India del nord di Rajasthan, Varanasi e Calcutta Minuto per minuto
Dove si va quest’anno in vacanza? Caschi il mondo… in India: tour classico del Nord e cioè Rajasthan con estensione a Varanasi e a Calcutta. E’ troppo tempo che rimando… una volta per i pochi giorni di ferie, un’altra per il clima… Presso un’agenzia di fiducia arranfo un bel po’ di brochures (Adeltur, Mistral, Hotelplan…) e mi faccio fare dei preventivi da tour operator quali Kuoni e Dreamland.
Contemporaneamente mando qualche mail di richiesta informazioni e quotazioni ad agenzie indiane locali e con sede in Italia. Stampo e studio vari racconti di TPC relativi ad un periodo e ad un percorso simile al mio e nel giro di pochi giorni concludo l’organizzazione. Mi reco all’ambasciata indiana a Roma per il visto che ottengo in due giorni (€ 50 pp); il primo giorno lascio il passaporto, tre foto tessera e compilo un modulo e quello successivo vado a ritirarlo; acquisto il volo internazionale Finnair con scalo a Helsinki (€ 550 pp) e dopo uno scambio di mail mando un bonifico di € 500 a Karni Singh per un pacchetto su misura prenotato presso l’agenzia Popular India Vacations (€ 1.225 pp) che comprende: il noleggio di un’automobile durante tutto il tragitto (da Delhi e per l’intero Rajasthan, a Sarnath, a Varanasi e a Calcutta) con inclusi combustibile, pedaggi, parcheggi, un autista completamente spesato che parla inglese, una gita con cammello nel deserto del Thar, il giro di sera e di mattina sul Gange, il volo da Khajuraho a Varanasi, il treno in prima classe da Varanasi a Calcutta, il volo da Calcutta a Delhi e 18 notti in Bed & Breakfast presso alberghi a 4 e a 5 stelle. A mie spese e sul luogo saranno: i pranzi e le cene, le entrate ai monumenti e le mance (da tenere sempre banconote di piccolo taglio perché saranno aspettate dalle guide locali, dai facchini in hotel, da chi guarda le scarpe fuori dai templi, da chiunque fornisca un minimo servizio e non… E meritatamente dall’autista), spese costate complessivamente € 250 circa a persona per quasi venti giorni di viaggio.
Inutile dire che per la stessa identica vacanza si possono spendere dai 1.000 ai 3.000 € a persona! La cifra più bassa se si ha molto tempo a disposizione, si usano mezzi locali, si dorme in guest house (anche € 2 a notte) e si ha un forte spirito di adattamento alla scarsa igiene; quella più alta se ci si affida completamente all’agenzia sotto casa facendo presente che si vogliono vedere più mete possibili, si desidera alloggiare in strutture più che confortevoli e si ha la necessità costante di una guida che parli italiano… Noi abbiamo scelto una via di mezzo (€ 2.000 pp) dando sì importanza al contatto con i locali e vivendo secondo il loro stile di vita durante il giorno (anche dieci ore tra gite, passeggiate e visite), ma la sera ci piaceva ritrovarci in strutture pulite ed accoglienti. Non sempre abbiamo trovato guide che parlassero italiano, ma un semplice e comprensibile inglese sì e in un paio di località ottime le audioguide.
Le mete del tour e gli hotel presso i quali avevamo la formula B&B sono stati i seguenti:
22 agosto – Arrivo a Delhi e proseguimento per Mandawa – Hotel Heritage Mandawa
23 agosto – Fatehpur / Deshnoke / Bikaner – Hotel Lallgarh Palace****
24 agosto – Ramdeora / Barabagh / Jaisalmer – Hotel Rang Mahal****
25 agosto – Khuri / Jaisalmer – Hotel Rang Mahal****
26 agosto – Pokaran / Phelodi / Osiyan /Jodhpur – Hotel Ranbanka Heritage****
27 agosto – Jodhpur – Hotel Ranbanka Heritage****
28 agosto – Ranakpur / Kumbalgarh / Udaipur – Hotel Swaroop Vilas****
29 agosto – Udaipur – Hotel Swaroop Vilas****
30 agosto – Chittaurgarh / Pushkar – Hotel Jagat Palace****
31 agosto – Jaipur – Hotel Shahpura House****
01 settembre – Amber / Jaipur – Hotel Shahpura House****
02 settembre – Fatehpur sikri / Agra – Hotel Clarks Shiraz ****sup.
03 settembre – Gwalior / Orchha – Hotel Orchha Resort****
04 settembre – Khajuraho – Hotel Clarks Khajuraho****
05 settembre – Khajuraho / Varanasi (con volo 13,30-14,10) – Hotel Radisson*****
06 settembre – Varanasi / Calcutta (con treno prima classe 17-7,20 – che sconsiglio)
07 settembre – Calcutta – Hotel The Park*****
08 settembre – Calcutta – Hotel The Park*****
09 settembre – Calcutta / Delhi (con volo 8,55-11,05) – Hotel Singh Palace
10 settembre – Partenza all’alba!
Di seguito il mio diario di bordo, raccontato con dovizia di particolari con commenti e consigli spero utili per preparare la valigia, prenotare il percorso, da stampare e portare in viaggio (solo allora si riuscirà a comprendere in pieno).
Buon viaggio a chi deciderà di vivere la magia e l’allegria dei colori indiani… Capaci a volte di far dimenticare la serena disperazione della gente, a chi deciderà di ridere, di piangere, di gustare… Con la certezza che la commozione e l’emozione, lo stupore e l’incredulità, la riflessione e la voglia di cambiare non vi abbandoneranno nemmeno per un giorno…
Per mille curiosità, invece, sempre su Turisti per caso, il mio contributo è Rajasthan, Varanasi e Calcutta dalla A alla Z.
Luna Lecci
DIARIO DI BORDO
21 agosto. Roma-Helsinki-Delhi. Con Volo Finnair delle 11,20 partiamo per Delhi via Helsinki dove atterriamo dopo circa 3 ore. Attendiamo la “coincidenza” delle 20,05 che in scarse 7 ore ci porterà a destinazione. Sulla tratta europea (posto 10A) ci servono un ricco panino con bibita e caffè. All’aeroporto ci rinfreschiamo con un gelato (anche se non ce ne sarebbe bisogno: l’aria condizionata è sparata “sotto zero”) e facciamo considerazioni su quanto ricarico ci sia sui prezzi del cibo… Neanche fossimo a Piazza Navona! In compenso la connessione ad internet è free e le poltrone sono davvero comode. Sul volo intercontinentale (posto 41A) servono una gustosa cenetta a base di riso al curry con pollo o vegetariano, insalatina, formaggio, dolce, bibite e caffè. Un po’ più scarsa la colazione con una barretta ai cereali e un succo di frutta. Le ore passano veloci grazie alla possibilità di vedere più film di prima visione e di giocare (ognuno ha un proprio monitor). Atterriamo puntualissimi e veloce sarà anche la consegna del bagaglio.
22 agosto. Delhi-Mandawa. All’aeroporto di Delhi ad aspettarci c’è, come preannunciato via e-mail, Kishore che si fa riconoscere da un cartello di benvenuto tenuto in bella mostra e al quale rispondiamo con un nostro foglio dove abbiamo stampato il suo nome, cosa che lo diverte e gratifica molto dal momento in cui lo conserverà religiosamente! Mah! E’ un uomo di 46 anni, nato e sempre vissuto a Jaipur insieme alla sua famiglia composta da tre figli, due femmine di 22 e 20 anni (la prima si è sposata un mese fa con un ragazzo scelto da lui e dalla moglie, come tradizione indiana vuole, per il bene della propria bimba!) ed un maschio di 18. E’ al suo quinto viaggio con turisti italiani e lavora solo da due mesi per l’agenzia di Karni Singh (per due anni ha lavorato con una società concorrente ultimamente con poco lavoro). Ci fa salire premurosamente su quello che sarà il nostro bolide in giro per il Rajasthan: un’Ambassador Grand bianca, per intenderci quella di Minnie e Topolino, una delle 15 auto totali in possesso dall’agenzia, acquistata solo un paio d’anni fa più o meno per € 8.400, diesel (circa € 1 al litro), con aria condizionata e che si rivelerà molto più sportiva di quanto non sembri quando affronterà, grazie al driver veramente inarrestabile, percorsi accidentati, strade non asfaltate colme di acqua piovana (oggi è il primo giorno in cui non piove, ma di acqua ne è caduta a secchiate da vari giorni e… Si vede!), percorsi ad ostacoli per evitare capre, pecore, cammelli, mucche, pavoni, cornacchie… Nonché pedoni che sbucano all’improvviso.
Impieghiamo quasi 7 ore per percorrere i 265km che ci distanziano da Mandawa, cittadina che sorge in cima ad una collina. Faremo tre soste: due per pause tecniche e una per acquistare, in uno dei caotici villaggi attraversati, un po’ di frutta (8 banane, 4 mele e 4 pere per € 2). Iniziamo a riempire una delle tre memory card della digitale immortalando poche casupole fatte di fango e sterco, donne che portano sulla testa fasci enormi di erba, ossia cibo per gli animali (quasi ogni famiglia ha una mucca o un maialino mentre i tanti cani che vediamo sono tutti randagi) o fasci di legna da ardere o bacinelle di ferro piene di pietre (nelle città, invece, a lavorare vanno gli uomini e le mogli si occupano della casa, dell’acqua da attingere nei pozzi). Quante baracche assimilabili ad officine, sartorie, pasticcerie… barbierie! Quasi tutti si fanno fotografare molto volentieri; quando si avvicinano bambini incuriositi dai nostri saluti, tiriamo fuori un po’ di penne, matite… E i loro sorrisi arrivano alle orecchie, ma a volte scatta una mini ressa per accaparrarsi più cancelleria possibile. Portatene quantità industriali! Io pensavo di averlo fatto con più di 200 pezzi tra penne, matite e matitoni colorati, una ventina tra zaini e borse, una quindicina di astucci oltre che a una cinquantina di saponette ed ho finito tutto dopo una settimana! Spesso ad adolescenti e ragazzi o uomini abbiamo distribuito i nostri vestiti (più che altro t-shirt e magliette) e saranno molto graditi vestitini per neonati!
A Mandawa – con l’accento sulla seconda a – a darci il ben arrivati è un ragazzo che parla italiano pronto a guidarci per la città di circa 25 mila abitanti – 15 mila induisti e 10 mila musulmani -. Ci mostrerà alcune delle 25 Havelis (residenze di ricchi commercianti, mercanti, i quali avevano l’abitudine di far pitturare, con affreschi meravigliosi, sia l’interno che l’esterno delle loro dimore) di cui quattro parzialmente restaurate. Paghiamo l’entrata di € 2 per vedere quella con disegni d’oro, per le altre, con affreschi originali dove oggi vi abitano prevalentemente i guardiani, ma secondo noi sono degli occupanti abusivi (i ricchi proprietari vivono nelle grandi città) l’accesso è libero. Ci meravigliamo molto di come le persone non siano per nulla infastidite dal via vai di turisti mentre svolgono le regolari mansioni in casa: lavano i piatti, cucinano (le loro pentole e stoviglie di acciaio mi ricordano quelle per le bambole con cui giocavo da bambina), si rilassano… Notiamo subito che l’igiene e la pulizia in ogni dove non è nota. Le vie, i negozi, l’interno delle abitazioni, i ristoranti sono maleodoranti, ovunque troviamo immondizia di tutti i generi, escrementi di animali, mosche… E ci vorrà un po’ per abituarsi all’odore, al fare in continuazione lo slalom tra macerie, disperati, discariche… E a schivare gli sputi dei passanti. Congediamo la guida con una mancia e cerchiamo di riposare un’oretta per poi andare a consumare il nostro primo pasto indiano. Peccato! Questa città, con un po’ più di rispetto per i beni culturali, poteva essere veramente un bel gioiellino!
Subito un consiglio per gli acquisti. Guide e autisti saranno interessati a farvi consumare i pasti presso alcuni ristoranti, comprare da una parte piuttosto che da un’altra… dicendovi la bugia che i posti non sono turistici (chissà perché sono pieni di stranieri), appartengono a zii, cugini… esclusivamente lì si troverà la qualità. E’ ovvio che, al contrario, saranno turistici, di proprietà di nessun parente, la qualità si troverà lì come in molti altri negozi. Per fortuna non sono molto insistenti, così come non lo sono i venditori la cui frase ricorrente sarà “solo vedere senza comprare”, “mio padre, mio nonno… È una generazione che fabbrichiamo questo genere di articoli…”. Molti vorranno conquistare la vostra fiducia dimostrandovi che tanti altri turisti, italiani compresi, hanno fatto l’affare prima di voi! Le prove? Cartoline, foto vecchie anche cinque anni ricevute dagli acquirenti una volta rientrati in patria o i commenti lasciati su qualche book , mandati via mail… che dovrete dare la soddisfazione di leggere.
Diverse volte abbiamo accettato la proposta anche solo per ascoltare la spiegazione della lavorazione di un tessuto, di una pietra… Dell’effetto di una tisana… O perché avevamo intenzione di comprare e non avendo altre indicazioni un commerciante valeva l’altro. In altre occasioni ci siamo rifiutati perché non più interessati ad acquistare o perché preferivamo girare da soli per i mercatini o rilassarci in hotel e l’autista o la guida non se la son presi più di tanto.
Spesso ci han chiesto se eravamo spagnoli (sono tra i maggiori visitatori del paese) e quando rispondevamo: “no, italiani” la frase successiva era: “Sonia Gandhi!” (una donna impegnata nella politica, di origine torinese e molto apprezzata dal popolo tutto). La nostra provenienza ha sempre riscosso successo e all’affermazione “siamo di Roma” seguiva: “ah! La capitale”!
Ceniamo presso il ristorante Monica all’interno di un’haveli. La terrazza è tutta per noi, di qualche cavalletta e di una coppia di ragazzi di Padova con i quali scambiamo quattro chiacchiere. Ordiniamo chicken spinach: pezzetti di pollo in salsa di spinaci, malai kofta: polpette di formaggio e patate in salsa di cashewnut: sughetto di anacardi tritati, riso, due chapati: pane caratteristico non lievitato, una sorta di piadina, una coca cola e spendiamo, compresa la mancia, € 8 in due!
Alloggiamo presso l’Hotel Heritage Mandawa esternamente molto bello, centrale, ma all’interno un po’ fatiscente. Una rumorosissima pala smuove l’aria, l’aria condizionata è ancor meno silenziosa, qualche campioncino di shampoo, niente tv, né frigo, né phon… Le lenzuola e gli asciugamani non danno la sensazione di pulito. Non vi è acqua calda, ma abbondanti mosche e cavallette! Vi è una saletta dove con poco più di € 1 l’ora si può navigare su internet, ma siamo troppo stanchi e rimandiamo la connessione al mondo a data da destinarsi. Speriamo domani l’alloggio sia migliore!
Impariamo qualcosa sul mio nome: qui Luna è una marca ed indica una piccola bicicletta, mentre la traduzione del pianeta-satellite in indù è Chandra, in sanscrito è Chandras-mas, in musulmano è Chand.
23 agosto. Fatehpur-Deshnoke-Bikaner. Dopo la prima colazione a base di toast con marmellata di fragole, banane e tea (ma avremmo potuto ordinare anche omelettes) partiamo per Fatehpur dove arriviamo in poco tempo. Un ragazzo in uno stentato inglese ci si avvicina e molto discretamente ci conduce per le vie della cittadina mostrandoci sia dentro che fuori altre decoratissime havelis (molte si trovano su strade alquanto inaccessibili vista l’influenza del monsone dei giorni scorsi). Lo congediamo con una mancia e distribuiamo a delle bimbe che si accingono ad andare a scuola un bel po’ di matitone colorate ed evidenziatori. Tutte indossano la divisa (in questo caso gonna blu scuro e camicetta bluette) e il driver ci spiega che il suo costo è l’unico che devono sostenere le famiglie, al resto: mensa scolastica, libri… Ci pensa il Governo. E’ chiaro che per i college privati il discorso cambia, così come cambiano i colori, le stoffe e lo stile dell’abbigliamento – rigorosamente uguale per tutti – degli studenti. Sarà bellissimo vedere, e scordare per un momento la tanta povertà, orde di bimbi, di adolescenti uscire dalle fatiscenti scuole tutti insieme o nel corso di una gita scolastica o durante un pic-nic all’interno di un parco. Sarà tristissimo ritrovarli con le stesse divise perché gli unici indumenti che possiedono, sparsi qua e là nelle botteghe sudice, in mezzo ai vicoli sporchi, a percorrere da soli, magari sotto la pioggia battente, km e km di strada o accalcati a decine su tuc tuc o su malridotti scuolabus. L’orario di frequenza è diviso in due fasce: dalle 7 alle 12,30 e dalle 10,30 alle 16,30, ma a qualsiasi ora della giornata ed in qualsiasi villaggio attraversato nelle interminabili ore trascorse in macchina di school boy e girls ne vediamo in continuazione! I più fortunati hanno una busta per trasportare un quaderno, altrimenti portato a mano o neanche un foglio. Ho avuto la possibilità di comprare dei quaderni, uno € 0,20 e la qualità dei fogli è pessima, sono grigini e quasi trasparenti. Altro che cartella troppo pesante! Altro che zaino di Hello Kitty o astuccio di chicchessia!
