Togo e Benin: due paesi da scoprire, in un viaggio fra tradizioni, magia e radici del mondo moderno. Il festival del Voodoo
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Così, per capire meglio, sono partita per un viaggio per conoscere due paesi dell’Africa Occidentale che non sono abitualmente battuti dalle rotte del turismo: il Benin e il Togo. Due stati confinanti e speculari, che riserveranno grandi sorprese a chi vuole avvicinarsi alla loro cultura e al loro modo di vivere: fra le altre, osservare la vita nel villaggio di palafitte più grande del continente, scoprire il culto dei fetish e le cerimonie del voodoo, con il grande festival dedicato a quest’ultimo e i riti per ingraziarsi gli spiriti, gli incredibili villaggi dei Tata Somba, patrimonio dell’Umanità Unesco, l’emozionante Porta del non ritorno a Ouidah.
Dieci giorni di itinerario che devono essere preparati con largo anticipo: è necessario effettuare i vaccini del caso e la profilassi anti-malarica, mentre per quanto riguarda il visto, si consiglia di rivolgersi ad agenzie specializzate, perché la procedura è molto macchinosa.
Il Togo e il Benin sono due paesi ospitali e aperti al viaggiatore curioso, ma ho sempre trovato opportuno essere accompagnata da persone del posto, sia per essere introdotti senza problemi nei diversi ambienti e alle persone, sia per capire il francese e i dialetti parlati dagli autoctoni, non sempre di facile comprensione. Il clima è caldo e l’infrastruttura turistica è molto essenziale: gli alberghi spesso non risultano all’altezza degli standard europei, ma sono comunque dotati di aria condizionata o di ventilatore; spesso manca l’acqua calda, ma date le temperature, se ne può fare a meno senza grossi problemi. Per arrivare, si possono utilizzare voli dell’Air France e della Brussels Airlines via Parigi per Cotonou, sede del governo del Benin, e per la capitale del Togo Lomé, quindi è necessario utilizzare un’auto privata, concordandone i termini in anticipo dall’Italia tramite un tour operator, poiché i mezzi pubblici sono quasi inesistenti: anche se siete provetti viaggiatori fai da te, per il Benin e il Togo vi consiglio caldamente di avvalervi dell’aiuto di esperti. Ma non fatevi scoraggiare dalle difficoltà iniziali: questo itinerario è destinato a coinvolgervi e a regalarvi esperienze ed emozioni assolutamente fuori dall’ordinario!
Per i lettori e viaggiatori di TPC, propongo il meglio di quello che ho visto durante la mia esperienza.
Ganvié, il villaggio sul lago
Pensate a una città di oltre 20mila abitanti… sull’acqua! Ecco lo spettacolo a cui vi troverete davanti visitando Ganvié, villaggio galleggiante costruito sulle palafitte: al posto delle strade ci sono i canali, anziché le macchine, le barche. Si arriva con un’imbarcazione a motore dalle rive del lago Nokwe e ci si perde nel dedalo di queste costruzioni in teak con tetti ricoperti da foglie. Qui, l’attività principale è legata al settore ittico, con pesca e allevamenti di pesce, che prospera nelle acque semisalate; proprio come in una moderna città, a Ganvié si trova tutto: ospedali, negozi, chiese, mercati galleggianti e stazioni per la distribuzione di acqua potabile. La maggioranza delle persone si sposta grazie a canoe guidate da semplici pali colorati. È interessante anche sapere che la città è stata costruita in questo posto difficilmente accessibile e infestato dalle zanzare non a caso: nelle acque lacustri, hanno cercato riparo gli uomini che scappavano dai mercanti di schiavi.
