Un parco grande quanto il Veneto e l’emozione degli animali “delle fiabe”: ecco l’Africa più bella vista con gli occhi di due bambini
La visita a un orfanotrofio locale, le emozioni del safari ai piedi di uno dei vulcani più alti del continente e lo spettacolo di un parco naturale che è grande come una regione italiana, e non di quelle “mignon”. Questo viaggio in Tanzania con mamma, papà e due bambini è un modo per vivere le emozioni dell’Africa attraverso gli occhi dei più piccoli, che non hanno filtri, confini e limiti. E la cui fantasia unisce.
Indice dei contenuti
Diario di viaggio in Tanzania
Giorno 0 – Partenza
- Destinazione: Aeroporto di Kilimanjaro, Tanzania
I bambini sono elettrizzati, pieni di energia. La partenza alle 22:40 per Addis Abeba promette una notte in volo, sperando di dormire un po’. Elisabetta, travolta dall’emozione, corre in bagno più volte. Imbarchiamo le valigie, sbrighiamo le pratiche doganali e, dopo cena, ci avviamo al gate. L’hostess chiama il nostro volo e i piccoli scattano come fulmini: finalmente è il momento di salire sull’aereo. Il decollo ci regala un senso di liberazione: siamo davvero in viaggio! Ale si immerge subito nei giochi interattivi dell’aereo, affascinato da questo nuovo iPad. Elisabetta, accanto a me, disegna. La mamma intanto prepara il kit per la notte: proviamo a dormire un po’.
Giorno 1 – Arrivo, Orfanatrofio di Karim
- Destinazione: Orfanotrofio, spostamento verso il Cratere di Ngorongoro
- Distanza: 300 km
- Tempo in auto: circa 4:30
- Alloggio: Marera Valley Lodge, Karatu
Ci svegliamo bruscamente con le luci dell’aereo. Nel caos della mattina, perdiamo un calzino che non ritroveremo mai più: sarà il primo di tanti imprevisti. Elisabetta, seduta accanto a me, è raggiante di emozione: l’Africa è sempre più vicina. Dal finestrino vediamo Addis Abeba. L’aeroporto sembra un enorme capannone fieristico. Sono le sei del mattino, ora locale. Facciamo colazione: due tè, un caffè e tre brioche ci costano 27 dollari. “Dollari americani?” chiedo incredulo alla barista. “Certo!” risponde. Che stangata! Al tavolo, Ale è esausto e non apprezza la brioche fredda e piena di burro, tanto da buttarla a terra. Eh sì, proveremo tanti gusti diversi. Nel frattempo è talmente stanco che si addormenta seduto.
Dopo una sosta in bagno, troviamo un puff gigante dove ci riposiamo prima del prossimo volo. Ci dirigiamo al gate 1, ma la truppa è stanca e il cammino sembra infinito. La vista del cartello “Kilimanjaro” mi conforta: ci siamo, è fatta. Il volo dura circa due ore: dall’alto scorgiamo il Kilimanjaro (5895 m, la montagna più alta dell’Africa) e il Monte Meru (4566 m). Sebbene situato vicino all’equatore, il Kilimangiaro è famoso per le sue nevi perenni, che coprono il cratere Kibo. Tuttavia, queste nevi si stanno riducendo drasticamente a causa del cambiamento climatico.
Atterriamo e scendiamo a piedi sulla pista: eh sì, siamo in un vero aeroporto africano. Cambiamo i primi scellini tanzanesi: il cambio di oggi è 1 a 3.000. Carichiamo le nostre valigie sul minivan che ci porterà alle porte del Ngorongoro. L’impatto con la strada è elettrizzante per Alessandro: certo, si aspettava leoni ed elefanti, ma comunque la vista di capre e mucche lungo la strada lo esalta. Elisabetta osserva in silenzio le baracche, forse molto scossa dalla grande diversità.
È ormai l’ora di pranzo e, dopo circa 1 ora e 15 minuti per soli 50 km, ci fermiamo ad Arusha, al “The Boma“, un ristorante gestito da un italiano. Un po’ ci sentiamo a casa: mangiamo pasta e una buona tagliata. Ma soprattutto alla tv fatto la replica dell’ultimo derby, quello della seconda stella!
