Malesia e Singapore, un concentrato di Asia

Quasi tre settimane, due adulti, una bimba di due anni e tanta curiosità. Un viaggio bello e alla portata di tutti
Scritto da: ludiaman
Partenza il: 25/07/2014
Ritorno il: 14/08/2014
Viaggiatori: 2 + 1 bimba
Spesa: 2000 €

Capitolo 1: Asia

L’Asia si preannuncia un po’ alla volta: prima è un “namasté” della hostess dell’Air India, rigorosamente in sari, quando saliamo sul nostro aereo a Malpensa. Poi è l’aeroporto di Delhi, apparentemente uguale a tutti gli aeroporti del mondo: la giornata fuori pare calda, ma rinchiusi nella nostra aria condizionata non ci è consesso di appurarlo. Qualcosa però del mondo esterno penetra anche qua: un McDonald’s propone in menù due soli tipi di hamburger, “chicken” o “veg”, niente manzo. Gli inservienti nei bagni ti aprono la porta, puliscono la tavoletta prima di farti entrare, fanno scorrere l’acqua nei rubinetti quando esci, e alla fine ti passano gli asciugamani di carta. Primi momenti di “imbarazzo culturale”: cosa devo fare? Perché ha aperto il rubinetto? Serve una mancia? In quale valuta?

Altro salto, altro aeroporto, altro segnale: il funzionario della dogana di Singapore prende e restituisce il passaporto con due mani, in segno di rispetto per il “valore” dell’oggetto. Raccomandazione importante (dimenticata mille volte): mai prendere un oggetto con la sinistra, è maleducazione!

Usciti dall’aeroporto, ci si infila direttamente in metropolitana: ancora aria condizionata e nessun contatto con il mondo esterno. Ma poco dopo, finalmente le porte del vagone (gelido) si aprono su una stazione di superficie, ed ecco il primo vero impatto: una folata di aria calda e umida, che appanna gli occhiali in un istante e riempie le narici di profumo di vegetazione, di umidità e di tropico.

E da lì in avanti, per tutto il viaggio sarà un susseguirsi di immagini, di suoni e di odori: gli altarini dei cinesi in mezzo ai marciapiedi, con le loro offerte di frutta e di latte; gli incensi e il salmodiare dei monaci nei templi buddisti; la puja e le statue di Kalì nei templi indù; il canto del muezzin; la vegetazione lussureggiante, piante verdissime dall’aspetto primordiale, fiori colorati; i grattacieli più moderni e i centri commerciali; le bancarelle stracolme di manghi, di banane, di frutti sconosciuti dolcissimi e di durian dall’odore pungente; i mercatini di cibo di strada con noodle, spiedini, curry, riso, pollo, cocchi da bere e canna da zucchero da spremere… Insomma, un concentrato di Asia come forse difficilmente si può trovare altrove: Singapore e la Malesia infatti racchiudono in sé e nella loro storia gli insediamenti cinesi, l’immigrazione indiana, i residui coloniali, la cultura originale malese, l’islam, le influenze dei Paesi limitrofi, nonché la modernità travolgente (e purtroppo uniformante) degli ultimi decenni…

E per chi come noi di Asia aveva poca o nessuna esperienza, è il posto giusto per un assaggio di tutto. In senso metaforico, ma anche – come vedremo – in senso gastronomico!

Capitolo 2: Facciamo un passo indietro

Prima di proseguire nel racconto, occorre spiegare un po’ come è nata l’idea di questo viaggio. Perché andar via tre settimane, a 10.000 chilometri da casa, con una bimba di due anni può suonare a molti come una scelta un po’ azzardata. Bene: premettiamo subito che non è stato niente di faticoso, né rischioso, né coraggioso. E ci teniamo a sottolinearlo perché speriamo che questo diario possa essere utile per altri, così come diari simili sono stati utili per noi.

