A spasso per il sud dell’Africa
22 gennaio 2013, partiamo alle 16 con un bus della Intercape dalla stazione dei pullman di Pretoria, diretti a Johannesburg e poi a Bulawayo, in Zimbabwe. Abbiamo dovuto richiedere il visto per lo Zimbabwe direttamente all’ambasciata di Pretoria nei giorni precedenti, poichè non è possibile farlo direttamente in frontiera. Il costo è stato di circa 60 euro.
Viaggiamo tutta la notte e arriviamo a Bulawayo alle 8.30. Riusciamo a trovare una coincidenza per Victoria’s Falls con un bus della Pathfinder alle 14. Girovaghiamo in attesa del pullman per la città rodesiana, ma a parte una piccola zona in stile coloniale britannico, non c’è nulla da vedere.
Il bus, perfettamente in orario, lascia la città di Bulawayo e dopo pochi minuti, usciti dal centro città, ci immettiamo su una lunga strada che per ore e ore attraversa una fitta boscaglia. Facciamo una pausa al Ngwane Lodge, stupendo resort immerso nella savana e avvistiamo alcuni elefanti. Proseguiamo molto veloci verso Vic Falls: ogni tanto appaiono villaggi con capanne e alberi di baobab a spezzare il monotono paesaggio, che da più di trecento chilometri ci sta accompagnando. Mano a mano ci avviciniamo a Victoria’s Falls, più si fanno numerosi i villaggi e la gente che si incontra lungo la strada e che ci saluta. Anche la vegetazione è cambiata: molto più fitta e verde! Finalmente alle 20 siamo a Victoria’s Falls! Troviamo subito un ostello e, stanchi per il lungo viaggio, andiamo a riposare! Un costante fragore fa da sottofondo alla notte africana: le cascate Vittoria sono a pochi chilometri da qui!
La sveglia il giorno seguente suona presto, anzi non suona proprio: non è nemmeno necessaria, vista la voglia di andare a vedere uno dei più begli spettacoli della natura. Il biglietto d’ingresso non è proprio regalato: 25 euro a persona non sono pochini, ma una volta entrati, dopo alcuni minuti, ci troviamo di fronte alla cataratta di sinistra e ci dimentichiamo tutto. La doccia è assicurata, soprattutto dal punto panoramico frontale, visto che lo spostamento d’aria prodotto dalla cascata, crea una pioggia a raffiche. Impensabile non avere un kway. Come due pazzi, bagnati fradici, ridiamo e continuiamo a fotografare cercando lo scatto migliore, immortalando ciò che rimarrà nei nostri cuori in eterno.
Usciamo dal parco lato Zimbabwe e ci dirigiamo, zaino in spalla, dalla parte opposta, in terra zambese. Attraversiamo il ponte di ferro sospeso sul fiume Zambezi e sbrighiamo le pratiche doganali. Otteniamo il visto direttamente in dogana (50 dollari) e dopo neanche mezz’ora siamo in Zambia. Entriamo nel parco di Mosi-Oa-Tunya, poco più economico del lato zimbabwano (20 dollari americani) e siamo dalla parte destra delle grandi cataratte! Da qua lo spettacolo è ancora più stupendo: le passerelle portano proprio davanti alle cascate centrali e si possono ammirare in tutto il loro splendore, anche in questo caso con una doccia assicurata. Un’enorme massa d’acqua si tuffa con un salto di 130 metri, largo circa un chilometro e mezzo: l’unica cosa che si può fare è fermarsi, prendersi una lunga pausa e contemplare la potenza e la bellezza della natura. Alla fine dobbiamo lasciare questo spettacolo per tornare alla civiltà e soprattutto per trovare un posto dove passare la notte. A Livingstone troviamo un ostello.
Il giorno seguente cerchiamo un passaggio per Kazungula, villaggio di confine, posto sul fiume Zambezi, unico punto di transito per arrivare in Botswana senza sconfinare in Namibia. Ci carica un ragazzo che si improvvisa tassista: per 5 euro ci scarrozza per ottanta chilometri e ci porta persino a visitare un villaggio. Affamati, ci fermiamo in una locale, dove mangiamo una specialità zambese: lo nshima, una specie di polenta, fatta col mais e cotta in una pentola di terracotta per ore e, nel nostro caso, servita con del pesce. Poi saliamo su una chiatta e attraversiamo lo Zambezi, nel punto in cui si incontrano quattro stati: Zambia, Botswana, Namibia e Zimbabwe. Entriamo in Botswana e ci dirigiamo al Chobe River Park, per un safari fluviale.
