Prima volta in Asia: poca Thailandia, molto Vietnam e un po’ di Cambogia

Scritto da: beatribbi
prima volta in asia: poca thailandia, molto vietnam e un po' di cambogia

Avviso che il reportage del nostro viaggio sarà privo di dettagli sui nomi dei ristoranti dove abbiamo mangiato e sul prezzo esatto di spostamenti/attrazioni, perché presa dall’entusiasmo ho dimenticato di prenderne nota. Ad ogni modo, let’s go!

Partenza per Bangkok da Milano Malpensa il 9 agosto 2023 con volo Air India. Scalo a Dehli di alcune ore, necessarissime per non perdere il secondo aereo dal momento che in controlli indiani sono oltremodo pedanti (e lentissimi). Air India è una compagnia low cost che comunque fornisce pasti completi ogni 4/5 ore. Abbiamo pagato 1080 euro a testa A/R prenotando il viaggio a maggio. Rispetto a qualche anno fa i prezzi dei voli hanno fatto un’impennata, tenuto anche conto che il periodo in cui siamo andati è considerato di bassa stagione, ma rispetto ad altri viaggiatori che abbiamo incontrato durante il viaggio ci è parso di aver trovato una buonissima tariffa.

L’impatto col caldo tropicale della Thailandia è forte, soprattutto dopo due giorni di criogenesi negli aeroporti. Prendiamo un bus da 60 bath (circa 1,50 euro) dall’aeroporto al centro, come consigliato dall’hotel in cui abbiamo prenotato. Ad ogni modo, io consiglio di prediligere il treno che fa la spola della stessa tratta, in quanto le strade intorno a Bangkok sono sempre trafficatissime. Ci diamo una lavata al nostro KC guest house, minimal ma dignitoso, e ceniamo nel ristorante al piano terra dove assaggiamo il Pad thai più buono della vacanza. La movida della Khao San Road è a pochi passi da noi, ma siamo veramente distrutti e l’unica cosa che ricordo del veloce e folle giretto tra le bancarelle di street food è una blatta grande quanto un mio piede. Meglio andare a dormire!

Diario di viaggio

Giorno 1, Bangkok

Caldo, caldo, caldissimo! Sapevo che non sarebbe stato facile, ma abituarsi alle temperature è dura. Ci avviciniamo al molo sul fiume, dove prendiamo un traghetto che ci lascia alla fermata Tha Chang, di fronte al Grande palazzo reale. Tra le orde barbariche di turisti cinesi, spuntiamo solo noi due occidentali. Le guardie all’ingresso ci fermano subito: siamo gli unici a non essere vestiti in maniera appropriata! Ale, che è in pantaloncini, noleggia nel negozio di fronte all’entrata dei pantaloni con gli elefanti per 150 bath (pantaloni che poi deciderà di tenersi, spinto dalla voglia di fare il fricchetone asiatico); io, in canotta, decido di non piegarmi alle logiche del mercato acquistando una t-shirt brutta che a casa non metterei mai, così stabilisco di trascorrere tutta la visita indossando la mia felpa a maniche lunghe. È passato un mese e sto ancora sudando.

Il palazzo reale è bellissimo, nonostante sia inondato di gente (mi chiedo ancora come possa essere in alta stagione). Il nostro tour tra templi e statue dalle fattezze demoniache (che ricordano molto i volti dei nostri amici dopo serate impegnative) dura circa tre ore. Conclusa la visita, ci spostiamo a piedi nel vicino Wat Pho che ospita l’enorme Buddha sdraiato: imperdibile in una tappa veloce a Bangkok! Mi sono quasi commossa. In realtà, l’enorme statua del Buddha è solo una piccola parte dell’intero complesso: ci sono zone in cui perdersi e fare le foto a strani cani-pilastri, tartarughe, dong giganti e monaci che passeggiano indisturbati.

Ci perdiamo a fare foto fino all’ora di pranzo. La Lonely Planet consiglia uno street food poco distante, ma il luogo non mi ispira affatto. Finiamo in un ristorantino un po’ pretenzioso per gli standard, dove mangiamo abbastanza bene ma a un prezzo superiore alla media. In compenso, c’è un’aria condizionata che ci aiuta a riprenderci.

