Templi, spiritualità e contrasti: il Triangolo d’Oro ti farà vedere l’India nel modo più autentico

Triangolo d'Oro - Khajuraho e Varanasi
Scritto da: ashante
templi, spiritualità e contrasti: il triangolo d'oro ti farà vedere l'india nel modo più autentico
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Io e mio marito Stefano eravamo già stati in India nel 2018 visitando il Rajasthan e facendo un breve soggiorno al mare a Palolem; fu un viaggio bellissimo pieno di emozioni ma tornai a casa con il rammarico di non aver visto Varanasi. È così che a Febbraio di quest’anno, anche su desiderio di nostro figlio Davide, prendiamo contatto con un’agenzia locale di Nuova Delhi “Prem Viaggi” che ci fornisce via e-mail il programma e relativo costo del tour di 10 giorni “Triangolo d’oro con Khajuraho e Varanasi”.

Acquistiamo i biglietti direttamente alla compagnia aerea ITA con tratta Bologna–Roma, Roma–Nuova Delhi e viceversa. Su consiglio del medico dell’Ambulatorio Vaccinazioni, facciamo solo la vaccinazione antitifica, avendo però cura di mettere in valigia repellente per le zanzare. Richiediamo a Indian Visa Online i tre visti di entrata nel paese (validità un mese e costo 25 euro ciascuno).

Il nostro viaggio comincia Venerdì 5 Aprile e carichi di aspettative, alle ore 11 partiamo dall’aeroporto G. Marconi di Bologna per Roma Fiumicino e dopo uno scalo di un paio di ore, alle 14,10 si parte per Delhi.

Arriviamo all’aeroporto internazionale Indira Gandhi alle ore 1,15 (+ 3 ore e 30’ rispetto all’Italia) del 6 Aprile e sbrigate le formalità di entrata nel paese, all’uscita troviamo il nostro autista Rajeev che ci accoglie con una collana di fiori in segno di benvenuto. La temperatura è piacevole, imbocchiamo l’autostrada, poco trafficata visto l’orario e in circa trenta minuti arriviamo all’Hotel Udman, sono oramai le 3,30 e il tempo per dormire è veramente scarso, ma stanchi e felici ci accontentiamo di quel poco che abbiamo: domattina si parte per Jaipur e per noi ha inizio l’avventura.

Diario di viaggio

6 aprile, giorno 1

Fatta colazione alle 8,30 incontriamo nella hall dell’hotel il Sig. Prem Singh titolare dell’Agenzia, che ritirato il saldo del viaggio, ci fornisce un WiFi portatile che permetterà di avere sempre la connessione internet.

Caricati i bagagli sul nostro suv, mi siedo accanto a Rajeev e partiamo per Jaipur (240 km). La giornata è soleggiata e calda, il traffico notevole, ma poco importa, siamo in vacanza, perciò godiamoci ogni momento comunque sia. Dopo un paio di soste arriviamo a Jaipur, la capitale del Rajasthan. Essendo già le 14 andiamo subito a pranzo, dove ordiniamo riso Basmati con pollo. Facciamo poi il check in all’Hotel Alsisar Haveli, una bellissima struttura immersa in un rigoglioso giardino. Alle 16,30 come da programma partiamo per il Tempio delle Scimmie, un complesso di templi sacri situato sulle colline che circondano Jaipur. Il luogo ha un’aria trascurata ma anche piena di spiritualità, incontriamo molte persone dedite alle loro attività di offerta e preghiera completamente immerse nella meditazione. Qui numerosi macachi vivono scorrazzando liberi tra le mura e i giardini dei templi facendo del sito l’attrazione principale. Con una camminata a piedi di circa 15 minuti arriviamo in cima alla collina dove c’è un piccolo tempio dedicato al dio Sole Surya, da dove è possibile godere del tramonto sulla città.