Percorriamo circa 200km in 4 ore di strada asfaltata e scorrevole, costruita per trasportare mezzi militari e raggiungiamo il Tempio di Deshnoke (Karni Mata) dove i topi sono adorati in quanto considerati santi. Ve ne sono circa 2000 e fanno compagnia alle blatte, alle formiche giganti, alle migliaia di mosche e di piccioni che rendono l’aria molto pesante e lontana dai nostri luoghi di culto. Tantissimi i fedeli che vengono ad offrire cibo e pregano proni, con le braccia in alto in direzione dell’altare, su escrementi, dolci… Che riducono il pavimento un manto viscido ed appiccicoso. Una ragazza siede silenziosa davanti un buchino dal quale si intravede un ratto bianco nella speranza che prima o poi esca completamente. Pare che adocchiare gli unici due albini porti molta fortuna; lei ha gli occhi colmi di lacrime e il suo sguardo che incrocia il mio emoziona tanto!
Nei templi=Mandir si entra scalzi e siccome spesso sono sporchi o bagnati noi avevamo portato tante paia di calzini “usa e getta”. Non sempre, invece, abbiamo indossato i copriscarpe per paura di scivolare o perché proibiti in quanto “rovinavano” i marmi. Consigliamo vivamente di fare altrettanto.
L’entrata è gratuita ma paghiamo, come succederà tantissime altre volte, le tasse per la telecamera e per la macchina fotografica (totali € 1,50 circa).
A tal proposito c’è da dire che è come se fossimo partiti in quattro: io, il mio boy e due figlie, una più piccola, che chiameremo Tara (Stella) e l’altra più grande Chandra (Luna) che pagheranno il biglietto di accesso ai forti, ai musei, ai templi ad un prezzo ridotto rispetto a noi “genitori” e differente tra “sorelle” Luna e l’Altra! Il colmo è che spesso spenderemo soldini solo per far entrare loro! Per fortuna non ci fan pagare la tassa sul cellulare che… Avremmo chiamato Suraj (Sole). Venire per credere!
I bagni del Tempio (e in genere) sono impraticabili, veramente indecenti. Se proprio scappa… Da preferire quelli degli “autogrill” cioè punti di ristoro turisticissimi! I water classici sono solo per non indiani visto che i loro sono alla turca rasoterra o un po’ rialzati o ci si libera all’aria aperta. Quanti uomini in continuazione in mezzo alla strada, contro un muro in città o in nicchie all’aperto (bagni pubblici) fanno pipì (ma non solo!)! A noi non è andata male neanche in quelli di una stazione di servizio dove Kishore si era fermato a fare il pieno un po’ più avanti direzione Bikaner.
Vi renderete subito conto che in India la carta igienica non è contemplata e si troverà solo presso gli hotel (non credo nelle guest house) o in vendita accanto alle bottiglie d’acqua (beni meramente turistici). Agli stranieri viene dato, prima di entrare in bagno, un tovagliolo di carta molto scadente (consigliamo di portare diversi pacchetti di fazzolettini, salviette umidificate e amuchina) perché il popolo tutto dopo i bisogni usa solo acqua. In ogni toilette vi è un piccolo e basso rubinetto attiguo alla tazza, un secchio e una sorta di boccale. Ogni indiano porta sempre in tasca un tovagliolo-fazzoletto di stoffa con il quale si asciugherà le mani o ciò che è bagnato… Talvolta anche il sudore in viso! Alla mia domanda “e se qualcuno ha un improvviso attacco di dissenteria ed è sprovvisto d’acqua?” la risposta è stata: “usa l’open toilette e troverà sempre qualcuno che gli porterà dell’acqua”. Se in una casa indù viene trovato un rotolo di carta igienica, chiunque chiederà “dove l’hai presa?” e soprattutto: “perché?”.
Arriviamo a Bikaner (in onore del suo fondatore, Rao Bika nel 1486) un’oretta più tardi. Visitiamo subito il Forte di Junagarh (entrata € 5 a testa comprese audioguida in inglese o in francese e le “figlie”), una grande struttura del XVIesimo secolo con l’adiacente museo, molti bastioni difensivi e la cui entrata principale si chiama Porta del Sole (Suraj). Internamente vi è un maestoso Tempio indù dove la famiglia reale celebrava nascite, matrimoni… Impieghiamo quasi due ore per girarlo, per ammirarne le stanze, gli intarsi, le pitture, le sale delle armi… Immortalando i curatissimi e grandiosi giardini, i vari mezzi di trasporto, tra cui un aeroplano della seconda guerra mondiale, nonché il paesaggio dalle alte terrazze.
La città non è un granché, in una zona molto poco piovosa, semi desertica è conosciuta anche come la Città del cammello. Attualmente vi abitano quasi 600 mila persone e importanti sono alcuni oggetti artigianali di alto livello quali avorio (attenti agli oggetti spesso in osso di cammello), tappeti e fondamentale è l’allevamento di ovini.
Avremmo voluto vedere anche il Tempio jainista a Bandeshwar ma eravamo un po’ stanchi, accaldati (il sole aveva picchiato per tutto il giorno e dal pomeriggio soffiava un phon bollente!), potevamo raggiungerlo solo con un tuc tuc, per cui abbiamo preferito rilassarci un po’ in albergo.
Ceniamo presso l’Hotel Harasar Haveli. La terrazza per quanto spartana ha un non so che di romantico, tavolini al lume di candela, lucette intorno alle basse mura, due ragazzi che suonano musica tipica ed una donna che balla al centro dei tavoli. Ordiniamo riso ai funghi: agro in quanto tipo sottaceti, chicken pulao: riso con pezzi di pollo e verdure, due chapati: molto più buone di quelle di ieri, del curd: salsa di yogurt molto acidula, due coca cole per un totale di € 6 in due!
Alloggiamo presso l’Hotel Lallgarh Palace**** qualcosa di veramente spettacolare! Sembra di stare ancora all’interno del Forte! L’accoglienza è strepitosa: collane di fiori, succo fresco di acqua di rose, in tre ci mostrano la grandissima stanza con letto a baldacchino, tv, mini bar, possibilità free di preparare un nescafé o un tea. Anche il bagno è spazioso, vi sono, tra gli altri, campioncini di crema per il corpo, set da barba… Tutto sa di pulito: non ci sono animaletti, le lenzuola e gli asciugamani sono bianchi e profumati, l’acqua scorre calda, abbondante e dopo i ratti e non solo di oggi… Una lunga doccia ci vuole tutta!
Se si possiede un pc la connessione ad internet è gratuita altrimenti costa circa € 2 l’ora! E come Cenerentola… A mezzanotte a nanna!
Impariamo il termine con il quale ci si saluta: Namasté pronunciando il quale sarà carino congiungere le mani e accennare un inchino.
24 agosto. Ramdeora-Barabagh-Jaisalmer. Dopo la prima colazione ricca e variegata, servita al tavolo (noi preferiamo sempre la classica e consumiamo cereali, frullati di frutta fresca, tea, toast con marmellata, ciambellone, mini cornetti, muffin… Ma volendo potevamo optare per quella internazionale o indiana), partiamo per il villaggio di Ramdeora dove vi è uno dei più importanti templi per gli indù: Ramdeovra. Sarà obbligatorio indossare pantaloni lunghi e noi, che con 35°C, un sole che spacca le pietre e i 328km totali che ci aspettano, c’eravamo messi dei comodi bermuda, ci dovremo cambiare.
Il viaggio per il Tempio, distante circa 200km, durerà più di 3 ore. Il paesaggio è molto particolare: è sì caratterizzato dalla tipica vegetazione delle zone aride, ma in alcuni punti, nonostante il terreno sabbioso, è molto verdeggiante grazie alle piogge che cadono da giugno a settembre e che creano delle pozze che scambiamo per laghetti! Le piccole case sono di paglia e le popolazioni hanno conservato le antiche tradizioni. La strada è buona, dritta e un po’ monotona, sembra una linea infinita che viene interrotta dalla presenza di greggi di pecore e di capre. L’autista ci dice che alcuni drivers mentre guidano su questo tratto dormono! Lui non lo fa ma, dopo questa confessione, lo teniamo sott’occhio e lo impegniamo a rispondere a qualche curiosità, nonostante non sempre riusciamo a capirci per il suo (oltre al nostro) inglese maccheronico e il suo difetto di pronuncia (dice p e non f e la prima volta ci veniva difficile pensare di arrivare per l’happy hours! L’appenauar era in effetti una mezz’oretta: half an hour)!
Molte mandrie pascolano sorvegliate solo da bambini (due o più) perché oggi le scuole sono chiuse, è la Festa dei fratelli e delle sorelle e dell’aiuto reciproco che devono darsi. Le famiglie cercano, in qualche maniera, di ricongiungersi per festeggiare e scambiarsi doni. Qualora le distanze fossero impossibili da coprire, le sorelle inviano, tramite corrieri o affidandoli ad altri indiani, dei braccialetti per i loro fratelli che ricambiano regalando loro dei sahari: tipici vestiti delle donne sposate (da nubili si indossano shalwar cameez) coloratissimi e difficilissimi da indossare. In questa terra si abbonda in festival folkloristici che sono una fonte inesauribile di conoscenza delle tradizioni popolari (interessante sarebbe stata la festa dei colori: l’Holi, quella della Luna, dei cammelli). Noi ne abbiamo vissuta una a Pushkar ma non siamo riusciti a capire esattamente cosa si festeggiasse. Numerose sono anche le ricorrenze religiose (durante la nostra permanenza: il pellegrinaggio a Baba Ramdev e il compleanno di Krishna) e tutte rappresentano il volto sacro e misterioso dell’India. Chiunque pratica una delle religioni presenti: l’induismo, il jainismo, il buddismo, l’islam, il cristianesimo. Vi sono inoltre i Sikh, i Sindy e i seguaci della dottrina di Zaratustra.
Tanti sono i fedeli che in gruppo o in solitaria, a piedi o su bus stracolmi si avviano verso i templi sventolando bandiere bianche, rosse, dai colori della pace… Che poi vengono legate su alberi, pali, transenne o inferriate a ridosso del luogo di culto.
Per noi insolita l’usanza di lasciare le “scarpe-ciabatte” sparse qua e là o ammucchiate sulla via del Tempio. I singoli fedeli, le famiglie o i gruppi scesi da qualche mezzo spesso continuano il cammino scalzi per un maggiore sacrificio. Sono ciabatte che rimangono lì nonostante molti siano così poveri da non potersene permettere un altro paio! Poi un giorno passerà qualcuno, le caricherà su due ceste e in bicicletta le venderà in un mercato.
Una sosta tecnica per “cambiarci d’abito” e subito al Tempio datato un’ottantina di anni, in cui si venerano il dio dei puri Ramdev ed il suo cavallo. Era nato re e scese di casta diventando povero perché credeva nell’uguaglianza tra le persone, pare abbia fatto dei miracoli e il suo corpo, contrariamente alla tradizione, fu seppellito e non cremato nel 1300 nel mese di agosto (da qui il pellegrinaggio in questi 31 giorni). Siamo circondati da un’atmosfera di festa, sembra di giungere ad una sagra dove da carri colmi di persone esce un’allegra musica ascoltando la quale si balla, si canta, si ride… Fino a quando non ci si ritrova davanti ad una statua, ad un quadro… Momento in cui si diventa seri, ci si concentra nel chiedere, ringraziare, offrire. Per noi prevale l’aspetto folkloristico, ma dobbiamo sempre tenere a mente che le persone stanno pregando.
Ci togliamo le scarpe, indossiamo calzini usa e getta e iniziamo insieme a Kishore un percorso. Ci lasciamo guidare, lo emuliamo e anche se a volte non riusciamo a capire completamente il significato di molti gesti (passiamo in mezzo a un cerchio multicolore in cemento, stringiamo palline bianche di zucchero mischiate a pezzetti di cocco secco che dobbiamo portare a casa, annodiamo un filo rosso ad una transenna, attingiamo il dito anulare su una polverina porpora e ci tocchiamo il centro della fronte – un segno che ci faranno tante altre volte con la cenere, con polveri colorate… -) li eseguiamo con rispetto. L’entrata al Tempio è gratuita, le statue, così come chi prega, non si possono né filmare né fotografare e su ogni altare è usanza elargire sempre una mancia.
Dopo un’altra sosta il viaggio continua per altre 3 ore per concludersi a Jaisalmer, la Città d’oro di 60 mila abitanti!
Una sensazione di caldo color ocra ce lo danno il vento che soffia piacevole e i preziosi intarsi di molte cupole tondeggianti o spigolose dei cenotafi (tombe in onore di Marajà e di Maharani deceduti più di 300 anni fa a forma di cupole, spesso lavorate, intarsiate, con all’interno lapidi scolpite) che visitiamo in una mezz’ora sulla collinetta di Barabagh (non paghiamo un vero proprio biglietto d’entrata: un guardia ci chiede prima € 4, poi 3,5 e alla fine, senza staccare il ticket, si accontenta di € 2… Vabbé, facciamo finta di niente…).
Marajà significa re mentre Maharani regina. Ogni re possedeva più di una moglie, anche 12. La prima era la più importante, le altre tutte uguali. Potevano praticare qualsiasi religione anche dopo essersi sposate. Per ognuna veniva realizzato un appartamento e si incontravano solo in occasione di feste o cerimonie.
Ceniamo presso il Golden Fort Restaurant. Nonostante ci troviamo su una terrazza, con luce soffusa, con tre musicisti dal vivo e davanti alle mura del Forte, il pezzo clou della città che visiteremo domattina, il ristorante non è un granché. Sono sì tutti molto gentili e anche se paghiamo una cifra irrisoria (€ 12 totali), notiamo come i prezzi delle identiche pietanze lette finora sui menu siano lievitati del doppio se non di più (per esempio: fino a ieri i soft drinks rupie 15, oggi rupie 40). Stasera oltre alla coca cola, al chapati e al riso che non mancheranno mai sulla nostra tavola, mangiamo tandoori chicken: per chi non ama salse, spezie ed intingoli è da provare in quanto sa di semplice pollo arrosto, spennellato da una “tintura di iodio” insapore, anche se in realtà la carne è fatta prima macerate nello yogurt con spezie e peperoncino e poi è cotta in un forno interrato o di terracotta chiamato tandur e per contorno aloo gobhi: patate e cavolfiore ripassati in padella. Tutto sommato non male e poi l’importante è non avere disturbi intestinali!
Alloggiamo presso l’Hotel Rang Mahal**** pulito, confortevole e dove ci accolgono con un bicchiere di fresca acqua di rosa e asciugamanini umidi. La stanza è mediamente grande, a parte l’assenza di bollitore e di qualche altro compliments è della stessa categoria di quello di ieri con la differenza che lì avevano cercato di creare l’atmosfera antica e fastosa di un tempo, qui l’ambiente è moderno in una struttura che esternamente si mimetizza al paesaggio. Nella grande ma bassa piscina ci rilassiamo con una nuotata e nella rete internet in una navigata gratuita! Piccoli nei: la lontananza di circa km 4-5 dal centro e la strada molto poco illuminata. Noi ci siamo azzardati a percorrerla a piedi in circa 50 minuti, ma con un tuc tuc, € 1 e 20 minuti si arriva ovunque. Occhio alle tante ranocchie, ai gechi e, anche se profumate di Autan, alle mosche e a qualche zanzara (non molte di più di quelle dalle nostre parti)!
Impariamo una variante di Namasté. Per salutare si può anche dire ram ram saa!
25 agosto. Khuri-Jaisalmer. Dopo la prima colazione simile a quella di ieri, ma al buffet, con più frutta e pietanze internazionali, dove ci serviamo svariate volte preparandoci anche dei toast con “galbanino” per il pranzo, conosciamo la guida italiana: Soru, un ragazzo distinto dalla pronuncia comprensibilissima e soprattutto molto preparato.