Ci dirigiamo verso il mercato degli amuleti adiacente al molo sul Chao Phraya, Tha Maharaj. Purtroppo quando arriviamo sono già passate le 17 e le bancarelle stanno chiudendo. Decidiamo quindi di visitare il famoso Wat Arun al tramonto, che raggiungiamo con una sola fermata di battello. La costruzione è molto interessante e troviamo strano il fatto che sia letteralmente invaso da asiatici vestiti alla moda tradizionale thailandese, giunti lì da ogni parte per farsi fotografare con il grande monumento buddista sullo sfondo.

Qualcuno direbbe a questo punto: bene, ora però è il caso che vadano a farsi una doccia! In realtà abbiamo l’adrenalina alle stelle, e il nostro tempo in Thailandia ha le ore contate. Torniamo verso la nostra Guest house ma, invece di fermarci, cerchiamo di ripercorrere quella famosa Khao San Road tanto decantata dalla guida come “paradiso dei Backpackers” che la sera prima ci ha un po’ traumatizzati. A quest’ora è decisamente meno affollata, e noi siamo decisamente più lucidi: mi mangio un Roti banana-nutella da una bancarella, poi io e Ale ci beviamo qualche birretta ascoltando uno stonatissimo musicista che prova a intrattenere i pochi clienti. Chiamo mia mamma: ma da quanto siamo in viaggio, sei mesi? Ripercorriamo Khao San Road travolti dalle persone che ci invitano a prendere posto nel loro locale, pietanze alla griglia, coccodrilli disidratati, discoteche all’aperto, e altre offerte di ogni tenore che non è il caso di riproporre qui.

Preferiamo mangiare nella strada parallela, più tranquilla e godibile, e fermarci in uno dei tanti Cannabis store che in Thailandia prolificano dopo il via libera del governo. Un tizio mi abborda mentre Ale è in bagno: deve rimanere negli Annales, perché non accadeva dal ‘92.

Giorno 2, Bangkok/Hanoi

Purtroppo è già ora di impacchettare. Mangiamo una colazione all’americana all’H café (bono), poi prendiamo un bus verso il Chatuchak Weekend Market che è in una zona nuova rispetto all’area di Bangkok in cui abbiamo bazzicato noi. Il mercato coperto, il più grande di Bangkok, si svolge solo nei weekend, ed è gigante ma poco autentico. Si trova di tutto: c’è la parte relativa all’artigianato, la parte abbigliamento nuovo, usato, stampe, libri, etc. Sarà perché abbiamo dieci chili di zaini sulle spalle, ma rimaniamo un po’ delusi: ci sembra un posto molto turistico, e anche i prezzi sono medio-alti.

Dopo esserci bevuti il primo (ma non ultimo) cocco della vacanza, riprendiamo la nostra strada verso l’aeroporto di Don Mueang. Il bus che prendiamo è l’A1, che ci porta alla meta in una decina di minuti. Sui tabelloni vediamo un sacco di voli cancellati… ma Hanoi, della AirAsia, compare in orario. Evvai! L’ansia da cancellazione volo sarà una costante della nostra vacanza, ma per oggi ci è andata bene. Mentre siamo in aeroporto, vengo contattata dall’hotel che ho prenotato per la notte: tra il mio inglese maccheronico e quello della receptionist, capisco che la nostra camera non è più disponibile. Ci cambiano hotel. È un problema? Guardo Ale, rassegnata. Era l’unico hotel dell’intera vacanza prenotato dall’Italia. Facciamo spallucce.

Quando atterriamo in Vietnam è già notte: il sole tramonta intorno alle 18. La temperatura sembra più sostenibile rispetto a quella della Thailandia. Prendiamo un Bus dall’aeroporto che dopo un giro allucinante e oltremodo lungo, ci lascia a piedi in mezzo ad una strada trafficata, e non vicino al lago Hoan Kiem come concordato. Tutti i passeggeri sono accigliati. Chissà se era un bus di linea o solo un privato furbone! Ci facciamo mostrare la posizione del nostro hotel su Google maps (abbiamo deciso di non comprare una scheda internet per disintossicarci un po’ dai telefoni). Il nostro nuovo hotel è a venti minuti a piedi. Facciamo spallucce ancora: siamo stanchi ma ci incamminiamo, anche perché l’atmosfera che si respira è magica.

