Namibia: dune, deserti e parchi

Quattromila chilometri alla ricerca di animali, natura e popoli tra panorami mozzafiato che la mente e lo spirito fotografano come una sorta di purificazione
Scritto da: a.a.
namibia: dune, deserti e parchi
Partenza il: 09/08/2013
Ritorno il: 23/08/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Quattromila chilometri alla ricerca di animali, natura e popoli. Brevi tappe nel cuore della Namibia concentrate all’Etosha e nei deserti del Namib e Kalahari. Caledoscopici scenari che la natura non smette mai di cambiare, in panorami mozzafiato che la mente e lo spirito fotografano come una sorta di purificazione. L’Africa fa riscoprire le proprie radici e la natura stessa dell’uomo ancora non del tutto condizionata dagli stereotipi del Vecchio Continente.

VENERDÌ 9 AGOSTO 2013

Partiamo da Roma Fiumicino alle 14 con scalo a Il Cairo (€ 1400 andata e ritorno). Il breve volo verso la capitale egiziana ci da il primo assaggio delle fatiche che andremo ad affrontare. Lo scalo è lungo di sei ore. Il piccolo aeroporto internazionale viene sviscerato in ogni suo angolo alla ricerca di qualche souvenir. Le confortevoli sale imbarco aprono solo poco prima della partenza del volo, ci resta il bar-ristorante per sederci e riposare. Scopriamo che è un punto di ritrovo di “Avventure nel Mondo”, incrociamo le comitive di turisti che s’incontrano per intraprendere l’ultima tappa in destinazioni africane o asiatiche. Ci fermiamo a parlare con loro, c’è chi parte per il Madagascar e chi per la Tailandia. Siamo gli ultimi ad imbarcarci, il nostro volo è alle 23.05 in direzione Jo’sburg.

SABATO 10 AGOSTO

Arriviamo a Jo’sburg alle 7.15. Un aeroporto che conosciamo, il Sudafrica è stata tappa di altri viaggi. Ci sembra quasi uno spreco fare scalo qui e non poterla visitare. Tentiamo un disperato imbarco al volo delle 9.30, ma è pieno e restiamo a terra. Altre 6 ore fermi in attesa del volo. Una visita all’enorme negozio che vende souvenir dell’Africa, qui ci ricolleghiamo con il mondo acquistando una connessione internet, l’adattatore della corrente è quello che avevamo acquistato in precedenza e che ci servirà anche in Namibia, ma ci accorgiamo che ci sono anche delle prese come le nostre.

Partenza per Windhoek alle 13.15 (€ 650 andata e ritorno ma si può trovare anche a meno) e arrivo alle 14.20 (per la prima volta cambiamo fuso orario, -1 rispetto all’Italia). Ritiriamo l’auto a noleggio, non prima di sbrigare le mille pratiche che richiedono qui. Attenzione, l’auto è coperta da una assicurazione con franchigia, è sempre meglio farne un’altra che copre da ogni rischio. Ci consegnano una VW Polo con 10.800, bianca, poi ci accorgeremo che è il colore di quasi tutte le auto che circolano, poco accessoriata ma con l’aria condizionata (inevitabile nella loro estate quando le temperature salgono).

Raggiungiamo Kalahari Sands Casino (€ 94), un lussuoso Hotel al centro della capitale. È al secondo piano di un edificio che ospita un centro commerciale nel cuore di Windhoek, lo abbiamo scelto proprio perché ci poteva permettere di comprare il necessario per affrontare il viaggio. Invece, con sommo dispiacere, ci accorgiamo che è già passata l’ora di chiusura e troviamo una città morta. Anche nell’area dei ristoranti e bar troviamo chiuso. Il sole tramonta in fretta in Namibia ad agosto, sono le 18 ed è buio. Dopo una rinfrescata scendiamo per strada, sulla Independence Avenue che taglia la capitale, ci sono delle luci su un terrazzino, sono del Ristorante Grand Canyon Spur, decidiamo di fermarci per cenare (€ 16). Sono gentili e carine le ragazze che ci servono, pronte alla conversazione e allo scherzo.

DOMENICA 11 AGOSTO

Dopo aver riposato, all’alba ci incamminiamo verso il Parco Nazionale dell’Etosha. Approfittando di una delle poche strade asfaltate del Paese abbiamo “macinato” gli oltre 400 km tutti di un fiato. Solo i tentativi di scattare foto agli animali che vedevamo sul ciglio: prima le scimmie, poi i facoceri, quindi orici e springbok. I termitai incontrati all’uscita di Windhoek, come torri nella savana, ci costringevano a rallentare per essere ammirati, così come le formazioni montuose fatte di blocchi granitici. Ma il traffico è inesistente, chilometri e chilometri senza incrociare nessuno, poi ti accorgi di un’auto parcheggiata… sono dei turisti che hanno intravisto qualche animale e ti fermi dietro a loro per scattare delle foto. La strada è un nastro di asfalto che taglia in due la natura.

A Outjo, ultimo paesino prima del nostro alloggio, ci fermiamo per fare rifornimento e fare uno spuntino a The Farm House. Ci crediamo che fosse un baretto ed invece all’interno c’è un ristorante con i tavoli in giardino, sopra le camere per dormire, accanto alle piante tropicali decidiamo di pranzare (€ 14). Ripartiamo sazi alla volta dell’Etosha Lodge Safari (€ 153 a notte + € 37 cena e extra), dopo il cocktail di benvenuto e preso possesso del bungalow decidiamo di fare il nostro primo safari nel Parco. Raggiungiamo l’Anderson Gate e quindi Okaukuejo dove acquistiamo il biglietto d’entrata (€ 13), abbiamo solo due ore per poter vedere qualche cosa. Orici, Springbok, Kudu e Impala, già intravisti per strada, nel parco si sono fatti sempre più numerosi, quindi zebre, giraffe e struzzi, poi l’incontro con una coppia di Honey Badger e al calar del sole, nell’ultima pozza visitata quella di Gemsbokvlakte la sorpresa più grande… quella che da sola vale il viaggio: il re della foresta che si rifocilla. Tutti i suoi movimenti sono immortalati negli scatti dei turisti, noi ci mettiamo in prima fila per ammiralo. Imponente, maestoso beve alla pozza artificiale e poi ci degna del suo sguardo. Annusa l’aria e decide che lo spettacolo possa terminare, quindi si riavvia nella savana.