La prima tappa è al lago artificiale di Gadisar dove rimaniamo stupiti dalla quantità industriale di pesci gatto ai quali gli indiani quotidianamente danno da mangiare perché considerati un “veicolo” (ogni Dio ha un veicolo con il quale si manifesta: mucca, pavone, scimmia, coccodrillo, testa di boa, topo, fiore di loto, aquilone… In pratica un animale, un vegetale, un oggetto importante a tal punto da essere venerato). Non abbiamo affittato il pedalò né visto il museo ma avendo tempo e voglia…
Seconda tappa al Forte del Sonar, dalle pareti dorate che sei anni fa hanno avuto un cedimento ed oggi sono ancora transennate. All’interno rimaniamo stupiti da come l’arenaria gialla, facilmente malleabile, abbia potuto esser scolpita in havelis raffinate con balconi e finestre intagliate che fanno da cornice a templi jainisti del XIV secolo dove scalzi (€ 5 per tutta la “famiglia”) entriamo e ne ammiriamo le sculture, le colonne in marmo…
Soru ci dà qualche informazione partendo dall’influenza brahminica che ha portato con sé la suddivisione in caste alle quali ancora oggi, a seconda della famiglia in cui si nasce, si appartiene. Solo le donne, ma raramente, hanno la possibilità di cambiarla se sposano un uomo di un diverso ceto. Vi sono quattro caste principali: la prima è quella dei guerrieri (governanti, potenti, violenti: la nobiltà), la seconda quella dei commercianti (venali: la ricchezza), la terza dei brahmini (insegnanti, sacerdoti vegetariani – no uova, no carne, no pesce, no cipolla, no aglio, sì al latte e ai suoi derivati, verdure, legumi, grano -: il clero) e i bassi (lavoratori: la plebe). Vi è poi una sottocasta, quella degli intoccabili i cui atti sono considerati impuri, gente molto povera e spesso ghettizzata. I villaggi di un tempo erano costruiti seguendo questo shema: 4 templi, 4 pozzi, 4 cliniche, 4 tipi di strade (larghe o strette a seconda della classe). Arriva poi a parlarci del jainismo, movimento nato dal Re Jina che cambiò casta, divenne monaco e trovò il suo Nirvana quasi 3000 anni fa. Il vero jainismo, però, risale al 540 quando Mahavira e i suoi 24 profeti furono illuminati, passarono cioè da uno stato di ricchezza ad uno stato in cui contava solo l’anima. Secondo tradizione, gli anni di una vita si dividono in tre fasce: da 1 a 25 anni si vive in una condizione di castità, dai 25 ai 50 si realizza una famiglia, si lavora, si guadagna, dai 50 in poi ci si dedica alla meditazione, si pratica lo yoga.
Gli indù venerano 33 milioni di divinità, impensabile conoscerne di tutti la storia o la parentela, ma quelli che sentirete più spesso nominare e che hanno nomi più pronunciabili sono: Shiva con tre occhi, detto il dio distruttore di cose cattive (quando aprirà il terzo occhio finirà il mondo) che è rappresentato dalla testa di un cobra, sua moglie è Parvati e suo figlio Ganesh, dio della buona fortuna e della prosperità; Visnù (la cui moglie è Lakshmi, dea della salute e della bellezza) che opera in tutto il mondo e si è reincarnato 8 volte, la terza in Krisna, dio dell’amore, la cui moglie è Rucmani, ma spesso viene rappresentato con l’amica Rada; Brahma è il dio della creazione e sua moglie Sarah Suati è la dea dell’educazione, della musica, dell’arte ed è rappresentata da un pavone. Poi mi sembra di ricordare… Ma faccio un po’ fatica e questi nomi andrebbero appurati… Rama che ha come moglie Sita e la Dea Dirga che è quella che siede sul Leone. Sono adorati molti alberi come il Neem, grande e verde; diverse piante tra cui il basilico (Tulsi, reincarnazione della Dea Kalì) ed ogni famiglia ne possiede un vasetto in casa visto che è utile anche per tenere lontano gli insetti, ma non si usa per cucinare. Unica eccezione in inverno, se si sta particolarmente male, qualche foglia può essere messa nel Masala tea! I pianeti, la natura tutta (le montagne, il mare, la terra, l’aria, l’acqua…) si rispettano e si adorano. Tutto sembra essere sacro o appartenere alla sfera spirituale.
La passeggiata continua tra i vicoli antichi che ci fanno vivere tra un’atmosfera medioevale e una fiabesca. Visitiamo un magazzino dove producono abbigliamento ed acquisto, per scarsi € 4, quelli che chiamano i pantaloni di Alì Babà, un’ampia fascia in vita che può far da top e un cavallo molto ma molto abbondante: freschi e utili per entrare nei templi quando da vestito-bermuda si trasforma in gonna-pantalone lunga!
All’ora di pranzo torniamo in hotel per ripartire dopo qualche ora per Khuri (a 50 km) dove gli ultimi 5km li percorreremo a dorso di cammello. A tal proposito c’è da dire che i primi minuti sulla sua gobba, insieme ad un bimbo di otto anni seduto dietro di me, che lo guidava con il crocchiare della lingua e con leggera frustatina con la corda, non sono stati molto entusiasmanti! L’animale è alto, ha un modo bizzarro di alzarsi e di abbassarsi, di muovere il collo per allontanare le mosche… Ma tutto sommato è docile, difficilmente pericoloso, per cui raggiungere le dune di sabbia del deserto del Rajasthan e godersi, dopo aver incontrato pavoni, antilopi, gazzelle e vari tipi di uccelli, il tramonto, non sarà un’esperienza malvagia. Questo però per chi non l’ha mai cavalcato, non è mai stato in Egitto, in Brasile… Altrimenti la gita sembrerà solo molto turistica. A causa della foschia la rossa palla di fuoco che scompare tra la sabbia non l’abbiamo vista per cui tornassi indietro… Forse non la rifarei, ma il mio giudizio su questa escursione è un po’ fuorviante… Ci sarebbe stata anche la possibilità, per € 10 a testa, di gustare prodotti tradizionali sotto le stelle, ascoltare musica locale e ammirare alcune danzatrici, ma abbiamo preferito tornare in hotel.
Ceniamo presso il ristorante The Trio su segnalazione della guida. L’atmosfera è più o meno la solita, si consuma il pasto su una terrazza coperta vi sono anche dei divanetti, la musica live ed un menu che si differenzia un po’ dagli altri perché prevede piatti dai vari continenti tra i quali l’Italia. Non prendiamo pasta ma delle patate arrosto gustose condite con menta e anice al posto del classico rosmarino, un riso biryani: gradevolmente speziato con pomodoro, cavolfiore e piselli e un mix di vegetali di stagione. Al posto del chapati proviamo il tandoori roti: sorta di piadina con farina differente, molto buona e due pepsi che segnaliamo essere scadute da un paio di mesi. Ci vien risposto che… Non c’è problema, qualsiasi bibita può esser bevuta fino a dopo sei mesi dalla scadenza! Non troviamo esaustiva e carina questa risposta, ma visto che è un discorso a vuoto paghiamo € 6,20 in due, lasciamo il nostro commento su un foglio che ci viene presentato e andiamo via. Peccato per questo inconveniente (non avevamo mangiato affatto male) che però ci capiterà altre volte e le risposte saranno identiche a quella ricevuta.
Torniamo al Rang Mahal e ci rilassiamo a bordo piscina scambiando tante chiacchiere in italiano con Rathore il simpaticissimo responsabile dell’hotel che cerca lavoro in Italia e in continuazione ci ripete che per € 4.000 al mese riparte insieme a noi. Gli rispondiamo che merita molto ma molto di più e cercheremo di accontentarlo, magari assumendolo, a Roma, nella fabbrica di mobili della mia famiglia, l’Arredamenti Luna! Ovviamente scherziamo!
26 agosto. Pokaran-Phelodi-Osiyan-Jodhpur (300km). Dopo la prima colazione sempre più ricca, partiamo per Jodhpur facendo due soste fuori programma. Dopo un’oretta e mezza ci fermiamo a Pokaran per visitare un piccolo ma grazioso Forte in arenaria rossa (€ 3 in due più la macchinetta) all’interno del quale vi sono dei templi e un museo con cimeli di marajà. Tantissimi fedeli indiani ci guardano curiosi visto che è insolito trovare turisti. I più benestanti che hanno un cellulare o una macchina fotografica chiederanno la cortesia di posare per o con loro. I più timidi invece faranno finta di immortalare un punto nel vuoto e… Zac, nel riquadro dell’immagine ci siamo noi! Che se ne faranno, poi! Siamo contenti di regalar loro un sorriso ed increduli che il nostro incontro sia un ricordo da conservare. A volte abbiamo l’impressione di averli distratti dal motivo principale della loro visita culturale. Non occorre, tra l’altro, indossare indumenti eccentrici o particolari! Il mio boy spesso in bermuda e t-shirt, io con magliettina di cotone e pinocchietti o i pantaloni di Alì Babà acquistati qui! Se chiedete voi, invece, di scattarne una, al 99% i soggetti poseranno molto, ma molto volentieri. Solo pochissime volte pretenderanno delle monete o non vorranno proprio essere “disturbati”.
Altro stop a Phelodi, una cittadina poco conosciuta che conserva haveli disabitate e vecchie 800 anni. Importantissimo e particolarissimo il Tempio di Shri Godi Parshnath (€ 1 per la macchina fotografica e la donazione) che Kishore ci fa aprire appositamente dal jainista Sanjay il quale in un inglese perfetto ci spiega che è stato costruito in 60 anni 200 anni fa utilizzando materiali di chi passava da queste parti e barattava l’oppio (specchi dal Belgio, piastrelle dall’Olanda, pitture dalla Cina e marmi da Carrara!).
Fondamentale il commercio dell’oppio, consumato soprattutto dai guerrieri rajput affinché nel combattere avessero la visione della città eterna. Il suo uso rafforzava il coraggio e, qualora fossero stati feriti, arrestava le emorragie e dava sollievo al dolore. Veniva fumato, sorseggiato dal palmo di una mano (acqua di zafferano) o mangiato. Oggi è una sostanza illecita, ma è comune il consumo per festeggiare le nascite, durante cerimonie commemorative, per appianare rivalità tra famiglie. I parenti dei futuri sposi, ad esempio, consolidano il nuovo legame consumandolo insieme. Minime quantità sono concesse agli anziani.
All’interno del Tempio, perfetti gli otto angeli in pietra che suonano un differente strumento musicale intorno ad una danzatrice; un po’ kitch le tante colonne e la cupola tempestate da pietre. Fenomeno “inspiegabile” la parte luminosa su una sorta di quadro da cui filtra la luce del sole (è come se ci fosse una micro lampadina accesa dall’alba al tramonto) nonostante non ci siano fori sul muro! Sanjay ci mostra successivamente la sua haveli-museo dove colleziona, da generazioni, oggetti antichi di tutti i tipi: alcuni assolutamente da esposizione con valore inestimabile, altri pezzi unici da antiquariato che vende con certificati di autenticità ed altri per puro commercio. Eh, se avessimo avuto una casa grande, una valigia leggera e un po’ di soldi… Non ci saremmo accontentati di acquistare solo un tappetino-arazzo! Una sosta che mi sento di consigliare perché non comporta troppo tempo né deviazioni esagerate.
Ci rimettiamo in cammino e dopo pochi km assistiamo ad una scena da film dell’orrore, un’immagine di guerra: un incidente mortale. Qualche minuto prima c’era stato un violento scontro tra un camioncino e una jeep ora completamente distrutte. Sull’asfalto, attorniate da curiosi, animali mentre le macchine fanno zig zag, sei persone insanguinate sono sparse. Tre sono sicuramente decedute, tre si muovono appena e “salve” per miracolo. Il nostro driver chiama i soccorsi, erano arrivate altre segnalazioni, ma gli aiuti partono da lontano, le strade non sono in perfette condizioni e… Non si può far altro che aspettare, sperare e pregare! Purtroppo di incidenti ne vedremo tanti altri ma per fortuna non così gravi.
Sconvolti, un po’ impauriti e rattristati proseguiamo il viaggio, facciamo qualche commento e raggiungiamo Osiyan, un’oasi nel deserto con un Tempio indù in pietra scura lavoratissima. E’ dedicato a Ganesha, arroccato su una collinetta dalla quale si ammira il semi deserto e le poverissime, fatiscenti, poco confortevoli e non accessoriate (in molte mancano le finestre) case degli abitanti.
Arriviamo a Jodhpur, la seconda città del Rajasthan, una volta capitale dello Stato Marwar, abitata da quasi 2,5 milioni di persone e vediamo subito la differenza con le mete finora toccate dove non vi erano supermercati, strade asfaltate, veri e propri negozi e… semafori! Sì ci rendiamo conto che non ne avevamo incontrato nemmeno uno! Siamo un po’ stanchini, in fondo abbiamo viaggiato per più di dieci ore e provato fortissime e non sempre piacevoli emozioni.
Alloggiamo presso l’Hotel Ranbanka attuale residenza di un marajà che ha deciso di dividere la sua maestosa casetta ricavando un imponente e fastoso albergo. E’ attiguo ad altre due strutture simili dove alloggiano i suoi fratelli! La stanza ha due letti a una piazza e mezza, un enorme bagno con doccia e vasca e una bottiglietta al giorno d’acqua gratis. Vi è la tv che come sempre non accendiamo, non vi è il frigobar ma un giardino curatissimo con un’enorme pulitissima piscina!
Impariamo il termine dhaba: chiosco su strada dove si preparano cibo e bevande tra cui il consumatissimo e onnipresente masala tea, un mix energizzante di latte, tea, acqua, chiodi di garofano, cardamomo e pepe nero che si serve bollente in bicchierini. Contro qualsiasi sensato consiglio, sfidando la sorte e su invito dell’autista (che per me ha speso ben € 0,10!) ho bevuto il masala tea in una dhaba. Confermo la bontà della bevanda e smentisco gli effetti collaterali! Operazione che ripeterò nel corso del viaggio.
27 agosto. Jodhpur. Dopo un’abbondante prima colazione con servizio al tavolo, iniziamo la visita di questa importante meta turistica che prende il nome dal re Jodha, capo dei Rathore Rajputs, fondata nel 1459, soprannominata anche la Città del Sole per la costante presenza di tempo sereno, ma anche Città blu per il gran numero di abitazioni di brahmini, un tempo le uniche a poter essere dipinte in tinta di indaco (protegge dal caldo e allontana gli insetti), colore del Dio Krishna.
Stamattina pensavamo di trovare su qualsiasi quotidiano del Rajasthan notizie in merito all’incidente di ieri in cui due famiglie erano rimaste coinvolte a km 20 dal Tempio di Ramdeora al quale si stavano recando, ma sui due quotidiani letti dall’autista nemmeno una riga. Forse domani o probabilmente mai: vi sono così tanti problemi che ad un incidente del genere, che in Italia avrebbe fatto tanto parlare e scrivere, qui non si dà risalto. Nel nostro piccolo, così come fatto anche ieri, preghiamo per la loro anima.
Prima tappa al mausoleo in marmo bianco della famiglia reale Jaswant Thada (€ 1,50 in due più Tara) che chiamano il piccolo Taj Mahal dove è stato curioso vedere, dall’interno, che in alcuni punti l’alabastro, fine ma forte, diventa semitrasparente lasciando passare la luce del sole. Curato il giardino adiacente, con alberi dai frutti simili a lunghissimi fagiolini e una bella veduta panoramica della muraglia di quasi km 10.
E’ poi la volta del maestoso Forte di Mehrangarh, una delle più grandi fortificazioni in India, costruito nel 1459, simbolo glorioso di una dinastia che per 500 anni e fino al 1949 ha governato dominando la città da questo massiccio di 130 metri. L’attuale 39° governante è sua altezza Marajà Singh II che ha creato nel ’72 diverse fondazioni per mantenere, conservare e preservare il suo patrimonio affinché duri nel tempo. L’entrata costa complessivamente € 11 e comprende un’audioguida in italiano a testa che consiglio vivamente e che vi farà volare il paio d’ore che si impiegano per visitarlo tutto. Un documento o 2000 rupie o € 40 dovranno essere lasciate quale cauzione. Noi ne eravamo sprovvisti e siamo stati “soccorsi” dall’autista che ha lasciato la sua patente in ostaggio! Saliamo per la cittadella, attraversiamo la Porta del Sole e ci lasciamo immergere dall’atmosfera di un tempo quando il Forte era abitato da uomini d’onore che pensavano di discendere dal sole ed il cui regno Marwar significava terra della Morte o paese dei morti. All’interno passando tra cortili, corridoi… Su vari livelli, visitiamo palazzi, belle stanze, ognuna adibita ad una funzione specifica con finestre intarsiate dalle quali filtrava aria e luce e attraverso le quali le donne potevano dare uno sguardo al mondo senza essere osservate. Ricca l’esposizione di armi realizzate artigianalmente, su misura e gusto dei guerrieri, perfette; manufatti in genere tra i quali ci colpiscono i palanquini ossia i sedili o veri e propri letti sui quali i reali venivano trasportati da uomini (a volte anche 12) che sincronizzati procedevano cantando per rendere più piacevole e meno monotono il viaggio (se a spostarsi era una donna i mezzi erano semichiusi o coperti da veli!). Originali le culle per i bimbi appena nati.
A proposito di neonati: nessuna preoccupazione se non portano il pannolino. Non è che le famiglie non se lo possano permettere, è cultura locale che per i primi due anni i bimbi si tengano in casa, o nei paraggi, o comunque in luoghi all’aperto e si abituino quanto prima ad essere indipendenti nell’esplicare le normali funzioni fisiologiche sciacquandosi poi il sederino. Solo nel caso di interminabili viaggi in bus che prevedono poche fermate è ipotizzabile l’uso di questi beni di emergenza! In 20 giorni di viaggio ho visto solo un bambino su decine con il pannolino.
E per restare in tema di escrementi… fuori dalle abitazioni a volte le cacche appena evacuate dalle mucche vengono lasciate o addirittura spalmate affinché le mosche ci si appoggino e non entrino in casa portando malattie. Vengono poi rimosse, una volta secche, di prima mattina.