Oiudah, il punto di non ritorno
Dall’Africa Occidentale vennero deportate milioni di persone e proprio da questa città, che fu uno dei centri principali della triste tratta degli schiavi, si trova la Porta del non ritorno: si tratta di un monumento collocato nel punto da cui prendevano la via del mare le navi cariche di africani destinati ad essere venduti, anche con la complicità dei loro concittadini. Per ironia della sorte, questo luogo è caratterizzato anche da una bellissima spiaggia. Storie di vittime, in un posto che commuove e fa riflettere su questa pagina buia, ma che oltre ad aver sofferto la perdita della libertà e delle proprie origini, hanno lasciato una profonda eredità ai paesi in cui sono approdati: basta, infatti, ascoltare la musica locale, per ritrovare le radici di quella moderna. È necessario avere occhi e orecchie aperte per questo viaggio. Inoltre, Ouidah, è la capitale del voodoo africano, che rivive in quello del Brasile o nella Santeria di Cuba. È qui che si tiene ogni anno all’inizio di gennaio, il famoso e coloratissimo festival del Voodoo, pieno di musica, ritmi, danze e cerimonie. La festa richiama migliaia di adepti, capi tribù e preti fetish; è molto emozionante trovarmi nel bel mezzo di questo spettacolo: ci sono persone che mi invitano a ballare con loro (e loro hanno davvero il ritmo dei tamburi nel sangue), altre che mi danno tradizionali costumi per vestirmi e ancora chi mi spiega i singoli riti. Lungo la costa del Togo e del Benin, ho avuto modo di prender parte ad alcune di queste cerimonie, caratterizzate da un ritmo frenetico dei tamburi e dai canti degli adepti, sottofondo delle danze scalmanate di alcuni, che cadono letteralmente in trance. Da ricordare anche l’incontro con un guaritore, sintesi di vita spirituale e materiale.
Il voodoo: la religione della magia e del mistero
In ogni angolo di strada ci sono riferimenti riconducibili alla religione voodoo, che in Togo e in Benin s’intreccia spesso e convive con quelli cristiani. Sui riti ad essa legati sono improntati tutti gli aspetti e i luoghi della vita quotidiana: spesso, spostandosi, si scorgono un palo, una statua, un piccolo tempio e non è difficile avvertire in questo senso lo spirito del luogo e il forte legame con gli spiriti da onorare. A differenza di quanto crediamo in Italia, il voodoo non è negativo e maligno, ma anzi viene utilizzato per guarire, ingraziarsi le divinità al fine di avere una vita bella e superare un momento impegnativo. Il voodoo si vede anche sulle persone: capita di scorgere cicatrici rituali sul viso e sul tronco della gente, che ricorre alla scarificazione per definire la propria appartenenza ad una tribù o ad uno spirito. Ho fotografato questo giovane a Ketou, che rappresenta un perfetto equilibrio fra modernità e tradizione: in faccia aveva i tagli del voodoo, si spostava a bordo di una moto potente, ed era vestito con abiti locali.
Le celebrazioni di Sampetou: la fusione di magia e colore
Parlando di voodoo, uno degli spettacoli più suggestivi a cui ho potuto assistere sono le celebrazioni di Sampetou: ci sono figure che girano – ovviamente, animate da uomini al loro interno, ma gli abitanti sostengono che si muovano da sole – che durante la notte (di cui gli autoctoni hanno paura, essendo terrorizzati dal buio) hanno la funzione di proteggere i villaggi. Possono avere anche ornamenti spaventosi, quali le teste di scimmia, utilizzate a volte in quantità difficili da immaginare. A Gran Popo, in questa occasione, ci sono anche musiche moderne, con ballerini e colori ovunque… è davvero bello immortalarli. Qui non ci sono problemi con le fotografie, ma a volte questo non viene apprezzato, ed è sempre meglio capire con l’aiuto degli intermediari locali quando è il caso di mettersi all’opera. Vero è che in alcune parti gli abitanti hanno gli smartphone e sono loro stessi a fotografare quello che li circonda!