Ci accorgiamo che è quasi l’ora di chiusura, e non potremmo mai farcela ripassando per Okaukuejo. Quindi tentiamo di tagliare per dirigerci all’Anderson Gate nel più breve tempo possibile, le strade sono sterrate e il brecciolino rende la guida instabile. Il sole al tramonto ci acceca gli occhi e rende la guida ancora più complicata. È ormai calato quando arriviamo alla Porta. Una fila all’uscita ci rasserena. Ritorniamo al nostro alloggio e solo allora ci accorgiamo del lusso. Non abbiamo il tempo di girarlo tutto. Il complesso centrale ha un terrazzo sulla sterminata radura, con una sorta di belvedere dove i visitatori si fermano per l’aperitivo. Ci danno un tavolo all’aperto, ma noi decidiamo di cenare all’interno, la temperatura è scesa e anche con il maglione e una giacca a vento per noi fa troppo freddo fuori. La cena è a buffet, i piatti caldi sono serviti direttamente dal cuoco. La scelta è molta, decidiamo di assaggiare un po’ tutto, è tutto ottimo specialmente il carpaccio di Orice e lo Springbok arrosto. Ci accorgiamo che le stelle qui in Africa sembrano più numerose e luminose, le vedi anche all’orizzonte. Non ci sono altre luci ad illuminare la notte se non quella della mezza luna a capo all’ingiù.

LUNEDÌ 12 AGOSTO

Sveglia prima dell’alba per rientrare nel parco all’aurora. Una ricca colazione ci da la forza per affrontare la giornata. Primo incontro una coppia di iene maculate che ci attraversano la strada, le pozze di Olifantbad e Aus sono piene di animali in queste prime ore del giorno un African Wildcat e dei coyote fanno capolino tra i sassi, anche se la temperatura è ancora bassa. Dobbiamo fare una frenata a secco sullo sterrato, perché dopo una curva ci sono sulla strada un gruppo di giraffe, possiamo quasi toccarle per quanto sono vicine, così come una mandria di zebbre burchell’s, mentre gli gnu e l’eland si tengono ben lontani dal traffico, preferendo la savana.

Sul percorso tra Sueda e Salvadora ci imbattiamo con l’Elefante, imponente, incurante del traffico dei curiosi, prende la “striscia” di brecciolino e raggiunge la pozza per immergersi e abbeverasi. Dietro di lui il corteo dei turisti. Noi decidiamo di vederlo da lontano, scorgiamo il pericolo, la sua mole è troppo imponente per la nostra utilitaria e le vie di fuga non sono sufficienti. Ma nulla accade, la processione termina alla pozza, quando Lui (o Lei) s’immerge. Ci sono tanti curiosi che non riusciamo a scorgerlo. Arriviamo a Halali per pranzare (€ 11) in compagnia degli uccelli e un Fork Tailed Drongo ci accompagna fino alla nostra auto al ritorno. A Rietfontein scorgiamo altri due elefanti che si stanno bagnando, la temperatura è salita sui 28°. Quando ormai la giornata sembra essere finita, all’orizzonte tra la vegetazione si scorge un rinoceronte, l’emozione è tanta nello scoprire che è di razza “Nera”, cerchiamo di seguirlo con gli occhi, data la distanza, e non ci accorgiamo che il tempo passa e si avvicina sempre più l’ora della chiusura del Parco. Una corsa verso l’uscita completa i 380 Km passati all’interno in poco più di una giornata. Volati, che non lasciano segni di fatica ma solo una pienezza mentale e una quiete spirituale. Ritorniamo al Lodge per un breve riposo, poi la cena.

MARTEDÌ 13 AGOSTO

Lasciamo il bungalow 51 non prima di ammirare l’aurora e l’alba sulla savana. In queste prime ore del giorno ammiriamo tutto quello che non abbiamo potuto vedere prima, dato che era sempre notte. Solo ora apprezziamo il nostro Lodge, le sue strutture e lo scenario in cui è immerso. Ci sono anche tre piscine, ma due le vediamo solo in cartina, non c’è il tempo di approfondire. Quindi ci incamminiamo in direzione di Kamanjab (250 Km) dove speriamo d’incontrare il popolo Himba. Decidiamo di tagliare e percorriamo la D2710 per poi immetterci nella D2694, una buca ci spazza via la borchia, inutile il tentativo di cercarla. A darci il benvenuto all’Oppi Koppi Rest (€ 102 + € 20 cena e extra) è una coppia di struzzi che sentendo la musica all’interno del bar, improvvisano un “buffo e goffo” balletto. Non perdiamo tempo e già in mattinata andiamo a visitare il primo villaggio Himba al confine con l’Etosha, nell’estremo sud-ovest (entrata € 23) adiacente al Gelbingen Lodge & Safaris. La bellezza del popolo Himba si manifesta immediatamente con la camminata di una giovane verso di noi. Sguardo fiero, passo deciso e sguardo penetrante ci metto subito in una condizione di agio. Donne e bambini continuano, incuranti della nostra presenza, a compiere i gesti abituali, come la preparazione del pasto. Le donne si mettono in posa per le foto di rito, volendo poi guardarle per rivedersi soddisfatte. Due adolescenti e con loro un bimbetto di forse tre anni, tornano con la legna sulla testa dalla savana. Una giovane rianima la scena dell’estrazione dei quattro denti incisivi inferiori, prende un legnetto da terra, un sasso, e li porta alla bocca mimando quello che gli fu fatto in età adolescenziale. Chiediamo il perché di questo rito, ci rispondono per rendere le donne ancora più belle e attraenti. I più piccoli cercano di attirare la nostra attenzione prendendoci per mano… vogliono giocare. Il gioco consiste nel prendere un sasso verticale e farlo cadere scagliandone un altro. Sono troppo bravi e precisi per poter sperare di vincere. L’armonia del gruppo è palpabile nel piccolo villaggio allestito per i turisti. L’ora a nostra disposizione per la visita passa in fretta, noi rubiamo un altro po’ di tempo mischiandoci con un gruppo di turisti arrivati. Torniamo a Kamanjab per pranzare a Oasisz (€ 15).