In contrasto con le pianure spoglie del Rajasthan ammiriamo sempre più e li fotografiamo in continuazione, i colori delle vesti, degli scialli, dei turbanti variopinti di queste genti che vanno dalla profonda tonalità del rosso, all’arancione brillante, al giallo abbagliante, al verde rinfrescante. Qualsiasi ambiente assume una vivacità che non ha uguali. In passato, ora si stanno un po’ perdendo le tradizioni, i colori erano differenti a seconda delle festività (l’azzurro pavone si indossava quando si assisteva ai fuochi d’artificio per la prevalenza del bene sul male; il rosso portava fortuna se indossato dalle spose così come il turbante color zafferano dai mariti, colore sacro anche dei guerrieri durante i combattimenti alla fine della carica; lenzuola bianche per coprire le salme e color cachi o bianco e verde opaco o azzurro spento e turbante rosa pallido se si era in lutto) e delle stagioni (scuri nei mesi freddi, a luglio prevaleva il colore delle nuvole per l’attesa del monsone, rosso e bianco per il raccolto…).
Fotografiamo il bel palazzo di Umaid Bhawan, metà residenza di un marajà, metà adibita ad hotel extralusso e dopo aver fatto rifornimento di bibite presso uno degli unici supermercati che troveremo, il National Handloom corp adiacente l’albergo con prezzi modesti (3 bottiglie d’acqua, una di coca cola e una di succo al mango € 1,90) e di frutta su una bancarella per strada (€ 2 per 6 banane, 4 mele e 2 melograni) rientriamo in hotel per un po’ di relax.
Nel tardo pomeriggio ci dedichiamo ad una passeggiata per i vicoli della città vecchia varcando la porta del Sadar Market dove spicca la Torretta dell’orologio. L’esperienza va vissuta perché – a parte qualche negozietto che vende spezie e tea prevalentemente a turisti, previa simpatica spiegazione delle singole proprietà delle une e degli altri e un bicchierino per testarne il sapore –, la compravendita di tutto, in una sorta di Porta Portese perenne, avviene prevalentemente tra locali. Scoprirete mestieri che in occidente stanno scomparendo o sono scomparsi.
Ne abbiamo visti e non solo qui dei più disparati: il trasformatore di canna da zucchero; lo “spaccatore” di ghiaccio da vendere a pezzi a coloro che si presentavano con una riciclata busta di plastica; lo “spezzettatore” di carbone da ciocchi di legno in carbonella; il “pesatore” di persone con una bilancia un po’ demodè sulla quale gli indiani, per pochi centesimi, salivano e si facevano dire più o meno il peso! Spesso svolti in baracche, sul ciglio della strada, alcuni ben chiari, altri meno, molti ci ricordano quelli svolti dai nostri avi o appresi nei vecchi film. I più gettonati sono i meccanici, i barbieri, i sarti, i pasticceri, le stiratrici, le lavandaie, i calzolai… A cielo aperto o sotto qualche improvvisata tettoia!
A tutte le ore del giorno e della notte vedrete barbieri all’opera che fanno accomodare i propri clienti su banchetti in strada, faccia rivolta verso il muro sul quale è appoggiato uno specchio, o neanche quello, a far loro la barba. Il costo è veramente irrisorio o spesso si fa una sorta di baratto: io ti porto il latte o vado in paese a comprarti la frutta e tu quando consegno mi sbarbi o tingi i capelli con l’henné. Molti uomini che da noi sarebbero ridicoli con capelli e barba color arancione, qui per bellezza si fanno tingere per non mostrare la loro chioma o i loro mustache bianchi. Le donne che hanno i capelli tinti (sempre con prodotti naturali) o segnati, sono sposate, mentre le nubili devono obbligatoriamente essere al naturale.
In alcuni periodi molto caldi in cui la temperatura arriva anche a 48°C si lavora prevalentemente dalle 5,30 alle 10 e dalle 18 alle 22. Negli Stati in cui si vive di agricoltura e turismo ci si concentra a dare il massimo per 8-9 mesi e a campare di risparmi per il periodo rimanente.
Ceniamo presso il Ristorante On the Rock. E’ a due passi dall’hotel, carina l’atmosfera a lume di candela tra le rocce, ma per i miei gusti un po’ finto e un po’ troppo al buio. Non mangiamo male: hara bhara kebab: sorta di spinacine, mutton pulao: riso allo spezzatino di capra piccante, tandoori roti, acqua e lime per un totale di € 6.
Ultimo pernottamento all’Heritage Ranbanka.
Oggi ho assaggiato il kasmiri tea: un mix di cardamomo, cannella e un pizzico di zafferano. Ottimo e… La stranezza? E’ che è un tea senza tea!
28 agosto. Ranakpur-Kumbalgarh-Udaipur (280km). Dopo l’abbondante colazione e lasciati i commenti sul servizio, ci aspettano “solo” 12 ore di viaggio che quasi non sentiamo grazie ai vari pit stop. La prima sosta fuori programma la facciamo presso una sorta di grande piazzola dove era allestito un altare all’aperto con la particolarità che l’oggetto dell’adorazione era una motocicletta. L’autista ci ha praticamente portato ad uno dei templi dedicati a Ganesha presso il quale si fermano tutti gli autisti, i motociclisti, le varie famiglie che hanno comprato un mezzo per spostarsi o che viaggiano su mezzi pubblici per scongiurare qualsiasi incidente e, nell’attesa che il miracolo si compia (pare che una volta l’anno la moto si metta in funzione automaticamente), un fuoco deve rimanere accesso 24 ore su 24. Il clima è un po’ pesante: fa un caldo spaventoso, una scodella arde, in un pozzo attiguo si alimenta un falò con l’immondizia (varie volte vediamo questa sorta di inceneritori), molte moto si fermano rombando… Ed è incredibile per noi pensare e vedere una cosa simile, persone molto povere che fanno tanta strada per offrire zuccherini, fiori, frutta e qualche rupia ad una moto, ma rispettiamo questa credenza e dopo qualche minuto ci rimettiamo in viaggio per la seconda tappa: l’imponente Tempio jainista di Ranakpur.
Purtroppo, mentre facciamo i biglietti per le “bambine” (€ 4) inizia un’acquazzone che dura più di 40 minuti e non possiamo far nulla se non aspettare! Riusciamo ad entrare dopo esser stati controllati severamente: pantaloni lunghi, ok indossare calzini ma via i copriscarpe, buttare eventuali gomme da masticare, lasciare le bottiglie d’acqua fuori, nessun cibo… Mostrare il pagamento della camera e della video, vietato fotografare e filmare i fedeli mentre pregano! Il Tempio è molto particolare con le sue 1444 colonne in marmo scolpite, due statue di elefanti, un gigantesco albero cresciuto al suo interno e tutta la struttura completamente immersa nel verde di un bosco fitto e abitato da scimmiette.
A proposito di tickets, spesso per ricordo li conservavo a mo’ di souvenir ma la maggior parte delle volte erano identici perché emessi dallo Stato e l’unica variante era l’importo stampato. Raramente appongono un timbro con il nome del sito sul retro. Un paio di volte potevamo utilizzarli come cartoline, ma sarà difficile trovare i francobolli acquistabili solo presso gli uffici postali.
Piccola pausa pranzo e subito in macchina su e giù per i Monti Aravalli che ci condurranno fino ai 700 mt di Kumbalgarh dove il Forte (€ 5) ci riporta in Cina in quanto attorniato da una simile Grande Muraglia di km 36. Il cielo spesso carico di pioggia si è schiarito e la salita in cima si rivela una salutare camminata prima di un altro paio d’ore di auto che vedranno Kishore fare lo slalom tra crostoni di montagna franata, mezzi fermi in mezzo alla già piccola carreggiata, gruppi di asini, maialini-spazzini, scimmie “volanti”… E ancora tanti, ma tanti, ma tanti fedeli in pellegrinaggio al Tempio di Ramdeora. Se non l’avessi visto con i miei occhi non avrei mai creduto allo spostamento di quasi 17 milioni di persone che spesso scalze, rotolando, o in 3-4 in moto… Senza uno zaino, la certezza di un riparo, sotto il sole cocente o la pioggia incessante, su strade sterrate o su un asfalto rovente rendono omaggio alle divinità. In alcune rientranze del tragitto (anche di km 500 percorribile in minimo 10 giorni di cammino) i ricchi fanno allestire dei punti di ristoro gratuiti. La sera molti trovano ospitalità presso “case” dove c’è sempre posto per sdraiarsi e lavarsi o per continuare ad onorare Baba Ramdev con balli e canti prima di rimettersi in cammino alle 5. Consiglierei di visitare il Rajasthan nel mese di agosto solo per vedere questa partecipazione, ma celebrazioni, fiere, festival… Allegri e sentiti si susseguono nei mesi e in qualsiasi periodo si intraprenderà il viaggio se ne vedrà una.
Ci fermiamo più volte presso quello che in Italia chiamiamo casello autostradale, ma che qui non credo possa prendere un nome simile. Si tratta di una casupola in cemento con una finestrella protetta da una grata all’interno della quale vi è chi maneggia i contanti allungati da un tizio seduto su uno sgabello davanti al blocco di cemento in questione mentre un terzo sposta un pannello con su scritto “stop”. Iniziamo con Kishore una lunga chiacchierata sulle autostrade, i pedaggi… Le differenze con il nostro paese e ne scopriamo delle belle. In India a una donna non è concesso guidare in autostrada! Può portare l’auto solo nelle grandi città e le moto esclusivamente nella capitale: nel Rajasthan a Jaipur. Da noi per segnalare a qualcuno che lo si vuol superare al massimo si lampeggia e nella parte posteriore dei mezzi non vi è assolutamente scritto “please horn” o “blow horn” o “sound horn” (per favore suona il clacson!). Il mio spiegare il telepass, le carte prepagate, i punti sulla patente, le telecamere, le limitazioni sul consumo degli alcolici… E il fatto di non trovare per nessuna ragione al mondo: cammelli, cavalli, mucche, tori, cani, gatti, pecore, capre, asini, maiali, cinghiali, elefanti, scoiattoli, scimmie… Risciò, tuc tuc, apette, motorini con quattro-cinque persone in sella senza casco, autobus con decine di viaggiatori sul tetto o appesi ad una scaletta, ciclisti, pedoni… Buche, mezzi abbandonati, frane… Su questi percorsi, e ancora targhe inesistenti o illeggibili perché scritte a penna… Lo diverte molto e l’unica sua serena risposta è: in India tutto è permesso, in India niente è impossibile!
Ci facciamo spiegare come sono composte le targhe. Le prime due lettere indicano la sigla dello Stato dove sono state acquistate; siamo in Rajasthan per cui RJ, seguite dal numero di uno dei 32 distretti al quale appartengono es. 7 Bikaner, 14 Jaipur, 19 Jodhpur, 27 Udaipu e finiscono con due lettere e quattro numeri. Si stupisce del fatto che in Italia un’auto di nuova immatricolazione ormai da tanti anni non rechi più la sigla della provincia e tra me e me penso che… Fra una trentina di anni, forse, anche qui sarà così.
Ceniamo presso il Mansi Mirch Masala l’unico ristorante ad un quarto d’ora a piedi dall’hotel. Il mio boy cede a una “pizza margarita” (base tonda croccante completamente coperta di formaggio fuso, olive nere e funghi!) ed io ad un mix vegetable pulao: una sorta di riso con i piselli. Comprese le bibite non arriviamo a spendere € 5 a coppia!
Alloggiamo presso l’Hotel Swaroop Vilas**** con stanze e bagno enormi, vari campioncini, bollitore, presso la hall dispenser di acqua… Alto standard, fastoso, con piscina, centro benessere… Ma per la pulizia delle lenzuola e degli asciugamani potevano fare di più.
29 agosto. Udaipur. Dopo la prima ed abbondante colazione al buffet (quanto la preferisco!) iniziamo la visita di questa città di circa 500 mila persone, abbastanza ordinata, ritenuta molto romantica e conosciuta come la Venezia d’Oriente o Città dei laghi (ne ha sei tutti connessi tra loro tramite canali) o la Città bianca per il colore prevalente delle costruzioni.
Prima sosta al Tempio di Jagdish, dedicato al Dio Vishnu dove ci colpisce la presenza di molti mendicanti e disabili che solitamente si spostano con grossi tricicli che fanno avanzare girando una “manovella” sul manubrio che, ruotando, mette in movimento una catena simile a quella della bicicletta (ovviamente se non hanno l’uso delle gambe). Mezzi che ci hanno spezzato il cuore ma che rendono autonome tante persone con un fare disinvolto e sereno. Una volta un disabile mi ha fatto cenno di scattargli una fotografia sul suo mezzo e dopo avergliela mostrata, dicendogli che l’avrei portata con me in Italia, l’ho lasciato sorridente e felice.
Seconda meta il Palazzo della città in marmo bianco, con stanze dalle mura tappezzate di specchi, finestre dai vetri colorati, porte d’avorio… E dai cui balconi cesellati si gode un panorama spettacolare. Compreso nel biglietto (€ 8 in due + camera) anche l’entrata al Museo adiacente
Facciamo due passi presso il lungo lago Pichola il più importante insieme a quello di Fateh Sagar ed ammiriamo i molti palazzi di marajà trasformati in alberghi di lusso quali ad esempio il Palazzo del lago che copre un’intera isola o in ristoranti come il Jag Mandir Palace (si dice che l’imperatore mughal Shan Jahan sia stato ispirato dalla sua visione per la costruzione del Taj Mahal). Volendo per € 6 a persona si può navigare il lago un’oretta a bordo di una barca, ma il tempo non è dei migliori e ci accontentiamo di vedere come molti ragazzi si tuffano in un’acqua non proprio linda: è quella portata dai monsoni nei giorni scorsi!
Prima della pausa pranzo andiamo alla Vintage & Classic Car Collection praticamente ad ammirare la collezione delle auto dei marajà (€ 5,50 in due compresi due succhi di frutta e due cartoline; se avessimo voluto pranzare il prezzo sarebbe stato di € 4,5 a testa: non male!). L’auto più vecchia risale al 1928 ed è una Rolls Royce inglese mentre la più nuova e accessoriata di aria condizionata è una Rambles americana del 65. Diverse e ben tenute Mercedes Benz tedesche, Cadillac, Buick Super 8 e Chevrolez americane, Morris e Austin inglesi. Ognuna ha un proprio box mentre alcuni risciò con la cappotta-pannello solare sono parcheggiati in uno stanzone insieme a carrozze, all’epoca trainate da sei cavalli in occasione delle feste.
Vedo per la prima volta l’insegna di una palestra, chiedo all’autista che rapporto hanno gli indiani con lo sport e mi risponde che non rientra nella loro cultura praticarlo soprattutto se in locali chiusi. Le sale da ginnastica vengono frequentate solo da chi è benestante e non svolge un lavoro di fatica. Lo sport nazionale è l’hockey, ma il cricket piace di più. Il calcio non interessa a nessuno e a chiunque abbia chiesto i colori della nazionale ha risposto picche! Per noi è un po’ inconcepibile, ma se penso ai colori delle nostre squadre di hockey o di cricket… Darei la stessa risposta! Uno sport popolare ed antico che ancora si gioca nei villaggi è il kabaddi. Un paio di drivers mi hanno spiegato, ridendo, le regole, ma sono riuscita solo a comprendere che è a squadre e vince chi pronuncia più volte e senza interruzione questa buffa parola! Mah! Se si divertono loro… Ben venga!
Gli stipendi variano dagli € 35-70 al mese per i lavori manuali, ai 270 € mensili per quelli pubblici, ai 370 € per le forze dell’ordine, militari… Fino ad arrivare ai 730 € per i medici, avvocati, i liberi professionisti in genere. L’affitto è di € 70 mensili per un’abitazione di due camere e cucina e al ristorante, per mangiare bene, non si paga meno di € 3 al giorno. Certamente i numeri cambiano da città a villaggio, da Stato a Stato, però più o meno… Se svolgi un lavoro manuale o pubblico non ti rimane un granché (altro che palestra), ma a confronto dei tanti disoccupati e della tanta miseria si è dei privilegiati!
Godermi la città è stato anche sgranocchiare una delle numerosissime pannocchie che, come in Italia, vendono arrostite su bracerini improvvisati. Con loro stupore la prendo semplice e non, come tradizione vuole, con lime e sale. Mi guardano, ridono e penseranno che così scondita non sa di niente! La pago € 0,40 e la condivido con il driver che invece se la fa guarnire abbondantemente. Per la stessa cifra gusto un bel cartoccio di pop corn fatti scoppiettare dentro un’enorme padella di ghisa all’interno della quale le grandi mani del venditore si perdevano quando, in continuazione, serviva il prodotto! Quello che non strozza ingrassa e… Nessun postumo.
Non ho assaggiato ma non dovrebbero esser male, né il chana: un composto di pomodoro, cipolla, peperoncino, lime ed un legume incrocio tra la lenticchia e il cece, che vendono anche sulle bancarelle come snack né l’ice cream per eccellenza: gelato al cardamomo, zafferano, zucchero e latte che vendono a mo’ di cremino e tirano fuori da un pentolone di ferro coperto da un telo e che probabilmente all’interno conserva del ghiaccio.