Riusciamo a prenotare una crociera alle 18, l’ultima della giornata. Navighiamo a bordo di un’imbarcazione a due piani lungo le rive del fiume Chobe per una decina di chilometri: con facilità, riusciamo ad avvistare un gruppo di elefanti che, verso sera, si recano sulle rive, per dissetarsi e nutrirsi. Le acque di questo fiume sono ricche di ippopotami e di enormi coccodrilli che, grazie all’abilità delle guide e dei piloti, sono facili da avvistare e avvicinare. Il mio consiglio è di effettuare la crociera durante il tardo pomeriggio per poter godere degli incredibili tramonti che si possono ammirare tra le anse di questo fiume.
Dormiamo in tenda all’interno del parco e il giorno seguente ci rechiamo all’aeroporto, alla ricerca di un mezzo da noleggiare per muoverci liberamente all’interno del Botswana. Purtroppo non ci sono auto disponibili e non ci resta che fare autostop e, ahimè, rinunciare a visitare gli altri due parchi nazionali. Riusciamo a scroccare un passaggio alla polizia nazionale, che più che per un favore, ci carica e ci redarguisce sul fatto che tutto il Botswana è un grande parco nazionale, dove gli animali vivono liberi e di conseguenza non è molto salutare girare per strada a piedi. Da buoni occidentali, rimaniamo molto stupiti, ma basta un’oretta e un passaggio sul cassone di un camion di muratori, per capire quanto la wilderness del Botswana, non debba essere sottovalutata: branchi di elefanti e ippopotami attraversano le strade e non sono molto felici di incontrare auto nel loro territorio, figuriamoci i pedoni!
Giungiamo al confine col Namibia. Sbrighiamo le pratiche doganali e riusciamo a recuperare un altro passaggio da un camion che ci porta fino a Katima Mulilo, cittadina posta all’ingresso del parco di Caprivi e dell’omonimo dito, stretta lingua di terra namibiana, tra il Botswana e l’Angola, teatro di molte battaglie per il suo prezioso controllo. Con un minibus stracarico di gente raggiungiamo Windhoek il giorno seguente all’alba e dopo una notte passata insonne, decidiamo di cercare un’auto in affitto, per essere indipendenti e soprattutto per non rischiare la vita, viaggiando con i piloti namibiani! Troviamo un’auto in affitto con la Kea, una compagnia locale. Finalmente siamo indipendenti e riusciamo a pianificare una visita del Namibia. Ci dirigiamo subito verso meridione, percorrendo una delle poche strade asfaltate, la B1, che taglia il Paese, da nord a sud. Attraversiamo lande desertiche per quattrocento chilometri giungendo in serata a Grunau, a pochi passi dal confine col Sudafrica. Un cartello lungo la strada indica Whitehouse Guesthouse e con grande stupore, sperduta nel rosso deserto namibiano, incontriamo una casa in stile coloniale, gestita da una coppia di tedeschi e troviamo albergo in uno stupendo chalet, immerso nel nulla! Solo la luna e le stelle a tenerci compagnia e una leggera brezza rinfresca la calda serata estiva nel deserto alle porte del Kalahari.
Il giorno seguente ripartiamo per visitare il Fish River Canyon, per dimensioni secondo solo al Grand Canyon americano. Panorami mozzafiato e possibilità di trekking, esclusivamente accompagnati da guide esperte! Visitiamo diversi punti panoramici per cogliere da più prospettive la spettacolarità e la vastità di questo canyon. Ripartiamo e maciniamo chilometri su strade bianche, per raggiungere Luderitz, graziosa cittadina portuale, dall’architettura tedesca, stretta tra l’oceano e il deserto. Visitiamo la città fantasma di Kolmanskop, antico villaggio minerario, abbandonato dopo la prima guerra mondiale. La sabbia del deserto sta riprendendo inesorabilmente possesso del territorio, ricoprendo le case disabitate. Visitiamo il museo e impariamo molte cose interessanti sui diamanti. Poi di nuovo in cammino verso nord: destinazione le dune di Sousselvlei. Riusciamo ad arrivare in tempo per goderci il sole tramontare dietro alle enormi dune, ma preferiamo ritornare con calma il giorno seguente. Pernottiamo nel campeggio di Sesriem e il giorno dopo ci svegliamo che è ancora buio, per raggiungere le dune e vederle col sole che sorge. Uno spettacolo senza eguali. Le dune sono alte centinaia di metri e circondano il Deadvlei, una depressione caratterizzata da un suolo di sabbia bianca, così chiamata per un grande numero di alberi di acacia morti, che hanno assunto col tempo un colore molto scuro che contrasta col candore del suolo e l’arancione delle dune.