Nel pomeriggio raggiungiamo un altro villaggio Himba (entrata € 38) sulla strada che ci riporta indietro a Outjo e che in precedenza avevamo scorto. Storie diverse, in questo la gestione è interna, le guide sono due ragazzi della tribù che hanno studiato e parlano inglese potendo tradurre. Ci riconoscono e ci rimproverano perché avevamo atteso troppo tempo per la visita, infatti in mattinata ci eravamo fermati chiedendo informazioni e promettendo di ritornare dopo aver scaricato i bagagli. All’ingresso una capanna che fa da scuola, con davanti uno spiazzo dove gli adolescenti pascolano le capre. Dentro il recito due villaggi adiacenti, il secondo con il classico steccato per gli animali al centro, il fuoco sempre acceso davanti alla capanna del capo villaggio. La visita è intensa, le domande si alternano alle spiegazioni ma sono gli occhi a nutrirsi maggiormente. Anche questo villaggio è privo degli uomini che sono al nord della Namibia in questo periodo di secca per far pascolare le mandrie nelle terre al confine con l’Angola. Ci sono le donne e i bambini, una comunità di almeno una quarantina di persone. Sono sei, tra adolescenti e donne le prime che incontriamo, la più grande è intenta a rifinire la capigliatura di una giovane, a curare le treccine impastate con il burro e la polvere di ocra e fissare le extension, che derivano da peli di mucca ma che ora si comprano al supermercato. D’obbligo il saluto convenzionale: moro, perivi, nawa. Si entra all’interno del villaggio e le donne ci tengono a farsi fotografare in posa. Nei volti traspare la fierezza del popolo alternata ai sorrisi che mettono subito ad aggio. In un attimo ti scrolli di dosso la paura di guardare tipica del turista e ti concentri sul loro modo di porsi. L’anziana fuma una strana pipa, il tabacco è quello comprato al supermercato. C’è chi intreccia collanine, fatte per lo più con prodotti naturali, su tutti spiccano i semi di zucca. Gli animali, caprette, galline e cani vivono in simbiosi con l’uomo negli stessi spazi. Ci ospitano nella capanna del capo fatta di sterco di mucca e terra. L’odore è presente ma non intenso, a volte anche gradevole. Del resto siamo vissuti anche noi nelle stalle e questi odori ci riportano all’infanzia. Appesi alla parete con dei legni i vestiti di una vita, anche quello delle spose per il rito del matrimonio. A terra le pelli di animali, noi incuranti ci sediamo sopra. Con il sorriso sulle labbra ci dicono che ci siamo seduti sul letto del capo. Ci mostrano un strano affarino fatto di legno, una specie di mentoniera, ci dicono che il loro cuscino. Non ci sono aperture sul tetto della capanna, a dare area ci pensa la porta. Davanti ad essa l’immancabile fuoco che per gli Himba, specialmente le donne, è anche fonte di pulizia, ma che è anche il loro altare, la parte spirituale. Una ragazza ci spiega e ci fa vedere come si lavano con la cenere e i fumi del fuoco. Maneggia i tizzoni ardenti come se fossero spenti, con grazia e leggerezza tanto da non scottarsi. Il fuoco la fa sudare e distrugge i parassiti, il burro mischiato alla polvere di ocra viene subito rispalmato sul corpo per ricoprirla. La pelle nera con questo unguento prende toni di rosso che fa risaltare la bellezza delle donne. Il bambino accanto a lei, circa un anno di età, lecca il burro avanzato alla mamma come se fosse cioccolata. Il clima è disteso, si risponde anche alle domande più strane, poi la giovane cambia l’asse della discussione e ne fa a noi. La curiosità è rivolta sul dove alloggiamo, come era fatto e la voglia di poterlo visitare. La risposta è subito affermativa, solo dopo arrivano i primi dubbi.

Nei venti chilometri che separano il villaggio dal Lodge s’incrociano gli sguardi. Si arriva al bungalow, e si mostra la spartana camera fatta da cinque letti, dei comodini, una tavolino con sopra il necessario per prepararsi un te o un caffè. Certo per chi è abituato a dormire sulle pelli di capra forse sarà sembrato troppo, gli mostriamo anche il bagno dove ci sono gli spazzi per il water, il lavandino e la doccia nessun arredo, solo una spartana mensola. I due ragazzi sembrano soddisfatti della loro curiosità, il bambino in braccio alla mamma è troppo piccolo per rendersi conto. I proprietari dell’Oppi Koppi Rest ci acconsentono con sommo piacere di poterli ospitare al bar, ci sediamo all’aperto davanti alla piccola piscina in compagnia dei cani. Il ragazzo legge alla ragazza il menù e si sofferma sui prezzi, forse non esageratamente diversi da quelli del supermercato. Lui prende una birra, lei un’aranciata che divide con il bambino. Gli altri ospiti li guardano con ammirazione. Il bambino non curante del cemento fa la pipi a terra in braccio alla mamma, nessuno si accorge di niente perché tutto fatto con la massima naturalezza. Sono loro le star della Namibia… una ragazza Himba con un bambino. Forse maggiore attenzione di vedere un divo del cinema o un calciatore. Ma nessuno pensa di poter scattare una foto, di interrompere i nostri discorsi. Si pensa solamente a immagazzinare con gli occhi e il cuore il più possibile, in modo da poterlo raccontare… forse per tutta la vita.