Nel primo pomeriggio ci dedichiamo alle bellezze di madre natura. Paghiamo € 3,50 per entrare nel Wildlife Sanctuary Jaisamand e godere, da 300 metri, dello splendido panorama che regalano i monti Aravalli, i laghi e Udaipur tutta. E’ una montagna sulla quale il marajà Sajjen Sing nel 1874 iniziò a costruire la sua residenza, il Monsoon o Sajjangarh Palace quando aveva voglia di dedicarsi alla caccia dei leopardi, delle iene, dei cinghiali… Il progetto prevedeva 19 piani ma morì quando il palazzo aveva raggiunto solo un piano e mezzo. All’interno dell’abitazione si vedono due balconcini intarsiati, uno in pietra scura e l’altro chiara, dai quali potevano affacciarsi rispettivamente le sue due mogli, quella di colore e quella bianca.
Oggi è luogo di pic-nic ed è in fase di ristrutturazione, ma fra sei mesi probabilmente ospiterà un museo. Di straordinaria importanza – come d’altronde lo è ancora oggi – la pioggia monsonica che veniva raccolta (anche 600.000 lt a stagione) ed utilizzata per pulire, per bere, per lavarsi… Per riempire pozzi dove gli animali si abbeveravano cadendo in trappola. Riusciamo a vedere tantissime scimmie, ma l’area è anche abitata da porcospini, cervi, pavoni, iene… E svariate razze di uccelli colorati.
Ultima escursione al giardino di Sahelion-ki-Bari (€ 0,20 in due!), proprietà del marajà Sanram Singh che nel 1734 lo aveva fatto costruire per le donne della famiglia reale (7 mogli e una figlia) e presso il quale, per una decina di minuti, tra le cinque fontane che danno il benvenuto in altrettante piazzette, fiori di loto, fiori coloratissimi, alberi di mango, palme reali… ci ritroveremo in un paese tropicale.
Finite le visite culturali mi sono regalata, presso il centro Ayur Santhushti, una quarantina di minuti di massaggio Uzhichil a quattro mani: due ragazze di 26 e 27 anni, di cui una al settimo mese di gravidanza, mi hanno massaggiata dalla testa ai piedi con un olio proveniente dalla zona dell’Ayurvedica per eccellenza: il Kerala. Diciamo che per € 14 non è stata una brutta esperienza, ma certo lontana dagli standard italiani di comfort e pulizia delle spa. Forse è meglio spendere un po’ di più e goderselo in hotel visto che qualsiasi ogni albergo dispone di un centro benessere.
Un acquisto consiglio di farlo, se cercate qualche manufatto di giovani e talentuosi artisti che pitturano su seta, carta, marmo e legno, presso la Co-operative Art School. Mahenarg Singh, un trentenne che ha già fatto parlare di sé su qualche articolo, insegna a 48 ragazzi le tecniche della pittura originale con colori ricavati da madre terra senza utilizzare quelli chimici, così come facevano gli avi che ci hanno lasciato affreschi ammirabili ai nostri giorni. Eh, avessi una casa con ampie e spoglie pareti!
Se avete voglia di comprare pashmine (i prezzi ovviamente variano e di tanto a seconda della qualità!) o vedere la dimostrazione, ascoltare l’interessante spiegazione della lavorazione dei tappeti di seta o dhari (tipo tappeti ma double face lavorati a mano da artigiani che in posizione scomodissima, a memoria e con cotoni puri realizzano mini capolavori), fatevi servire da Dinesh Goyal presso lo Sapna Rugs Factory. Eh, se avessi una casa di tanti mq!
Ceniamo per la seconda volta presso il Mansi Mirch Masala: due pizze plein cheese: con solo formaggio alle quali facciamo aggiungere pomodoro, un mix vegetable: piselli, cavolfiore e carote bolliti con burro, due plain roti: piadine semi integrali e una bottiglia d’acqua per € 6 in due. Ci accorgiamo che nonostante consumiamo il tutto presso il pub, i prezzi che ci applicano sono quelli del menu ristorante attiguo, un po’ più alti ma… Non battiamo ciglio.
Rientriamo al Swaroop Vilas e a nanna che domani ci aspetta un lungo viaggio!
30 agosto. Chittaurgarh-Pushkar (300km). Dopo la prima colazione con servizio al tavolo (sono tutte simili, può variare il particolare di un succo di frutta piuttosto che di una spremuta, di due tipi di cereali piuttosto che solo corn flakes classici, di cornettini, muffin, di monodosi di marmellata piuttosto che in grandi ciotole…) partiamo per Chittaurgarh dove arriviamo in quasi 3 ore fermandoci ogni tanto a distribuire campioncini di sapone e marmellatine “fornite” dagli hotels. Il biglietto di soli € 4 totali comprende la visita di tutto il sito: il Kumbha. Una muraglia racchiude un Forte disabitato dentro al quale è bellissimo passeggiare e fantasticare sulla vita di un tempo, la Torre della Vittoria di mt 40 sulla quale si può salire, dei piccoli templi, un lago dove molti ragazzi fanno il bagno e tanto verde che ospita famiglie numerose intente a consumare le varie pietanze portate da casa o comprate sulle bancarelle. Tante sono le scimmie che “volano” da un albero all’altro, che mangiano ceci venduti in cartocci, bevono aprendo i rubinetti dell’acqua pubblica e spulciano i maiali che si accontentano di scarti qua e là.
A pranzo ci fermiamo presso una sorta di autogrill giusti in tempo per scampare all’inizio di una pioggia torrenziale che ci accompagnerà per un’ora di viaggio. Che tensione! Dal parabrezza completamente appannato, sul quale l’acquazzone si scatenava, si vedevano a malapena le luci di qualche mezzo che l’autista superava o schivava contromano. Un bel passaggio di monsone che riempiva interi avvallamenti a vista d’occhio. In alcuni momenti ci siamo detti che se avessimo superato questa vacanza sani e salvi ci saremmo dovuti sentire dei miracolati. Qualora una situazione simile si fosse verificata in Italia, qualsiasi persona-mezzo-animale si sarebbe fermato… Qui ognuno continuava per la sua strada: le persone a camminare senza alcun ombrello, le mucche a pascolare, le auto, i tanti camion, bus, tuc tuc… Nella totale anarchia di sensi di marcia, a proseguire il viaggio.
Arriviamo a Pushkar nel tardo pomeriggio. Il driver paga una tassa di € 0,80 per varcare la soglia di questa città vegetariana (né carne né pesce né uova intere ma solo sbattute e mischiate ad altri ingredienti) dove è anche proibito bere alcool. Ci facciamo lasciare in piena libertà acconsentendo a farci fare da Cicerone da un ragazzetto di quindici anni. E’ carino, pulito e parla un buon inglese. Ci conduce al Tempio di Brahma, l’unico in India a lui dedicato e meta di molti pellegrini. E’ molto sporco, direi indecente: i calzini si incollano a terra dove i fedeli buttano in offerta zuccherini che con i 42°C di oggi si sciolgono sul marmo. Molta gente spinge, è vietato fotografare, riprendere, portare borse… Facciamo con il mio boy i turni pur di non lasciare gli zaini in armadietti sgangherati. Doniamo dei petali di fiori e ce ne vengono consegnati altrettanti da lanciare successivamente nel lago omonimo considerato anch’esso un luogo sacro e nel quale molti fedeli fanno il bagno durante particolari giorni dell’anno. Prima di procedere a questa operazione, ci viene dato un piattino contenente diverse polverine. In uno dei 52 ghats, in riva al lago (scalzi e accompagnati) ci fanno ripetere una serie di frasi di buon auspicio per tutti i membri della famiglia, per il lavoro, per la salute… Un cocco e un laccetto, insieme ad un’offerta in €, dovranno successivamente essere donati. Ci sembra tutto un po’ forzato, quasi un raggiro e per la prima volta interrompiamo un rituale vista l’insistenza nel chiedere soldi, quasi una pretesa, un obbligo per salvare dalla fame i bambini poveri. E’ stato l’unico episodio un po’ scocciante per la tanta pressione e violenza psicologica.
Continuiamo la passeggiata mentre si svolge una delle tante feste alla quale in numerosi accorrono da ogni luogo. Diversi i negozietti che vendono di tutto per locali, ma maggiormente per turisti: espongono addirittura stecche di Marlboro (ognuno fa un prezzo da contrattare), caramelle menthos, rotoli di carta igienica. A tanti bambini regaliamo sempre qualcosa che non sia denaro.
Ceniamo presso il Rainbow Roof Top Restaurant fidandoci della segnalazione dell’autista dove i clienti sono altri turisti ed il menu non è solo di cibo indiano, ma anche israeliano, cinese, messicano, greco ed italiano! Il mio boy cede nuovamente alla tentazione della “pizza margarita”, questa volta più realistica, mentre io non mi arrendo e continuo a nutrirmi di gustoso cibo indiano provando rice, dahl: zuppa di lenticchie più chiare delle nostre, con pezzetti di pomodoro, varie spezie e chili, sweet lassie: yogurt “Muller” bianco dolce e fresco, chocolate coconut ball: una trottola di cioccolato e cocco dal gusto simile al nostro salame dolce, ma più aromatizzato, un assaggio di banoffee Pie: semifreddo alla banana e al caramello e comprese due bibite paghiamo la modica cifra di € 6 in due. Simpatico il modo di ordinare: scriviamo autonomamente le pietanze, i relativi prezzi, facciamo il totale e andiamo a pagare. Se non fossimo stati onesti avremmo pagato € 2 in meno: il proprietario, il buffo sig. Radhey si era sbagliato!
Alloggiamo presso l’Hotel Sagat Palace**** e per ciò che la città offre sembra il migliore sulla piazza. Per la prima volta vediamo un phon e per la seconda sentiamo gli asciugamani belli “croccanti”. La stanza è grande così come il bagno, ha un letto a baldacchino, tv, mini bar, un impianto di aria condizionata un po’ vecchiotto ma funzionante. Appena arriviamo uno schieramento di inservienti ci aspetta tra cui un alto e magro uomo dalla barba e capelli lunghi e bianchi, vestito di chiaro, con un turbante arancione e un bastone. Ci fa molta simpatia, vuole fare una foto con noi, lo accontentiamo, pensiamo sia quasi centenario… È distinto ma non ha molti denti e rimaniamo shockati quando ci confessa di avere solo 65 anni!
31 agosto. Jaipur (130km). Dopo la prima colazione partiamo per Jaipur dove arriviamo dopo circa 3 ore di autostrada abbastanza scorrevole (i camion contromano e le mucche però non mancano mai). Progettata e fondata nel 1728 dal Marajà Sawai Jai Singh II è chiamata la Città rosa per il colore predominante delle abitazioni della parte vecchia dove vivono circa 500.000 abitanti i quali hanno l’obbligo, quando ristrutturano, di dipingere le mura della tinta il più possibile simile a quella originale (ora più somigliante alla terra cotta). Conserva questo colore dal 1856 quando, in occasione della visita del Principe Albert d’Inghilterra, si pensò di rinfrescarne le mura per dargli il benvenuto. I restanti 3 milioni di abitanti vivono nella zona nuova la cui planimetria è molto simmetria: da est a ovest vi sono circa km 3,5, tre sono le piazze con fontane, tutti i negozi hanno le stesse dimensioni per altezza e larghezza e sono di ugual numero su entrambi i lati della strada. I numerosi bazar e mercati sono suddivisi a seconda delle varie e molteplici attività artigianali.
Se avete voglia di comprare copriletti, federe, tovaglie, vedere la dimostrazione di come avviene la stampa: blocchi di legno tek – uno principale e altri a scalare – si premono a mo’ di timbro su cotoni, sete o misti al 50%, materiali che assorbono solo colori vegetali, scoprire da dove si ricavano i colori naturali (dallo zucchero di canna e dall’henné il rosso, dalla curcuma e dallo zafferano il giallo, dagli spinaci, dal mango e dalle olive il verde, dalla pianta dell’indaco il blu), vedere realizzato il prodotto finale che solitamente si lascia asciugare sotto il sole per due giorni… fatevi servire da Ajay presso il fornitissimo negozio Ganesham Textile & Handicraft. Eh, se avessi divani e tavoli regali (come quelli di una regina)!
Se preferite acquistare gioielli, pietre…, non prendere fregature perché vi fanno lo scontrino, vi rilasciano un certificato e vedere la dimostrazione di come si lavorano le pietre, si lucidano (con polvere di diamante e a mano per perderne solo il 10% quelle preziose e con polvere di smeraldo e a macchina, ma se ne perde il 25%, le altre), capire la differenza tra preziose (zaffiro, rubino, smeraldo e diamante) e semi preziose (un’ottantina, alcune introvabili in Italia, altre più note: topazio, onice, opale, malachite, occhio di tigre, turchese, quarzo rosa o bianco, stella nera, agata bianca, mokite, femo, calsidonia rosa, prehnite, silver colour drussy, golden o verde rutile, tigre di ferro, quarzo fumo, pietra di lava, luce di casa, pietra del sole, florite…), andate da Marco Polo che esporta anche in Italia a grossisti (i due cugini proprietari hanno una casa-ufficio in centro storico a Roma!). I prezzi sono un po’ da contrattare ma convenienti per il basso costo del personale (purtroppo) e delle tasse dell’1% (per fortuna). Orientativamente le pietre sciolte vanno dai 2 ai 5,10 € al grammo.
Ceniamo a casa di Karni Singh dove l’ospitalità è tanta e non ci sentiamo assolutamente in imbarazzo. Lui è un ragazzone di quasi quarant’anni con una moglie molto timida, affabile e due figlie probabilmente di 10 e 15 anni. Insiste affinché beviamo birra fresca (lui no!), mentre la signora serve una cena caratteristica, abbondante e non molto speziata che ci delizia proprio… Bissiamo a dimostrazione che gradiamo sul serio! Karni mi chiede il favore di contattare e rassicurare due prossime turiste che gli hanno mandato una mail per un preventivo ed io, pensando che un mese fa mi trovavo nella stessa condizione, lo faccio volentieri dal momento in cui il nostro viaggio sta proseguendo alla grande, non ha avuto, fin qui, nessun intoppo e anzi, è stato più che perfetto. Saldiamo il conto e ci regalano una stoffa che rappresenta l’artigianato locale.
Alloggiamo presso l’Hotel Shahpura House**** molto carino, stanza con salottino, tv al plasma, mini bar rifornito addirittura di vino bianco e rosso, cioccolata. Ci accolgono con un bicchiere di succo di frutta e tanti inviti ad usare la piscina, a consumare i pasti in hotel dove per le serate sono previsti spettacoli caratteristici.
1° settembre. Amber-Jaipur. Dopo la prima abbondante colazione a buffet anche internazionale conosciamo quella che sarà per tutto il giorno la nostra guida-punto di riferimento: Jagdish, un bel ragazzo brahmino di 35 anni, laureato in storia, politica e arte, che parla un italiano perfetto.
La prima sosta fotografica la facciamo per immortalare la curiosa facciata in arenaria rosa del palazzo di Hawa Mahal (letteralmente Aria Palazzo ovvero Palazzo dei Venti), costruito nel 1799 da Pratap Singh, ha cinque piani e quasi mille fra nicchie e finestre, tutte finemente lavorate a merletto. Serviva da osservatorio dal quale le donne di corte, non viste, potevano assistere alla vita della città.
Ci spostiamo di una decina di km per ammirare Amer o Amber, una città con 300 templi, sulla cui altura spicca il Forte (in onore della dea Amba) iniziato da Man Singh I nel 1592 e completato dal suo discendente Jai Singh I. All’interno si trovano tre palazzi del 600, 700 e 800 abitati all’epoca a seconda delle stagioni. Volendo si poteva entrare al Forte sul dorso di un elefante (400 rp), ma è un’esperienza che non abbiamo voluto fare soprattutto per risparmiare un sacrificio ad uno dei 100 pachidermi che fanno minimo tre viaggi al giorno con due turisti sulla groppa e che vediamo un po’ sofferenti. Preferiamo di gran lunga raggiungere la cima in macchina.
Tutta intorno vi è una grande muraglia di km 27 con 160 vedette e tre porte per l’accesso alla cittadina che fino al 700 era abitata da 200.000 persone, ora solo da 25 mila. Molte sono le costruzioni reali, spiccano le colonne con capitelli a forma di elefante in pietra arenaria e marmo nella sala delle udienze dove il marajà incontrava il pubblico – che per annunciarsi suonava un tamburo – o teneva le udienze alle quali partecipavano due file di ministri seduti ai suoi lati. Un palazzo si distingue per le pareti ed il soffitto finemente lavorati a specchio, mentre stupende finestre intarsiate si aprono sul lago sottostante. Geniale il giardino dai disegni geometrici in cui oggi sono piantati dei bellissimi fiori, ma sul quale all’epoca si coltivava lo zafferano affinché il suo gradevole profumo, quando tirava vento, inebriava le stanze.
A proposito di questa spezia squisita e preziosa… Diffidate dalle imitazioni! Fino al 600 si coltivava abbondantemente in zona, ora non più, fa troppo caldo e gli unici Stati che lo producono sono più a nord, in montagna: l’Himachal Pradesh, il Kashmir… E non costa meno di 200-300 rp al grammo.
