In Puglia ed Emilia-Romagna ci sono due “città-fortezza” dalla bellezza straordinaria, ma la loro storia merita da sola il viaggio
Se è vero che, più che mai in epoca medievale, ma ancora qualche secolo dopo, quasi ogni centro urbano era dotato di un sistema di fortificazione – castelli, roccheforti, mura – è anche vero che, proprio alla fine del Medioevo, e al culmine di quel periodo così amato noto come Rinascimento, fra l’invenzione della stampa (1454) e la scoperta dell’America (1492), iniziano a sorgere non più delle fortezze nelle città, ma delle città-fortezza.
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Sì, ok, ma, da dove nasce questo bisogno? Qual è il motivo che spinge i grandi duchi e signori dell’Italia dell’epoca a creare queste nuove tipologie di strutture urbane? Semplice, la necessità di avere non più e solo un edificio militare all’interno della città, ma, al contrario, una città pensata e costruita come un’unica grande fortezza, che, allo stesso tempo, potesse fungere da centro militare, amministrativo, politico e civile.
Chiaramente, come nel caso delle due di cui parleremo, Terra del Sole – o Eliopoli – in Emilia-Romagna, e Acaya in Puglia, queste non erano i centri veri e propri del potere, quelli in cui, per intenderci, si prendevano le grandi decisioni e infuocava il dibattito politico, come poteva essere una Roma, una Firenze, ma anche una Ferrara; le città-fortezza erano, piuttosto, luoghi di riparo e monitoraggio, spesso localizzate in punti strategici o ai confini delle signorie.
Ad oggi sopravvivono ancora tantissime città murate, che, in lungo e in largo, impreziosiscono ogni angolo e curva del Bel Paese e che, nel tempo, hanno incuriosito attori, registi, turisti e, perché no, attratto anche la movida più disparata: Piacenza in Emilia-Romagna, Palmanova in Friuli, Gregoriopoli e Tarquinia nel Lazio, e ancora, Finale e Albenga in Liguria, Gradara nelle Marche, Otranto e Gallipoli in Puglia, solo per fare qualche nome.
Le due di cui parleremo, pur non essendo sotto i riflettori, conservano un fascino unico, e questo perché, a Terra del Sole e ad Acaya, fra i paesaggi della Romagna e le pietre del Salento, il tempo è stato un gentiluomo, non consumando, ma, anzi, abbellendo ogni parte di questi preziosi centri urbani.
Terra del Sole: la fortezza dei Medici fra Romagna e Toscana
Ci troviamo nella Romagna fiorentina, una regione storica, una terra di confine affascinante e incontaminata, in cui tradizioni e antichi saperi mantengono ancora una forte personalità.
La Rumâgna tuschèna, stando alla lingua romagnola, diede i natali a importanti e influenti personaggi: il poeta Dino Campana, che nacque a Marradi, l’umanista e teologo Ambrogio Traversari, generale dei Camaldolesi, la famiglia della musa ispiratrice di Dante, Beatrice, originaria di Portico di Romagna.
La storia di Terra del Sole, altresì nota con il corrispettivo greco Eliopoli, è molto curiosa, in primis, a partire dalla scelta del nome.
Leggenda vuole, infatti, che durante il consueto rituale di benedizione organizzato ad hoc per la fondazione della città – Terra del Sole fu “benedetta” nel 1564 –, in una giornata particolarmente cupa, in cui, come diremmo noi, “il tempo è brutto”, fra le nebbie e l’oscurità, sia di colpo uscito il sole a illuminare il territorio circostante.
È chiaro, questo venne prontamente interpretato come segno di buon auspicio, soprattutto da parte del primo e più importante Granduca di Toscana, Cosimo de’ Medici, il fondatore della città-fortezza in questione, che, quel giorno, dovette sentire dalla sua parte tutto l’appoggio divino.
L’idea di Cosimo è semplice e funzionale: vista la notevole estensione del Granducato di Toscana, si vedeva necessario creare una struttura difensiva e amministrativa appositamente per la zona romagnola, e così fu infatti.
