L’arcipelago fragile in mezzo all’oceano: accoglie meno di 4000 turisti all’anno, ma il motivo è drammatico
Un puntino. Nel cuore del Pacifico, tra sovrumani silenzi e profondissime acque, fra le vastità dell’oceano e il cielo infinito, sorge un piccolo ma meraviglioso arcipelago di isole coralline. Un paradiso sconosciuto ai più: quello di Tuvalu accoglie neanche 4000 turisti l’anno, per un motivo drammatico che ormai è un’angoscia, perché Tuvalu, prima o poi, scompare. Ed è più un prima che poi.
Le acque perfettamente cristalline che circondano questa serie di puntini di terra sono uno spettacolo di rara bellezza, ma anche il peggior nemico di tutto l’arcipelago. Una croce, a tutti gli effetti: con un’altitudine massima di soli 5 metri sul livello del mare, è tra le nazioni più vulnerabili al mondo per gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Ogni anno le maree si alzano un po’ di più, l’erosione delle coste diventa un po’ di più, e la vita su questo piccolo stato insulare in Polinesia, in mezzo tra Hawaii e Australia, diventa sempre meno.
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Tuvalu: una bellezza effimera
La bellezza di Tuvalu purtroppo è effimera. Innegabile, ma effimera: un sogno tropicale, di quelli veramente belli da vedere, che con un minimo di relax diventa un incubo non appena lo sguardo va oltre la spiaggia e si posa come una onda su una via di pensieri. Come quando si ha quel tipo di pensieri un po’ intrusivi, quelli strani, del tipo “che succederebbe alla popolazione se qui la terra venisse inghiottita sempre di più?”, molto in stile the floor is lava. Eppure l’aumento del livello del mare, la salinizzazione delle falde acquifere e l’erosione costiera stanno accelerando a ritmi allarmanti qui, rendendo incerto il futuro di Tuvalu.
Ha quattro isole coralline più cinque atolli polinesiani e una superficie di giusto 26 km², rendendolo a tutti gli effetti il secondo Paese meno popolato del mondo dopo Città del Vaticano. La capitale è Funafuti, che è anche l’isola più popolata. Tuvalu è famosa per le sue spiagge spettacolari, lagune cristalline e una cultura unica legata alla vita sull’oceano. E se per questo, il quarto stato più piccolo al mondo.
Chi ci va come turista è consapevole che potrebbe essere fra gli ultimi a vedere questo angolo di paradiso prima che venga cancellato dalle mappe. Il destino dell’arcipelago è un monito per l’umanità intera: le nazioni più grandi si scontrano per motivi anche abbastanza futili mentre il cambiamento climatico fa ribollire le acque. Tuvalu è già in trincea, combattendo contro qualcosa che quasi non si può combattere, affogando nelle proprie bellezze.
Sorge, o meglio sopravvive, un piccolo ma meraviglioso arcipelago
Avrei dovuto scrivere che sopravvive, visto l’impatto del cambiamento. Tuvalu, una volta conosciuto come Isole Ellice, è abitato già dal primo millennio a.C. ma viene scoperta dagli spagnoli nel 1568, e a fine Ottocento diventa parte di un protettorato britannico fra le isole Gilbert ed Ellice, rinominandole appunto Isole Ellice. Diventa una colonia nel 1915. Passano pochi anni e nel ’74 si decide che le differenze fra abitanti delle Ellice e quelli delle Gilbert sono troppe, quindi si staccheranno dalle Gilbert (future isole Kiribati). Passa un anno e le isole diventano una colonia, ne passano altri tre e diventano indipendenti nel ’78.
E qui, Tuvalu sopravvive. La popolazione di 11 mila abitanti (nel 2022) vive con la costante paura di perdere tutto: case, cultura, identità, futuro. Ogni decisione internazionale che ignora la crisi climatica è solo un altro chiodo sulla bara di un popolo, come lo saranno altri, che tentano di sopravvivere. E ciò, in effetti, è già successo. La comunità internazionale ha osservato passivamente mentre questo Paese si avvicina verso l’oblio: le immagini satellitari mostrano l’erosione delle coste, delle terre, e la trasformazioni di qualche laguna dal relativamente pieno di vita a spettri salmastri.