Infatti a noi è successo proprio così: avevamo già fatto dei viaggi con la bimba, ma pensavamo che d’ora in avanti sarebbe stato tutto più difficile, essendo finita quell’età in cui “dove la metti sta”. A un certo punto però ci siamo resi conto che qualche bel giro avremmo ancora potuto pensarlo, e abbiamo iniziato a spulciare i diari di viaggio di altri TPC che hanno fatto esperienze simili. Ne approfittiamo per ringraziare coloro i quali abbiamo anche scritto, e da cui abbiamo ricevuto gentilissime ed esaustive risposte: il primo è stato IL_Luca_74 (Armenia con bimba di due anni), poi SimonaBrassesco (Thailandia e Cambogia con bimba di due anni), e infine GiovannaC. (che avendo viaggiato in Thailandia e Malesia in coppia, si è prodigata in utili consigli fino a pochi giorni prima della nostra partenza).

Probabilmente, senza aver letto le loro esperienze ci saremmo fatti più condizionare dai tanti che qua consideravano un po’ una follia fare un viaggio del genere. In fondo, ora ci è chiaro che è essenzialmente una questione culturale, o di abitudine, tanto che durante la nostra vacanza di italiani con figli praticamente non ne abbiamo visti, mentre di francesi , tedeschi e persino spagnoli ne abbiamo incontrati parecchi. Poi, è chiaro, dipende anche dai bimbi: e su questo noi siamo molto fortunati.

Infine, abbiamo avuto un’ulteriore fortuna: i nostri amici Daniele e Xhiljola che vivono a Singapore da diversi mesi, e che proprio mentre facevamo tutti questi ragionamenti ci hanno proposto, per caso e quasi come battuta, di andarli a trovare. Noi li abbiamo presi subito molto sul serio, e così abbiamo deciso di comprare il volo su Singapore e di pianificare il resto del viaggio a partire da lì: un ringraziamento va anche a loro, perché una presenza amica quando si è lontani da casa aiuta molto, sia per scoprire qualcosa in più del paese che si visita, sia per sentirsi più tranquilli durante il viaggio.

Sottolineiamo comunque che Malesia, Singapore e (a quanto ci dicono) Thailandia sono paesi che si girano molto facilmente, che hanno buone infrastrutture, e che si raggiungono con voli relativamente economici. Ma questo lo vedremo meglio più avanti.

Capitolo 3: Singapore, appunti di viaggio

Così come gli aeroporti, definiti spesso “non luoghi” in quanto simili ovunque nel mondo, allo stesso modo la città stessa di Singapore potrebbe dare inizialmente questa impressione. Un immenso non-luogo. Rispetto alle vecchie foto e ai racconti di chi c’è stato qualche decennio fa, la presenza di grattacieli ed edifici moderni e perlopiù anonimi nasconde, a prima vista, l’anima asiatica di questa città.

I centri commerciali hanno sostituito i vecchi mercati, anche se è interessante osservare come il concetto rimanga il medesimo: piazze, vie, aree dedicate alle merci con file di negozi simili fra loro, e aree dedicate al cibo, dove si può scegliere fra decine di cucine diverse proprio come nei più tradizionali centri di bancarelle di strada malesi. Con l’unica differenza, comprensibilmente apprezzata dato il clima, dell’aria condizionata. Purtroppo una differenza ulteriore sta nell’appiattimento delle merci vendute: i soliti marchi internazionali di moda ed elettronica, e niente artigianato o prodotti locali. Insomma, sarà anche il paradiso dello shopping, ma noi in tutto il viaggio non abbiamo trovato nemmeno un soprammobile da riportarci a casa come souvenir tipico del luogo!

Anche la Chinatown originale, tutta pulita con le sue bancarelle ordinate, le mattonelle in strada linde e le corsie tracciate in terra per indicare dove devono stare i vari venditori, suona un po’ artificiale… Però diciamolo subito: lo stereotipo di Singapore ordinata come una piccola Svizzera d’Asia vale solo entro un certo limite. Basta uscire dal centro e si ritrovano l’animazione di Little India, l’aria un po’ trasandata dei quartieri cinesi periferici, e tanti altri aspetti che nel bene e nel male caratterizzano le metropoli asiatiche.

Senza dubbio comunque è una città a cui vale la pena dedicare qualche giorno: noi con più di tre giornate piene abbiamo visto solo una parte delle tante attrazioni. Abbiamo iniziato coi Gardens by the bay, modernissimo parco con laghetti, vegetazione lussureggiante, curiosi “alberi” artificiali, e tante altre attrazioni, che si sviluppa all’ombra del famoso triplo grattacielo del Marina Bay Sands (molto bello).