Tornati alla macchina, rientriamo in hotel, il tempo di decidere il locale per la cena, poi siamo nuovamente fuori. Subito all’uscita, dopo aver contrattato il prezzo, saliamo sul tuk tuk per farci portare al ristorante Oriental Kitchen. È divertentissimo: tra il traffico caotico della città, il frastuono dei clacson, il vento caldo tra i capelli, in breve tempo arriviamo al locale. Lo stesso autista ci torna a prendere e quando, con una certa insistenza propone un giro notturno, decliniamo l’invito. Siamo stanchissimi, andiamo a dormire con il sorriso sulle labbra, domani tante cose nuove ci aspetteranno.

7 aprile, giorno 2 – Jaipur

Oggi passeremo l’intera giornata a Jaipur, alle 8,30 incontriamo la nostra guida Amir e partiamo. La prima tappa è al Palazzo dei Venti: considerato il palazzo più caratteristico di Jaipur (Hawa Mahal) è uno straordinario edificio in arenaria rosa fatto costruire nel 1799 dal Maharaja Sawai Pratap Singh per consentire alle donne della corte di osservare la vita quotidiana della città. Scattiamo alcune foto poi andiamo al Forte di Amber, un magnifico forte in stile Rajput situato su una collinetta a circa dieci chilometri fuori città. Dal cortile raggiungiamo la sommità a dorso di elefante, ognuno di questi pachidermi ha una portantina che carica due persone, perciò su uno saliamo Stefano ed io e sull’altro solo Davide. Lungo il percorso, numerosi finti fotografi scattano foto cercando poi di vendertele appena arrivi e scendi. Dopo circa un paio d’ore usciamo da questo palazzo-fortezza e con una breve sosta vediamo lo Jal Mahal, noto anche come Water Palace, situato nel mezzo del Man Sagar Lake.

Immancabile la sosta a un laboratorio tessile e a quello dove lavorano le pietre semi-preziose; assistiamo alla dimostrazione e spiegazione poi usciamo senza aver fatto acquisti. Si è fatta l’ora di pranzo, perciò seduti all’ombra nel gazebo del ristorante riposiamo gustando una bevanda fresca e un pasto.

Ripartiamo per andare a vedere il City Palace. Situato nel centro della città vecchia è un complesso di vari palazzi e templi dove ancora oggi vi risiede la famiglia reale. Nella sala delle udienze private (Diwan-i-Khas) ci sono in mostra due enormi vasi d’argento ciascuno con una capacità di 4.000 litri, fatti fare dal Maharaja per trasportare l’acqua sacra del Gange da bere nel suo viaggio in Inghilterra nel 1902 in occasione dell’incoronazione di Edoardo VII. Visitiamo l’armeria che custodisce una delle più belle collezioni d’armi di tutta l’India e la sala dove sono esposti i costumi reali dell’epoca.

Proseguendo verso il cortile interno del palazzo, incontriamo il Pitam Niwas Chowk, un edificio dotato di quattro maestose porte che rappresentano le stagioni. In ultimo visitiamo lo Jantar Mantar, un complesso di strumenti con funzionalità astronomiche costruito dal Maharaja Jai Sign; gli strumenti consentono l’osservazione di posizioni astronomiche a occhio nudo e oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Terminiamo il pomeriggio tra le viuzze del mercato: numerose bancarelle espongono verdure e frutta esotica, cibo di strada, oggetti di artigianato, stoffe colorate, ecc. In quest’atmosfera da altri tempi, vibrante di energia, oltre al via vai della gente, alcune vacche si accingono ai cumuli di rifiuti in cerca di cibo.

Giunti al termine della giornata, salutiamo Amir e ritorniamo in hotel; dopo una breve pausa a bordo piscina ci prepariamo per andare a cena. Con un tuk tuk, prima di giungere al ristorante Dragon House  ci facciamo condurre al Palazzo dei Venti per alcuni scatti notturni: è l’ultima sera a Jaipur, la “Città Rosa” dell’India; quello che abbiamo visto ci ha fatto immaginare le vestigia di un favoloso passato, domani sera arriveremo ad Agra… ci stiamo avvicinando al simbolo per antonomasia di questo paese.