È ora di dirigersi verso il Karim Orphanage di Arusha (11 km, 30 minuti). Ci fermiamo al villaggio per fare un po’ di spesa: riso (10 kg, 6 euro), pasta, olio… e un’anguria (2 euro). Il supermercato non è proprio come quello di casa: è davvero un’avventura andare a contrattare i prezzi nelle diverse attività commerciali! L’orfanotrofio si trova in periferia, in una via interna e sterrata. Entriamo nell’Africa vera: persone a piedi, animali, auto… tutto si muove in questa strada polverosa. Giriamo a sinistra, attraversiamo un grosso avvallamento ed eccoci davanti ad un cancello grigio.
Ci aspetta Rehema; scendiamo dalla macchina e i bimbi ci saltano addosso. Visitiamo l’orfanotrofio, dove lo spazio sembra stretto, ma non è affatto sporco. Ci sono una trentina di bambini, dagli 0 ai 18 anni. Apriamo la nostra valigia piena di vestiti, qualche giocattolo raccolto dai colleghi e tante matite colorate donate dall’omonima associazione (Un grazie all’associazione anche per il contributo sulla spesa!)
Alessandro prende le macchinette e gioca, mentre Elisabetta osserva in silenzio, forse spaventata da questa nuova situazione. Il fratello la trascina a giocare, mentre i bambini di casa rimangono stupiti a vedere questi due bimbi bianchi giocare.
Riprendiamo il viaggio: sono ormai passate le 16:00 ed è ora di andare verso il Ngorongoro. Destinazione? Marera Valley Lodge (150 km, 2 ore e 30 minuti). Lungo la strada si svolgono le attività commerciali: si vende un po’ di tutto, dalla frutta agli animali, dalle gomme ai quadri, fino alle biciclette. Di tanto in tanto, qualche chiosco vende cianfrusaglie per turisti. È pieno di moto.
Attraversiamo molto lentamente il paese di Mto Wa Mbu. Il nome “Mto Wa Mbu” significa “fiume delle zanzare” in swahili, e questo è dovuto alla presenza di numerosi corsi d’acqua e paludi nella zona, che attraggono molte zanzare.il villaggio è noto per la sua straordinaria diversità culturale: in un solo villaggio convivono più di 120 gruppi etnici, rendendolo uno dei luoghi più culturalmente variegati della Tanzania. Il villaggio è famoso per la coltivazione di diverse varietà di banane, tra cui quelle rosse. (ahimè non abbiamo avuto occasione di assaggiarle!)
Poco prima del tramonto siamo al nostro lodge, Il Marera Valley Lodge. È un’accogliente struttura immersa nel verde, circondato da una rigogliosa selva: sembra di essere in Vietnam. Le sistemazioni sono costituite da casette in pietra molto spaziose: la nostra quadrupla era veramente enorme. Ogni casetta dispone di una veranda privata, ideale per ammirare il panorama … ma non è il caso nostro. È notte, e per arrivare alla sala da pranzo dobbiamo attraversare un boschetto. È completamente buio…. E i bimbi hanno un po’ di paura. La vista della piscina e delle stelle li rinfranca un po’.
È stata emotivamente difficile questa prima giornata in Africa. Domani finalmente sarà Safari Day!
Giorno 2 – Dentro il cratere!
- Destinazione: Cratere Ngoro Ngoro, Parco Serengeti
- Distanza: 250 km
- Tempo in auto: 10 ore circa
- Alloggio: Sound of Nature Lodge, all’interno del Serengeti
La sveglia suona alle 6:30, ma Ale è immerso in un sonno profondo, così radicato che neanche l’eco dei leoni sembra riuscire a scuoterlo. Con decisione, lo solleviamo dal letto, mentre i primi raggi del sole cominciano a penetrare nella stanza, rischiarando la foresta circostante. Elisabetta è già pronta: la luce del giorno porta con sé un senso di sicurezza, e il lodge, che solo la notte prima sembrava così misterioso, ora appare accogliente.
Appena dopo colazione, fuori dal lodge, Raphael, la nostra guida, ci attende paziente accanto al LandCruiser della Toyota.
Prima di avventurarci nel cuore selvaggio dell’Africa, decidiamo di fermarci al mercatino poco distante dall’hotel. Abbiamo sentito parlare della tanzanite, una pietra preziosa tipica di queste terre, e pensiamo che un piccolo acquisto possa risollevare l’umore di Elisabetta. Dopo una breve ma intensa trattativa, riusciamo a ottenere una piccola pietra per 20 dollari. Il sorriso di Elisabetta è il primo segno che la giornata sta per prendere una piega positiva.