Un salto al supermercato dove i due indigeni ne approfittano per comprare i generi di prima necessità e subito il ritorno al villaggio prima che faccia notte. I bambini sono sullo spiazzo che prima ospitava le capre, intenti a giocare a pallone.

Torniamo per la cena, non ci sono strascichi dell’esperienza di qualche ora prima. Si ordina sulla carta, il cibo è di ottima qualità, abbondante e cucinato bene servito con la consueta gentilezza.

MERCOLEDÌ 14 AGOSTO

Con il buio decidiamo di fare il pieno alla pompa di benzina locale aperta anche la notte, ci fanno notare che sul tettino c’è la brina congelata della notte. Siamo tra i primi a fare colazione, una coppia di spagnoli ci chiede informazioni sugli Himba avendo assistito alle scene del giorno precedente, loro avevano pensato di incontrarli più a nord, presso Opuwo e non si aspettavano di poterli vedere anche lì.

Chiediamo il conto e solo allora i proprietari ci ringraziano della sorpresa del giorno prima e sono curiosi della nostra esperienza. Con gli Himba nel cuore la mattina all’alba si lascia Kamanjab per un lungo viaggio (circa 500 km) in direzione dell’oceano.

Si taglia per la Foresta Pietrificata (entrata con guida € 8) con le sue piante millenarie e i tronchi diventati roccia, una visita al Twyfelfontein (entrata con guida € 9) con i suoi dipinti rupestri e graffiti dell’età della pietra, un fugace sguardo alla Montagna Bruciata per poi cercare di arrivare prima che il sole tramonti sulla costa. Con i 2573 metri di altezza il Branderberg ci mostra la direzione da seguire ma ad una quarantina di chilometri dopo Khorixas la strada si divide. La C35, strada sterrata larga può essere tagliata dalla D2319 che a Sorris Sorris incomincia a ristringersi. Il sole sta già calando quando non si fa a tempo a frenare che l’auto si arena nel guado del fiume Ugab. Inutili i tentativi di tirar fuori la macchina, le ruote non prendono e la sabbia è troppo alta. Si pensa subito alla notte che arriverà presto, i pensieri ricorrono al percorso svolto, ma l’ultimo segno umano era troppo lontano per tentare di raggiungerlo a piedi. Il sole è basso e non permette di vedere dove si cammina. Il panico inizia a serpeggiare e il cervello inizia ad andare in tilt. Si decide di cambiare direzione e attraversare il guado. Una mandria di mucche ci dà la speranza di trovare qualche pastore, in effetti a poca distanza ci sono due casette, ma la paura è molta. Dalla valle si sentono delle voci, noi rispondiamo, dopo qualche minuto appaiono cinque figure: una giovane, due anziane e due bambini. La giovane è sicura di se, sa cosa bisogna fare e ci dice che sono venuti per aiutarci. Non perdono tempo, lei si dedica all’auto mentre gli altri raccolgono intorno tutto ciò che può servire. Legni, rami, pezzi di lamiera, plastiche abbandonate. Si scava con le mani per tirare via la sabbia, senza sosta in modo frenetico. Il buio è il nemico maggiore, ma anche gli animali e forse gli uomini. Uno, due, tre dieci, venti tentativi, la macchina non si muove neppure di un millimetro. Ma la ragazza non si dà per vinta, sa che si può fare… anzi sa che si vede assolutamente togliere quella macchina da quel posto ad ogni costo. Scava con le mani sempre più in modo frenetico, cerca legni più idonei ed ad ogni tentativo mette più energia a spingere l’auto fuori dal guato. Noi siamo inebetiti, facciamo tutto quello che la giovane ci chiede… è l’unica nostra speranza. Dopo l’ennesimo tentativo l’auto si muove di pochi centimetri, il buio è orai arrivato, ma quel movimento ci da la speranza che la situazione si possa risolvere. La giovane è sempre più paurosa, ma anche sempre più decisa nell’impresa. Ci sgrida se i comandi dati non sono stati rispettati alla lettera, i bambini piangono per la stanchezza e il freddo. Dieci centimetri avanti, venti indietro, ancora dieci avanti e la macchina con grande difficoltà riesce a togliersi dal guado. Il volto delle donne si fa raggiante, la nostra salivazione riprende. Le abbracciamo, le ringraziamo porgendogli una forse iniqua ricompensa.

Ci rimettiamo in cammino, 300 km di strada sterrata ci attendono e arriviamo a Swakopmund alle 23 con il nostro Lodge chiuso. Telefoniamo al numero notturno ci vengono ad aprire dopo un ora… solo allora abbiamo pensato che la giornata potesse essere terminata. Il lusso della suite dell’Atlantic Hotel (€ 70 a notte) non viene apprezzato, il sonno arriva sul divano mentre si sorseggia una birra.

GIOVEDÌ 15 AGOSTO

L’Atlantic Hotel anche se è alla periferia della città, che è stata in passato la capitale estiva del Paese, offre tutti i confort di un soggiorno di lusso.

La colazione è per ogni tipo di palato, la cucina è aperta per chi vuole qualcosa di caldo. Il servizio è meticoloso.

Da mediterranei preferiamo i cereali con lo yogurt, pane a marmellata, un po’ di frutta e al termine sperimentiamo anche un toast prosciutto cotto e formaggio.

Varie sale si snodano all’interno. I caminetti sono accesi e riscaldano l’atmosfera che già sembra di fiaba. In terra le pelli di capra riportano alla mente le esperienze fatte. In una sala aperta si scorgono delle cucine per il fai da te, accanto ad un altro locale dove sono in bella vista liquori e bibite. Sul bancone un foglio con in cima la scritta “honesty bar” dove appuntare la consumazione, non c’è fretta di pagare lo si farà al check-out. Dappertutto il Wi-fi ti collega in un attimo alla rete. Approfittiamo di una poltroncina davanti al caminetto per ricollegarci con il mondo attraverso il nostro Pc. Andiamo in città, tutta la mattina la passiamo a racimolare i cocci della giornata precedente, tra cui il recupero delle energie mentali. Salta dal programma una delle due tappe giornaliere la visita alla colonia delle foche a Cape Cross e il tentativo di avvistamento delle balene e dei delfini lungo la costa. Mentre riusciamo nel pomeriggio a dirigerci sullo Spitzkoppe (entrata € 7), una formazione montuosa costituita da diversi picchi granitici, completamente spoglia di vegetazione, che ha più di 700 milioni di anni. Si torna appena in tempo per ammirare il tramonto sulle dune che costeggiano il lungomare tra Swakopmund e Walvis Bay. Si torna in albergo per una rinfrescata quindi di nuovo in città per la cena. I locali non sono molti, alla fine decidiamo per una pizza (€ 14). Facciamo un salto al Casinò, ma non ci fermiamo a giocare, è ancora troppo presto e i tavoli sono vuoti.