Molti intagli si possono realizzare grazie alle proprietà della pietra arenaria (sandstone), una di quelle maggiormente utilizzate per la costruzione di forti, porte d’accesso a città. Ne esistono 7 tipi con colori differenti (rosa, giallo, grigio, marrone, bianco, celeste e avana) e si trova prevalentemente nelle aree vicino al deserto mentre il marmo (bianco, giallo e crema), utilizzato anch’esso per templi, parti di fortificazioni, è fornito in gran parte dalle cave nei 500-600 km dei Monti Aravalli.
Il primo pomeriggio lo dedichiamo all’osservatorio astronomico all’aperto, il Jantar Mantar che letteralmente significa “strumento calcolo”, uno dei cinque fatti costruire da Jai Singh II in diverse parti del paese e quello meglio conservato. Ci stupiamo di come sia ancora perfettamente funzionante (dalle 6 alle 18) e abbastanza preciso nel segnalare l’ora di Jaipur (una differenza in tutta l’India di minimo 8, massimo 46 minuti) e il segno zodiacale (il mio, il leone, è il Singh). E poi i meridiani, l’equinozio che di 6 mesi in 6 mesi è evidente su uno strumento piuttosto che su un altro, tutti scolpiti in pietra.
Il tour prevedeva anche la visita al City Palace, tuttora residenza del Marajà di Jaipur, un enorme e complesso palazzo con numerosi cortili, due musei, un’armeria… Ma a dir la verità non ne avevamo proprio voglia… E preferivamo rilassarci presso la hall dell’albergo in compagnia della guida, scambiarci mail, informazioni culturali Italia-India e omaggiarlo di un’italianissima t-shirt (veramente ci aveva esplicitamente chiesto uno zaino)!
Poco distante dalla città sorge il Manar Fort, dal quale in una giornata limpida è possibile ammirare il panorama dell’intera città.
Ceniamo presso il Gayatri’s Veg. Restaurant fidandoci della segnalazione dell’autista a due passi dall’hotel dove paneer pulao: riso con cubetti di formaggio, curry e anice, paneer tomato: zuppa di pomodoro e formaggio a cubetti, quattro roti: varianti della piadina e due coca cole ci costano € 7 in due e ci soddisfano molto nonostante la non eccezionale location!
Rientriamo all’Hotel Shahpura House**** e visto che navigare su internet è gratuito mandiamo notizie ai familiari.
2 settembre. Fatehpur Sikri-Agra (250km). Prima colazione e via per Fatehpur Sikri una città completamente realizzata in arenaria rossa, dove arriviamo dopo 3,5 ore. Costruita nel XVI secolo dal più grande imperatore mughal, Akbar, era bellissima, ma dopo solo una dozzina d’anni, durante i quali fu la capitale dell’impero, fu abbandonata a causa della scarsità d’acqua. Oggi è patrimonio dell’UNESCO ed è anche chiamata la città fantasma. Visitiamo il bel palazzo Panch Mahal, superiamo l’imponente porta d’ingresso Buland Darwaza ed entriamo nella grande moschea Jama Masjid. Si entra scalzi, ma noi indossiamo dei calzettoni e col capo coperto e in mancanza di cappelli… ce ne forniscono uno “di cortesia”.
In un’oretta arriviamo ad Agra dove ci aspetta Monat una guida che parla solo inglese e non si presenta in modo simpatico, uffa! Ci troviamo proprio nel centro nord del paese che conta 1 milione e ½ di abitanti. E’ situata sulle rive di uno dei fiumi sacri, lo Yamuna e lungo oltre 1300km che attraversa anche Nuova Delhi. Agra fu costruita nei primi anni del XVI secolo, successivamente conquistata e resa famosa dalla dinastia mongola dei Mughal fino al XVIII secolo.
Il vero motivo del nostro passaggio da queste parti è il mausoleo Taj Mahal considerato patrimonio dell’umanità e una delle sette meraviglie del mondo moderno. Un’imponente e magnifica costruzione, un capolavoro di architettura islamica voluta dall’imperatore Mughal Shah Jahan nel 1631 per ricordare la morte – il 17 giugno – della moglie Mumtaz Mahal Arjumand Banu Begum a soli 39 anni, dopo che aveva dato alla luce, contrariamente alle altre due mogli, ben 14 bimbi di cui 8 deceduti a pochi giorni dalla nascita e 6 vivi (4 maschi e 2 femmine). Il progetto venne affidato all’architetto persiano Istad Usa ed in 22 anni (come segnalano 22 mini cupole) fu ultimato grazie all’incessante lavoro di 2000 operai. È un inno all’amore eterno, per il quale sono state utilizzate 80 tipologie di pietre preziose, semi preziose provenienti da Iran, Irak, Persia… Incastonate (da lontano sembrano degli affreschi) nel marmo bianco trasportato con grande fatica da cammelli, cavalli… Da una città vicina a Jaipur in soli sei mesi. Passiamo dalla porta che si trova ad est, una delle quattro dalle quali si può accedere e notiamo che quella a sud è la più bella: certo, era la principale riservata alla famiglia reale! All’esterno vivevano le famiglie dei lavoratori. Tutte e quattro le porte sono state costruite in 5 anni utilizzando l’arenaria rossa. Varchiamo la soglia ed è lì che ci aspetta: preciso, perfetto, come lo avevamo sempre visto sulle cartoline. Dalle fontane sulla lunga vasca che ci separa da lui (purtroppo oggi non sono funzionanti) esce acqua dolce e acqua di rose. Curatissimi (8 da una parte, 8 dall’altra) i giardini che lo introducono, simmetrici ed identici per la qualità delle piante e per dimensioni. Molti scoiattoli e scimmie li abitano così come molte aquile li sorvolano. Alla destra del mausoleo una moschea e a sinistra un enorme alloggio per ospiti importanti.
Il Taj Mahal non ci ha davvero deluso, ma abbiamo trovato esoso il prezzo per noi turisti: € 27 per due persone comprese 2 bottigliette d’acqua, copriscarpe, macchina fotografica e trasporto, per un km circa, con pulmino; gli indiani pagano solo € 0,35. Ci hanno scocciato: dover pagare anche solo € 0,40 per fare una ripresa da lontano con la videocamera, poi consegnata in custodia; la perquisizione sia personale che degli zainetti e la conseguente momentanea consegna di alcune cose tipo due calamite acquistate minuti prima, caramelle e dolci che avevamo comprato ai bambini, penne, uno snack. Per fortuna non avevamo i-phod, né masticavamo gomme… Proibito; i fastidiosi numerosi venditori di qualsiasi tipo di oggetto che con insistenza volevano ammollarti cartoline, bracciali, cavigliere, t-shirt, penne… E per attirarti sparavano dei prezzi che ritrattavano; gli autisti di tuc tuc, risciò… Che per il km del ritorno chiedevano cifre assurde; gli uffici cambio che giocavano al ribasso-rialzo dell’euro-rupia. Un vero e proprio assalto al turista, un vederlo distributore di € con due gambe… Non sono questi gli indiani che abbiamo incontrato finora! E allora dobbiamo dedurre che i soldi, il dio Denaro distrugge, guasta, rovina le persone…
Ad Agra ci sarebbero stati da vedere il Baby Taj, una moschea, alcuni musei, il mercato… ma il tempo e soprattutto la non bella gestione dello stesso da parte della guida non ce ne hanno dato la possibilità. Rimandiamo a domani la visita del Forte Rosso e ci rifiutiamo di entrare in negozi-fabbriche proposti dalla guida che salutiamo comunque con una mancia. Ci fermiamo presso un ristorante consigliato dall’autista, buttiamo un occhio al locale e al menu per vedere se sarà qui dove gusteremo la cena. Il posto non è male, i prezzi un po’ cari ma… zac! “Aum aum” il cameriere ci confida che “solo per noi” ritoccherà i prezzi di un meno 20% da quelli stampati sul listino e ci fa cenno di guardare dei giapponesi seduti che non riceveranno il nostro stesso trattamento! Ma non è possibile! No, questo aspetto di Agra proprio non va!
Ceniamo in camera un po’ stressati, ci godiamo il confortevole albergo che tra i tanti compliments offre anche un cesto di frutta, tea differenti, abbondante acqua, caramelle e, per augurarci la buona notte, scritta su una foglia con un pennarello color oro, anche squisiti cioccolatini!
Alloggiamo presso l’Hotel Clarks Shiraz****sup. E quella parolina dopo le stelle si percepisce subito per la pulizia, il servizio, la cortesia e appunto le gratuità.
3 settembre. Gwalior-Orchha (215 km). Dopo la prima colazione a buffet, una delle migliori finora, arriviamo davanti alle inaccessibili mura del Forte di Agra o Forte Rosso costruito nel 500 in arenaria rossa quale luogo di potere. Oggi ospita preziosissime testimonianze del passato come moschee (tra le quali la Moschea della Perla, non visitabile), grandi palazzi, corridoi privati e pubblici, giardini. Fu iniziato dall’imperatore Akbar e proseguito dai successori Jahangir e Shah Jahan. Se si mostrano i biglietti della visita al Taj Mahal o vi si entra di venerdì si avrà diritto ad uno sconto di € 1 circa sul prezzo dell’ingresso. Stamani però, abbiamo voglia di cambiare scenario e dopo aver fotografato abbondantemente le mura esterne alte 20mt, parte dei km 2 che lo cingono, le numerose scimmie che oggi lo abitano, il fossato sottostante dove all’epoca coccodrilli e serpenti facevano da guardie, partiamo.
Dopo 3,5 ore arriviamo, salendo su per una collina, sulle cui pareti sono scolpite enormi statue jainiste, a Gwalior dove un timido ragazzo ci affianca silenzioso e comincia in maniera soft a raccontarci del Forte. Siamo circondati da un dirupo in un sito che l’imperatore Mughal aveva fatto erigere per sostare prima di giungere ad Agra. Non ci serviva una guida, ma il ragazzo aveva voglia di parlare inglese, di impratichirsi visto il periodo poco turistico e siccome si era rivelato discreto lo abbiamo premiato ascoltando interessanti spiegazioni, lasciandogli una mancia e pensando ai suoi due figli piccoli di cui ci aveva parlato. Entriamo a vedere il Man Singh Palace, una casa a tre piani – forse ci voleva una torcia per star più rilassati nel visitarla – dove il seminterrato conserva una piscina sulla quale oggi tantissimi pipistrelli svolazzano indisturbati. Due fori sulle pareti in diverse stanze sono il preludio del telefono (wow), alcune finestrelle sono il primitivo impianto di aria condizionata, una stanza apposita per i musicisti che dovevano suonare senza guardar le donne, pena la decapitazione e le stesse potevano prendere lezioni. Il palazzo è immerso nel verde, le limpide piscine dell’epoca ora sono piene di acqua piovana e sfruttate da bambini che in slip si tuffano da punti pericolosissimi. Preferiamo stare un po’ con loro che visitare altri monumenti. I ragazzi più grandi ci chiedono di essere immortalati mentre si esibiscono buttandosi incoscientemente per poi rivedersi sulla digitale (e va bene!). Lasciamo i bei colori beige e turchesi, i minuziosi intarsi di questo luogo dove in serata si terrà uno spettacolo di luci e suoni e ci rimettiamo in viaggio.
Nel primo pomeriggio dopo altre 3,5 ore di viaggio arriviamo ad Orcha o Orchha nello Stato Madhya Pradesh dove notiamo subito che la differenza di clima ha reso il terreno più fertile. Molti sono i campi di mais, le risaie… E il panorama esplode di verde e fiori. Sono tanti i fiumiciattoli che lo attraversano nei quali i bimbi fanno il bagno, gli animali si dissetano o rinfrescano, qualcuno pesca o fa il bucato. Fotografiamo in questa cittadina medioevale, capitale dei potenti Bundela Rajput – uno stop affinché il viaggio non sia troppo lungo – alcuni palazzi e templi quali il Jehangir Mahal del 600 fatto costruire in occasione della visita dell’imperatore Jehangir, il Chaturbhuj, il Chattris e il Ram Raja Temple dal moderno color arancione in tinta con i santoni Sadhus molto anziani che meditano sulla piazza centrale del mercato adiacente.
Ceniamo presso il Rajawat Restaurant, una dhaba scelta dal nostro autista al quale finalmente e dopo tante insistenze riusciamo ad offrire un pasto. Nonostante il nome e il menu possano sembrare turistici, il posto e i sapori non lo sono affatto, anzi! Più indiano di così non esiste! La cucina è una sorta di angolo cottura all’aperto; dietro i pentoloni alcuni giovani prendono le ordinazioni dal nostro driver al quale facciamo diverse domande. Ovviamente il servizio non prevede alcuna tovaglia né tovagliolo… Ma per fortuna le posate, solo per me ed il mio boy, sì. Altri indiani che mangiano nel tavolo accanto, ci guardano molto incuriositi e alcuni locali ogni tanto si affacciano, fanno capolino ai “cuochi” e ci sorridono. Scopriamo che è usanza digerire rumorosamente senza pudore, lavarsi le mani e sciacquarsi la bocca per liberarsi da residui di cibo… Tra una pietanza e l’altra e a fine pasto. Che dire? Un calarsi nella realtà locale senza però rischiare la salute: i cibi, un po’ intrugliati ma gustosi (due piatti di plane rice: riso in bianco a mo’ di pane, 9 chapati, un dal fried: zuppa di lenticchie, un mutter paneer ed un paneer makhani: sughetti con pezzetti di formaggio e con variante di piselli il primo, un aloo gobhi: patate e cavolfiori ripassati e 4 limca: una variante della sprite) non ci hanno dato problemi e ci sono costati € 8 in tre compresa la mancia!
Inutile dire che il prezzo è stato irrisorio e la maggior spesa è stata quella per le 4 bottigliette di soft drinks le quali, ce ne siamo accorti all’ultimo, ci sono state comprate appositamente in una bancarella vicina a seconda e contemporaneamente alla nostra ordinazione!
Alloggiamo presso l’Hotel Orchha Resort**** un po’ fuori la via principale ma di fronte ad alcune ex case di Marajà, immerso nel verde con una grande piscina. Inizialmente non ci aveva fatto una buona impressione (venivamo dal top e questo era, appunto, un resort, non un hotel!), ma alla fine si è rivelato confortevole, pulito e silenzioso.
4 settembre. Khajuraho (185 km). Dopo la prima colazione a buffet partiamo per Khajuraho – che prende il nome dalla palma Khajur che cresce abbondantemente in tutta la regione – dove arriviamo dopo quasi 4 ore!
Check in in hotel presso il quale le scene vissute si ripetono: saluto di benvenuto a volte con una bibita fresca e identiche domande: “da dove arriviamo? Quale sarà la prossima meta? Quanti giorni totali di permanenza in India? Indirizzo di residenza in Italia ed e- mail. Grazie! Vi faremo avere i vostri passaporti fra qualche minuto in camera. Driiiiiiin!”.
Un po’ di relax e nel primo pomeriggio il nostro autista contatta Reetesh, un ventenne studente locale con tanta voglia di spiegare, imparare, farci conoscere in italiano, francese e inglese, le realtà del luogo. Ha anche un sito e ci chiede la cortesia di buttarci un occhio e dargli dei consigli per migliorarlo: il suo sogno è aprire una sorta di tour operator. Andiamo in un internet shop e… Beh, ci sentiamo di fargli pubblicità e dargli fiducia: www.theinvisiblebox.com/indiatravel. La visita inizia con tre templi orientali jainisti la cui straordinaria ricchezza è rappresentata dai bassorilievi, ma la parte più interessante, toccante della giornata è la passeggiata tra i vicoli della città vecchia dove abitano circa 4000 abitanti e capire come è suddivisa a seconda delle caste alle quali appartengono gli abitanti. Il nostro guardarci intorno, filmare, fotografare attira l’attenzione di molti bambini che ci fanno da coda e ai quali continuiamo a regalare qualsiasi cosa non siano monete. All’esterno di diverse case leggiamo delle date che indicano il giorno in cui è stato fatto il vaccino per la poliomielite a qualche bambino, probabilmente pagato da qualche donatore, o quello delle nozze di coppie just married!
Visitiamo l’interno di una scuola e un nodo alla gola persisterà per le spoglie classi dove fungono da sedie e banchi delle stuoie, da luce e da aria condizionata una finestra e un ventilatore e da cattedra una sedia al centro dell’aula per i sei insegnanti che si alternano e che spesso sono volontari. I bambini che la frequentano sono 200 divisi in due turni. Che dire? Non ci resta altro che lasciare un contributo ed un commento e sperare che quei soldini contribuiscano all’istruzione, a una minima dotazione scolastica e tolgano dalle strade il futuro dell’India.
Ceniamo presso l’Agrasen Restaurant su indicazione della guida. La terrazza affaccia sulla strada principale, è turistico ma l’atmosfera piacevole. Assaggiamo la specialità del luogo: il normal thali: in un grande vassoio vengono portati due chapati, una porzioncina di riso bianco, dell’insalatina e tre (o più) ciotoline, con patate, con melanzane a tocchetti e con passato di lenticchie che avevamo chiesto poco speziato. Nonostante la città sia vegetariana ordiniamo pure un tandoori chicken: mezzo pollo “arrostito” con contorno di insalatina, una timca, una coca cola e il tutto, mancia compresa, ci costa € 7,50.