Riprendiamo il nostro viaggio, percorrendo 20 chilometri su una strada asfaltata che ci conduce verso il gate d’ingresso della riserva di Ngorongoro. Il tragitto di mezz’ora passa rapidamente. All’improvviso, un gruppo di babbuini appare lungo la strada: sono almeno una ventina e sembrano quasi volerci dare il benvenuto. I bambini sono in estasi, e l’entusiasmo è palpabile nell’aria.
Tuttavia, proprio mentre ci prepariamo a entrare nella riserva, riceviamo una telefonata dal lodge lasciato poco fa: una nostra valigia è rimasta lì! E adesso? Bisogna tornare indietro? Hakuna Matata, nessuna paura. Chiediamo ad un motociclista di portarci la valigia fino al gate. Ci mette un po’ tropo ad arrivare: ci avranno rubato la valigia, dove è scappato il ragazzo? Beh, diciamo che ha avuto un piccolo contrattempo con i guardiaparco! Ora che siamo pronti, la strada diventa sterrata e comincia a salire. Raphael corre su strada impervia, in salita, sterrata, in mezzo alle nuvole. Sentiamo l’ebbrezza dell’avventura. Ma dove siamo? Sul bordo di un cratere (spento)!
Il cratere del Ngorongoro, parte della più vasta Area di Conservazione del Ngorongoro, è ciò che rimane della montagna più alta dell’Africa, un vulcano alto oltre 6.000 metri. La caldera, formatasi circa 2,5 milioni di anni fa in seguito al collasso del vulcano, è ora una delle poche aree al mondo dove è possibile osservare, in uno spazio relativamente ristretto, una quantità incredibile di fauna selvatica. Leoni, rinoceronti neri, zebre, gnu, e antilopi sono solo alcuni degli animali che popolano questo ecosistema unico, sopravvissuto intatto per millenni. Ad oggi è la più grande caldera intatta e non sommersa del mondo; ha un diametro di circa 20 chilometri e una superficie di oltre 260 chilometri quadrati (per dare una proporzione, l’intero comune di Treviso è grande 181 km quadrati).
Dopo circa 30 chilometri e 50 minuti di guida sul bordo del cratere (circa 2.200 metri di quota), raggiungiamo il secondo gate, quello che ci permette di entrare nella caldera del cratere. Raphael apre il tetto della jeep, e i bambini, elettrizzati, si alzano in piedi, pronti a scrutare l’orizzonte. A tutti birra scendiamo verso il centro della caldera (1.600 m di quota): l’aria è frizzante, e il sole, finalmente liberatosi dalle nuvole, inizia a scaldare la terra sotto di noi. L’orizzonte si spalanca davanti ai nostri occhi, rivelando paesaggi che sembrano usciti da un sogno.
Appena scesi nel cratere, il primo incontro è con un elefante solitario, maestoso nella sua tranquillità. Poco più avanti, scorgiamo i bufali che pascolano vicino a un lago, mentre i fenicotteri, con le loro piume rosa, aggiungono un tocco di colore al paesaggio. Ogni dettaglio sembra amplificato, ogni movimento della natura ha un significato, e noi siamo spettatori privilegiati di questo spettacolo senza tempo.
Al centro del cratere c’è un lago alcalino stagionale chiamato Lago Magadi. Durante la stagione secca, le sue acque si ritirano, lasciando una crosta di minerali biancastra. È un habitat prediletto per i fenicotteri che si radunano qui, aggiungendo un tocco di colore al paesaggio.
Proseguiamo la nostra esplorazione all’interno del cratere, percorrendo altri 20 o 30 chilometri. Il sole è ormai alto nel cielo quando raggiungiamo la Ngoitokitok Picnic Area, un luogo incantevole e isolato, situato accanto a un lago popolato da ippopotami. Qui, ci fermiamo per il pranzo, utilizzando dei tronchi come tavoli e sedie. Il cibo è semplice: pollo, patate e riso, ma l’atmosfera rende tutto speciale. Un Marabù curioso si avvicina, forse attirato dall’odore del cibo. I bambini sono troppo rapiti dalla bellezza del paesaggio per concentrarsi sul pranzo, ma la serenità di Elisabetta è un segnale che questo viaggio sta iniziando a conquistarla.