Sarà che è il weekend, ma in giro ci sono trilioni di persone: bambini che giocano, famiglie, street food, motorini, bancarelle. Arrivare all’hotel è impattante. Il vero e proprio “shock asiatico” di cui abbiamo sentito parlare lo proviamo qui per la prima volta. Dopo aver lasciato i bagagli al nuovo hotel, Memory Premier Hotel&Spa, ci fiondiamo a mangiare in un ristorante vietnamita delle vicinanze. Da provare i Roll Spring, che arrivano nel piatto ancora “da arrotolare”. Buonissimi!

Nella hall, Ale vede la seconda blatta della vacanza, di cui però mi parlerà alcuni giorni dopo. C’è odore di umidità e l’hotel non è di certo tra i migliori in cui soggiorniamo. Eppure siamo distrutti e dormiamo bene nonostante le camere poco insonorizzate e il casino che filtra dall’esterno.

Giorno 3, Hanoi

Fame da lupi! Cerchiamo un posto in cui fare colazione, ma è molto difficile: qui la mattina si mangia solo il pho, una zuppa vietnamita preparata con pasta lunga e con carne di manzo o di pollo. Leggermente too much per le nove di mattina. Ripieghiamo su un piccolo caffè di fronte all’ingresso del tempio sul lago e vicino al teatro delle marionette: da Google Maps sono risalita al nome, che dovrebbe essere Trà Kem Putin. Mangiamo una scodellona di frutta fresca con lo yogurt. Supertop, il mango qui ha il sapore… di mango! Il ragazzo che ce lo serve è un appassionato del Milan, e Ale quasi si commuove.

Visitiamo il Đền Ngọc Sơn, il tempietto al centro del lago, dove mi ritrovo invischiata in una conversazione in inglese con un bambinetto vietnamita che chiede aiuto ai turisti per migliorare nella lingua. È capitato male, perché parla inglese molto meglio di me! È il primo di una lunga serie di bambini che, in giro per Hanoi, ci chiederanno di fare conversazione per lo stesso motivo.

Decidiamo di seguire il percorso consigliato dalla Lonely planet per visitare la città vecchia. Ci perdiamo tra i vicoletti cercando di non farci prendere sotto dai miliardi di motorini, passando per negozi di lapidi e mercati del pesce. Concluso il giretto, fermiamo un risciò per farci portare alla famosa Strada del treno, che dovrebbe passare di lì a poco. A vedere il povero signore di mezz’età pedalare con il caldo mi sento un po’ una schiavista, ma per fortuna la tratta è abbastanza breve. Gli compriamo una bottiglietta d’acqua e ci riproponiamo di non usare più quel mezzo di trasporto vecchio stampo. Il passaggio del treno non è onestamente niente di che: i turisti si affollano a fare video, ed essendo noi arrivati all’ultimo momento siamo nei tavolini più interni del bar, quindi vediamo poco. Comunque la strada col binario è suggestiva, e beviamo volentieri il nostro Frozen Mango. È solo il terzo giorno e già mi sto dimenticando delle indicazioni dell’ASL: non bevete ghiaccio…

Percorriamo la strada sul binario, poi svoltiamo sulla vialone principale e ci dirigiamo verso il Tempio della letteratura. Non è dietro l’angolo, ma abbiamo detto niente più risciò! Il complesso è carino, e ce lo godiamo anche se cominciamo a perdere le forze. Stiamo sudando da quanto, sette ore? Sette giorni? Ho perso il conto. Mi sembra di non aver mai vissuto un’epoca in cui le magliette non erano zuppe. Dopo la visita ritorniamo verso la città vecchia, passando per una zona in cui si vendono solo cornici per quadri. Inizia a calare il sole, e quando cominciamo a costeggiare il lago Hoan Kiem nella parte occidentale, ci ritroviamo davanti a gruppetti di signore di mezza età vestite di fucsia che ballano danze tradizionali, in maniera poco sincronizzata ma molto divertente.

Abbiamo prenotato lo spettacolo delle 20.30 al teatro delle marionette: Ale è perplesso, e invece la performance è molto interessante e anche lui ne rimane estasiato. Per fortuna prendo uno dei volantini esplicativi all’ingresso per capire che tipo di episodio di vita quotidiana vietnamita viene rappresentato sulla scena: lo spettacolo è interamente in lingua originale. Concludiamo la giornata con frutta e yogurt. Domani si riparte!