Alloggiamo presso l’Hotel Clarks Khajuraho**** immerso nel verde, con una grande piscina che però non riusciamo, come spesso è accaduto, per i tempi un po’ stretti, a sfruttare. L’hotel offre molto (massaggi, lezioni di yoga…) e i prezzi non sono dei più bassi.
5 settembre. Khajuraho-Varanasi. Dopo la ricca prima colazione al buffet salutiamo Kishore che si è rivelata veramente una brava persona oltre che a un ottimo e responsabile autista. Molto discreto, accondiscendente, ha tenuto l’auto costantemente linda dentro e fuori. Vestito con abiti per noi fuori moda o logorati, con macchie indelebili o scuciti, ci ispirava tenerezza perché sempre dignitosamente puliti e stirati. Per tutto il viaggio si è portato dietro una brutta bronchite (inizialmente il suo tossire ci preoccupava molto… Prima per lui e poi…) e tante volte ci ha ringraziato per avergli messo a disposizione caramelle alla menta. Ci vedeva distribuire numerose cose ai più bisognosi e messo in condizioni di scegliere, ha portato a casa pure lui due zaini, due astucci, penne e t-shirt per i figli. Solo dopo aver preso un po’ di confidenza, infatti, avevamo capito che anche la sua famiglia non era così benestante e per ringraziarlo ulteriormente per il suo lavoro, eseguito eccellentemente, abbiamo riempito un beauty case, all’interno di un borsone, con tutto l’occorrente per il prossimo viaggio, scritto una lunga lettera di ringraziamenti, comprato un quaderno per i commenti dei futuri turisti e ovviamente donato una lauta – per il posto in cui ci troviamo – e meritata mancia. Diciamo che se perfezionasse il suo inglese e imparasse un po’ di italiano sarebbe perfetto.
Con la guida di ieri, Reetesh il quale ci confida di aver imparato l’italiano da suo fratello che lavora per la Mistral, proseguiamo il giro che prevede come prima sosta l’entrata ai templi induisti occidentali medioevali del X secolo (€ 9,50 compresa la telecamera) dove ne ammiriamo tre maestosi costruiti per ordine dei re della dinastia Chandelas e noti per le sculture erotiche che li ricoprono (anche qui in serata è previsto lo spettacolo di luci e suoni). Il Tempio di Kendriya o Kandhariya Mahadev dedicato a Shiva è quello più famoso e sembra di sfogliare un fumetto pornografico dove le scene sono i bassorilievi. Giriamo poi per quello più antico di Lakshammana. Abbiamo un po’ di pudore in più rispetto alla guida che, invece, con naturalezza ci racconta che ancora oggi le visite sono utili alle coppie appena sposate o non per sapere come si procrea, si dà inizio ad un’altra generazione… i “divertimenti della vita”, un passo verso il Nirvana. Mentre passeggiamo per la parte nuova di Khajuraho dove vivono i restanti 6000 abitanti che qui hanno aperto negozi, ristoranti o sono studenti.
Visitiamo il Duladeo il Tempio presso il quale si è sposato Shiva (dula=giorno del matrimonio; deo=Dio) e che presenta all’interno un Lingam Yoni: due pietre sovrapposte, una a forma cilindrica, l’altra a forma di lastra che simboleggiano una posizione del Kamasutra.
A mezzogiorno siamo già in aeroporto per imbarcarci sul volo della Jet Airways in ritardo di un’ora e sul quale (posto 23F) ci verranno offerti tramezzino e bibita. Arriviamo in una quarantina di minuti a Varanasi dove ad aspettarci ci sono l’autista Rincu e il sorridente Mobin che ci assisterà solo per i transfer.
Varanasi è una città con un passato di più di 2500 anni. Ha tre nomi, ognuno con una sua storia: quello attuale è un termine nuovo che deriva da due ruscelli, il Varuna e l’Assie che la attraversano da nord a sud; viene chiamata Kashi perché si pensa sia stata fondata nel 1200 a.C. Dal re Kashya e Benares per la vecchia generazione. Notiamo subito il gran caos che la invade, la totale mancanza di educazione civica e di rispetto delle minime regole stradali… Problemi noti, ma qui accentuati all’ennesima potenza forse perché ad abitarla sono più di 3 milioni di persone.
Ci rechiamo al Tempio di Sarnath, in cui Buddha predicò il suo primo sermone e visitiamo, per neanche € 0,20 totali, il museo archeologico (non si possono introdurre borse, macchine fotografiche…) ricco di antichissimi suoi reperti e in cui è presente un capitello a 4 leoni, simbolo di potere, del II secolo a.C.. Volendo si può visitare per € 2 a testa il sito buddista con l’alto Stupa di mt 34. Su consiglio di Rincu ci facciam bastare l’albero Bagnan sotto al quale faceva meditazione.
Ci conduce in una fabbrica dove si lavora il broccato, si realizzano stupende stoffe, tovaglie, quadretti, copriletti… Mediante l’intreccio di fili d’argento e di seta. La spiegazione è gradevole così come il mostrare mezzo negozio da parte del venditore e la qualità dei lavori, ma non compriamo perché non abbiamo più necessità di nulla! Se capitate in zona ve lo consiglio: Mehta’s Silk ma considerate che Varanasi è la patria della seta e chiunque incontrerete cercherà di portarvi a vedere un negozio.
La sera facciamo un giro sul Gange, il fiume considerato sacro dagli indiani, una seconda mamma (la prima è quella che ti dà la luce, la terza è la mucca e la quarta è l’India). Per raggiungerlo dobbiamo percorrere vicoli ciechi, spesso bui e fare lo slalom tra mendicanti, immondizia, escrementi… Seguiamo Bibo, uno studente di 15 anni che in tarda serata e all’alba fa la guida parlando un po’ di spagnolo e un po’ di inglese e dalle 10,30 alle 16,30 va a scuola. Su una barca guidata da due indiani raggiungiamo una delle scalinate presso le quali un gruppo di “ballerini-cantanti” dai costumi colorati, dà la buona notte al Gange con una sorta di ninna nanna, dei gesti che simulano la pulizia… Mentre si fanno offerte e preghiere (puja).
Ceniamo presso il Canton Royal, un ristorante all’interno dell’Hotel Surya, attiguo al nostro, dove ci immergiamo in un’atmosfera da favola. Il nostro tavolo si trova al centro di un prato all’inglese curatissimo dove i camerieri sono fin troppo premurosi. Una botta di “lusso sfrenato” che non ci costa più di € 7 totali per un kashmiri pulao: riso con frutta fresca e secca, una tandoori salad: verdure e formaggio, paneer alla piastra, un roti e due soft drinks.
Alloggiamo presso l’Hotel Radisson Varanasi***** che ha l’unico difetto di essere distante dalla vecchia e dalla nuova città per cui sarà impossibile farsi una passeggiata: nei dintorni non vi è assolutamente nulla. Il resto è perfetto anche se i compliments abbondavano di più da altre parti ed internet è a pagamento.
6 settembre. Varanasi-Calcutta. Sveglia all’alba per un altro giro in barca sul Gange, molto emozionante. Alle 5,15 usciamo dall’hotel e vediamo la città svegliarsi: tante persone che (perdono per il paragone!) come zombie camminano per raggiungere la riva e sui ghats (le scalinate per le abduzioni) si lavano, sciacquano le loro lise canottiere, pregano secondo i riti, cantano, offrono fiori, fanno il bagno, gli uomini si radono… Mentre poco più in là su cataste di legna si dà fuoco ai morti avvolti in coloratissime stoffe, si bruciano all’aria aperta in quelli che chiamano inceneritori, funzionanti 24 ore su 24. E’ forte l’odore dell’incenso e pensiamo alle anime che aleggiano in questa foschia che si dirada al sorgere del sole. Passiamo davanti al Manikarnika dove sotto i nostri occhi arde un defunto. Il mio boy sta male, la fuliggine lo “disturba” fisicamente e moralmente, io sono più concentrata ad osservare la non disperazione e la serenità dei visi di chi accompagna la salma. Certo, non sono allegri, ma non sono straziati, la rassegnazione prevale.
Camminare per le sporchissime, strette, maleodoranti viuzze di Varanasi dove tra una mucca, un bufalo, furetti e tanti topi la gente dorme su brandine, su gradoni… Mangia, beve, sopravvive… Ci fa stringere il cuore. Ogni tanto tra un mendicante e un fatiscente chiosco riusciamo a sorridere alla visione di bambini in divisa che aspettano qualcuno che li porti a scuola: sono i figli dei ricchi, quelli che frequentano il college privato, che posseggono una cartella, una piccola borraccia e iniziano le lezioni del primo turno (dalle 7 alle 12,30). Fanno tanta tenerezza, che colpa ne hanno se nel frattempo intorno a loro altri bambini in quella che dovrebbe essere l’età più allegra, spensierata, forse non ce la faranno ad arrivare a fine giornata?
Di prima mattina è prevista anche la visita ai Pashupatinat e Nepali Temple dove vi sono altre sculture erotiche, la visione in pochi minuti e dall’esterno della cupola completamente in oro del Golden temple o Vishwanath Temple (vietato introdurre qualsiasi oggetto) dell’800 e la vasca dove secondo una leggenda l’acqua è quella del sudore di Shiva per la fatica nel recuperare un orecchino caduto alla moglie Parvati. Ascoltiamo varie spiegazioni ma sinceramente dopo l’esperienza della cremazione siamo un po’ deconcentrati da una realtà molto differente dall’immaginazione.
Un giro in auto per vedere la BHU (Banaras Hindu University), la zona universitaria più grande dell’Asia (ma siamo ancora a Varanasi??!?), con tanto di residenze per gli studenti e in hotel prima di tutto per una bella doccia.
A proposito di docce, nei villaggi quelle pubbliche sono delle nicchie scavate in un muro dove si collocano brocche riempite con acqua di pozzo. Una tenda viene accostata e quando una donna si lava, affinché si avverta la sua presenza, indosserà una sorta di braccialetto in bronzo che tintinnando nell’insaponarsi avvisa i passanti. Se non avessi visto con i miei occhi non avrei creduto a tante realtà!
E’ ora di colazione, pensavamo di non riuscire a mangiar nulla e invece… Il cibo abbondante, variegato, ottimo, al quale siamo invitati, la musica di sottofondo, la gentilezza del personale ci hanno riportato nella realtà di privilegiati quali siamo e tra una chiacchierata e l’altra con un giovane cameriere desideroso di imparare l’italiano e lavorare nel nostro paese… Ci rimpinziamo abbondantemente!
Troppo relax presso l’hotel (alle 12 il check out e alle 17 il treno!), ma il sole brucia sulla nostra pelle ed è impossibile stare in giro. Concludiamo il soggiorno con la visita al Tempio di Bharat Mata dedicato alla Madre India dove una bellissima donna con un leone la rappresenta in un quadro allegro e colorato e geologicamente riprodotta con un bassorilievo-scultura in marmo. Soste veloci per foto a costruzioni in stile coloniale, un giro in un’enorme esposizione di manufatti made in India all’interno di un ex palazzo di marajà e alle 16,30 Rincu e Mobin ci accompagnano alla stazione ferroviaria. L’autista va via subito dopo la mancia, l’altro aspetta di vederci salire sul treno.
Spesso c’eravamo trovati dall’altra parte, ossia al passaggio a livello ad aspettare che il treno passasse strombazzando fortemente, fumando pesantemente… Mi divertiva l’esperienza di fare un viaggio su questo mezzo, ma devo riconoscere che è stata un po’ dura. Prima di tutto non sono mai puntuali. Il nostro ha portato 4 ore di ritardo (e siamo stati fortunati! Molte volte l’attesa è di 7, 8 ore). E’ giunto a destinazione accumulando altro ritardo con conseguente perdita di tempo per visitare la città di partenza e soprattutto quella di arrivo. Le stazioni sono sporchissime e piene di tutto: di disperati che bivaccano indecentemente, di venditori (frutta, verdura, oggetti inutili…), di bambini che raccattano plastica tra i binari, di numerosi topi che fanno da padroni gironzolando a pochi centimetri dai nostri piedi, di facchini che trasportano pesantissimi bagagli sulla testa (noi ne avevamo preso uno pensando che ci aiutasse a portare un bagaglio a mano ed invece ha messo due valigie del peso totale di circa kg 30 sulla testa ed è salito e sceso da una rampa di scale, con un caldo infernale per il costo di € 2)! E poi scimmie, gechi, piccioni, mucche! Karni ci aveva prenotato in prima classe delle cuccette paragonabili alla nostra seconda classe con lenzuola niente affatto pulite e soprattutto, nonostante avessimo speso una cifra non bassa (€ 70 a persona), pensando di essere gli esclusivi abitanti di uno scompartimento da quattro, ci siamo ritrovati un indiano a condividerla con noi (neanche cordiale)! Esperienza quindi che non consiglio per lunghi spostamenti!
7 settembre. Calcutta. Arriviamo a Kolkata, capitale dello stato del Bengala Occidentale, quasi alle 14 (e non alle 7 come previsto)! Con pazienza usciamo dalla caoticissima banchina per incontrare il nuovo driver. Nessuna traccia. Decisi a prendere un taxi per arrivare quanto prima in hotel, non troviamo neppure quello. Chiediamo informazioni su quanto dista il Park hotel… È lontanissimo. Perché non vi è alcun taxi né mezzo che ci trasporti? Un poliziotto ci risponde che la città si è ribellata al Governo, scioperano tutti, tassisti compresi! Non resta altro che chiamare Karni Singh a Jaipur e spiegargli il problema. Risponde subito assicurandoci che a breve risolverà il problema. Oggi la città è ferma e dei 4 milioni e mezzo di abitanti ne vediamo “pochi” in giro. In una decina di minuti arriva Anut con un macchinone Toyota Innova color oro, il quale riferisce che aveva aspettato quattro ore prima di andarsene (mah!), ci accompagna in albergo e ci fa presente, in un inglese quasi incomprensibile, che il nostro tour inizierà domani alle 8. Rimaniamo un po’ male, è vero che lo sciopero non era prevedibile, ma noi abbiamo pagato un servizio privato e anche se i vari punti di interesse sono chiusi… Potevamo fare un giro! Pazienza! In questa occasione Karni Singh si è affidato ad un’agenzia locale (Pashupati Tour ‘N’ Links) e la differenza di trattamento si vede! Rimane il dubbio se era nelle sue facoltà dare disposizioni differenti per non farci perdere un intero giorno.
Dopo una bella rinfrescata, cartina alla mano passeggiamo lungo la strada dell’albergo e in una mezz’oretta ci ritroviamo nel quartiere musulmano dove migliaia sono le bancarelle che vendono di tutto e le macellerie in bella vista espongono teste di caprette! Venditori e passanti cenano disponendosi in cerchio per terra a gambe incrociate e condividono un grande vassoio di pietanze.
Ceniamo presso il Tandoori delights, un “ristorante” non turistico dove in vetrina vi sono tanti spiedoni di varie specie di carne cotta al forno. E’ uno degli unici posti aperti che ci ispira un po’. Ci sediamo affamati ma un po’ diffidenti e siccome “occhio che non vede…” faccia quasi al muro ordiniamo 4 pezzi di pollo tandoori e due coca cole. Non sono niente male: il chicken è speziato al punto giusto, ben cotto e con tanto di insalatina di cipolla come contorno (che non mangeremo). Il conto? Meno di € 3 totali (ma qui il cibo lo regalano!).
Alloggiamo presso l’Hotel The Park***** il primo con posizione centrale e con un arredamento super moderno. Tra i compliments rientrano svariati tipi di tea, acqua, frutta, spazzolino, pettine, ciabatte, cerotti, limetta, lametta, elastici e addirittura attache. Sia gli asciugamani che le lenzuola di un bianco accecante! Evvai! Ci voleva proprio un hotel così per dimenticare la notte passata. La connessione ad internet costa quasi € 5 l’ora.
8 settembre. Calcutta. Dopo la prima colazione, la migliore dell’intero viaggio, partiamo per il nostro tour con Aput che è simpatico quanto un grosso brufolo sul naso, ma non ce ne fregherebbe niente della simpatia se non fosse che va di pari passo all’impreparazione: guida bene, sì, ma non sa dove andare! Non parla, ma soprattutto non capisce una parola di inglese. Sembra anche un po’ demotivato, non ci chiede neppure come ci chiamiamo, da dove veniamo… Cerco più volte di intavolare un discorso, ma è difficile se non collabora. Ci chiede cosa vogliamo vedere in questa città. Lo guardo un po’ stupita: ma non ha un programma indicativo del nostro tour così come lo avevano gli altri?! Per fortuna avevo degli appunti, glieli mostro, ma mi rendo conto che non sa quello che fa perché più volte gli devo dire che dalle mie indicazioni (più che giuste) alcuni luoghi hanno degli orari di apertura e soprattutto di chiusura. Non capisce e un paio di templi li vediamo dall’esterno perché, appunto, closed.