VENERDÌ 16 AGOSTO

Ancora una colazione luculliana e lasciamo l’Atlantic Hotel non prima di aver salutato i giovani proprietari, gentilissimi e disponibili ad ogni nostra curiosità. Costeggiamo l’oceano e le dune che si affacciano sul mare prima di arrivare a Walvis Bay. Attraversiamo quella che per anni è stata la Colonia del Capo, per dirigerci nel deserto del Namib, ci distanziano 350 Km. Le dune ci accompagnano per il primo tratto di strada, ammiriamo e fotografiamo la duna 7, ma dal Gaub Pass lasciano spazio prima alle rocce e poi all’aridità del deserto. Le montagne cambiano in continuazione colore passando dai marroni, ai verdi, ai gialli, fino a diventare rosa e rosse. I colori non sono mai banali, ma riservano sempre sorprese ad ogni sguardo.

Passiamo il Tropico del Capricorno con la foto di rito, arriva l’ora del pranzo e la strada da percorrere è ancora lunga.

In pieno deserto un cartello indica un punto di ristoro, ci inerpichiamo nella stradina e scopriamo un elegantissimo Lodge immerso nel deserto, decidiamo di fermarci per rifocillarci e ammirare la vista dall’alto. Pranziamo al Rostock Desert Lodge (€ 16), in una delle sue stanze fatte a grotta, all’interno la temperatura è di 23° l’umidità del solo 19%. Riprendiamo il cammino nel deserto del Namib con le montagne che via via sembrano sempre più delle dune di sabbia.

Arriviamo al Namib Desert Lodge (€ 130 a notte + € 14 cena) convinti di essere alle porte di Sossusvlei, la località famosa per le dune, ma ci accorgiamo che la distanza è di 120 Km.

Ce ne accorciamo anche perché, con ancora un’ora di luce, tentiamo di raggiungere la prime dune. Arriva la notte e ancora non si scorgono, nemmeno l’abitato di Sesriem con la sua pompa di benzina, quindi desistiamo e torniamo indietro. Abbiamo prenotato questo Lodge convinti di essere vicino a Sesriem, ma le distanze in Africa non hanno gli stessi parametri che siamo abituati a considerare.

SABATO 17 AGOSTO

Ci svegliano alle 4.30 per cercare di arrivare alle dune alle prime ore del giorno e decidiamo di saltare la colazione. Siamo i primi al Gate di Sesriem (entrata € 13 che si paga all’uscita), anche se gli operatori possono entrare un’ora prima. Lo scenario è mozzafiato, dune di oltre 200 metri di altezza si mostrano nei loro colori diversi, dal sabbia, al giallo, al rosa al rosso intenso. Dopo 40 Km si arriva alla Duna 40, imponente e maestosa, ma poco più in là c’è la 45, la più fotografata, e la più assaltata, infatti la si può ammirare da più punti e la si può scalare grazie alla sua cresta dolce.

Decidiamo di proseguire e siamo al parcheggio tra i primi a salire sulla navetta che ci porta a Sossusvlei (€ 15). Cinque chilometri di tragitto tra la sabbia e ci scende a pochi metri da Big Daddy, la duna più alta del mondo con i sui 390 metri. Tentiamo di scalarla per ammirare il panorama, ma ci fermiamo alla prima cresta. La sabbia è soffice e la fatica è molta. Ai lati si aprono due depressioni di sabbia bianca Deadvlei, che fotografiamo dall’alto, ma il chiarore del Pam rende le foto sfocate. Il sole si sta facendo sempre più alto e le temperature salgono, decidiamo di ritornare nel pomeriggio con il sole al tramonto ma prima la navetta ci porta al termine della depressione, dove i fiumi effimeri si perdono nel terreno da qui il suffisso “vlei” (palude) che in questo periodo dell’anno è Pam. Pranziamo al Ristorante che è all’ingresso del parco (€ 14), approfittiamo del piccolo mercatino per rifornirci di acqua e qualche biscotto che potranno servire nel lungo viaggio del giorno dopo. Anche il nostro Lodge è ai piedi di una duna, sabbia che però nel corso dei secoli è diventata roccia, ma che ha mantenuto i colori e le striature della sabbia. Un faro la illumina anche di notte. È possibile fare delle escursioni a piedi e in fuoristrada per apprezzare la natura circostante e ammirare flora e fauna locale. Passiamo le prime ore della sera in compagnia di una mandria di Orici che “danza” a pochi metri dal nostro bungalow. Si sente il rumore delle corna dei maschi, nelle sfide per contendersi il territorio.

DOMENICA 18 AGOSTO

Fuori programma decidiamo di ripercorrere la strada delle dune tra Sesriem e Sossusvlei anche all’alba del giorno dopo, ma questa volta aspettiamo alle 5 l’apertura del ristorante per una abbondante colazione. Il sole fa capolino tra le nuvole e le dune 40 e 45 sembrano di colore diverso rispetto al giorno precedente. Ripercorriamo la strada in fretta lasciando le cose già viste e soffermandoci su quello che ci era sfuggito. Come il vicino Canyon che immortaliamo in qualche foto.

