede che sono benestanti, ascoltano musica con il lettore MP3, hanno il cellulare e belle valige. Lei ama un cantante italiano. Mi aspetto di sentirle pronunciare il nome di… Eros Ramazzotti? Andrea Bocelli? Jovanotti (conosciuto perché amico di uno dei figli di Fidel. Inoltre Elsy ci racconta di essere stata a un suo concerto all’Avana)? No, è una fan di Francesco De Gregari. Sorpresa! Passiamo quasi l’intera giornata in viaggio, il percorso è suggestivo. Arriviamo a Baracoa e ci ritroviamo nella tranquilla Cuba rurale. C’è musica per le strade e nella piazza principale è già montato il palco per i festeggiamenti del 26 di luglio. Qui si trova anche la statua di Hatuey, il primo ribelle di Cuba. Baracoa fu il primo insediamento spagnolo a Cuba. Nel 1512 Hatuey guidò l’esercito di autoctoni in una resistenza durata mesi. Quando fu catturato e messo al rogo, si narra che gli fu data la possibilità di convertirsi al cattolicesimo, in modo di guadagnarsi il paradiso. Pare che lui rispose “Se penso che in paradiso incontrerò anche solo uno spagnolo, preferisco morire bruciato, altro che convertirmi!”.

Alloggiamo al Castillo, sistemazione suggeritaci da amici italiani. Qui c’è aria condizionata, tv e piscina, colazione abbondante al mattino… Ma non c’entra niente con il nostro viaggio. Ci guardiamo inebetiti pensando che con quanto spendiamo qui per una notte, la gente del posto ci mangerebbe per due mesi. La baia è bellissima, anche se di sabbia scura,e ospita il relitto di una nave. Oltre a tante barchette di pescatori che dondolano sull’acqua. Cambiamo un po’ di soldi alla Cadeca (e qui troviamo il cambio più favorevole) e passeggiamo tranquilli per il paese, fermandoci anche a un baracchino per bere una Re-Cola.

Alla fine optiamo per un bagno in piscina. Bello e soprattutto fresco.

L’Oriente di Cuba è molto diverso dall’ovest… Il clima è molto più caldo e umido e la gente sembra un po’ meno abituata al turismo, con tutto ciò che ne consegue, incluso un leggero senso di indifferenza..

La sera ceniamo in un paladar, gustando uno dei piatti tipici di Baracoa: i gamberi in salsa di cocco. Divini e delicati. Sempre a base di cocco, oltre che di cioccolato e di guayaba (e avvolto in foglie di palma) è il cucurucho. Che delizia… Praticamente equivale a un pasto, si fa fatica a finirlo.

Concludiamo la serata alla Casa de la Cultura, dove un gruppo di musicisti suona solo per noi, che guardiamo da fuori. Ci invitano a entrare, e pian piano si fa gente. Una festa improvvisata, di canti e di balli di gente che si ferma per caso. Fuori, intanto, piove. Che sera! 19 luglio Al Castillo prenotiamo una notte a Villa Maguana, struttura che si trova nell’omonima playa e di cui avevo letto in alcuni altri reportage trovati su internet. La strada che porta da Baracoa a Playa Maguana è un incanto di colori, di palme e vegetazione tropicale. Qua e là sbuca sulla strada qualche maiale. Sembra di vivere in un cartone animato! L’hotel è un insieme di bungalow di legno sulla spiaggia. Il mare è bello ma molto agitato. La spiaggia dell’hotel è limitata, ma da un cancello si accede alla spiaggia pubblica, affollata di cubani. Qui conosciamo Diandi, che vende oggetti di artigianato locale sulla spiaggia e rimane a chiacchierare con noi tutto il pomeriggio. Tutte le persone conosciute sino a ora sono persone molto curiose e ben informate su quanto succede al di fuori della loro isola. Parliamo un po’ di tutto e il tempo passa velocemente.

Io con qualche peso cubano prendo una noce di cocco immensa e delle banane… E’ il nostro pranzo di oggi. Sulla spiaggia gironzola anche qualche cane e qualche maiale. Diandi insiste per regalarci una scatola in legno decorata con la bandiera di Cuba, nonostante non abbiamo comprato nulla da lui, solo per la simpatia… E quindi, alla fine, accettiamo il regalo e gliene compriamo anche una.