Giorno 4 Hanoi/Cat ba

Con un bus prenotato la sera prima da una delle decine agenzie turistiche in giro per Hanoi, viaggiamo verso l’isola di Cat Ba, trattati un po’ come delle pecorone dalla capo-bus che ci indica la direzione con un megafono in mano e un inglese più stentato del mio. L’autobus si ferma nel porto di fronte a Cat ba, il Tuan Chau, dove un traghetto ci porta sull’isola. Da lì prendiamo un altro bus che arriva al centro della città di Cat ba. Cavolo, questi vietnamiti sanno organizzarli proprio bene gli spostamenti!

Lasciamo le valige al nostro hotel, il Mountain Pearl Hotel, senza infamia e senza lode (ma per 13 euro basta che stia in piedi), e in un ristorantino lì vicino io prendo una zuppa pho che lascio interamente ad Ale (la carne lessa non fa proprio per me).

Prenotiamo un tour per l’indomani in una delle agenzie citate dalla Lonely planet, la Cat ba Ventures, che effettivamente mi sento di stra-consigliare. Poi “noleggiamo” (senza consegnare documenti o patente) un motorino al nostro hotel. Ci arrivano due caschi malandati che faticano a chiudersi. Io faccio un respirone zen. Ci fermiamo a fare benzina in un posto in cui c’è scritto GAS. La tizia tira fuori una bottiglietta da litro con della benzina, e poi con un imbuto ci riempie mezzo serbatoio. Ok. Tanto non sappiamo dove andare.

Prendiamo l’unica strada che c’è, fino a quando non vediamo comparire delle indicazioni per il parco nazionale di Cat ba. Attraversiamo risaie, paesini e montagnole “a panettone”, poi raggiungiamo un parcheggio da cui parte una camminata nella foresta fino ad un punto panoramico dall’alto che la guida descrive come il più bello della baia. Mi cospargo con il solito anti-zanzare Jungle formula forza 4, solo che sulla pelle sudata mi brucia tantissimo, e io sto cominciando a perdere un po’ di colpi: il nostro giretto nella foresta dura circa dieci minuti (non tutti i trentini amano il trekking!). C’è troppa cappa, non riesco a respirare e il percorso è ovviamente tutto in salita.

Il fresco sul motorino mi fa riprendere. Ci fermiamo in una spiaggetta fuori dalla città di Cat ba (credo si tratti di Tung thu beach), dove siamo gli unici in costume tra le famiglie vietnamite che fanno il bagno. Ci addormentiamo come delle pere cotte. Torniamo in hotel per una meritata doccetta e la sera mangiamo pesce in uno dei ristoranti della cittadina. Non vediamo l’ora sia domani. Mentre cerco un gelatino al cocco, vedo una blatta: ho capito che questo è un rito che decreta la fine delle mie giornate.

Giorno 5, Cat ba/Tam Coc

Sveglia neanche troppo presto per raggiungere l’ufficio della Cat ba Ventures, dove veniamo portati da un mini van al porto di Cali Beo (credo). Il ferry che ci accompagnerà nel giro turistico per la baia di Lan Ha e poi Ha long è molto carino, e ospita circa 25 persone. Trascorriamo la prima parte del tour sulla parte esterna del ferry, dove ci sono sedie e sdraiette. Il meteo è perfetto perché non c’è il sole ed è abbastanza coperto per non rischiare di schiattare di caldo. Non mi soffermo qui a descrivere la bellezza del paesaggio circostante, perché non riuscirei a trovare le parole adatte. Dico solo che le foto, anche quelle su internet, non rendono minimamente la bellezza del luogo. Avevo paura di trovare orde di turisti e vagonate di sporcizia, invece il nostro tour ha toccato punti quasi del tutto privi sia dell’una che dell’altra, fattore per cui mi sento di consigliarlo caldamente.