Il fetish: come ingraziarsi gli dei
Una buona gravidanza, un figlio sano, una buona salute, il successo negli affari… sono tante le richieste che gli abitanti del Benin e del Togo – come del resto quelli di tutto il mondo – fanno alle loro divinità. Per assicurarsi la protezione di queste ultime, ci sono i rituali fetish da seguire: in particolare, sono rimasta impressionata dall’esperienza a Dankoli, un luogo molto potente in cui vivono gli spiriti e si può chiedere una grazia. Dopo che il desiderio si è avverato, la persona è tenuta a mantenere la propria promessa, e questo si traduce in genere nel sacrificio di un animale… anche se poi ne trae diretto vantaggio il sacerdote, che di fatto se ne ciba! Per i rituali fetish esistono veri e propri mercati: quello più famoso si trova a Lomé, capitale del Togo, dove mi sono imbattuta in teste di scimmie, coccodrilli e serpenti essiccati, migliaia di uccelli e camaleonti, tutti mummificati per essere utilizzati in queste cerimonie. Armata di macchina fotografica, ho immortalato un tipico fetish che protegge un paese: è pieno di persone che arrivano apposta per porgergli le loro richieste, e il fazzoletto che aveva appeso al collo è sporco perché ‘nutrito’ dai frutti della terra, come l’olio, dedicato alla scultura.
Incontri e scorci
Il mondo del Benin e del Togo riserva continuamente sorprese: un incontro e un paesaggio possono rivelarsi esperienze uniche. Nelle zone rurali, dove le persone vivono in tradizionali villaggi, non esistono supermercati o negozi come li conosciamo: il mercato viene allestito sempre lungo le strade e così, spostandomi nel paese, mi è capitato di vedere esposizioni di… bare a cielo aperto e venditori di benzina, che viene offerta in damigiane di vetro. Emozionanti i tanti incontri in due paesi legatissimi alla tradizione, dove purtroppo sopravvivono ancora pratiche barbariche quali l’infibulazione, seppur contrastata sul territorio da diverse ONG. Parlando di faccia a faccia positivi, ricordo in particolare quello con il re di un villaggio, vestito con abiti sgargianti, che ha accettato di farsi fotografare…solo a patto di avere una fotografia su carta, che ho potuto realizzare grazie ad una ministampante portata in viaggio, insieme a me e alla mia compagna di avventure. E alla fine, tutto contento, ha mostrato alle sue mogli questo “trofeo”! Un altro che val la pena di menzionare è un sacerdote a Taneka Koko, con una decorazione al collo fatta di osso, una lunghissima pipa e una veste rituale ridottissima che gli copriva i genitali, ricavata dalla pelle di una scimmia che egli stesso aveva cacciato e ucciso.
Tata Somba: i villaggi Patrimonio dell’Umanità
Una tappa importante del mio itinerario è stato il villaggio di Tata Somba, uno di quelli compresi fra Naititingou e Wukumbe proclamati patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: simbolo della vita tradizionale, si trovano nella parte settentrionale del Benin e del Togo e sono formati da almeno sette tipi di case a più piani. È possibile visitarli, passando dalle strette e scomode porte che a volte si riducono a passaggi grandi quanto un oblò, essendo queste costruzioni nate come fortificazioni. Spiriti, animali appesi al piano terra, utilizzato come cucina, un’aria pesante hanno reso questa esperienza, per me, non particolarmente felice. Nonostante si tratti di un bene inserito fra i Patrimoni dell’Umanità Unesco, sono davvero pochi i turisti che arrivano fino a qui, spaventati anche dalla passata epidemia di ebola, che nei fatti, però, non ha minimamente toccato i due paesi.
Le spiagge: natura selvaggia da ammirare
Le spiagge di questi paesi, come quella di Gran Popo, sono posti suggestivi, caratterizzati da sabbia gialla e dalle palme, ma il Benin e il Togo non sono certamente la prima meta a cui pensare se si vuol trascorrere una vacanza al mare. Questi litorali sono comunque un buon posto in cui trascorrere qualche ora, ma attenzione a fare il bagno, perché ci sono delle correnti fortissime; è probabilmente più sicuro farsi una nuotata nelle piscine degli alberghi circostanti.