A un certo punto ci avvicina una donna di colore che ci propone di cenare da lei questa sera, mangiando aragosta, insalata, riso, fagioli, banane fritte per 8 CUC a testa. Per loro è tantissimo. Accettiamo. L’appuntamento è alle 20 fuori da Villa Magnana. Camminiamo insieme per qualche centinaio di metri, sino a raggiungere la foresta. In una capanna di legno il tavolo è già apparecchiato per due. Gli uomini, anche qui, sembrano non esistere. Così come a casa di Isabel, esiste una vera comunità femminile, dove le donne dimostrano una solidarietà unita al senso del dovere, che mi sembra un bello schiaffo in faccia a noi donne cosiddette occidentali, che abbiamo rinunciato alla vera essenza dell’essere femmine, ossia materne, premurose, affettuose ma al tempo spesso determinate e audaci… Non sarà mica che gli uomini che mollano tutto e vengono qui cercano qualcosa che noi, per il nostro stesso essere indipendenti e aride non riusciamo a dare loro? All’inizio la nostra amica e la cuoca rimangono in disparte, chiacchierando fitte fitte come solo due donne sanno fare. I loro bambini giocano allegramente in veranda. Accendono anche la musica. Pian piano cala la sera e ci ritroviamo tutti intorno allo stesso tavolo a parlare. E’ gente sensibile, orgogliosa e colta. Raccontiamo loro del nostro incidente aereo di tre anni fa. Loro ascoltano interessate e raccontano a loro volta altre esperienze di vita. Solo in quel momento noto la manina del bimbo , che ha solo il pollice e il mignolo, come se le altre tre dita fossero state amputate. Penso a un incidente. La mamma ci racconta che il bambino è nato con malformazioni a tutta la parte destra del corpo, ci mostra le foto del piccolo appena nato ed esamina con una naturalezza infinita le varie malformazioni del figlio, facendogli aprire pure la bocca per mostrarci come anche i denti abbiano subito quel “disordine”. Mi chino accarezzandogli la testa; il bimbo è sveglio e ha gli occhi vispi. Il mio gesto è un inchino alla madre, che ha reso un handicap evidente così normale e accettabile da non farcene neanche accorgere a prima vista. Probabilmente non c’è quell’accanimento terapeutico che c’è da noi, non lo so, qui un bambino disabile mi appare più felice. Boh… Abbiamo lasciato dei soldi per il bambino e la mamma ci ha regalato una conchiglia bellissima. Secondo regalo spontaneo a Playa Maguana. La nostra amica ci riaccompagna all’hotel, parliamo dell’Islanda, della neve, di noi, sotto un cielo pieno di stelle da far stupore. Vado in camera e porto alla sua bimba che è stata con noi tutta la sera le due magliette più belle che ho e il suo sorriso mi ripaga di tutti gli sconforti e smarrimenti di quest’anno. In un posto che a prima vista sembrava non darci nulla abbiamo trovato delle perle! Buona notte.

20 luglio Facciamo colazione e decidiamo di tornare a Baracoa. Dei canadesi con un pulmino a noleggio ci danno un passaggio sino al paese. Il nostro itinerario prevede di arrivare a Camaguey, ma con il Viazul l’unica via possibile è ripercorrere la strada per Santiago per poi proseguire. C’è un problema, però: il pullman che da Baracoa porta a Santiago è sempre super affollato e occorre prenotare il giorno prima, cosa che noi non abbiamo fatto. Ci mettono il lista d’attesa. Dobbiamo aspettare tre ore e al momento della partenza se c’è posto saliremo. Premessa assai sconfortante, visto il caldo umido asfissiante e la debolezza generale. Anche qui qualcuno attacca bottone con noi e le ore trascorrono fra una chiacchiera e l’altra. Alla fine riusciamo a salire sul Viazul. Il viaggio è lungo, lunghissimo e la guida dei conducenti che si danno il cambio è pessima. Stiamo male. I conducenti hanno i loro traffici di frutta e robe del genere, si fermano in continuazione a issare banane, riso e quant’altro sul pullman. C’è anche un pollo o un maialino che ogni tanto fa sentire la sua voce. Sicuramente sta male anche lui… Arriviamo a Santiago distrutti, ma oramai la città la conosciamo e in 15 minuti siamo sistemati in una casa particular dignitosissima, La padrona si chiama come me, Gisela nome che scopro essere alquanto comune a Cuba, a differenza che in Italia. Gisela e il marito sono ingegneri in pensione, la casa è piena di libri. La sera, mentre gironzoliamo per le vie del centro, veniamo adescati da Rolando, che in un istante ci porta a mangiare su una terrazza di un paladar che a me sa tanto di illegale ma che alla fine deve essere ok, vista la quantità di gente, soprattutto turisti, che va e viene. Un uomo è riverso sul pavimento al piano di sotto, completamente ubriaco. Offriamo una birra a Rolando, un posto così non l’avremmo mai trovato. Si vede tutta Santiago dall’alto, un’infinità di lucine tremolanti che sembrano stelle, ma in realtà sono i lampioni o i fanali delle auto d’epoca. Innaffiamo il nostro stupore con i soliti mojitos (sperando di non fare la fine del tizio là sotto…) L’atmosfera è molto orientale e mi aspetto che da un momento all’altro arrivi Aladino a portarci via sul suo tappeto volante…