Dopo il pranzo, ci avviciniamo a un grande albero per scattare qualche foto, con gli ippopotami sullo sfondo. Alessandro, affascinato, osserva gli animali emergere dall’acqua, e il suo entusiasmo è contagioso. Tuttavia, è già pomeriggio inoltrato, e dobbiamo avviarci verso l’uscita del cratere per raggiungere il Serengeti prima del tramonto. Ma ecco che a sorpresa in lontananza avvistiamo un rinoceronte nero orientale: proprio il cratere è uno degli ultimi rifugi per il rinoceronte nero , una specie in grave pericolo di estinzione.
La salita per uscire dalla caldera è impressionante: un dislivello di 600 metri che ci porta attraverso una fitta giungla. È come entrare in un altro mondo, e i bambini, con la testa fuori dal tetto della jeep, si sentono come i protagonisti di un film d’avventura. Ale urla “Jumanjiiii, Jumanjiii!” e la sensazione di essere immersi in un’avventura epica è tangibile.
Lasciamo il cratere del Ngorongoro, alle nostre spalle: l paesaggio cambia rapidamente, da nebbioso e montuoso a vasto e soleggiato. Le giraffe spuntano tra gli alberi come sentinelle silenziose, mentre attraversiamo villaggi Masai dai colori vivaci. Sì, perchè la Area di Conservazione del Ngorongoro è stata progettata per bilanciare la protezione della fauna selvatica con i diritti delle popolazioni indigene, come i Maasai, che abitano queste terre da secoli. I Maasai continuano a praticare il loro stile di vita tradizionale all’interno dell’area, basato principalmente sull’allevamento del bestiame: abbiamo avvistato decine di pastori con i loro greggi di capire emicche. La presenza dei Maasai in Ngorongoro è parte integrante dell’ecosistema, poiché il loro pascolo contribuisce a mantenere l’equilibrio delle praterie. Questo approccio, che combina la conservazione della fauna selvatica con il sostegno delle comunità locali, è una caratteristica distintiva dell’area di Ngorongoro, che è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO proprio per questa sua unicità.
Qualcuno dorme, qualcuno guarda fuori: il paesaggio è in continuo mutamento. Attraversiamo la Rift Valley, una fessura nella terra che si estende per oltre 6.000 chilometri dal Mar Rosso nel nord-est, passando per l’Etiopia, il Kenya e la Tanzania, fino al Mozambico nel sud. La Rift Valley è il risultato del processo di rifting, in cui una placca tettonica si divide in due e si separa, creando una fessura nella crosta terrestre. Questo processo può portare alla formazione di vulcani, come il Ngorongoro.
Nella testa la parola Rift valley ci risuona altro: ma certo, la culla dell’umanità!I Questo sito sito ha fornito numerosi resti di ominidi, tra cui quelli di Australopithecus boisei e Homo habilis, che risalgono a circa 1,8 milioni di anni fa. Dopo un’ora e mezza di viaggio e 70 chilometri percorsi, arriviamo finalmente al gate del Serengeti.
Il Parco Nazionale del Serengeti (patrimonio dell’umanità dal 1981) copre un’area di circa 14.750 chilometri quadrati (per confronto il Veneto è grande 18.000 chilometri quadrati), rendendolo uno dei parchi nazionali più grandi e più estesi dell’Africa. Il suo nome deriva dalla parola Maasai “Siringet”, che significa “pianura senza fine”. Il parco è composto principalmente da vaste pianure erbose, ma come scopriremo nella nostra avventura, include anche savane, boschi e foreste fluviali.
Abbiamo già visto è imparato tante cose… ma nonostante la stanchezza, l’eccitazione è alle stelle. Completate le formalità e fatta una rapida sosta pipì al gate, siamo pronti per la nostra prima avventura nel parco. Il sole è ormai basso, tingendo il cielo di sfumature arancioni e rosa, quando iniziamo la nostra caccia. L’incontro con la fauna è immediato e straordinario: tre leoni maschi dormono sotto un cespuglio, proprio sul ciglio della strada. Più avanti due leonesse, nascoste in una bassa radura, guardano i loro sei cuccioli giocare. Più avanti, assistiamo a uno spettacolo raro: un leone che si accoppia con una leonessa. Attorno a noi, zebre, iene e antilopi completano il quadro di un safari che sembra un sogno.