Quasi tre chilometri di mura difensive, intervallate da spessi e solidi bastioni, la dicono lunga riguardo l’intento del Granduca: una città murata, sicura, completamente protetta, che al suo interno potesse lasciare spazio alle più armoniose geometrie degli edifici civili e religiosi: la Chiesa di Santa Reparata, in stile rinascimentale, il Castello Mediceo, il Palazzo del Provveditore, la cui funzione corrispondeva grossomodo a quella del moderno Ministero dell’Economia e delle Finanze, e, ultime, ma non per importanza, le due Porte di accesso all’abitato, Romana e Fiorentina, massima espressione della nobile dinastia toscana, che, qui, vive ancora nei nomi di vicoli e monumenti.
Acaya: gli echi del Rinascimento nel Sud Italia
Da Terra del Sole, percorrendo la costa adriatica, si attraversano ben quattro regioni – Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo e Molise – prima di arrivare in Puglia.
Ed è qui, proprio sul tacco dello Stivale, fra le pietre e gli ulivi del profondo e assolato Salento, che sorge Acaya, una piccola frazione di un altrettanto piccolo comune, Vernole, in provincia di Lecce.
La pianta di questa città-fortezza, appannaggio degli Angioni fino alla fine del XIII secolo, ricorda alla lontana quella di Palmanova in Friuli-Venezia Giulia, “la stella a nove punte”, una delle città ideali per eccellenza, anche se, nel caso di Acaya, potremmo parlare, piuttosto, di stella a quattro punte.
Il toponimo, Acaya, alquanto insolito, si deve all’ingegnere personale di Carlo V d’Asburgo, Gian Giacomo dell’Acaya, che, qui, lavorò durante la seconda metà del XVI secolo, fortificandola e dotandola anche di un Castello.
L’ingegnere ebbe cura dell’intera fortificazione, rigorosamente realizzata in pietra leccese, non tralasciando alcun particolare e non affidando nulla al caso; sono opera sua i bastioni difensivi, la porta d’accesso al borgo – l’unica da cui entrare –, sormontata dalle insegne imperiali di Carlo V, così come è sua la progettazione urbana.
In tal senso, ricalcando il modello rinascimentale, particolarmente evidente in città come Ferrara, Urbino o Mantova, per citare le più note, anche nella cittadella pugliese le strade sono dritte, larghe e ben ordinate, presentando, inoltre, la tipica struttura romana del cardo e decumano – due vie intersecate a formare una sorta di croce –, rispettivamente orientante verso nord-sud e est-ovest.
La vicinanza di Acaya alla costa adriatica – al tempo, una posizione studiata per fini strategici, ad oggi, una posizione suggestiva – spiega perfettamente la scelta del luogo, e, soprattutto, il perché della fortificazione: null’altro che la necessità di assicurarsi una roccaforte-vedetta lungo la costa mediterranea, spesso teatro di attacchi e scorrerie.
Concludiamo parlando brevemente del Castello, l’edificio di punta dell’intera cittadella; costruito a cavallo dei secoli XVI e XVII, fra il 1506 e il 1608, il Castello attraversa oltre un secolo di storia, assorbendo e presentando più stili architettonici. Il fiore all’occhiello dell’edificio, sempre progettato dall’ingegnere dell’Acaya, è indubbiamente lo stile di fortificazione “alla moderna”, un nuovo modo, ideato alla fine del XV secolo, di concepire le strutture difensive.
Il motivo? Fra tutti, la necessità di ovviare all’introduzione delle armi da fuoco, di cui si fece uso, una delle prime volte, durante le Guerre d’Italia (1494-1559), e di cui disponevano anche i Turchi Ottomani, celebri per le loro capacità di attacco e di assedio; da qui, delle strutture di fortificazione non più sviluppate in altezza, ma in spessore, pensate ad hoc per sostenere l’artiglieria nemica e che potessero fare leva sulla robustezza dei bastioni difensivi.
Altri esempi noti sono la Fortezza di Sarzanello in Liguria e il Bastione Sangallo a Civita Castellana, nel Lazio, di cui, magari, parleremo in un altro articolo.