Purtroppo dobbiamo ripartire, lasciando questo spettacolo della natura: vogliamo raggiungere Walvis Bay prima che tramonti il sole, ma la strada è lunga e tortuosa e dobbiamo fare alcune soste, soprattutto per il rifornimento. Ci fermiamo a Solitaire, stazione di servizio con piccolo posto di sosta per i viaggiatori e poi, ad un centinaio di chilometri da Walvis Bay, presso Vogelfederber, incuriositi da strane formazioni rocciose. Infine raggiungiamo Walvis Bay: visitiamo le saline e poi facciamo un giro sul lungomare, ammirando lo splendido tramonto.
Il giorno seguente ripartiamo per Swakopmund. Facciamo una sosta alla Duna 7, poco fuori Walvis Bay. Il titolare del Dune 7 Adventures, mi sfida a scalare di corsa la duna e chiaramente accetto. Riesco ad entrare nella top ten col quinto tempo. Come premio il ragazzo che gestisce l’attività mi fa provare una tavola da snowboard, anzi sandboard. Cosi mi faccio qualche discesa dalla duna alta un centinaio di metri, risalendo a bordo di un quad. Riprendiamo il cammino verso Swakopmund. Pranziamo sotto il faro, facciamo un giro e poi ripartiamo per Hentie’s Bay e la colonia di foche di Cape Cross. L’itinerario prosegue verso nord, ma, nonostante la strada sia in buone condizioni, siamo costretti a tornare indietro poichè la polizia che pattuglia la Skeleton Coast, ci avvisa che i cancelli per uscire da nord del parco, chiuderanno alle 17 e non riusciremo a raggiungerli in tempo. Cosi ritorniamo indietro e per cena siamo ad Uis, dove campeggiamo.
Il mattino ripartiamo per Twifelfontein, valle nota per gli oltre 2000 dipinti rupestri e graffiti dell’età della pietra presenti sulle rocce di arenaria e ritenuti opera degli antenati dei moderni San (Boscimani). Sono rappresentate scene di caccia con diversi animali (elefanti, leone, rinoceronti, giraffe, otarie e altri). Finita la visita ripartiamo per Windhoek, dove restituiamo l’auto e prendiamo un bus della Intercape per il Sudafrica. Il giorno seguente, dopo 18 ore di viaggio, giungiamo a Clanwilliam, 250 chilometri a nord di Cape Town. Da lì prendiamo un minibus per Lambert’s Bay. Questo piccolo villaggio di pescatori è stato reso famoso dalla pellicola “Endless summer”, un film degli anni ’60 sul surf, dove i protagonisti, in una scena, dopo aver cavalcato onde per tutto il giorno, cenano sulla spiaggia in un locale tipico sudafricano. Questo locale, il Muisbosskerm, è una grande capanna, aperta al centro, con panche e tavoli in legno. Nel centro c’è un’enorme braai (in Afrikaans è il barbecue), dove avviene tutta la cottura dei cibi, dalla carne, al pesce e alle verdure. Un posto caratteristico sulla spiaggia, molto amato dai sudafricani di Cape Town. Con un piccolo sovrapprezzo, si può anche dormire in un’abitazione non molto distante dal locale.
Il giorno seguente, ripartiamo per Città del Capo e dopo quattro ore siamo in centro alla stazione degli autobus. E’ il 4 Febbraio.
Resoconto del viaggio: è stato un viaggio intenso, non eccessivamente massacrante, nonostante la mole di chilometri percorsi. Abbiamo deciso di affittare un’auto, visto il poco tempo a disposizione. Sicuramente con i mezzi pubblici si sarebbe speso meno, ma non avremmo potuto visitare alcuni luoghi remoti. Al tempo della stesura del diario, il cambio Euro/Rand era molto favorevole.
L’affitto per 7 giorni di un’auto (gruppo B) è costato 300 euro.
Abbiamo dormito prevalentemente in ostelli o campeggi: costo per una notte in ostello 10 euro, in campeggio 5 euro.
Il costo del carburante era di circa 1 euro al litro.
Situazioni pericolose: di notte è meglio evitare le zone poco frequentate delle città e comunque è sempre meglio girare in gruppo. A parte Windhoek, il resto delle città namibiane sono abbastanza sicure.