Pieno alla pompa di benzina di Sesriem, in realtà case non ne abbiamo viste, in Africa una pompa di benzina può da sola fare città, e ci mettiamo in marcia per Mariental (320 Km). La natura non è mai monotona, la strada sale negli sterminati altopiani namibiani attraversando la catena del Tsarisberge. Le montagne sono fatte di roccia sedimentaria, dall’alto sembrano degli immensi canyon tagliati dalle valli. Ad ogni cima si può scorgere una fisionomia, la fantasia le associa alle più strane figure e viene in mente il Grand Canyon del fiume Colorado nell’Arizona settentrionale, altro emisfero e altro continente. Ma qui non si scorgono segni umani, se non le strade e qualche caterpillar lasciato nelle piazzole per poterle aggiustare, del resto come pensare di poterli trasportare ogni volta per centinai e centinai di chilometri. Incrociare un’altra automobile è un evento, e lo si festeggia con un caloroso saluto all’equipaggio che viene sempre ricambiato. Di rado si scorgono dei carretti trainati da somari, senza fermarci cerchiamo di fotografarli. Sul passo Tsaris ci fermiamo ad ammirare una solitaria villetta. Il panorama è mozzafiato, si scorgono tutti intorno i monti vicini, con il Crowagasberg a superare quota 2000. Poi la strada spiana, ma non scende di molto, in direzione Maltahore.

La sosta è breve, decidiamo di puntare sul Kalahari per la prima escursione pomeridiana. Il deserto ci da il suo benvenuto con la tipica sabbia rossa, la vegetazione verde e gialla caratteristica di questa stagione secca. Tre chilometri di strada in terra e sabbia rossa ci separano dall’entrata al Bagattelle Kalahari Game Ranch (€ 147 + € 18 cena). Uno springbok ci dà il benvenuto annusandoci intensamente, le corna sono state coperte con dei pezzetti di tubo di plastica, per attutire le cornate dell’animale. Le tane dei suricati sono visibili, anche se a vedersi sono più le piccole manguste. I Suricati escono dalle tane sono nelle ore più fredde all’alba e al tramonto. Un enorme micione rosso occupa buona parte del divano. Rosso come la terra che lo ospita, è lui il padrone, e solo dopo le coccole ci fa sedere accanto a lui. Uno steccato ospita un ghepardo che attende di pranzare, è una delle attrattive del Lodge, i turisti possono assistere al pasto del felino. Ma sono i safari l’attrattiva principale, alla caccia (si spera senza fucili ma solo con la macchina fotografica) degli animali in libertà. Ce sono anche di notturni (€ 15).

Ceniamo accanto al caminetto acceso, il buffet è molto vario e di ottima qualità, cerchiamo di assaggiare un po’ di tutto. Tutti sono gentili e sorridenti nel servici. Ritorniamo al nostro bungalow facendo attenzione a non inciampare nelle tane dei Suricati, dalla finestra si possono apprezzare gli scenari tipici della zona e avvistare gli animali in libertà. La pace e la quiete regnano, non si sentono rumori… ne giova lo spirito che si rigenera.

LUNEDÌ 19 AGOSTO

Sveglia quando è ancora notte per fare il primo safari con le prime ore del nuovo giorno. Il rosso dell’aurora si mescola all’orizzonte con il rosso della sabbia. All’alba i colori sono più netti. Orici e springbok si scorgono tra l’arida vegetazione.

Dopo la colazione appuntamento con i Boscimani (€ 40). Si presentano nella fredda mattinata, tre adulti e due bambini con la faretra con l’arco tipico dei cacciatori San e il loro bastone multiuso. In dosso hanno solo qualche piccola pelle per coprirsi. Ripercorrono per noi le tappe della caccia, alla ricerca di prede e piante per curarsi. Ci mostrano i millenari segreti per vivere in un ambiente così ostile. Loro, pastori nomadi, conoscono bene le priorità e come reperire acqua e cibo. Si alternano nell’illustrarci i vari aspetti, nel parlare fanno scoccare la lingua tra i denti producendo uno strano e buffo suono. È il tipico parlare dei Bushmen che a noi viene tradotto dalla guida anche se la mimica già rende l’idea. Ogni volta che uno parla gli altri si accasciano sul terreno, un po’ per riposarsi ma anche per ripararsi dal freddo (i corpi a volte tremano). La prima dimostrazione riguarda la caccia agli animali di piccola taglia nelle loro tane. Poi si portano vicino a una pianta per esaltare i benefici, le foglie oltre per il lavaggio dei denti e della bocca servono da lassativo in caso di indigestione. È la volta della sterpaglia utile per vari scopi, usata come tappo, per accedere il fuoco ma anche per la costruzioni delle capanne. Ci mostrano come cacciano le prede grosse, con i rudimentali archi costruiti con legno e tendini di animali, la freccia è composta da due parti, la punta rimane all’interno della preda ed è cosparsa di veleno, una resina di una pianta che ci mostrano, che fa effetto in pochi minuti. È la volta dell’adolescente, ci fa vedere una tana di scorpione, la pericolosità e come si cattura. Si arriva a una trappola che sapientemente hanno costruito per catturare qualche animale di taglia maggiore. Quindi si arriva sotto un albero, il Bushman scava il terreno ed estrae dalla sabbia un uovo di struzzo, turato con la sterpaglia, dove è custodita l’acqua. Acqua raccolta nel periodo delle piogge dai nidi degli uccelli e sapientemente conservata. Anche se sono un popolo nomade ritornano sulle tracce passate, lasciando dei preziosi segni.

Raggiungiamo tutti insieme il loro piccolo villaggio fatto di tre capanne con al centro il fuoco. Intorno al quale ci sono ad aspettarci il resto della famiglia, due anziani coniugi, una donna e una bambina. Tutti a scaldarsi intorno al fuoco coperti da pelli di capra. Gli uomini fumano da una strana pipa ricavata da un osso di animale. Arriva il momento clou, gli uomini in cerchio a inscenare la danza dei “guerrieri” San, le donne a dare il tempo con il battito delle mani. Sulla strada del ritorno ci fermiamo su una collinetta, i Buschmen si mettono in posa aspettando i turisti per la foto di rito, con la sabbia rossa del Kalahari a fare da cornice. Prima di partire facciamo un giro nella fattoria del Lodge. Caprette e asini si alternano alle Galline. Chiediamo di vedere i suricati, ci spiegano che è molto difficile in queste ore calde del giorno, ma ci accompagnano ugualmente. Sono le manguste a fare capolino tra le tane. Il tentativo di mettere qualche esca, dei pezzetti di carne, è inutile.