Poi abbiamo visitato Chinatown e i suoi templi (buddista e indù); poi Little India e i suoi templi, molto suggestivi anche perché nel tempio indù siamo arrivati proprio durante la cerimonia della puja. Poi lo zoo, un po’ fuori mano ma molto interessante, anche perché si sviluppa in un’area verdissima e rigogliosa dove molti animali girano liberi, o all’interno di grandi aree delimitate da fossati e steccati ma non da gabbie. Poi i giardini botanici e ancora il quartiere degli edifici coloniali (il Raffles Hotel, la cattedrale, ecc.), i quay (l’area dei moli, divenuta zona di movida), il Museo Nazionale…

Coi nostri amici, che ci raccontavano gioie e fatiche della vita da straniero a Singapore, abbiamo provato alcuni ristorantini molto interessanti, con cucine di varie parti dell’Asia (compreso un ristorante turco nel quartiere di Kampong Glam, molto suggestivo la sera). Una sera che giravamo per conto nostro, invece, siamo ricapitati a Chinatown (molto bella anche by night, soprattutto i templi) e abbiamo provato un famoso centro di bancarelle, il Maxwell Road Food Center: si compra qualche piatto qua e là fra i vari banchetti, che spaziano dal riso ai ravioli, dal pollo al pesce, passando per dei fantastici involtini di cui non sappiamo nemmeno il nome e per degli ottimi succhi di frutta preparati al momento. Poi ci si accomoda ai tavoli comuni, e può anche essere l’occasione per fare una simpatica chiacchierata con qualcuno dei locali che è passato di lì per cena. Il consiglio è di buttarsi sulle bancarelle dove c’è più coda: è veloce, e si trova certamente qualcosa di buono. Molto economico, oltretutto!

Capitolo 4: le città della Malesia

Lasciata Singapore, un comodissimo pullman ci porta in circa quattro ore a Malacca, dove faremo tappa per una notte. La città coloniale ci delude un pochino, forse perché col caldo umido che faceva l’abbiamo girata poco e a fatica, forse perché era stata fin troppo decantata da guide e conoscenti che ce ne avevano parlato. O forse perché semplicemente ci aspettavamo di più dai monumenti, che di fatto si limitano ad alcune rovine dei primi monumenti e al municipio olandese. Interessante il quartiere patrimonio dell’Unesco, con le sue tipiche shophouse (negozio con portico al piano di sotto, abitazione al piano di sopra), di cui una visitabile gratuitamente (8 Heeren Street).

Passando alla gastronomia, merita una citazione la cucina “nonya”, mescolanza cinese-malese tipica dello stretto di Malacca. L’abbiamo provata ad esempio nel piccolo ma rinomato Nacy’s Kitchen Restaurant.

Interessanti infine i risciò kitsch: molto amati soprattutto dai turisti locali (era appena finito il Ramadan e per le strade si respirava aria di festa), si tratta di risciò a pedali decorati con pupazzi di plastica, fiori finti, Hello Kitty, neon colorati, lucine stroboscopiche… e “musica tamarra a palla”! Inguardabili ma molto molto tipici!

Trascorriamo la notte presso Apa Kaba Home & Stay, sistemazione senza grandi pretese ma molto caratteristica, in un quartiere tipico, tra casette e giardini tranquilli.

Il giorno dopo ripartiamo e arriviamo a Kuala Lumpur, che al contrario di Malacca ci era stata descritta con poco entusiasmo e invece ci è piaciuta molto. Sicuramente è merito prima di tutto della sistemazione che abbiamo trovato: prenotata una stanza da Sarang Vacation Homes prima di partire, abbiamo avuto molte piacevoli sorprese. Innanzitutto la gentilezza di Anita, che ci ha aspettato la prima sera, ci ha fornito un mucchio di informazioni utili e di suggerimenti per visitare la città, ci ha portato tutte le mattine una prima colazione tipica eccezionale, e ci ha anche accompagnato a comprare la cena della prima sera, guidandoci fra le bancarelle dei dintorni per suggerirci le specialità migliori. E poi la stanza era veramente eccezionale: un piccolo appartamento con angolo cucina al 25° piano di un condominio nuovo, bellissimo, e con piscina condominiale all’aperto.