21 luglio Lasciamo Santiago per dirigerci verso Camaguey. Salutiamo Gisela, che è una compagnia piacevolissima, e contrattiamo con lo stesso taxista che ieri ci ha condotti qui, Stivens, il tratto sino alla stazione Viazul per 3 CUC.

Quello da Santiago a Camaguey è’ il tragitto più suggestivo fatto fino a ora, la vegetazione tropicale è lussureggiante e i paesaggi bellissimi. Alla fine incappiamo in una tempesta tropicale. Ci deve essere qualche fessura nel tetto del pullman perché… piove dentro!!! Finalmente arriviamo a Camaguey, contrattiamo il solito strappo sino in centro, dove abbiamo l’indirizzo di un’amica di Gisela, Teresa. Il problema è che lei non ha posto, ci manda al piano di sotto, dai suoi vicini di casa..

Girovaghiamo per Camaguey e andiamo a cena al Paladar El Cardinal, che consiglio per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Camaguey è la terza città cubana per grandezza, ma non ha nulla a che vedere con l’Avana o Santiago. Ci sembra un po’ anonima e se dovessi tornare a Cuba onestamente non le dedicherei più di qualche ora. La sera, ascoltiamo musica dal vivo nella piazza che si trova proprio di fronte alla Casa de la Trova. Un’infinità di bimbi corrono e gironzolano in bicicletta nella piazza… Mi ride il cuore a vederli! Domattina lasceremo Camaguey, alla volta di Playa Santa Lucia.

22 luglio Ci svegliamo presto questa mattina, salutiamo Estela e, in bici taxi ci dirigiamo verso la stazione degli autobus. Sappiamo già che non esiste un Viazul per Playa Santa Lucia e siamo intenzionati a contrattare un passaggio in macchina.

Un signore sulla sessantina ci propone un passaggio per 40 CUC. Il viaggio è lungo e fa molto caldo. La macchina, scassatissima, pare proprio non farcela, ci fermiamo due volte a rovistare nel cofano cercando chissà quali cavi, ma alla fine arriviamo.

Due italiani conosciuti ieri ci hanno consigliato di alloggiare all’hotel Escuela. A Playa Santa Lucia, infatti, non esistono case particular, ma soltanto strutture alberghiere, anche qui molto discrete (mi aspettavo di trovare albergoni sulla spiaggia, mentre le strutture sono ben mimetizzate nell’ambiente e non ci sono locali di alcun genere) e il nostro è un hotel molto semplice con casette azzurre che si affacciano sulla spiaggia. Proprio di fronte, al di là della strada, c’è un baretto, El Rapido, dove pranzeremo e faremo colazione domani€.

Sistemiamo i nostri bagagli in camera e corriamo subito in spiaggia. Il posto è bello, anche se piuttosto selvaggio. L’acqua è trasparente anche qui, piuttosto calda e ci sono un po’ di alghe. Nella nostra classifica personale di mari più belli visti, Guardalavaca rimane ancora al primo posto. Mentre siamo in spiaggia, io al sole, alle prese con i mio Sudoku e Sergio all’ombra di un albero che legge il suo libro, si avvicina un uomo che ci chiede se vogliamo cenare da lui questa sera, aragosta, gamberi e solito contorno di verdure e riso per 25 CUC in due. Contratto un po’ e ci accordiamo per 20 CUC. L’appuntamento è per le ore 20. Trascorriamo il resto del pomeriggio in spiaggia.