Raphael insegna ai nostri bimbi gli animali in swahili: da oggi il gioco sarà chiamarli con il loro vero nome.
Leone – Simba Elefante – Tembo Giraffa – Twiga Zebra – Punda milia Rinoceronte – Kifaru Ippopotamo – Kiboko Gazzella – Swala Coccodrillo – Mamba Struzzo – Mbuni Scimmia – Tumbili
Percorriamo altri 80 km (poco più di 1 h) e raggiungiamo il nostro campo tendato all’interno del Serengeti verso le, ormai al crepuscolo. A malapena distinguiamo le tende e il campo tendato: ormai è notte… ed è buio pesto. Non ci è concesso muoverci in autonomia e siamo accompagnati dai ranger fino alla nostra tenda: il campo non è recintato e non è raro incontrare qualche animale nei dintorni. È solo l’odore del fuoco acceso all’interno del campo a tenere lontani gli animali che girano per il parco. Ceniamo con Raphael e a fatica elenchiamo le mille avventure della giornata: Sono troppe!
Ci facciamo la doccia (l’acqua è prelevata da un pozzo) e ci asciughiamo i capelli… zaac! salta la corrente, o meglio, è finita la corrente! Eh sì, l’unica fonte di alimentazione sono i pannelli solari e le batterie si sono esaurite. Dovremo attendere l’alba per avere nuovamente la luce.
La stanchezza si mescola all’euforia e un po’ di paura: ci prepariamo a trascorrere la notte in un ambiente così unico, circondati dal suono della natura selvaggia. Nel buio.
Giorno 3 – Nella casa del leone
- Distanza: difficile da stimare, forse un centinaio di chilometri
- Tempo in auto: 10 ore circa
- Alloggio: Sound of Nature Lodge, all’interno del Serengeti
La sveglia suona alle 6:00, preludio di un’altra giornata immersa nella natura selvaggia del Serengeti. Raphael ci ha dato appuntamento per le 7:00, ma al momento di partire, ci rendiamo conto che l’auto ha un problema. Il motore non si avvia, e il primo pensiero che attraversa la mente è che questo sia uno dei tipici “inconvenienti d’Africa”. Hakuna Matata! Raphael e due altri uomini si mettono al lavoro, armeggiando con fili di ferro e strumenti improvvisati. Dopo qualche tentativo, finalmente… brum! Il motore prende vita, e siamo pronti per la nostra avventura. Non ho ben capito cosa è successo (qualcosa alle candele), ma poco importa: si parte!
La prima tappa della giornata è la “casa degli ippopotami”. Non appena alziamo il tetto della jeep, i bambini si mettono in piedi, pronti a scrutare l’orizzonte alla ricerca di animali. Il paesaggio è costellato di springbok, impala e damalisco che saltellano qua e là, mentre qualche giraffa elegante si staglia contro il cielo azzurro. Prima di svoltare verso l’area degli ippopotami, notiamo un gruppo di babbuini che si arrampicano sugli alberi, scatenando l’entusiasmo generale.
Arrivati al fiume, siamo sorpresi di poter scendere dalla jeep e avvicinarci al fiume senza alcuna protezione. Davanti a noi si dispiega uno spettacolo incredibile: più di cinquanta ippopotami riposano pigri nell’acqua, con solo le narici e le schiene che emergono dalla superficie. In lontananza, avvistiamo anche un coccodrillo, immobile come una statua, quasi invisibile tra le ombre. Gli ippopotami sembrano tranquilli, ma Raphael ci ricorda che sono animali molto aggressivi, nonostante il loro aspetto apparentemente pacifico. Mentre ci prepariamo a ripartire, un elefante maestoso appare tra gli alberi: un’apparizione magnifica che lascia tutti senza parole.
Proseguiamo la nostra esplorazione, questa volta con l’obiettivo di avvistare felini. Raphael guida attraverso piste nascoste e guadiamo diversi fiumi, ma i grandi predatori sembrano eluderci. Nonostante l’entusiasmo della mattinata, la delusione inizia a farsi strada tra i bambini: niente leoni o leopardi all’orizzonte.