8 aprile, giorno 3 – Abhaneri

Alle ore 8 ci immettiamo nel traffico cittadino del lunedì, dopo poco più di due ore arriviamo ad Abhaneri per visitare il Chand Boari, uno spettacolare pozzo a gradini; le sue geometrie regolari rendono semplice l’accesso all’acqua il cui livello varia durante l’anno in base alla stagione, con i suoi 3500 gradini e tredici piani è uno dei pozzi più ampi e profondi dell’India.

La sosta successiva è per pranzare, all’interno di un locale climatizzato mangiamo noodles e riso con verdure e dopo una breve passeggiata nel rigoglioso giardino del ristorante ripartiamo.

Sono le 14 quando arriviamo a Fathepur Sikri e incontriamo la guida che in lingua inglese ci darà le spiegazioni. Con una comoda navetta raggiungiamo l’entrata di questa bellissima città fortificata che per quattordici anni fu la capitale dell’impero Moghul governato dall’imperatore Akbar. Quando il santo Shaikh Salim Chishti gli predisse la nascita di un erede maschio al trono e la profezia si avverò, egli fece costruire nelle vicinanze del villaggio di Sikri la sua nuova capitale compresi i tre palazzi per ognuna delle sue mogli preferite: una hindu, una musulmana, una cristiana e una splendida moschea.

Passando attraverso la Porta della Vittoria entriamo nel cortile della moschea affollata di pellegrini. Qui si trova la tomba del santo, un monumento di marmo bianco; vediamo poi la Sala delle udienze private, al cui interno si trova una colonna centrale in pietra ornata da magnifici intagli, il cortile del Pachisi dove si dice che Akbar giocasse a pachisi, un tipico gioco da tavolo noto oggi in India con il nome di Ludo. Alla morte di Akbar, questa città che sorgeva in una zona soggetta a forti mancanze d’acqua, fu abbandonata.

Un po’ stanchi e accaldati risaliamo in auto fino a giungere ad Agra all’Hotel Grand Mercure, il tempo di sistemare le valigie in camera, poi di nuovo fuori per andare a vedere il Red Fort. Con guida in italiano, entriamo in questo poderoso forte moghul in arenaria rossa situato sulle sponde del fiume Jamuna. La sua costruzione ebbe inizio nel 1565 su commissione dell’imperatore Akbar, in seguito Shah Jaan lo trasformò in un palazzo ma dopo l’ascesa al potere del figlio divenne la sua prigione. Proseguendo la visita giungiamo alla magnifica torre ottagonale in marmo bianco dove Shah Jahan restò imprigionato per otto anni fino alla sua morte, da qui l’imperatore scorgeva in lontananza la sagoma del Taj Mahal che custodiva all’interno la tomba della moglie.

Questo racconto mi colpisce molto: c’è sofferenza, nostalgia e speranza… la speranza di unire un domani due anime che si sono amate tanto. Usciamo poco prima della chiusura e prima di entrare in hotel, la guida ci porta a vedere un laboratorio dove fanno un tipo di ricamo (Zardozi) utilizzando fili metallici sia d’oro sia d’argento, perle e pietre. Questa tecnica è molto diffusa e praticata in tutta l’India Settentrionale.

Per cena propongo di andare al Taj Terrace, ricordavo di esserci già stata con Stefano nel nostro precedente viaggio in India; con il solito tuk tuk raggiungiamo il posto ma purtroppo la scelta ha deluso fortemente le mie attese: la peggior cena di tutto il nostro viaggio si è consumata proprio qui. Oggi partendo da Jaipur siamo usciti dal Rajasthan per entrare nell’Uttar Pradesh, di sicuro un assaggio delle sue bellezze l’abbiamo già avuto,  domattina però ci aspetta il meglio, il gioiello di questa regione e non solo.