Alle 20 siamo a casa del nostro amico, in una stanzetta con un vano dal quale ci vengono passati i piatti, che ha tutta l’aria di essere stata edificata apposta per questi incontri con i turisti. I gamberi e l’aragosta sono incredibilmente freschi e si sciolgono in bocca. Fuori intanto si fa buio e il cielo si riempie di stelle… Ci salutiamo e ci diamo appuntamento a domani, visto che ceneremo ancora qui.

In hotel ci fermiamo a bere un mojito al bar e poi ci ritiriamo.

23 luglio Questa mattina facciamo colazione al baretto El Rapido, con succo di frutta e pizza (!). Oggi desideriamo vedere Playa los Cocos. Ci siamo accordati con un signore che ci porterà in calesse sino a questa spiaggia che pare essere una delle più belle di Cuba.. La strada è sterrata, arrivarci con un’auto normale penso sia proprio difficile e, a un certo punto, sulla nostra sinistra, vediamo una moltitudine di fenicotteri rosa! Da un lato e dall’altro della strada… mare dalle sfumature blu e turchesi. Un sogno. Grossi granchi rosa-arancioni attraversano veloci la strada al nostro passaggio. A un certo punto arriviamo al villaggio di Playa los Cocos, La Boca. Il paese è assai povero e notiamo anche parecchia immondizia qua e là. Però la spiaggia è incantevole, una striscia di sabbia bianchissima e fine orlata da palme ai cui piedi ci sono grosse conchiglie e noci di cocco cadute.

C’è anche un ristorante in legno sulla spiaggia.

Sistemiamo i nostri teli e ci tuffiamo in acqua, dove tantissime persone rimangono a mollo per ore, spesso con una bottiglia di rum o di birra fra le mani. Facciamo amicizia con una coppia di Camaguey con cui chiacchieriamo a lungo. Lei è una professoressa all’università e ama l’Italia. Lui non ricordo cosa faccia, so solo che continua a offrirci birra. Ci raccontano dei pro e contro del vivere a Cuba e di quanto severe siano le pene per chi ruba. Loro figlio era stato derubato di bicicletta e un paio di scarpe e la pena per i trasgressori è stata di 8 anni di carcere (e li sconti tutti, mica come qui da noi…).

A Playa los Cocos mi rendo conto di come il mio nome, piuttosto originale in Italia, sia invece molto comune a Cuba: oltre alla padrona di casa a Santiago e alla figlia di un signore conosciuto a Camaguey, incontriamo qui un’altra bionda Gisele: il cocker della professoressa! Alle 16, leggermente ustionati e con la salsedine che ci brucia il viso, torniamo a casa. Siamo accaldati e stanchi ma questo non mi impedisce di fare ancora una capatina sulla spiaggia di fronte all’hotel. Una guardia e il suo bambino si siedono accanto a me e mi offrono un cono gelato. Prima di andar via, per ricambiare il regalo, lascio al bimbo un pacchetto di caramelle.

Verso le 20 ci incamminiamo per raggiungere casa del nostro amico a piedi dalla spiaggia. Arrivando, scopriamo che oggi è il compleanno di sua nuora e hanno organizzato una festa con un sacco di amici che ballano e ascoltano musica. Ci hanno preparato un pargo (un pesce molto simile al nostro dentice) alla griglia, delizioso. Chiacchieriamo con loro, si parla anche della guerra in Iraq… Penso che queste siano le persone più povere con le quali siamo venute in contatto in questo giro,, eppure sono ben informate di quello che succede fuori da Cuba. Sperano in una caduta del regime, anche se forse non si rendono conto che un’eventualità del genere metterà in crisi proprio loro rappresentano lo strato più povero della popolazione cubana e che oggi, pur non avendo possibilità di acquisto o imprenditoriali, sono comunque assistiti dallo stato. E’ inutile negarlo, la rivoluzione ha agevolato chi era povero o oppresso, sicuramente non coloro che erano privilegiati e possidenti e hanno dovuto rinunciare a tutto o scappare.

Intanto si fa sera, è molto buio e dobbiamo rincasare dalla spiaggia, quindi salutiamo i nostri amici mentre rum e birra scorrono a fiumi e torniamo a casa. Non senza esserci fermati, come sempre, a bere il nostro solito, fresco mojito.