Tra l’altro, la piscina è stata un’ottima occasione sia per riposarsi e giocare con la piccola dopo le giornate di camminate in città, sia per conoscere un po’ i “vicini di casa”: dalla coppia di francesi con un bimbo piccolissimo, trasferitisi per lavoro, alla famiglia proveniente dall’Arabia Saudita. Con questo strano contrasto per cui ti trovi mezzo nudo in costume, accanto a una mamma vestita e velata di tutto punto…

Per inciso, la Malesia è un paese islamico, tanto che in ogni stanza di albergo si trova una freccia verde sul soffitto che indica La Mecca (ci abbiamo messo due settimane a capirlo!), ma è un paese da sempre multietnico e multi religioso. Vige la sharia ma le donne guidano il taxi, fanno le poliziotte, e così via; viceversa, abbiamo visto alcune donne in nero, completamente velate e col viso coperto, ma per l’appunto provenivano dai paesi del Golfo Persico, che evidentemente intrattengono molti rapporti con quest’area dell’Oriente, sia per affari (petrolio) sia per turismo.

Tornando a noi: eravamo in posizione comodissima, sia per i mezzi pubblici sia per i quartieri circostanti, quasi tutti raggiungibili a piedi. A cinque minuti da casa poi avevamo le bancarelle di Jalan Alor, il più bel centro di bancarelle gastronomiche che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio: specialità malesi, cinesi, thailandesi, e poi frutta, griglie, spiedini, succhi, fritture… Una fiumana di gente, per lo più locali, che dal tramonto a tarda sera anima la via, sette giorni su sette. Insomma, una festa. Un mondo che non si riesce a esplorare in una sola sera. E già solo questo vale la visita alla città.

Rimanendo a Kuala Lumpur poco più di due giorni, siamo riusciti a visitare anche qui il quartiere cinese; l’interessante museo di arte islamica; la bella piazza coloniale di Merdeka Square (piazza dell’indipendenza); le famose Petronas Towers ma solo un po’ a distanza; e poi la torre della televisione, su cui siamo saliti al tramonto per goderci le luci della città che si accendevano sotto di noi (bella la vista delle Petronas!).

Ci sono anche molte gite interessanti fuori città, come quella alle Batu Caves, dove siamo stati con la metropolitana: un tempio indù in una enorme grotta, a cui si accede tramite una ripida scalinata frequentata dai turisti e dalle scimmie. Non siamo riusciti invece a fare un tour che sarebbe stato molto interessante: uscita fin sulla costa, con escursione serale in barca tra le mangrovie per vedere le lucciole. Sarà per la prossima volta!

Capitolo 5. Isole e montagne

Il clima, dobbiamo ammetterlo, è stato clemente: l’umidità era spesso resa più sopportabile dalla brezza, cosa che a quanto pare non è così comune, soprattutto a Singapore. E i temporali – tipici di quei climi – sono sempre stati abbastanza brevi ma rinfrescanti. Ad ogni modo, dopo aver visitato tre città, avevamo bisogno di rilassarci al fresco. Per questo abbiamo puntato su Cameron Highlands, stazione montana nell’entroterra, e poi sulle isole Perhentian (costa orientale) per sei giorni di mare.

Cameron Highlands è un posto affascinante: atmosfera coloniale, clima fresco, aria pura, piante fiorite, piantagioni di tè… E cementificazione selvaggia, purtroppo, ma non dappertutto: abbiamo dormito a Tanah Rata, che è un posto tranquillo e non pieno di “ecomostri” come invece altri paesi dell’area. Tanti turisti, ma in un’atmosfera molto piacevole: eravamo alloggiati presso Father’s Guesthouse e ci siamo trovati benissimo, in un clima da ostello, tranquillo, con ragazzi che giravano la Malesia da soli zaino in spalla, famiglie con bimbi piccoli, coppie, austriaci, neozelandesi, spagnoli, francesi…

Tramite la guesthouse abbiamo prenotato alcune escursioni, brevi e abbastanza economiche, per visitare sia le attrazioni agricole della zona (, fragole, miele, serre, farfalle…) sia quelle più naturali (camminata nella cosiddetta mossy forest, che è la foresta pluviale d’alta quota). L’agenzia era Eco Cameron e ci siamo trovati molto bene.