Dopo aver salutato il padrone di casa, lo springbok, lasciamo il deserto per trasferiamo a Windhoek (250 Km). La B1 è un nastro di asfalto trafficato (si fa per dire in rapporto alle altre strade) che collega la Namibia, sia al Sudafrica che all’Angola. In questo tratto corre parallelo alla ferrovia. A Rehbot ci fermiamo per fare rifornimento, la sosta è breve vogliamo arrivare in Città prima che i negozi chiudano. Dolcemente la strada sale fino a sfiorare i 2000 metri a pochi chilometri da Windhoek, la discesa è dolce. S’incontra un posto di blocco, una poliziotta ci fa un sorriso e ci lascia passare. Arriviamo nella capitale all’ora della chiusura dei negozi, quando il traffico si fa più intenso e la fretta si unisce alla stanchezza. È il Protea Thuringerhof (€ 76 + € 16 cena) a ospitarci nell’ultima notte in Namibia. Chiediamo dove si può lavare l’auto, obbligatorio prima della riconsegna, ci dicono che ci avrebbero pensato loro. Ne approfittiamo per fare un giro in centro, questa volta troviamo una città viva. Attività commerciali aperte e gente che passeggia freneticamente tra le vie.

Ci fermiamo a sorseggiare una birra guastandoci il via vai. Si scorgono le varie etnie tra i visi della gente, pochissimi i turisti. Al ritorno in Hotel una brutta sorpresa, l’auto parcheggiata era stata tamponata. Il danno è ingente, ma la direzione dell’Hotel si assume tutte le responsabilità dell’accaduto. Hilma, la direttrice, si mette subito in contatto per risolvere il problema. Si va dalla Polizia che è di fronte l’Hotel per la denuncia. Tutto è rimandato di qualche ora ne approfittiamo per cenare al ristorante del Protea. Solo in tarda serata ci vengono a chiamare in camera per portarci dalla Polizia. La denuncia viene fatta, ma bisognerà attendere la mattina seguente per timbrarla e renderla ufficiale e l’ufficio apre solo alle 8. La nostra paura è che questa trafila burocratica insieme alla riconsegna dell’auto ci faccia perdere il volo. L’aeroporto dista 40 Km.

MARTEDÌ 20 AGOSTO

All’alba siamo già in piedi e scendiamo per fare colazione. Aspettiamo l’arrivo di Hilma e ci rechiamo dalla Polizia anche se l’ufficio è ancora chiuso. Hilma spiega il caso in portineria, ci fanno entrare e ci riceve il Capo del dipartimento. La gentilezza regna, la comprensione è massima e il timbro viene posto prima dell’orario previsto. Sollecitiamo Hilma ad accompagnarci all’aeroporto per costatare di persona le pratiche dell’autonoleggio, lei decide di venire con noi. Non ci sono molte discussioni in aeroporto, noi chiediamo tutti i documenti richiesti dalla nostra assicurazione aggiuntiva e loro sbrogliano le pratiche con disinvoltura, ci dicono che il danno verrà accreditato sulla carta di credito e noi potremmo richiedere il corrispettivo alla nostra assicurazione. Abbiamo tre giorni di tempo per aprire il sinistro on-line. Partiamo per Jo’sburg alle 11.35, l’arrivo è alle 14.30 (perdiamo un ora di fuso orario). Questa volta abbiamo imbarcato le valigie direttamente per Roma, quindi abbiamo 7 ore di tempo per fare qualcosa in città.

Usciamo e ci rechiamo all’ufficio dei tour. Le scelte ricadono o su Soweto, la più grande township del Sudafrica che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della lotta all’apartheid, dove si visita il Museo Mandela, che fu l’abitazione del leader, o su Lions Park (€ 115). La scelta ricade su quest’ultima ma solo per un problema di pagamenti, dato che noi potevamo farlo solo con Carta di Credito. Un’ora nel budello del traffico della metropoli africana, passiamo accanto alla Township di Alexandra, una delle più povere e pericolose aree urbane del Paese, per arrivare dai Leoni. La città si vede all’orizzonte contraddistinta dalla nuvole di smog. La visita è subito nelle cinque gabbie dei leoni. In ognuna c’è il maschio dominante con le femmine. Il fuoristrada cerca i leoni e li avvicina quasi a toccarli, ma l’autista è molto attento ogni volta a chiudere i finestrini. Anche lui scatta delle foto perché la vista non diventa mai abitudine. Leoni e leonesse sono incuranti delle auto che gli sono vicine, attendono solo quella che gli porterà da mangiare. La seguono con lo sguardo, non curanti della nostra presenza. La vista è scioccante, i leoni sono possenti, forse un po’ appesantiti dalla vita sedentaria. Ma questi parchi nascono come recupero degli animali e gli stessi poi non possono essere reintrodotti in natura perché non ce la farebbero a sopravvivere. Il numero di leoni e leonesse è difficile da contare forse cinquanta o forse di più.