Finalmente ci immettiamo sulle vie della città il cui nome deriva da Kalikatta, in onore alla dea Kali il cui Tempio Kalighat Kali Temple è meta di pellegrinaggio per i fedeli di tutta l’India. L’entrata è gratuita, non si può fotografare o riprendere nulla, ma forse è meglio così! Tante sono le caprette che aspettano, legate ad una ringhiera, di essere sacrificate. Se ne ghigliottinano almeno 25 al giorno (l’ultima ora del bufalo, invece, avverrà nel mese di ottobre) davanti a tutti, così come a vista vediamo sezionare i loro corpi in una “macelleria” all’aperto. Budella e sangue scorrono sotto i piedi di chi esegue questo rito e poi subito nelle cucine affinché il cibo sia pronto per i tanti fedeli poveri che dopo la preghiera mangeranno. Ci fermiamo davanti un offertorio per la fertilità presso il quale tante donne pregano o portano dei bambini piccolissimi, segno che le puje hanno avuto successo. La fila per vedere la faccia scura con tre occhi di Kali è tanta. Noi riusciamo a sbirciare da una finestra in pietra; ai pellegrini viene versata un po’ di acqua mischiata con latte che berranno sul palmo di una mano e poi si sciacqueranno il viso dopo un’offerta in cibo o in soldi. All’interno del Tempio vi è il ghat: un vascone pieno d’acqua benedetta proveniente dal sottosuolo dove si può fare il bagno.
Tra mille odori un po’ nauseanti usciamo e continuiamo il giro sotto un sole cocente rinfrescato da mini acquazzoni durante i quali la gente esce e si lava, ne approfitta per sciacquare qualche stoviglia… Mentre il terreno diventa sempre più fertile.
Nel cuore della città è situato un caratteristico parco inglese, il Maidan all’interno del quale si trovano il Victorian Memorial, una statua in ricordo della regina inglese e il Queen Victorian Museum enorme ed in stile neoclassico che non visitiamo (sarebbe costato € 5 in due) in quanto arriviamo troppo presto, ma paghiamo il biglietto (€ 1 totali) per passeggiare nel curatissimo giardino e per scattare qualche foto. Sarebbero stati interessanti anche il Raj Bhavan, attuale residenza del governatore, il Fort William e gli Eden Garden dove si gioca a cricket, ma vi sono transenne ovunque e non si possono visitare per cui li sbirciamo in lontananza. Nei pressi buttiamo un occhio all’ippodromo e allo stadio dove gioca la squadra di calcio del Mohammagan con i colori bianco e blu.
Costeggiamo il fiume Hughly e cerchiamo di fotografare il ponte Vidyasagar Setu Shalimar di quasi ½ km, costruito nel ’92 e dalla vaga sembianza di quello di Brooklyn, ma non ci riusciamo. Aput ci assicura che tanto ci ripasseremo nel pomeriggio e… Bugia! Sarebbe stato bello vedere il porto, uno dei maggiori insieme a Bombay, la neogotica Cattedrale di Saint Paul, la Moschea Nakhoda del 1926 ma non capiamo bene perché non ci andiamo… Il driver rimanda rimanda e alla fine non ci porta.
Ci fermiamo a fare una preghierina nella chiesa di Saint John, dove al posto delle panche ci sono sedie in paglia e banchettini in velluto come inginocchiatoi, un veloce sguardo al Palazzo degli Scrittori, attuale sede del Governo, una foto dall’auto al Palazzo di Giustizia color rubino, alla bianca Libreria Nazionale, la più grande in India, e al Birla Temple in arenaria e marmo bianco che apre dalle 5,30 alle 11 e dalle 16,30 alle 21 e che troviamo chiuso (peccato, all’interno vi erano le rappresentazioni di Gesù, di Maria e di S. Francesco). Passiamo davanti al Giardino zoologico e veniamo mollati in hotel per rivederci tre ore più tardi.
Facciamo una passeggiata e, girato l’angolo, ci ritroviamo nel New Market, un bazar di bancarelle sulle quali si trova di tutto (dal cibo all’abbigliamento ai libri…). Nei pressi vi è anche l’Indian Museum che sembra essere uno dei più antichi dell’India ed il cui pezzo forte, tra vari reperti ed oggetti, è una balaustra di pietra del II secolo a.C.
Nel pomeriggio mister apatia ha un lampo di genio e ci conduce, dribblando tra il traffico sempre più impazzito, alla Science City: una vera e propria perdita di tempo prezioso! Poi propone un altro Tempio, il Dakhlneshwar, dedicato alla dea Kali ad un’oretta di auto, ma non gli diamo fiducia ed insistiamo per andare a visitare la casa di Madre Teresa dove ancora oggi le suore missionarie e tanti volontari seguono il suo esempio. Arriviamo appena in tempo per vedere quella che fu la sua stanza, una mostra fotografica che ritrae i momenti più importanti della sua esistenza, varie testimonianze e la lapide. L’emozione è forte, le sue parole, oltre che i suoi gesti, le sue essenziali cose toccano il cuore e ci commuovono. Solo dieci minuti in questo luogo sono valsi la pena del lungo viaggio da Varanasi. Ci facciamo lasciare dall’antipatico nei pressi dell’hotel per fotografare i tanti tram storici che hanno la particolarità di avere una grata al posto del parabrezza, di essere guidati in piedi e dove l’entrata e l’uscita non sono protette da porte.
Ceniamo presso uno dei numerosi chioschi (street food) dove lunga è la fila per farsi fare un egg roll una piadina-frittatina cotta su piastra oliata dove in diretta decidi gli ingredienti da metterci dentro prima che venga arrotolata. Quella caratteristica è vegetariana ma, volendo, si può optare per la egg chicken roll. La mangiamo, come fan tutti, calda calda in piedi, mentre ci rimettiamo in coda per ordinarne un’altra. Sono tanti i venditori di questa bontà e la scena è sempre la stessa anche perché costa veramente poco, è gustosa, si è sicuri che non fa male in quanto preparata al momento, sotto gli occhi di tutti, su ghisa bollente. Ne mangiamo due ciascuno e spendiamo € 1 totali! Per € 3 compriamo una baby anguria, due manghi, mele e banane che consumeremo in camera.
“Rincasiamo” all’Hotel The Park***** dove ad ogni entrata e uscita sia noi che i nostri zaini vengono controllati.
9 settembre. Calcutta-Delhi. Dopo la prima colazione all’alba lasciamo quella che fu la capitale amministrativa dell’India fino al 1912 e ci dirigiamo per quella che lo divenne e che lo è attualmente. In aeroporto arriviamo un’ora e mezza prima per spiccare il volo delle 8,55 con la compagnia Jet Airways (posto 23A) sul quale, a parte un bicchiere d’acqua, sarà tutto a pagamento. Puntualissimi alle 11,05 sbarchiamo all’Indira Gandhi.
A darci il benvenuto è Lalit, un piacevolissimo driver di Toyota Innova che parla inglese e francese perfettamente, con il quale pianifichiamo le quattro ore di tour per la città che racchiude segni del passato ed è proiettata molto nel futuro. Nonostante anche in questo caso Karni Singh si sia appoggiato ad un’altra agenzia (cambiando Stati è possibile che si verifichi), la Rajasthan Four Wheel Drive, è andata più che bene!
La prima immagine della città che ci si presenta ci ricorda qualcosa… Ah, sì, la banconota da 500 rupie: undici statue di ferro in fila, prima fra tutte quella di Gandhi! E quanti giornalisti, fotografi, addetti alla manutenzione delle strade… Il motivo è l’organizzazione per i Commonwealth’s games che si svolgeranno il mese entrante.
Delhi è una tra le più grandi e popolose città con oltre 17 milioni di abitanti. E’ divisa in due parti: Nuova Delhi progettata durante il passato dominio britannico che ci ricorda un po’ lo stile europeo e la Vecchia Delhi dove l’impronta del dominio è Mughal e dove si rimane sconcertati dagli impianti elettrici: un agglomerato, un groviglio di fili che pendono sulle teste della gente, sul traffico impazzito, sui bazar che intasano le viuzze!
Nella New Delhi facciamo una passeggiata nel giardino del Mausoleo di Humanyun (si dice ispirò il Taj Mahal), vediamo il Qutub Minar (una torre commemorativa del X secolo, alta 72 mt, che fu voluta dal primo conquistatore musulmano, oggi simbolo della città), l’India Gate (un arco alto 42 mt simbolo della fine della seconda guerra mondiale), il Parlamento (destra e sinistra = south and north blocks) con la zona limitrofa piena di bungalow per i parlamentari e la Residenza dell’attuale Presidentessa dell’India, uno dei complessi più grandi dell’Asia, con le sue 350 stanze del ’70. Ci sarebbe stato da vedere anche il Tempio Lotus e il Tempio di Bahai, ma ce li risparmiamo per dare spazio alla caratteristicissima e caoticissima Old Delhi.
Il Raj Ghat, ossia il sito in memoria di Mahatma Gandhi presso il quale è stato cremato, ci emoziona così come leggere su una lastra di marmo alcune sue fondamentali affermazioni. L’entrata al sito, dove vi è solo una tomba in marmo al centro di un curato giardino, è completamente gratuita e vi si accede senza scarpe. Segregati in auto facciamo un giro per il confuso Meena Bazar fotografando la Jama Masjid (una tra le più grandi ed imponenti moschee dell’Asia che ospita fino a 25.000 pellegrini) e l’adiacente maestoso Forte Rosso, costruito dal 1638 al 48, segno del potere Moghul, all’interno del quale non entriamo, ma ci viene spiegato racchiude palazzi e giardini molto belli. Stiamo a ridosso del fiume Yamuna mentre l’altro fiume che attraversa Delhi è lo Hooghly. Per mancanza di tempo ed un po’ di pigrizia molti monumenti li abbiamo fotografati esternamente, ma solo perché stiamo concludendo il tour dopo quasi venti giorni in cui di templi e di forti ne abbiamo visti parecchi. Qualora questa città multietnica e cosmopolita dove le tradizioni e le differenti abitudini si sono amalgamate fosse stata la prima meta, ci sarebbe voluto sicuramente più tempo per visitarla.
Passiamo diverse volte da Connaught Place e notiamo maggiormente, rispetto a ogni altro Stato visitato, le contraddizioni, le poche dignitose condizioni sociali di molti individui e la disparità di stili tra gli stessi abitanti di questa unica grande metropoli.
Lungo Channa Market, la stradina vicino l’albergo, compro, per € 1 totali, mezzo kg di riso basmati integrale e due tipi di legumi: il chana dahl e il cala chana. Sono due delle circa 60 varietà di lenticchie (di colore bianco, verde, nella varietà gialla in cui i semi sono più piccoli, rosa, dalla tinta corallina oltre che marroni e rotonde come le nostre); legume che ho assaggiato denso come fosse un purè mischiato ad altre verdure o sotto forma di zuppa o vellutata e lo consiglio. Spesso mi è sembrata la nostra pietanza del 1° gennaio con l’aggiunta di varie spezie quali il tamarindo, il cardamomo, la curcuma e il cumino. Contenta di aver optato per questo tipo di souvenir, alla fine del soggiorno, dal punto di vista culinario, affermo convinta che il riso e il pane (leggi chapati, roti) sono le pietanze fondamentali, ogni religione ha la sua cucina e le sue regole da rispettare e i miei quasi venti giorni in questo paese non sono stati sufficienti per provare tutte le specialità gastronomiche! Elementi comuni a tutte sono il curry e le spezie. Ho distinto una cucina vegetariana e una non vegetariana ed entrambe offrono zuppe con sapori forti e gustosi. La birra accompagna bene tutti i sapori della cucina indiana ma, come le bevande alcoliche in genere, fa lievitare il conto.
Ceniamo per strada con due pannocchie, tanta frutta fresca e secca, succo di cocco… Per goderci fino all’ultimo (io, il mio boy non ne può più!) il gran caos e le contraddizioni di questo paese. Distribuisco tutti i vestiti e le borse rimaste, scarpe, ciabattine e non troppo tardi, dopo un giro al Khan Market tra venditori abusivi di chiavette usb, memory card… Che ci inseguono, rientriamo in hotel.
Alloggiamo presso l’Hotel Singh Palace passando da quelle che erano le 4, 5 stelle alle stalle, ma è l’ultima sera, domani la sveglia è alle 4 e… Ci accontentiamo. In compenso la sua posizione è abbastanza centrale.
10 settembre. Colazione in camera servita quasi in piena notte che però apprezziamo e via per l’aeroporto dopo aver discusso con un addetto alla reception che voleva addebitarci il costo di una pietanza secondo lui consumata per la cena! Ad aspettarci c’è un nuovo driver: Gajjù che lavora per Karni Singh da 7 anni, parla inglese molto bene e anche se abbiamo poco tempo per conoscerci si instaura subito un buon feeling e sfruttiamo tutta la mezz’oretta di strada per scambiarci opinioni. Fortunati i prossimi turisti che spupazzerà in giro per il Rajasthan! Il volo è puntuale, il check in rapidissimo e le poche rupie rimaste ci serviranno per qualche biscotto e bibita. Al duty free i prezzi sono esposti in dollari, le sigarette e gli alcolici sono molto convenienti (es. Tre stecche di Marlboro 48$).
Poco dopo il decollo servono un’abbondantissima colazione secondo l’Indian Style, l’American Style o l’Italian Style. Io opto per quella indiana: fino all’ultimo non voglio cedere ai sapori della cucina nostrana ed ingurgito patate speziate, chapati, zuppa di lenticchie e ceci al curry, il mio boy si strafoga cornetto, muffin, marmellata ed omlette ed entrambi un formaggino, uno yogurt sorseggiando succhi di frutta e tea che saranno offerti in continuazione. Mentre lui ammazza il tempo guardando Robin Hood, uno dei pochi film in lingua italiana, io lo occupo scrivendo le mie memorie affinché questo entusiasmante e toccante viaggio non rimanga solo nella mia testolina.
Atterriamo ad Helsinky, due ore di scalo e via per Fiumicino (posto 10E) dove è quasi ora di cena e le nostre papille gustative si preparano per un pasto casalingo made in Italy (sempre a magnà penzamo?!).
Terra! Il traffico della capitale almeno per qualche ora ci sembrerà insignificante, il raccordo lo paragoneremo ad una deserta e pulita viuzza che attraversa colline silenziose, i 4 milioni di abitanti a 4 gatti così come i 56 milioni di italiani, un numero esiguo rispetto al miliardo e 400 milioni di indiani.
10 settembre notte. Nel mio lettone… ho fatto un sogno: l’India! Un brutto sogno (la miseria, la sporcizia…), un bel sogno (i sorrisi della gente, i colori, i templi…), un sogno che a volte non ricordo (che lingue complicate l’Hindi e il Rajasthani, quanti nomi di divinità…), ma che al risveglio mi ha lasciato la sensazione di ciò che ho provato: piacevole come i profumi dell’incenso, delle collane di fiori… O d’angoscia come gli sguardi e i gesti inequivocabili di chi ha bisogno di te per sopravvivere; un sogno che vorrei continuare anche domani notte, un sogno che mi ha lasciato il buon sapore del sweet lassie o del masala tea e di disgusto della realtà cruda di una stazione invasa da ratti o di una strada lercia dove bivaccano disperati; mi sono risvegliata leggera per esser stata in un paradiso dove tanti erano i visi sereni e pieni di pace, quelli di coloro che pregavano… E nello stesso tempo pesante per aver visitato un girone dell’inferno con la grossa differenza che lì nessuno aveva peccati mortali da espiare! Un sogno colorato dove nulla è scontato, dove tutto è possibile, all is possible, all is permit, un sogno incredibile, come l’Incredibile India.
11 settembre… Venti giorni in una realtà così differente sicuramente insegna ad apprezzare di più quello che si ha, a non lamentarsi o arrabbiarsi per inconvenienti che ora se paragonati sembrano stupidaggini. Il bucato è steso e inizia a piovere? In Italia può essere motivo di dispiacere, in India è un episodio che si verifica anche più volte al giorno ed il vero dispiacere è che da stendere c’è ben poco! Altro che “portati l’ombrello che le previsioni per oggi…”. In un auto in Italia: “stai comodo o mi faccio più avanti? Mettiti tu davanti che hai le gambe lunghe…”; In India su un tuc tuc viaggiano anche in venti, sulla cappotta di un pullman a decine, sul tetto di un treno in centinaia, su un motorino anche in quattro e su ogni mezzo nessuno spinge, si lamenta… In Italia al coperto: “hai freddo? Hai caldo?” “lì c’è corrente…”; in India spesso le case, le strutture non hanno finestre o non hanno tetti e con qualsiasi clima si indossa lo stesso abbigliamento, magari ci si mette sulle spalle un asciugamanino tutto fare! In Italia se ci si prepara per uscire e “la maglia è un punto di beige differente rispetto alla gonna…”, in India è tutta un’esplosione magnifica di colori! E poi… “la merendina è meglio biologica, così come il succo di frutta… Bisogna sempre vedere la scadenza e che non siano prodotti ogm…”, in India se si ha fame e si è fortunati una banana, un chapati o un po’ di riso. Adoro l’Italia e dall’India, un paese che ha troppo poco, mi porto tanto: la magia della gioia dei colori, capaci a volte di far dimenticare la serena disperazione della gente, un po’ di buon senso per combattere lo spreco del nostro Bel Paese… lascio un po’ di stress e tanti beni superflui!