9 aprile, giorno 4 – Taj Mahal

Il programma prevede la visita del Taj Mahal all’alba, perciò sveglia alle cinque e alle 5,30 incontro nella hall con la guida e Rajeev. Nonostante sia presto numerose persone come noi sono lì all’entrata, speranzose di approfittare di un momento con minor calca. Stefano ed io l’avevamo già visto, per Davide è la prima volta; si vive sempre una grande emozione quando ti appare e non importa quante volte l’hai già visto: la sua eleganza, il suo aspetto immacolato, la sua storia, è qualcosa di ammaliante che ti entra nell’anima come pochi hanno il privilegio di farlo.

Fu fatto costruire da Shah Jahan nel 1632 in onore della sua seconda moglie morta dando alla luce il loro quattordicesimo figlio; alla sua morte l’imperatore le fu sepolto accanto. Giardini ornamentali attraversati da corsi d’acqua permettono di vedere, quando le fontane non sono in funzione, la splendida forma del Taj Mahal riflettersi dentro. Mi sarebbe piaciuto aver più tempo a disposizione, un tempo tutto mio per pensare, contemplare tanta meraviglia, il programma viaggio però impone dei tempi ben precisi, perciò ritornati in hotel e fatta colazione lasciamo Agra e proseguiamo per Gwalior.

Fra traffico e blocchi di controllo verso le 10,30 arriviamo a Gwalior nella regione del Madhya Pradesh settentrionale. Arroccato su una collinetta, si trova il forte con il maestoso Man Singh Palace e le sue torri circolari rivestite di piastrelle turchesi. Questo palazzo fatto erigere dal Maharaja Mansingh Tomar tra il 1486 e il 1516 in stile imperiale, è uno dei monumenti dalle decorazioni più insolite di tutta l’India: ceramiche smaltate in blu, giallo, verde, raffiguranti scene con figure di animali (elefanti, oche, tigri, coccodrilli) e motivi floreali. Lungo la strada di ritorno, scolpite nella roccia, vediamo delle sculture rupestri Giainiste della metà del quindicesimo secolo. Sono già le ore 14 quando ci apprestiamo a lasciare il luogo, la ricerca infruttuosa di un ristorante per il pranzo ci induce a risolvere il problema approfittando delle riserve di cibo in valigia (crackers, formaggini, barrette ai cereali). Cercando di prendere la situazione con “il sorriso sulle labbra”, un po’ meno da parte di Davide, proseguiamo tra campagna, villaggi rurali fino ad arrivare a Orchha. Alloggiamo all’Amar Mahal, un hotel con piscina e un immenso giardino dove regnano pace e tranquillità. Usciamo per fare due passi, ma il calare della luce, l’ambiente circostante poco rassicurante e la presenza di grosse scimmie libere lungo la strada ci fanno rientrare.

Ceniamo nel ristorante dell’hotel, poi finiamo la serata a chiacchierare seduti in uno dei tanti gazebo godendo della quiete della luna e del cielo stellato.

10 aprile, giorno 5 – Orchha

Mattinata a Orchha (la città nascosta), che fu la capitale dei Raja di Bundela. Con la guida attraversiamo il ponte e raggiungiamo un complesso fortificato su cui incombono due meravigliosi e imponenti palazzi seicenteschi: lo Jehangir Mahal e il Raj Mahal costruiti per ordine del Raja Bir Singh Deo.

Lo Jehangir Mahal è un edificio che rappresenta l’apice dell’architettura islamica medievale, un palazzo a tre piani con ripide scalinate, balconi sporgenti, terrazze, sale per le donne, le cupole a bulbo ed enormi gallerie che si affacciano su un bel cortile.  Sul retro, in un verde paesaggio dominato dal fiume Betwa, spicca una grande stalla per cammelli.

Il Raj Mahal fu costruito come residenza del re e della regina, nell’interno del palazzo si trovano bellissimi dipinti di divinità indù. Con una breve passeggiata tra venditori ambulanti, suonatori di strumenti tradizionali e mendicanti, arriviamo a Chaturbhuj Temple, un tempio dedicato al dio Vishnù.

