Costa Caribe
Arriviamo a Bucaramanga alle 6 della mattina. Bucaramanga è la capitale del dipartimento di Santander ed è conosciuta come la Città dei parchi. Troviamo un passaggio per Santa Marta su un bus che parte alle 9. Dal terminal ci godiamo il paesaggio alberato mentre ammazziamo l’attesa con una buona colazione a base di uova e cioccolato con formaggio.
Il bus delle 9 è un mezzo disastro, vecchio, senza aria condizionata. In più ci toccano i posti vicino la bagno…
Il bus attraversa una porzione del Norte de Santander per poi scendere verso l’infuocata pianura del Cesar, coltivata a cotone. Il caldo e l’odore del bagno ci debilitano. L’unico svago alla piattezza del paesaggio è la Serranía de los Motilones sulla destra. Quando comincia ad allontanarsi, ecco apparire la maestosa mole della Sierra Nevada de Santa Marta, la montagna costiera più alta del mondo: il Picco Simón Bolívar si trova a 5.775 metri di altezza e a 50 chilometri in linea d’aria dal Mar dei Caraibi. Attraversiamo quasi senza accorgercene Aracataca, la città natale di Gabriel García Márquez. Finalmente, all’altezza di Ciénaga, scorgiamo il mare. L’arrivo a Santa Marta è un poco deludente. Prendiamo un bus fuori dal terminal in direzione di Taganga, un villaggio di pescatori dove ci aspettano Tito e Nadia. Tito è di Roma ed ha aperto un internet café a Taganga, la terra della sua compagna. Attraversiamo quartieri di ogni genere fino al lungomare; da lí la strada supera una serie di colline, dietro le quali si trova Taganga, che ci accoglie dietro una curva, perfettamente inserita in una baia dove riposano decine di barchette. Il paesaggio è secco e piuttosto brullo, mi ricorda San Agustinillo, nella costa dello Stato messicano di Oaxaca.
Non fatichiamo molto a trovare la casa. In mancanza di cartelli e di numeri, chiediamo del ‘gringo’ ed arriviamo alla casetta bianca con vista sul mare.
Passiamo 5 giorni a Taganga, tra Playa Grande, Bahía Concha (nel Parco Tayrona) ed il Rodadero di Santa Marta. Santa Marta in sé non è niente di speciale, ed il Rodadero sembra Rimini. Taganga è molto meglio, un paesino tranquillo, rilassato dove ciondolare fra la spiaggia, il Mojito Net di Tito, la discoteca il Garage e vari baretti dove servono pesce e birra fresca. Le strade non sono asfaltate e a volte manca l’acqua, però si gode. Purtroppo è in atto un progetto che minaccia di distruggere l’incanto della baia di Taganga: un tunnel che convoglia le acque residuali dei quartieri nord di Santa Marta che, sprovvisti di un sistema di fognatura, si allagano puntualmente ogni volta che piove. Il problema è che questo scarico devasterà l’incanto di Taganga, le sue acque azzurre, i suoi fondali, la fonte di lavoro degli abitanti: la pesca ed il turismo. E’ in atto una campagna civica per bloccare i lavori, speriamo che Tito ed i suoi nuovi paesani ce la facciano a salvare Taganga.
Salutiamo Tito, Nadia e Leonardo, di un anno, e prendiamo un bus per Santa Marta. La madre di Nadia ci scorta tra le viuzze congestionate di frutta e verdura del mercato fino ad una ‘parada’ di autobus che vanno verso Riohacha, capitale del dipartimento della Guajira. Nell’attesa della partenza facciamo scorta di banane e di repellente per insetti.
Il paesaggio si trasforma all’improvviso, passando dal clima desertico di Taganga ad una lussureggiante foresta costiera. In un’oretta arriviamo al posto conosciuto come El Zaino. Scendiamo quasi al volo, mentre il bus riparte verso oriente. In Colombia c’è la pessima abitudine di far pagare l’ingresso ai Parchi 7.000 pesos per i colombiani e 20.000 per gli stranieri. Senza aprire bocca compro due biglietti a 7.000 pesos ciascuno. Ci incamminiamo lungo la strada asfaltata che conduce al mare, al sito conosciuto come Cañaveral. Un parcheggio congestionato di macchine, tende dappertutto, amache, gente, famiglie, cani, bambini ci convincono a proseguire, nonostante gli zaini. Il paesaggio è troppo bello per gustarselo con tanta gente. Ci incamminiamo lungo un sentiero tra la foresta, il fango fino alle ginocchia per le recenti piogge che mi fagocitano le ciabatte e mi obbligano a camminare scalzo per un buon tragitto, mentre ci sorpassano alcuni muli che trasportano turisti e mercanzie. E’ un percorso abbastanza duro, però si è subito ripagati dalla spiaggia di sabbia bianca, adornata di grandi rocce e di una vegetazione rigogliosa: un paradiso terrestre. Camminiamo fino a El Cabo, una spiaggetta tranquilla dove ci si accampa tra le palme. Non abbiamo la tenda, affittiamo due amache appese con altre dieci in un chioschetto di legno e il tetto di foglie di palma. Per mangiare c’è un unico ristorantino che offre pesce, riso e platano fritto. Il posto è incantevole, con varie spiaggette e lagune interne. Il mare è delizioso, però bisogna fare attenzione alle forti onde ed alla risacca, che hanno sopraffatto alcuni incauti nuotatori.