24 luglio Dopo aver trascorso due giorni a Playa Santa Lucia oggi ci attende una giornata assai faticosa, perché l’intenzione è quella di rientrare a Camaguey per poi allungarci fino a Santi Spiritus. Abbiamo un passaggio sino a Camaguey, al prezzo di 40 CUC. Alle 12, ci viene a prendere un ragazzo di colore che ci fa montare in macchina. Anche lui ci chiede di abbassarci nell’eventualità incappassimo in una pattuglia di poliziotti.

Il viaggio dura circa tre ore, si chiacchiera del più e del meno e a un certo punto ci fermiamo a acquistare da un campesiño degli strani frutti verdi che qui a Cuba vendono a mazzetti e di cui si mangia solo la polpa, sputando la buccia. Buoni! Lui ne mangia tantissimi, senza mai stancarsi. Alle porte di Camaguey carichiamo in macchina anche una sua amica.

Non essendo un tassista autorizzato, è costretto a lasciarci a un centinaio di metri dalla stazione degli autobus. Dobbiamo aspettare qualche ora il Viazul per Santi Spiritus. Conosciamo un biondo e robusto cubano che deve tornare a Santi Spiritus e ci offre un passaggio. E siccome il suo passaggio (7 CUC a testa) ci costa meno rispetto ai due biglietti di Viazul accettiamo. Il nostro amico ci racconta che, sì, è vero che la sanità è gratuita e per tutti, ma che se sei uno dei tanti ti tocca aspettare un anno per far operare tuo padre, magari portandolo avanti e indietro dall’ospedale anche cinque volte, perché la prima volta manca l’anestesia, la seconda volta va via la corrente, la terza non ci sono i bisturi e così via.

Ci dice che è consapevole del fatto che in Sudamerica il cubano sta meglio del boliviano o del brasiliano medio, ma anche che la natura dell’uomo è quella di confrontarsi con chi sta meglio di lui e non soltanto con chi sta peggio. Ci confessa che pur volendo il meglio per i suoi due figli, si opporrà a una loro eventuale decisione di entrare nell’esercito, perché non vorrà vederli morire inutilmente come per la guerra in Angola che non aveva nessun senso.

Ci racconta dei privilegi di chi lavora nell’esercito, in politica e nell’entourage di Fidel. Una cosa è certa: il cubano medio è stanco. Questo ci era sfuggito tre anni fa, o comunque non l’avevamo percepito così intensamente.

Mi rendo conto che il popolo cubano è davvero sfiancato. Che sta facendo sacrifici da cinquant’anni. Che mentre la prima generazione ha vissuto i privilegi della rivoluzione, questa e le prossime girano un po’ a vuoto…

A Santi Spiritus troviamo sistemazione a casa di Martha. Anche qui, tre mujeres che vivono insieme, di uomini nemmeno la traccia. Tre imprenditrici che, fra una cosa e l’altra, riescono a “scipparci” i soldi che vogliono. Stanno bene. Per la prima volta vedo un bambino a cui è data la possibilità di rincoglionirsi davanti a un computer. E’ un bambino proprio come i nostri: annoiato, intorpidito, assente. Neanche si accorge della nostra presenza, tanto è preso dalla sua partita. Cuba è anche questo.

Ceniamo a casa e poi ci incamminiamo per le stradine sonnolente della cittadina. Pare inizi il carnevale qui stasera, ma oltre a grosse casse che suonano regetton a tutto volume e qualche bancarella che vende panini con la porchetta, non vediamo nulla di allettante e visto che comincia a piovere, torniamo di corsa a casa.

25 luglio Santi Spiritus, pur essendo graziosa, non vale più di una veloce visita, quindi facciamo colazione con ogni ben di dio e un succo annacquato che risulterà fatale per Sergio, e ci dirigiamo verso la stazione Viazul dove incontriamo un ragazzo di colore che si offre di trasportarci a Trinidad, nostra prossima tappa, a un prezzo molto ragionevole. Nella sua auto si respira gas di scarico, ma in un’ora circa arriviamo nella bella città coloniale. Con i nostri zaini in spalla gironzoliamo alla ricerca di una casa particular e a un certo punto sentiamo provenire dall’interno di una casa coloniale note di chitarra e una forte voce di cantante cubano.