Lasciamo alle spalle Orchha, percorriamo per un tratto una strada boscosa nel bel mezzo della campagna con tantissime scimmie. Dopo aver pranzato, a breve, arriviamo a Khajuraho all’Hotel Ramada Wyndham. Khajuraho, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, è famoso per le sue sculture erotiche annoverate tra le migliori opere d’arte al mondo. I templi, meraviglie architettoniche, costruiti tra l’885 e il 1050 dalla dinastia Chandela, sono ornati da rilievi in pietra scolpita con straordinaria maestria che narrano la vita quotidiana di mille anni fa: divinità, guerrieri, musicisti, animali veri e mitologici. Gli elementi che ricorrono con più frequenza sono le donne e le immagini erotiche: sensuali e provocanti ninfe celesti, danzatrici, uomini e donne raffigurate in posizioni erotiche. Alle 15,30 con la guida entriamo subito a vedere la sezione recintata del gruppo occidentale dove si trovano i templi più straordinari e meglio conservati. Visitiamo infine il gruppo orientale che comprende tre templi induisti e quattro giainisti.

Terminata la visita, salutiamo la guida e torniamo in hotel increduli di tanta bellezza. Per cena scegliamo il Raja Cafè, un locale che di giorno offre tavoli con vista sui templi. Varcata l’uscita dell’hotel, due ragazzi con tuk tuk si offrono di fare il servizio completo a/r per 250 rupie; durante il tragitto, un po’ in inglese e un po’ in italiano raccontano della loro condizione e precarietà lavorativa.

Appena finito di cenare, eccoli lì pronti ad accalappiarci per condurci nel negozio di famiglia di uno dei due. Trattano soprattutto tessuti e bigiotteria: per educazione guardo, ma del resto non posso acquistare cose di cui non sono interessata. Rientriamo in hotel, la giornata è stata splendida, i templi di Khajuraho sono qualcosa di spettacolare, rimasti nascosti al mondo intero e riportati alla luce circa duecento anni fa, quando nel 1838, l’ufficiale inglese T. S. Burt, fu accompagnato alle rovine dagli uomini addetti alla sua portantina.

11 aprile, giorno 6 – Varanasi

Alle ore otto si parte, la tappa di oggi prevede 390 chilometri fino ad arrivare a Varanasi. Facciamo alcune soste, compresa quella per il pranzo, poi, dopo qualche difficoltà a trovare la strada giusta, nonostante il supporto di Davide con il cellulare, arriviamo alle sedici al nostro hotel Ganges Wiew, dove alloggiamo per due notti. Situato nella zona dell’Assi Ghat direttamente sul Gange, questo hotel è splendido: una dimora in stile coloniale con mobili d’antiquariato e una lussureggiante terrazza per rilassarsi. Il tempo di appoggiare le valigie in camera poi catturati da questo luogo usciamo subito.

È incredibile, questa città non ha nulla a che vedere con le altre viste finora, la spiritualità che aleggia nell’aria è quasi palpabile; incredibilmente caotica e pittoresca, è venerata come una delle sette città sacre dell’induismo. I pellegrini hindu giungono qua, ai ghat (moli) disseminati lungo il fiume Gange per lavare i peccati nelle sue acque sacre o per cremare i corpi dei loro cari.

Approfittando ancora della luce, facciamo due passi lungo i ghat tra suonatori di sitar, mendicanti, venditori ambulanti, pirogai che ti propongono un giro al tramonto con la loro barca e Sadhus barbuti, i cosiddetti “santoni” vestiti in maniera succinta, trasandata e con il viso dipinto, spesso raccolti in preghiera o a elemosinare.

Letteralmente inebriati da tutto ciò, torniamo all’hotel tranquillizzati all’idea di avere ancora tempo, domani saremo qui tutto il giorno per godere al meglio questo posto magico.

Per cena scegliamo un locale adiacente all’albergo e ben recensito: Pizzeria Vaatika Cafè, anche se pare alquanto assurdo, dopo un po’ di attesa seduti nel giardino, mangiamo una pizza margherita cotta in forno a legna piuttosto discreta per essere in India. La serata è calda, l’atmosfera fantastica, non posso chiedere di più, sono con la mia famiglia in una realtà assolutamente unica.