La migliore merenda che si possa fare da quelle parti è una tazza di tè, con gli scones appena sfornati e la marmellata di fragole. Per esempio a The Lord’s Cafè. Molto british! Per la cena invece tanti locali offrono lo steam boat, o fonduta cinese: un fornelletto al centro, brodo, e tanti ingredienti da cuocervi dentro: spaghetti, uova, carne, verdure, pesce…

Dopo qualche giornata rinfrescante e rigenerante, grazie a un comodo transfer organizzato dalla nostra guesthouse ci siamo trasferiti al mare, destinazione Perhentian Islands. Abbiamo percorso un’ultima volta Cameron Highlands, attraversato distese terribili di foresta abbattuta e camion di legname, ci siamo fermati per pranzo a Gua Musang, poi ancora un bus e infine mezz’ora di fuoribordo, fino ad arrivare sulla cosiddetta “Isola piccola”, Pulau Perhentian Kecil.

Le due isole Perhentian sono molto famose, soprattutto fra i turisti europei, e pertanto molto frequentate: sono il tipico paradiso tropicale con palme, acqua trasparente, bei tramonti… Fortunatamente abbiamo trovato posto, pur avendo prenotato tardi (in giugno per agosto; ma abbiamo dovuto telefonare perché i resort e gli hotel che si appoggiano a Booking o siti simili sono pochi e si riempiono già ad aprile). Tra l’altro abbiamo trovato posto nell’estremità meridionale di Coral Beach, che è una delle spiagge più tranquille, lontana dalla movida notturna e dalla ressa di Long Beach. Pur essendo un luogo a totale uso e consumo dei turisti, è molto vivibile anche per chi come noi non ama la vita da resort. Poca gente in spiaggia, quiete, possibilità di spostarsi autonomamente, ampia scelta di ristorantini semplici sulla spiaggia…

A proposito, davvero ottimi i piatti di pesce grigliato: lo scegli fresco, a cena, poi lo grigliano sul momento e lo servono con riso, salsine tipiche, dolce alle banane e frutta, per un totale di circa 5 € circa. Sulla spiaggia, a lume di candela!

L’esperienza più bella è però stata lo snorkeling con le tartarughe: in un’escursione di due ore circa ci hanno portati prima a vedere i coralli e i pesci, e poi le tartarughe di mare. È un emozione difficile da descrivere: avvisti la sagoma in lontananza, che pascola sul fondale, e dopo un po’ ti accorgi che inizia a muoversi. Nuota solenne, come volando nell’acqua perfettamente trasparente. E alla fine emerge a pochi centimetri da te, tanto vicina che potresti toccarla. E si gira a guardarti, coi suoi occhi grandi e neri, mentre tu sei lì che nuoti goffamente e dentro di te la saluti. E la ringrazi per l’apparizione.

Sia i pesci che le tartarughe sono perfettamente raggiungibili a nuoto dalle spiagge, ma bisogna sapere quali spiagge! A dire il vero, già davanti a dove dormivamo noi si potevano trovare un paio di anemoni di mare coi relativi pesci pagliaccio (Nemo!), e una quantità enorme di pesci pappagallo. Il problema è che nelle zone di nuoto libero ci sono troppi bagnanti incoscienti, che camminano sul fondale come se si trattasse di una spiaggia normale, distruggendo così i coralli, gli anemoni, e tutto quanto si trovi sul loro percorso. A parte augurargli in ogni momento di calpestare un riccio o una bestia velenosa, ci siamo domandati però come mai ci sia così scarsa attenzione nei confronti di quello che in fondo è il patrimonio su cui queste isole campano. Speriamo che almeno nelle aree dedicate alle immersioni subacquee ci sia maggiore rispetto, perché la distesa desolata di coralli morti che abbiamo visto in certi punti ci ha messo tristezza, e sarebbe un peccato se nel giro di qualche anno tutto diventasse così.