Finita la visita ritorniamo alla reception, nel percorso incontriamo vari animali che pascolano, sulla strada una giraffa che ferma l’auto precedente e la incomincia a leccare. Una scena surreale anche perché per farlo, l’animale si deve chinare il capo. Arriviamo alle gabbie dei leoncini, in quella dei più piccoli ci fanno entrare. Li possiamo accarezzare anche se loro istintivamente tentano di morderci. Due pantere e un ghepardo sono all’interno di una gabbia circolare, più in la le iene e i cani della prateria. L’autista ci dà fretta per paura del traffico e ci rimettiamo in cammino. All’altezza di Alexandra notiamo che la sua guida è ancora più attenta, guarda freneticamente dagli specchietti, il sole sta tramontando e la notte si avvicina. Ne approfittiamo per chiedergli se Johannesburg è pericolosa di notte. Lui risponde che è molto pericolosa e che anche lui cerca di non girare con il buio. Ora capiamo la sua fretta nel volerci riportare in aeroporto. Una volta svolte tutte le formalità per l’imbarco, abbiamo il tempo per cenare al bar-ristorante (€ 15), collegarci ad internet e la prima cosa che ci viene in mente di fare è di aprire il sinistro sul sito dell’assicurazione. Poi proviamo a capire la situazione in Egitto, è preoccupante. Leggiamo la cronaca dei giorni precedenti, con l’attentato alla Moschea. Ma la situazione all’aeroporto sembra ok, hanno cancellato solo i voli lowcost per turismo. Alle 21.45 voliamo per Il Cairo dove arriviamo la mattina seguente alle 5.45, il volo non è strapieno come l’andata e ci permette di trovare una collocazione più comoda.

MERCOLEDÌ 21 AGOSTO

Atterriamo in perfetto orario e nella zona trasfert ci propongono un Hotel per riposare. La cronaca di questi giorni è concentrata dagli scontri in città con la Farnesina che sconsiglia visite al Paese. Preferiamo rimanere in aeroporto, e ci prepariamo per trascorrere le 8 ore di scalo, la compagnia aerea ci da un vaucher per il pranzo. La stanchezza inizia a farsi sentire e il piccolo aeroporto non ha luoghi adatti per riposare. Troviamo così al Terminal E, che sembrava chiuso, un posto per poterci sdraiare e riposare. Sfruttiamo il “buono” per mangiare qualche cosa e quindi ci dirigiamo al Gate dove alla 14.10 c’è la partenza per Roma con arrivo alle 17.30

CONSIGLI PRATICI

Primo consiglio, quasi superfluo per chi va in Africa, è portare sempre con se abbondante quantità di ACQUA DA BERE, i supermercati che si trovano sempre accanto alla pompa di benzina, vendono anche taniche da 5 litri (meno di € 2) e una torcia (€ 4-7).

AUTO NOLEGGIATA VW Polo (€ 344 compresa estensione dell’assicurazione): 4027 Km percorsi, 248 litri di benzina (prezzo meno di un ero a litro, 16 l/Km) circa € 230 di benzina. Più lavaggio, obbligatorio alla riconsegna (€ 7.50).

SOLDI La moneta della Namibia è il dollaro namibiano (circa 13 con un euro) o il rand sudafricano (stesso cambio), ma bisogna ricordarsi quando si esce dal Paese che il dollaro namibiano viene svalutato in Sudafrica del 30%.

NEGOZI Le attività commerciali chiudono alle 17 massimo 18 e si può pagare anche con la carta di credito. A proposito di carte di credito, le banche non cambiano allo sportello, bisogna farlo al bancomat digitando il pin della Carta.

CLIMA Le temperature ad agosto variano dal giorno 23°-28° alla notte 0°-10°, il tasso di umidità è sempre molto basso, si consiglia di idratare la pelle, le labbra sono le prime a screpolarsi, i supermercati vendono un burro di cacao, è efficacissimo al costo di due euro. È consigliabile portare sia il vestiario estivo che quello invernale (calze di lana, maglioni e un giaccone).

STRADE Solo le arterie principali sono asfaltate nelle cartine sono rosse e arancioni la velocità massima è di 120 Km/h. Fare attenzione agli animali (facoceri, scimmie e Springbok) che pascolano a bordo strada, scappano solo se l’auto si ferma.

Le altre strade principali sono sterrate (brecciolino) molto larghe più di quelle asfaltate diciamo 4-6 corsie il limite è di 80 Km/h a volte 100 Km/h. Ma attenzione, molte volte l’auto è instabile, bisogna stare molto attenti ai guadi (si tocca oltre ai 60 km all’ora) e il brecciolino è più fitto e rende l’auto incontrollabile. Nelle cartine ci sono anche le strade marroni il limite è 80 Km/h ma se non si possiede un 4×4 (e si abbia una discreta esperienza nell’usarla) è consigliabile chiedere ai locali se il percorso è agibile. Molte di queste strade marroni portano in punti da visitare.

È sconsigliabile viaggiare al buio, perché non ci sono punti di riferimento se non la lunga striscia bianca sterrata (le curve sono ben segnalate anche se non hanno riferimenti a terra), ad agosto è giorno dalla 6 alle 18. Correndo si percorrono 60-80 Km con un’ora, calcolare bene le distanze per non incorrere nel buio.

CARBURANTE Fate benzina quando potete perché i distributori sono scarsi, cercate di viaggiare sempre con il pieno. Molte pompe di benzina sono aperte anche di notte. La benzina costa circa 12 dollari namibiani, meno di 1 euro a litro.

PASTI Nei ristoranti e negli Hotel la cucina è molto varia, si mangia bene ed è difficile non accontentarsi. La colazione invece è continentale, con la cucina aperta per preparare di piatti caldi. In molti Lodge si può campeggiare, ma non avendolo fatto non possiamo darvi consigli (i prezzi scendono sotto ai € 24).

ASSICURAZIONE Stipulare un’assicurazione di copertura dei danni fatti e subiti con l’automobile (€ 60-100) perché è facile forate, che si rompa un vetro. Anche una copertura assicurativa personale (€ 100-120). Vaccini consigliati in maniera precauzionale: antimalarico e antitifico.

CAUTELA Anche se la Namibia non è pericolosa, coprire bene il bagaglio in modo da non renderlo visibile e portare con se portafogli, telefoni e macchinette fotografiche. È opportuna avere con se una copia del passaporto in caso di smarrimento o furto.

E soprattutto ricordatevi di riportare il cuore… il nostro è ancora lì, lo abbiamo lasciato tra Namib, Himba e San.

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