Un’altra risorsa di El Cabo è che da qui parte il sentiero che va a Pueblito, un insediamento degli indigeni Tayrona simile a Ciudad Perdida, però molto più accessibile. Il fantastico sentiero di pietra si inerpica sui fianchi delle colline ricoperte di giungla, fino ad un villaggio formato da terrazze tondeggianti di pietra, canali, ponti… Una meraviglia.
L’unico fastidio di El Cabo è provocato dalle zanzare, che all’imbrunire ti attaccano furiose e se ne infischiano del repellente. Tanto che la seconda notte affittiamo una tenda, più afosa però più riparata.
Il 31 affrontiamo il ritorno verso la carretera. Gli autobus passano dall’entrata al Parco già strapieni. Dopo una lunga attesa riusciamo finalmente ad arrivare a Santa Marta. Cambiamo bus e proseguiamo per Cartagena. Superata Ciénaga, la strada percorre la sottile striscia di terra che separa il mare dalla Ciénaga Grande de Santa Marta. Superato il río Magdalena arriviamo a Barranquilla; da lì proseguiamo per Cartagena de Indias. Come a Santa Marta, l’arrivo a Cartagena lascia un po’ a desiderare. Però non bisogna stupirsi, visto che Cartagena è la quarta città più grande della Colombia, e fra tutte la più povera. I turisti conoscono solo la città vecchia e Bocagrande, però attorno a Cartagena ci sono quartieri fatiscenti di vecchi poveri e di desplazados, che vivono in condizioni infraumane alle falde del Cerro de la Popa o sulle rive della Ciénaga della Virgen, una cloaca immonda e quasi irrecuperabile.
Ci dirigiamo alla città vecchia, cinta da una formidabile muraglia che serviva per proteggere Cartagena dalle incursioni dei pirati. Dopo aver cercato invano un affittacamere nella Plaza de Santo Domingo, girovaghiamo senza meta cercando una buco per passare la notte. Finalmente troviamo un hostal nei pressi della Porta dell’Orologio. A prima vista sembra una casa di appuntamento, però non costa molto e soprattutto, la notte del 31 non si trova nient’altro. Un po’ stanchi, ci lasciamo coinvolgere dalla notte di San Silvestro, tra le viuzze del centro storico con le sue chiese, i palazzi, le facciate colorate, i balconi fioriti ed i portali scolpiti nella pietra corallina. L’anno nuovo si sveglia con la città addormentata. Ne approfittiamo per visitare le stradine del centro, la cerchia muraria, il Castello di San Felipe, il vecchio quartiere fuori le mura di Getsemaní (dicono che sia pericoloso, però è bello e popolare).
Il 2 gennaio andiamo con un tour alle isole del Rosario. L’imbarcazione passa per la bahía de Cartagena, la Isla de Tierrabomba e Boca Chica, protetta dalle batterie di cannoni del Fuerte de San Fernando e di San José. Il tour, però, è una mezza fregatura, non vale la spesa. Sulla strada del ritorno l’imbarcazione si ferma a Playa Blanca per il pranzo. Noi ci fermiamo per rimanere una notte, alloggiando in uno degli innumerevoli campeggi che si snodano lungo la spiaggia. Quando i turisti di giornata toranano a Cartagena, si può apprezzare la bellezza del posto. Passiamo le giornate sulla spiaggia, mangiando pesce e frutta. Scopriamo una spiaggia bellissima ed isolata, camminando mezz’oretta verso nord. Una striscia di sabbia tra il mare ed una laguna interna. Lungo il cammino raccogliamo conchiglie e pezzi di corallo. Il posto è troppo bello: decidiamo di rimanere un altro giorno, tre in totale. Ultimamente Barú e le Isole del Rosario sono in lite per le pretese del Governo su queste terre demaniali che sono state invase abusivamente da ville, ristoranti ed hotel. Ci sono state demolizioni forzate e c’è molta tensione.
Torniamo a Cartagena via terra: prendiamo un bus fino a Santa Ana, da lì un altro fino a Pasacaballos, con passaggio su un’instabile e stracarica canoa per attraversare il Canal del Dique, opera di ingegneria coloniale che permette di collegare Cartagena al río Magdalena, evitando la pericolosa foce del río a Barranquilla. Da Pasacaballos a Cartagena si passa per la raffineria e la zona industriale, un po’ deprimente.
Rimaniamo un altro paio di giorni a Cartagena prima di ritornare, a malincuore, a Bogotá.
Per approfondimenti, scrivete alla Guida per caso sulla Colombia: http://www.Turistipercaso.It/viaggi/forum/testo_guide.Asp?ID=27250