Bussiamo e un bellissimo ragazzo con gli occhi chiari, Lopez, ci apre la porta. Abbraccia una chitarra e ci invita a entrare. Viviamo un vero momento di scambio culturale oltre che umano. Il mio Sergio è un musicista e a un certo punto si mettono a suonare tutti insieme. Come di consueto lascio a lui la penna per una descrizione più intensa di questo sipario musicale: ‘’ Devo dire che l’incontro con questi musicisti è stato del tutto casuale. Di musica ne abbiamo ascoltata molta nei locali e per le strade ma, in questo caso, ci siamo praticamente ritrovati nella casa di non so chi ad ascoltare e poi a suonare con musicisti veramente bravi. In un locale è più complicato percepire l’intimità e l’eloquenza che questa musica nasconde. Non si tratta di musica per turisti contenti e già che ci siamo beviamoci-tutto-quello-che-c’è-e-divertiamoci-evviva. E’ un po’ come per il blues, il down-home intendo. Si tratta di storie ed occhi che hanno dentro qualcosa. Poco mi importa delle definizioni. Quello che ho sentito è una sensazione difficile da spiegare. E’ una questione di silenzi e di umidità. Credo. Scrivere troppo sarebbe banale. Mi limito a dire che lì ho intuito il mistero delle loro pause. Ed è stato un bel dono, come questo viaggio ‘’ Mentre li guardo suonare insieme, penso che sono orgogliosa di lui, e che è una persona speciale. Ma come tutte le persone speciali, è normale anche lui. Infatti si è beccato una bella maledizione di Montezuma: passiamo tutta la giornata nella casa particular segnalataci da Lopez (che ha la casa già occupata) fra il letto e il bagno! Lopez ci viene a trovare verso le 21.30: questa sera suona con il suo gruppo in un locale di Trinidad e ci vorrebbe con lui, ma Sergio è messo proprio male, quindi chiacchieriamo un po’ sulla terrazza e ci salutiamo.

26 luglio (festa nazionale… Siempre es 26!) Siamo sempre a Trinidad e questa mattina ci tocca cambiare casa perché quella segnalataci da Lopez aveva posto soltanto per la notte di ieri. Troviamo una bella sistemazione da Isabel. Io salgo in terrazza a prendere il sole e faccio amicizia con Miguel (il figlio della moglie dell’ex marito della figlia di Isabel… Ancora questa ricorrente famiglia allargata dove la gente si aiuta e si fa compagnia a prescindere da veri e propri legami di parentela), che a sua volta fa amicizia, anzi, bisticcia con le galline.

Sergio pare riprendersi e azzardiamo una capatina a Playa de Ancon, che abbiamo già visto tre anni fa. Noleggiamo per 2 CUC a testa un taxi insieme a due ragazzi con cui passeremo il pomeriggio in spiaggia: lui è un ventisettenne cubano lei una trentaquattrenne irlandese, che ha intrapreso il viaggio a Cuba da sola ma dopo aver incontrato lui stanno condividendo la vacanza. Lei paga, lui le fa vedere la sua terra e si amano pure. Chiacchiero a lungo con lei, che parla molto bene lo spagnolo, anche se con marcato accento irlandese.

Dopo qualche ora rientriamo alla base. Sergio non è ancora in perfetta forma. Salutiamo i nostri amici e chissà, forse ci rivedremo da qualche parte questa sera.