Per dire: quando il ferry si è fermato in una baietta, ho fatto l’ennesimo respirone zen, e… mi sono tuffata in mare. Questo prima di venire a sapere che ogni tanto in quella zona ci sono meduse dal diametro di due metri, ovviamente. Dopo un pranzo squisitissimo di carne e pesce condiviso con altri cinque passeggeri, ci spostiamo in una zona dove le guide ci hanno scortato con i kayak. Molto suggestivo il giro nelle cavarne (zeppe di pipistrelli) e molto emozionante anche cercare di avvistare qualche scimmietta tra i rami vicini all’acqua. L’agenzia aveva già predisposto per alcuni passeggeri (tra cui noi e i ragazzi spagnoli con cui abbiamo condiviso il pranzo) un rientro anticipato sulla terraferma per poter partire alla volta di Ninh Binh. Un “taxi-boat” bello arrogante (per usare un eufemismo) ci porta diretti al porto, dove ci sta già aspettando un minivan. Dall’ufficio in centro città parte quindi un bus che, in circa 5 ore, arriva nel centro di Tam coc (paese più turistico rispetto a Ninh Binh) dove noi avevamo prenotato l’alloggio per la notte (Tam Coc sweet home, 13 euro a notte con colazione e uno degli alloggi più carini della vacanza). L’intero tour in barca (comprensivo del pranzo) e lo spostamento per Ninh Binh (incluso il taxi-boat) ci costa circa 50 euro a testa.

Tam Coc è turistica e piena di localini. Mangiamo l’immancabile piatto di mango e alcuni involtini, birrette di rito, poi nanna.

Giorno 6, Tam Coc

Noleggiamo un motorino (questa volta dotato di caschi che sembrano quasi dei caschi veri) e ci dirigiamo verso Mua Caves, a pochissimi chilometri di distanza dal centro. Ci si incammina su una montagnetta simile a quelle che abbiamo già visto a Cat ba, percorrendo una lunga scalinata per arrivare sulla cima, da cui si gode una vista mozzafiato. La camminata non è particolarmente impegnativa, neanche per me che sono una schiappa, e ci mettiamo circa un quarto d’ora con le dovute pause. Nel punto più alto c’è un enorme dragone di pietra che si sviluppa lungo la cresta della montagna. Già che ci siamo, aiutiamo una vecchietta russa che si autodefinisce “babuska” a salire vicino al dragone per una foto, rischiando la vita sugli speroni affilati della roccia con delle ciabattine aperte. Foto scattata e babuska salvata, possiamo scendere, facendo qualche foto all’infinito paesaggio circostante fatto di risaie di verde brillante.

Capiamo che il motorino è stata una scelta saggia rispetto alle biciclette, perché fa un caldo devastante nonostante siano solo le dieci di mattina. Ci avviamo verso Trang An perché i giri in barca sul fiume Tam Coc sono momentaneamente sospesi (una guida ci spiegherà che i barcaioli, famosi per remare anche con i piedi, sono “in sciopero” perché un ricco investitore cinese vuole rilevare l’intera zona, osteggiando dunque quell’attrazione turistica di cui i locali vivono). Optiamo per scegliere, tra i vari percorsi lungo il fiume, il numero 3: ho letto su internet che è quello più “completo”, con una giusta dose tra visita di caverne e tempietti. Le barche ospitano quattro persone, così ci uniamo ad un’altra coppia di italiani: la povera rematrice che ci viene assegnata si sorbisce tre ore di chiacchiericcio costante e quando si profila in lontananza il punto di arrivo, comincia a superare tutte le altre barche per farci smontare in fretta e furia. Il paesaggio ci ricorda molto quello dell’isola di Cat ba (non a caso la zona viene definita l’Ha Long bay sulla terra) ma il giro è comunque molto piacevole.

Salutiamo i nostri nuovi amici italiani (li rincontreremo in altre tappe del nostro tour del Vietnam) e ci fermiamo a pranzare in uno dei localini sulla strada. Ce la prendiamo comoda, un po’ perché abbiamo proprio bisogno di riposare davanti a dei ventilatori, un po’ perché il servizio vietnamita è sempre lentissimo (soprattutto quando ordini il caffè, che qui ha un rituale molto lungo). Quando ci muoviamo non manca tanto al tramonto, così decidiamo di vedere almeno la Pagoda Bich Dong. Nonostante siano solo le 17 e 30, quando arriviamo è chiusa, ma facciamo comunque qualche foto dall’esterno perché l’ingresso principale incastrato nella montagna è davvero suggestivo.