Capitolo 6. Sulla via del ritorno

Caso ha voluto che per il rientro a Singapore, tratta più lunga per cui era preferibile l’aereo, avessimo trovato solo un volo che partiva al mattino da Kuala Terengganu. Questo ha significato trascorrere una notte in questa città, che in principio non ci interessava, e per questo abbiamo lasciato le Perhentian un giorno prima del previsto.

Eppure, Kuala Terengganu è stata una tappa obbligata ma davvero piacevole: si tratta di una cittadina poco turistica e molto malese, con una chinatown simpatica, un mercato centrale assolutamente da visitare, un bel lungofiume, un’antica tradizione di tessuti e batik… Insomma, come ultima notte in Malesia era proprio quel che ci voleva!

L’hotel dove abbiamo dormito, il Seri Malaysia, era all’apparenza un po’ anonimo, ma in ottima posizione: attaccato a Chinatown, con una bella vista sul fiume e un buon ristorante, anch’esso con una tranquilla terrazza affacciata sul fiume.

E infine, eccoci di nuovo a Singapore.

Saluti agli amici, qualche giro in città, le ultime foto, la chiusura delle valige…

Che dire? È stato un bel viaggio: rispetto ai paesi occidentali e al Sudamerica ci si accorge di essere immersi in una cultura totalmente diversa. La si sfiora, questa cultura, perché per comprenderla ci vorrebbe ben altro. Un esempio banale da turista: visitiamo un tempio indù incantati dalle centinaia di sculture colorate, ma non ne capiamo la storia e le storie, non cogliamo i personaggi e i racconti. Ben diversamente da un mosaico romanico, per esempio, dove siamo in grado di orientarci fra le narrazioni perché rappresentano un retroterra culturale comune. Ma questo vago senso di spaesamento è bello e utile. E tutt’al più, per rimanere nell’esempio, ci invoglierà a studiare un po’ meglio l’induismo.

Certo, non si può dire che abbiamo conosciuto l’Asia rurale e profonda, quella di Terzani o Maraini, quella della via della seta o dei viaggiatori “on the road” degli anni Settanta. Non potevamo pretenderlo con poco tempo e una bimba piccola, e d’altra parte viaggiare con la bimba ci ha imposto un ritmo migliore: ci ha obbligato a fermarci un po’ di più, che è un ottimo antidoto alla bulimia da turista frettoloso che spesso ci affligge. Ci ha offerto delle meravigliose scuse per attaccare bottone con le persone. Ci ha fatto gustare meglio alcuni piccoli dettagli della quotidianità.

E per concludere: se il sudest asiatico di oggi è anche e soprattutto metropoli, centri commerciali, multiculturalità, turismo… perché disdegnarlo? Inutile voler cercare a tutti i costi auree mistiche ed antiche tradizioni, quando l’Asia autentica di oggi, forse, è proprio questa.

Capitolo 7. Note pratiche, in conclusione, specialmente per chi ha bimbi

Il racconto di viaggio sarebbe terminato ma, come anticipato, vorremmo che questo diario fosse utile anche ad altri, soprattutto per chi sogna di viaggiare da queste parti coi bambini.

Noi abbiamo prenotato tutto on line, fra maggio e luglio, grazie alla nostra fidata Lonely Planet e ai tanti siti noti di prenotazione. La parte a cui bisogna pensare davvero in anticipo sono i voli, soprattutto se si vogliono spuntare buoni prezzi, e le notti alle isole Perhentian (per cui però come dicevamo è meglio telefonare). Il resto si potrebbe prenotare anche con poco anticipo, soprattutto gli spostamenti interni: i bus sono così tanti, così comodi e così economici che basterebbe acquistare i biglietti il giorno prima.

Gli spostamenti erano ciò che ci preoccupava di più per la bimba, temendo scenate e inseguimenti per i corridoi di aerei, pullman, e aeroporti. Ma è andato tutto molto liscio, anche grazie agli smartphone con memorizzate decine di puntate di Peppa, ai libri con gli adesivi, ai fogli per disegnare… e all’area giochi dell’aeroporto di Delhi, scalo dove all’andata abbiamo trascorso circa dodici ore!

Il fuso orario poi non è stato particolarmente pesante da gestire: la stanchezza del viaggio rimescola un po’ le carte in tavola e la mattina dopo si è già tutti pronti per esplorare.