In realtà ceniamo, a base di aragosta, papas fritas, riso e insalata io, e di pollo bollito, papas bollite e insalata Sergio, e ci mettiamo a letto a leggere: quando ti acchiappa la dissenteria non è mica uno scherzo! 27 luglio Questa mattina passiamo a salutare il gentile Lopez, e sua mamma Riselde e andiamo via. Sergio promette di spedirgli qualche plettro e le corde della chitarra dall’Italia. Loro non sanno come procurarsele. Contrattiamo un passaggio in taxi sino all’Avana e dividiamo la macchina con due ragazze svizzere bellissime e molto silenziose. Isabel ci ha dato l’indirizzo di una sua amica che ha una casa particular al Vedado, nei pressi dell’hotel Melia Cohiba in Calle Calsada (ma non ricordo il numero). Il tassista ci lascia proprio davanti a casa di Raquel Mesa, una villa bianca con infissi blu, che dal di fuori sembra una casa mooooolto particular. L’interno è… un museo. Non saprei proprio come definirla altrimenti. E’ arredata con un gusto superbo, in ogni angolo c’è un pezzo d’antiquariato, quadri, credenze d’epoca, lampadari francesi dell’800, un incanto, davvero. Raquel è una donna distinta di mezza età, ricorda un personaggio dell’aristocrazia dei romanzi degli autori sudamericani. Ha la pelle delicata e di porcellana, due occhi vispi e colmi di curiosità, ma cela un segreto, un’amarezza che non scopriremo, ma che è legata indubbiamente a quello che hanno patito i benestanti a seguito della rivoluzione. Per la prima volta provo a metterci dall’altra parte, a pensare cosa può essere stata la rivoluzione per i ricchi, che in effetti in alcuni casi non avevano rubato nulla a nessuno, ma guadagnato quel che avevano dignitosamente. Penso a cosa potevano aver visto quei muri, agli assalti, al sangue, alle urla della gente espropriata. Una casa che è la tua casa di famiglia, ma che non ti appartiene più e per chissà quale grazia ti viene concesso di viverci dentro lo stesso. Usciamo, percorriamo a piedi il Malecon e ci fermiamo a mangiare un panino con porchetta e patatine seduti a un chioschetto proprio sul Malecon, il tutto per pochi pesos cubani. Intorno a noi non ci sono turisti, è bellissimo, ci sentiamo dei privilegiati. Arriviamo sino all’Avana Vieja. Notiamo che in tre anni è stata completamente ristrutturata e ripulita. E’ vero, è la faccia più bella dell’Avana, ma molto costruita e noi preferiamo ancora le stradine secondarie e meno battute. Camminiamo tutto il pomeriggio, stupendoci a ogni angolo per come il centro sia stato riqualificato. Ci fermiamo a bere birra in Plaza de la Catedral osservando la ballerina cubana più scoordinata mai vista. Ascoltiamo musica a ogni angolo, musica tradizionale, son e reggeton. Quest’ultimo è il genere più amato dalle nuove leve, che ballano come degli ossessi.

Facciamo il pieno di caldo e di birra e rincasiamo. Mangiamo un gelato della Nestlè, un vero e proprio vaso di gelato alla fragola e rientriamo a casa. Sembra di dormire nella camera di un castello…

. 28 luglio Raquel ci chiede 30 CUC per dormire in una reggia e per una colazione che è un pranzo, servita su un servizio di porcellana che richiama l’800 inglese. Tutto è curato nei minimi dettagli, anche la frutta tropical tagliata in una certa maniera e la tortilla adagiata affianco a un croissant. Maximiliano, un gatto color cannella ancora cucciolo e terribile infastidisce il suo amico più vecchio e stanco e staremmo a guardarli tutto il giorno senza stancarci.

Dedichiamo questa giornata alla visita della città. Al mercato di Plaza des Armas regaliamo il nostro telo mare (eravamo intenzionati ad andar a Playa del Este, ma è nuvolo) a un’ambulante che non la finisce più di baciarci… Decidiamo di fare anche un salto da Coppelia, la gelateria rinomata di cui tutte le guide parlano. Col senno di poi sconsiglio di andarci, è piuttosto più interessante spendere le ore passate a camminare per raggiungerla, parlando con un vecchietto o passeggiando sul Paseo del Prado (dove, peraltro, abbiamo pranzato seduti a un tavolino con le sedie di paglia, mangiando una costata a testa con patate e bibita nacional, pagando in pesos cubani un corrispettivo di circa 2 euro a testa). Oggi il caldo è davvero intenso, camminiamo ancora un po’ e poi torniamo a casa a farci una doccia gelata.

Il Vedado è davvero lontano dal centro (altro che farla a piedi: ci si impiega quasi un’ora per arrivare al Capitolio) e decidiamo di non tornare all’Avana Vieja, bensì di chiedere a un tassista di consigliarci un paladar della zona. Lui ci conduce da Mercedes, non saprei dire dove si trova esattamente, ma comunque in una via residenziale del Vedado. E’ un bel posto, ma non ha nulla a che vedere con le case particular dove abbiamo cenato in questo viaggio. Beviamo un bel mojito e gustiamo un piatto unico a base di filetto di pesce, yucca, papas e verdure varie. Buono! Torniamo a casa, Raquel è tornata dal teatro e ci fermiamo in veranda a fumare qualche sigaretta, prima di andare a dormire.