È ormai ora di pranzo, e decidiamo di fermarci nell’area di Seronera. Il piccolo villaggio è attrezzato con tavolini ombreggiati da grandi ombrelloni di paglia, e diversi negozietti vendono souvenir locali. Il pranzo è semplice, un piatto di riso con pollo e verdure cotte, ma l’atmosfera rende il tutto speciale. I bambini, però, sono troppo presi dall’ambiente circostante per mangiare molto: la loro attenzione è tutta rivolta ai suoni e ai movimenti della natura intorno a noi.
Nel pomeriggio, riprendiamo la ricerca dei felini, ma la fortuna non è dalla nostra parte: i felini non si trovano! Nel frattempo in macchina c’è la passiamo con qualche esercizio di ginnastica.
Alla radio dicono qualcosa, Raphael inverte e la macchina e si dirige verso la pianura. Si dice ci siano dei Leopardi sull’albero. Parte la caccia… e Ale sembra capire la radio e rispondere! Eccolo la: un grande leopardo sull’albero… che poi scende, quasi a volerci mostrare tutta la sua bellezza.
Torniamo al lodge prima del tramonto.
Una volta tornati alla nostra tenda, i bambini si mettono a giocare, ricreando con i loro giocattoli tutte le scene viste durante la giornata. Alessandro, in particolare, è entusiasta: dispone tutti gli animali in un piccolo scenario di “savana” allestito fuori dalla nostra tenda. Io ed Elisabetta lo aiutiamo a mettere in scena lo spettacolo della savana.
La giornata si conclude con un senso di pace e serenità. Nonostante la pioggia che inizia a cadere nel tardo pomeriggio, impedendoci di ammirare il cielo stellato del Serengeti, la soddisfazione per le esperienze vissute è palpabile. LÈ stata una giornata lunga, forse faticosa, ma piena di momenti indimenticabili.
A tavola Alessandro è un po’ triste perchè non ha visto i leoni: Raphael gli promette che domani li troveremo.
Giorno 4 – Il saluto del Re
- Destinazione: Parco Serengeti
- Alloggio: Ngoro Ngoro Coffee Lodge
- Tempo in auto: circa 10 ore
Nel cuore della notte, Martina mi sveglia all’improvviso. C’è qualcosa che graffia fuori dalla tenda. L’oscurità è fitta e ogni rumore sembra amplificato. Tratteniamo il respiro, cercando di capire cosa possa essere. Forse una scimmia curiosa, o una mangusta in cerca di cibo? Nessuno di noi ha il coraggio di uscire, anche perché è vietato muoversi di notte. Decidiamo di calpestare con forza il pavimento, simulando una camminata per spaventare l’intruso. Dopo qualche istante, il rumore cessa, e ci riaddormentiamo, il cuore che batte ancora forte. Alle sei suona la sveglia, e il cielo è ancora avvolto nelle prime luci dell’alba. Il sole non è ancora sorto, ma l’orizzonte si tinge già di un blu pallido. Facciamo colazione velocemente, avvolti nei nostri piumini, cercando di combattere il freddo mattutino.
Il team del lodge ci aspetta all’auto, pronto a salutarci con un canto tradizionale:
Jambo, Jambo Bwana
Habari Gani
Mzuri Sana
Wageni Wakaribishwa
Serengeti Yetu
Hakuna Matata…
Le loro voci si levano nell’aria fresca, riempiendoci di gioia e di un profondo senso di appartenenza a questa terra meravigliosa. Con i cuori pieni di entusiasmo, partiamo per un’altra giornata nel cuore del Serengeti: c’è una promessa in ballo. Troveremo davvero di nuovo i leoni? Il paesaggio è familiare, ma ogni angolo della savana sembra nuovo sotto la luce del giorno che avanza. Alessandro scruta la savana dall’alto della jeep, mentre Elisabetta, con la sua solita precisione, si prepara a contare ogni animale che incontriamo. Giraffe maestose si muovono con eleganza, zebre e damalischi si spargono come puntini bianchi e neri sul giallo dell’erba secca. A un tratto, alla radio si sente concitazione: c’è un avvistamento. Raphael accelera, e ci dirigiamo verso l’ansa del fiume. Lì, davanti a noi, si erge il re della savana. Un leone solitario, imponente, con una criniera che ondeggia al vento. È un’immagine che sembra uscita da un libro di fiabe. Il leone ci osserva, quasi consapevole della sua regalità. Gli uccelli intorno a noi prendono il volo, segnale che è il momento di muoversi.