Poi: le infrastrutture sanitarie a quanto pare sono buone, così come lo sono le strade e tutte le infrastrutture in genere. Ottime a Singapore. Ovviamente c’è voluta un’assicurazione, ma abbiamo viaggiato tranquilli. Per quanto riguarda la salute, abbiamo evitato le zone malariche (jungla e Borneo), e per il resto non occorre nulla di speciale. Abbiamo fatto comunque alla bimba la vaccinazione anti epatite A, che non era necessaria ma viene sempre utile anche per il futuro. E abbiamo seguito la normale profilassi antizanzare (repellenti e vestiario adatto) perché tutta l’area è soggetta a dengue; ma si tratta di un rischio minimo, ormai diffuso in mezzo mondo, e non è certo un motivo per rinunciare al viaggio. Infine, Amuchina sempre a portata perché a quell’età i bimbi toccano tutto…

Clima: il caldo umido può essere pesante, ma è gestibile. Avevamo uno zaino portabimbi, e in effetti era dura resistere con quello sulle spalle più di mezzora. Abbiamo risolto alternando: un po’ zaino, un po’ a piedi e in spalla, un po’ in passeggino. Ma il passeggino d’altra parte è difficile da gestire in città, soprattutto a Kuala Lumpur: pochi marciapiedi, pochi semafori, metropolitane senza ascensori… Alternando i vari mezzi e rientrando spesso in albergo, abbiamo risolto il problema. I taxi poi sono comodissimi e costano poco.

Ci siamo sentiti sempre molto tranquilli: persino a Kuala Lumpur non abbiamo mai avuto la percezione di essere considerati “ricchi turisti babbonatale”, troppo al centro dell’attenzione. Non siamo mai stati assaliti nemmeno dai taxisti o dai venditori, figurarsi da chiunque altro. Forse perché è una regione talmente abituata alla multietnicità, che neanche un occidentale pallido, nasone, e vestito da turista attira l’attenzione. Comunque, anche le guide confermano che la criminalità è scarsa: basta attenersi a quelle attenzioni minime che un milanese conosce già benissimo.

In più i bambini sono ben visti, sono trattati bene, e attirano moltissime attenzioni e simpatie. Probabilmente in questo momento ci sono decine di indiani, cinesi e mediorientali che si stanno riguardando le foto delle vacanze, con nostra figlia che sorride in primo piano!

Capitolo cucina: un piatto di riso, un pezzo di pollo o una ciotola di spaghetti si trovano sempre. Ok, magari si chiamano noodle, laksa, mee o chissà come, ma per noi erano sempre “spaghetti” e come tali sono stati apprezzati: ci bastava chiedere non piccante, ed eravamo a posto. La frutta abbonda ed è ottima. E al limite – lo ammettiamo con vergogna – abbiamo ceduto a qualche piatto di “spaghetti bolognese” scotti, a una pizza surgelata, o a un hamburger di Mc Donald’s. Per la bimba, non per noi!

Abbiamo mangiato spesso nei centri di bancarelle, che consigliamo a tutti di provare, e anche lì la varietà di piatti era tale che qualcosa di adatto per tutti i gusti lo si trovava sempre. Notare poi che, ferme restando le attenzioni minime sull’acqua, abbiamo mangiato di tutto e siamo sempre stati benissimo tutti e tre.

Quel che ci ha stupito è stata la presenza di seggioloni: li abbiamo trovati sempre e ovunque, anche nei più malconci ristorantini cinesi. Magari gli abbiamo dato una pulita noi, ma erano comodi. Meno attrezzati invece sono i posti dove si dorme: nel prenotare abbiamo faticato un po’ a trovare stanze doppie con lettino, e a volte abbiamo dovuto adattarci a un materasso aggiuntivo steso in terra o a una normale camera tripla, con relativi tonfi notturni giù dal letto…

In ogni caso, a parte i costi dei voli e le spese a Singapore che sono più elevate, per quanto riguarda la Malesia abbiamo fatto il conto che con 70 € al giorno in media abbiamo mangiato, viaggiato e dormito in tre. Una meta perfetta!

Che dire ancora? Trovate alcune recensioni su Tripadvisor (stesso nickname). E poi, se avete domande, non esitate a scriverci!



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