29 luglio Da casa di Raquel, dopo esserci rimpinzati, telefoniamo a Elsy, mamma della nostra amica cubana in Italia. Non le abbiamo detto che siamo all’Avana già da due giorni perché non dispone di una casa particular e lei insiste sempre per ospitarci. Noi sappiamo che può passare guai seri se scoprono che siamo da lei e quindi decidiamo di trattenerci a casa sua soltanto per l’ultima notte di questo viaggio che ormai volge al termine (anche se lei dice che poi alla fine tutti sanno tutto e sicuramente non passiamo inosservati neanche se ci tratteniamo per poche ore).

Così, salutiamo la nostra amica Raquel, una perla di gentilezza e buone maniere e ci avviamo verso il Nuevo Vedado. Quando rivediamo Elsy e Alberto ricordiamo insieme i bei giorni passati insieme tre anni fa, durante il nostro primo viaggio a Cuba. Non mi sembra sia passato così tanto tempo, eppure…Loro ricordano ancora gli spaghetti con la salsa e le olive che ho preparato tre anni fa.

Nel pomeriggio, anziché bighellonare in giro, cerchiamo un mercato e delle bancarelle dove acquistare uova (il cui guscio è candido!), cipolle, patate, pasta e olive Mangiamo insieme e rimaniamo a chiacchierare con loro fino a tardi.

30 luglio E’ il nostro ultimo giorno a Cuba. Ci spingiamo di nuovo in città per l’ultimo saluto alle cadillac degli anni ’50 che stanno in piedi per miracolo, ai muri scrostati, al mercato dove si vende frutta adagiata su dei lenzuoli, a chi ti vende manì (piccoli coni di carta contenenti arachidi) e anche altro (Sergio, ad esempio è stato adescato da una chica cubana appena io mi sono assentata un attimo), all’odore asfissiante di fogna e di gas di scarico, ai sorrisi sdentati di qualche mendicante e all’austerità degli uomini in divisa. Compriamo del rum da portare in Italia e nient’altro.

Torniamo a casa e prepariamo i nostri bagagli. Prima di dirigerci verso l’aeroporto Elsy insiste per prepararci del pollo con una frittura di papas. Buonissimo! Cena cubana e italiana insieme, perché vengono riesumati vari kg di spaghetti che mi hanno fatto preparare ieri in eccedenza e che loro adorano. Ancora qualche chiacchiera e le foto di rito tutti insieme.

Il nostro viaggio è proprio terminato. Saliamo tutti e quattro sulla Golf di Alberto e ci dirigiamo verso l’aeroporto. Lì, ci abbracciamo a lungo e ci salutiamo.

E’ stato un viaggio all’insegna della consapevolezza, molto di più rispetto a tre anni fa. Questa volta abbiamo avuto modo di pesare veramente e più intensamente il modo di vivere cubano e di accorgerci che è un paese ambiguo e spietato, ma anche meraviglioso perché fatto di un popolo grande, un po’ stanco di tutti i sacrifici che non sembrano portare da nessuna parte, ma comunque lodevole nel suo tener duro e sorridere ancora. Cuba è comunque e sempre una sorpresa.

I posti che ci sentiamo di consigliare: HOLGUIN : Isabel Sera Galves (Calle Narciso Lopez, 142, entre Aguilera y Frexes – 25 CUC con colazione) SANTIAGO: Gsela Fusté Duharte, Pio Rosado – Carniceria n. 409 entre San Gironimo y San Francisco. Mail jibarra@fi.Uo.Edu.Cu – 20 CUC con colazione) PLAYA SANTA LUCIA: Hotel Escuela Santa Lucia (Cubanacan, tel. 33 63 10. Pernottamento 35 CUC).

SANTI SPIRITUS: MARTHA Rodriguez Martinez (Calle Placido 69, entre Calderon y Tirso Marin – 25 CUC con colazione) TRINIDAD: Isabel Echenagusia (Calle Josè Martì, entre Simon Bolivar y Francisco J. Zerquera tel. 0141 992243 – 25 CUC con colazione) HAVANA – NUEVO VEDADO: Raquel Mesa (nei pressi dell’hotel Melia Cohiba in Calle Calsada-ma non ricordo il numero – è una villa bianca con infissi blu. 30 CUC con colazione)



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