Poco più avanti, la strada è ingombra di una ventina di jeep: semaforo rosso? No, lì, nell’erba alta, si intravede una leonessa, accucciata, lo sguardo fisso verso ovest. Sembra preparare un agguato, ma non riusciamo a vedere la preda. Tutto si ferma, il tempo sospeso, mentre aspettiamo con il fiato corto. Minuti che sembrano ore. Alla fine, la leonessa si alza e se ne va, l’attacco fallito come accade spesso in questa terra selvaggia. E anche noi lasciamo la nostra postazione
Ma la nostra avventura non finisce qui. Proseguendo, avvistiamo due ghepardi sotto un albero, eleganti e potenti. Li osserviamo mentre si alzano e si addentrano nella savana, scomparendo nel giallo dell’erba alta. Il loro movimento è una danza, un’espressione perfetta della natura selvaggia. Torniamo all’area di Seronera, dove visitiamo anche il centro visitatori. Scopriamo la storia del parco e impariamo a distinguere le ossa degli animali. È un’esperienza educativa e affascinante, che aggiunge un altro tassello al nostro viaggio.
Il tempo vola, e dobbiamo uscire dal parco. Ci aspettano 170 km e più di tre ore di viaggio. Raphael, sempre desideroso di sorprenderci, decide di prendere una strada panoramica chiamata “7 colline”. Attraversiamo un’area paludosa, dove una mandria di quaranta elefanti ci attraversa la strada. Il loro passaggio è solenne, quasi mistico. Fermiamo la macchina, spegniamo il motore, rispettosi della loro presenza. In quei momenti, tutto il resto sembra irrilevante: il leone è il re della savana, ma sono gli elefanti i veri padroni del territorio.
La strada si snoda tra colline spettacolari, e ogni cima ci regala panorami mozzafiato. La savana si stende a perdita d’occhio sotto di noi, un mare dorato che ondeggia nel vento. Scattiamo foto memorabili, cercando di catturare l’immensità di questo luogo.
Proprio quando pensiamo che la giornata non possa migliorare, accade qualcosa di straordinario. Avvistiamo tre leonesse e tre giovani leoni su una roccia, che Alessandro battezza subito come “la rupe dei re”. Poco dopo, altri tre leoni maschi si avvicinano alla nostra auto, quasi accarezzandola con le loro criniere. È un addio spettacolare, un saluto dal re della savana che rimarrà impresso nei nostri cuori per sempre.
Prima di lasciare il parco, pranziamo nelle vicinanze: i bambini trovano un osso di giraffa che vorrebbero portare a casa come souvenir. Purtroppo, dobbiamo lasciarlo lì, seguendo le leggi che proteggono questo luogo straordinario.
Il ritorno al lodge è un viaggio silenzioso, interrotto solo dagli ultimi avvistamenti di gazzelle e giraffe (ancora tante!)
Rientriamo nella riserva del Ngoro Ngoro e cominciamo a intravedere i primi pastori Masai. Facciamo una breve sosta in un villaggio Masai, dove il tempo sembra essersi fermato. I Masai, che arrivarono secoli fa dall’Egitto, sono principalmente pastori nomadi, e il loro stile di vita è strettamente legato all’allevamento del bestiame, soprattutto bovini, che considerano sacri. Per loro, le mucche sono una fonte di cibo, ricchezza e status sociale: più mucche hai, più ricco sei, più mogli puoi avere. Il loro abbigliamento tradizionale è la “shuka”, un tessuto rosso vivo, spesso decorato con motivi a scacchi o strisce, che li rende facilmente riconoscibili. I Masai vivono in villaggi chiamati “enkang”, costituiti da capanne circolari costruite dalle donne con rami, erba, fango e sterco di vacca. Facili da montare e smontare. Una delle tradizioni più conosciute è il “Salto Masai”, un rituale in cui i giovani guerrieri (morani) competono saltando il più in alto possibile da una posizione eretta: partecipo anche io alla gara. Visitiamo il loro villaggio, le loro capanne. Ci fanno vedere come accendono il fuoco e la loro scuola. Uno spaccato di vita completamente africano.
Riprendiamo la strada Guardiamo il cratere dall’alto, maestoso e misterioso, un’immagine che ci accompagnerà nei sogni di questa notte africana.