12 aprile, giorno 7 – Varanasi

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La giornata comincia con la sveglia molto presto. Alle 5,15 insieme a Rawi (la guida di Varanasi), andiamo lungo i ghat a uno dei tanti punti di partenza per un’escursione in barca. Vediamo, oltre a migliaia di pellegrini devoti in adorazione al sole che sorge, anche persone che raggiungono le acque del fiume per un bagno purificatore, lavare il bucato, fare yoga o presentare offerte. La luce soffusa dell’alba appare particolarmente suggestiva e avvolge di un’aurea magica lo spettacolo chiassoso e pittoresco che stiamo vivendo.

Dalla barca scattiamo foto alla lunga successione di scalinate che scendono sulle sponde del Gange fino a raggiungere il bordo dell’acqua. La maggior parte dei ghat è utilizzata per le abluzioni ma vi sono anche diversi “ghat funerari ”presso i quali si svolge il rituale pubblico della cremazione dei morti.

Finito il giro, passeggiamo lungo i calli della città fino a raggiungere il Tempio d’Oro (Vishwanath Temple) dedicato a Shiva nella sua incarnazione di Signore dell’Universo. Di seguito vediamo Benares Hindu University, un campus con lunghi viali alberati (cinque chilometri). All’interno del campus si trova un tempio induista dove, tolte le scarpe, riusciamo a entrare e vedere i numerosi fedeli portare offerte e pregare.

Ritorniamo in hotel per fare colazione: l’incontro con Rawi è previsto nuovamente nel pomeriggio alle 16,30 per un altro giro in barca, stavolta al tramonto.

Essendo liberi e avendo tempo a disposizione, decidiamo di avventurarci lungo i ghat in tutta tranquillità insaziabili di vedere. Arriviamo all’Harishchandra Ghat: uno dei più antichi di Varanasi usato per le cerimonie di cremazione. Ci fermiamo un attimo incuriositi da alcune pire che stanno bruciando facendo molta attenzione a scattare qualche foto. Proseguiamo fino a raggiungere (tre chilometri dall’hotel) il ghat funerario più importante: Manikarnika Ghat, destinato esclusivamente agli indù e attivo 24 ore su 24. Già a distanza intravediamo cortei funebri che si fanno spazio tra la folla per raggiungere questo luogo. Da un vicolo, tramite una scala, saliamo a un punto panoramico dove possiamo vedere dall’alto il Manikarnika; numerosi cadaveri, avvolti in bianche lenzuola con sopra collane di fiori arancioni, trasportati dai parenti su una lettiga di canne di bambù, sono immersi nel Gange per essere purificati e poi adagiati sulla riva ad aspettare il proprio turno per essere posti sulle pire a bruciare lentamente. Nonostante tutto, la quotidianità della gente va avanti, anche gli animali (pecore e mucche) vagano serene mangiando rifiuti e fiori sparsi sulla riva del fiume.

In piedi osserviamo questa scena onirica, il fumo delle pire offusca l’aria rendendo il momento più surreale di quanto già non sia: la morte è lì davanti a noi, trattata con naturalezza e disinvoltura sotto gli occhi di tutti. Pur nel pieno rispetto della situazione, scattiamo alcune foto poi ripercorriamo la strada a ritroso.

Pranziamo alla solita pizzeria con pasta e torta di mele e rientriamo in hotel a riposare un poco. Alle 16,30 come d’accordo, con un tuk tuk torniamo al Manikarnika Ghat per prendere la barca. La luce del tramonto rende i colori più forti e seducenti, l’emozione è sempre viva, il fascino sempre irresistibile.

Ormai è buio, ma prima di tornare in hotel, assistiamo seduti tra la folla alla cerimonia di ringraziamento alla Dea del Gange. Ceniamo ormai alla consueta pizzeria Vaatika facendo una lunga fila di attesa ma del resto nulla ci aspetta al di fuori di questa serata fatata. Finisce qui la nostra permanenza a Varanasi; posso dire che è il luogo più intenso e spirituale che abbia mai visto: sporca, disordinata, cruda, induce alla riflessione e ti entra nel profondo in modo indelebile.