Torniamo al nostro hotel a prendere gli zaini, e chiediamo al ragazzo alla receptionist di poter usufruire del bagno di una delle camere pagando qualcosa. Permesso accordato! Ci vengono date le chiavi della nostra “vecchia” camera, che già era stata pulita, in modo da poterci fare una doccia prima della lunga traversata notturna che ci aspetta (al ragazzo diamo, mi pare, 200 mila dong, che sono circa 7 euro. Tenete conto che per il noleggio del motorino per tutto il giorno abbiamo pagato 150 mila dong!).

La traversata da Tam Coc e Hué ci prende quasi tutta la notte: partiamo alle 20.30 e arriviamo circa alle 7 di mattina. Nelle cuccette del nostro sleeping bus ci stiamo a fatica (Ale è alto un metro e novanta…) e, in più, la guida vietnamita è spaventosa: clacson a palla, sorpassi spericolati, frenate brusche. Continuo a ripetermi che siamo su un bus per turisti e che se non fosse sicuro non ci salirebbe nessuno… vabbé, non funziona benissimo. Mi prendo giù qualche goccetta ai fiori di bach, Ale tira la tendina in modo che io non veda la velocità a cui viaggiamo, e incredibilmente mi addormento.

Giorno 7, Hué

Non ci credo… è giorno, e siamo ancora vivi! Il sole è azzurro sopra la città di Hué (male, malissimo: le giornate di sole sono le più difficili quando si vuole andare per siti archeologici). Raggiungiamo a piedi il nostro alloggio per la notte (Eva hotel), che per la nostra solita fortuna si trova a poche centinaia di metri dal punto in cui ci ha scaricati il bus. Siamo un po’ indecisi sul da farsi, perché l’emozione di essere sopravvissuti alla notte è passata, ma è rimasto un grande sonno. Comunque, la stanza non è ancora pronta, così seguiamo il consiglio della proprietaria dell’hotel e facciamo un giro nei dintorni. Superiamo il “fiume dei profumi” e ci immergiamo negli odori del mercato di Hué: questo si che è autentico, non come quello di Bangkok! … anche troppo. Alcune zone del mercato sono per stomaci forti. Noi ci fermiamo nelle bancarelle che vengono buddha e altri oggetti tipici vietnamiti.

Un po’ per la nottataccia, un po’ per il sole che oggi brucia anche l’anima, io e Ale (ma diciamoci la verità: più io che lui) non siamo al massimo delle nostre forze. Torniamo in hotel per una pennichella di un paio d’ore, in modo da poterci concentrare nel pomeriggio su alcune delle tombe imperiali fuori città, che raggiungiamo con un motorino noleggiato dalla signora Eva. Mentre dormivamo il cielo si è un po’ coperto, e anche i poveri vietnamiti che solitamente si bardano con felpe a maniche lunghe, mascherine e guanti per evitare di abbronzarsi, possono cominciare a svestirsi.

Visitiamo due tombe. La prima, la tomba dell’imperatore Khai Dinh, si trova a circa 11 km dal centro di Hué ed è un complesso davvero imponente. Molto interessanti le statue, tra cui quelle raffiguranti le guardie imperiali, che mi hanno un po’ ricordato i soldati dell’esercito di terracotta. Anche la parte interna, dove è contenuta la vera e propria tomba dell’imperatore, è carina nonostante sia un po’ kitsch. Mi sono piaciute molto le varie fotografie dell’epoca custodite in questa zona (l’imperatore è morto nel ‘25, due anni dopo che è nata mia nonna: il confronto tra il nostro mondo dell’epoca e questo è sempre impattante e fonte di riflessione).

La seconda che visitiamo è la tomba dell’imperatore Tu Duc. Arriviamo verso l’ora della chiusura (intorno alle 17.30) e non c’è quasi nessuno. La tomba, in realtà, è un complesso di palazzi e templi sparsi in un’area di 12 ettari tra boschi di pini e frangipani. Anche qui la passeggiata è molto piacevole, nonostante io abbia apprezzato maggiormente le particolarità della prima tomba visitata.

Torniamo verso la città che il sole sta tramontando di fronte ai nostri occhi. Magico! Che bella vacanza, vorrei non finisse mai. Ci fermiamo a mangiare in un ristorante consigliato dalla nostra guida (su maps si chiama: Hanh Pancake) con un menu fisso a pochi dong. Davvero ottimo!

Niente blatte all’orizzonte, ma comunque si va a dormire.

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