Giorno 5 – Nel Parco Tarangire
- Destinazione: Parco Tarangire, Aeroporto di Arusha, Zanzibar
- Alloggio: Smiles Beach Hotel
- Tempo in auto: circa 8 ore
- Distanza: 200 chilometri (escluso il game dentro il Tarangire)
La sveglia suona più tardi del solito stamattina, ma l’emozione è sempre la stessa. Alle 8:00 siamo già in partenza, pronti per un’ultima avventura nel Parco Tarangire, la terra degli elefanti. Percorriamo la strada al contrario, scendendo dalla Rift Valley verso Makuyuni, un bivio a sinistra, e in circa 90 minuti siamo davanti al maestoso ingresso del parco. L’aria è carica di aspettative.
Raphael si occupa delle pratiche d’ingresso mentre noi fremiamo, già pronti per immergerci nella natura. Quando finalmente apriamo il tetto della jeep, l’adrenalina si fa sentire: siamo dentro, pronti a scoprire ogni angolo nascosto di questo straordinario ecosistema.
Il Tarangire ci accoglie con un paesaggio sorprendente, diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora: una foresta verdeggiante, quasi mistica, che nasconde più che svela. Le prime zebre si palesano davanti a noi, come guardiani silenziosi. Poi, all’improvviso, l’apparizione che stavamo aspettando: una famiglia di elefanti. Giganti gentili, che si muovono lenti ma maestosi, ci guidano fino al grande fiume Tarangire. Sulle sue rive, altri elefanti e bufali bevono indisturbati, ignari della nostra presenza. La scena è da togliere il fiato.
Proseguiamo, con l’attenzione sempre più acuta, quando una mandria di elefanti si avvicina così tanto che riusciamo a distinguere le rughe sulla loro pelle e ogni piega che racconta la storia di questi animali incredibili. I baobab che li circondano sono testimoni silenziosi di secoli di vita; alberi imponenti, alcuni dei quali hanno resistito per oltre 400 anni. Ma il futuro del parco appare incerto: le giovani piantine di baobab sono state decimate dai pachidermi, e si dice che tra 200 anni potrebbero non essercene più. Un pensiero che ci lascia con una strana sensazione di nostalgia per un domani che non vedremo.
Raphael, con il suo sesto senso da guida esperta, ci promette un incontro con il re della savana. E pochi minuti dopo, eccola lì: una leonessa che si muove furtiva tra l’erba alta, occhi fissi su una zebra ignara. Il cuore accelera. Lei si avvicina, preparandosi all’attacco, ma all’ultimo momento la zebra scappa. Agguato fallito. Noi, però, restiamo a bocca aperta: abbiamo appena assistito a uno dei momenti più crudi e spettacolari della natura.
Ci dirigiamo verso Matete, un’area pic-nic senza recinzioni, immersa nel cuore del parco. Scendiamo dall’auto, circondati dal silenzio della savana, interrotto solo dai suoni lontani della natura selvaggia. Ci sediamo a godere del nostro ultimo pranzo in questa terra che sembra uscita da un racconto epico, con lo sguardo che si perde nell’infinito.
Raphael per l’ultima volta carica il nostro lunch bag sulla jeep: siamo un po’ tristi. Ma la tristezza dura poco, perché quando ripartiamo alla radio dicono che una leonessa si sta gustando uno gnu all’ombra di un albero. In mezz’ora siamo lì. La leonessa sotto l’albero, zebre e giraffe si abbeverano alla pozza vicina, scrutando la leonessa. È vero che la sua preda ce l’ha già, ma non si sa mai.
Ma ogni avventura ha una fine. È ora di lasciare il parco e intraprendere il viaggio verso l’aeroporto di Arusha. Ci attendono 115 chilometri di strada, due ore per ripensare a tutto ciò che abbiamo vissuto. Sta arrivando il tramonto e il nostro piccolo aereo quasi rischia di non partire (già, questo aeroporto non ha il radar). Sorvoliamo l’Oceano Indiano: lì sotto nella notte scorgiamo luci di piccole imbarcazioni che vanno a pesca. Atterriamo al terminal nazionale, ritiriamo le valigie in poco tempo, mangiamo un poco al ristorante appena fuori e prendiamo un taxi che ci porterà a Nguwi. La giornata è stata faticosa, i bimbi crollano in macchina. E anche il papà.