Il senso di urgenza è palpabile, perché ogni tempesta, alta marea e pioggia torrenziale non è ignorabile. Chi ci va rimane estasiato dalla sua bellezza, per poi parlare con malinconia di un Paese che muore. Siamo tutti su una bomba a orologeria climatica, e Tuvalu sarà il primo a subire il cambiamento climatico a questo livello.
Una corsa contro il tempo nell’ansia collettiva: se Tuvalu muore, moriremo tutti
A Tuvalu ogni decisione del governo e ogni piano di sviluppo è zuppo della consapevolezza che il tempo sta finendo. Il governo di Tuvalu, sotto il nuovo (febbraio 2024) Primo Ministro Feleti Teo, ha giustamente la lotta contro il cambiamento climatico come priorità assoluta, oltre all’adattamento all’innalzamento del livello del mare. Sforzi orientati a ritardare l’inevitabile e guadagnare qualche anno in più per un popolo che probabilmente verrà esiliato.
C’è stato un recente finanziamento della Banca Mondiale di 11.5 milioni di dollari per rafforzare la resilienza climatica del paese, segno importante che la comunità internazionale comincia a riconoscere la gravità della situazione. Fondi che potrebbero non essere sufficienti: infrastrutture resilienti, sistemi di gestione delle catastrofi, l’inclusione delle donne nei comitati di gestioni… tutto molto bello, ma il mare non aspetta, perché ogni anno le onde si avvicinano sempre di più alle case e alle scuole di Tuvalu.
In greco Eraclito direbbe Pánta rheî. Tutto scorre, e si nota forte a Tuvalu: la sensazione dello scorrere del tempo è diventato ansia collettiva. Un futuro incerto che spinge in molti a migrare, lasciando a chi resta una battaglia ogni giorno per preservare quel che resta della propria patria mentre il mondo guarda con indifferenza (o peggio, pietà) un puntino sulla mappa di cui in molti non sapranno nemmeno che sia esistito.
Se Tuvalu muore, moriremo tutti: questo il messaggio della bio di una organizzazione locale, la Saving Tuvalu Global Campaign, una tra quelle che stanno lavorando per sensibilizzare la comunità internazionale sui rischi che stanno affrontando. “If Tuvalu sinks, the 🌏 sinks with it. If we save Tuvalu, we save the 🌏 too.” Un simbolo della fragilità del nostro pianeta e di com’è il destino se non si agisce da subito. Un presagio pesante, una lenta agonia, che si riflette anche sul turismo.
Il turismo? Un grande problema è come arrivare a Tuvalu
Tuvalu è una delle destinazioni turistiche meno visitate al mondo, principalmente a causa della sua posizione remota e delle infrastrutture limitate. I dati più recenti mostrano un leggero aumento del turismo perché nel 2023 Tuvalu ha accolto circa 3.136 visitatori, un aumento rispetto ad anni precedenti (di anche 1.500 – 2.000), grazie alla ripresa dei viaggi post Covid-19. Per il primo trimestre del 2024 i dati indicano che Tuvalu ha già ricevuto 1.739 visitatori. Numeri che evidenziano che nonostante la distanza, l’interesse aumenta.
Sì, distanza. La capitale è Funafuti, l’unico punto con un aeroporto. Il che porta a diverse domande: come ci si arriva? Soprattutto, come si sostentano? A Tuvalu, dove si parla solo tuvaluano e inglese, la maggior fonte di sostentamento è la pesca, la vendita di francobolli e monete… ma anche una questione di dominio! …cioè? Dominio, il dominio internet. Tuvalu è il paese che ha come dominio “.tv”, che viene infatti strapagato dalle maggiori televisioni del mondo per prestare il suo dominio internet.
Mentre per il come arrivare a Tuvalu, beh… buona fortuna. Per arrivare a Tuvalu devi arrivare prima alle Fiji (o Figi), e prendere uno specifico aeroporto che ti porterà con 2 ore e mezzo di volo all’aeroporto di Funafuti. Volo che si fa poche volte alla settimana (anche tre), dopo essere arrivati comunque alle Figi, che solo per l’Italia richiede almeno 25 ore di viaggio. I trasporti a Tuvalu sono limitati a causa della mancanza di infrastrutture stradali, e le isole sono collegate principalmente da piccole imbarcazioni. Le comunicazioni sono migliorate negli ultimi anni, ma l’accesso a internet rimane costoso e lento rispetto agli standard globali.