13 aprile, giorno 8 – Sarnath

Ci alziamo con calma e fatta colazione usciamo un attimo per scattare le ultime foto, poi alle 10,30 con Rawi partiamo per Sarnath, distante trenta minuti da Varanasi. Lungo la strada facciamo una sosta per comprare alcuni oggetti dell’artigianato locale: un elefantino decorato e un piccolo Ganesha.

Sarnath è uno dei siti più sacri e cari per il Buddhismo, famoso per il “Parco dei Cervi” in cui si narra che Buddha proprio qui tenne il suo primo sermone dopo aver raggiunto “l’illuminazione”. All’interno del Parco, numerosi cervi mimetizzati dal fogliame pascolano indisturbati. Circondato dalle rovine di antichi monasteri, sorge il Dhamekh Stupa, un imponente struttura alta 34 metri che segna il punto in cui Buddha parlò. Visitiamo anche il museo archeologico che comprende una sala buddhista e un’induista; all’interno del museo si trova il capitello con i quattro leoni di Ashoka del III° secolo a.C., simbolo nazionale dell’India rappresentano: potere, coraggio, orgoglio e fiducia.

Alle ore 14 siamo all’aeroporto di Varanasi e salutato Rawi e Rajeev definitivamente alle 16,25 con un volo della IndiGo partiamo per Delhi.

Fuori dal terminal un autista ci accoglie per portarci allo stesso hotel del nostro arrivo. Ceniamo nel ristorante interno; inevitabile pensare che proprio da questo hotel sia iniziato il nostro viaggio.

Il tempo è volato, ora invece siamo qui per l’ultima sera.

14 aprile, giorno 9 – Sarnath

In una grigia domenica, alle ore 10 lasciamo l’hotel e con un nuovo autista ci dirigiamo alla Moschea Jama Masjid, dove ad aspettare vi è la guida locale Raj. Situata in posizione dominante su Old Delhi, è la moschea più grande dell’India, per entrare, oltre a toglierci le scarpe mi è chiesto di indossare (a pagamento) una veste che copre l’intero corpo. Usciti, prendiamo un rickshaw (in uno saliamo Stefano ed io, nell’altro Davide e Raj) e dopo aver visto dall’esterno il Red Fort (un poderoso forte in arenaria rossa trasformato dagli inglesi in caserma) andiamo al mercato Chandni Chouk e mentre comincia a piovigginare, ci inoltriamo in caotiche viuzze gremite di venditori, facchini, motociclette e cani randagi, che permettono di immergerci con incredibile realismo nell’atmosfera di un bazar medioevale. Terminato il giro, dirigendoci verso sud sulle sponde del fiume Yamuna, andiamo a vedere il Raj Ghat: una semplice piattaforma quadrata in marmo nero segna il punto dove Mahatma Gandhi fu cremato dopo essere stato assassinato nel 1948.

Essendo già le 13,30, prima di continuare la visita della città, facciamo una sosta per il pranzo, di seguito andiamo al complesso del Qutb Minar che, essendo Domenica, è affollato. Questo sito storico, costellato di tombe, è dominato dallo spettacolare Qutb Minar, un altissimo minareto (73 metri) fatto costruire nel 1193 in stile afghano dal sultano Qutb – uddin per proclamare la sua supremazia sugli sconfitti sovrani hindu; ai piedi di questo minareto sorge la prima moschea costruita in India, simbolo tangibile del trionfo dell’islam. Nel cortile della moschea si trova la Colonna di ferro: alta 7 metri è molto più antica degli edifici che la circondano, tutt’oggi rimane avvolta nel mistero di come sia possibile che in quasi 1600 anni il metallo non si sia arrugginito.

Su nostra richiesta visitiamo poi la Tomba di Humayun, un affascinante mausoleo collocato in un grande giardino e fatto costruire dalla prima moglie persiana in ricordo del marito l’imperatore moghul Humayun. Il modello di questo edificio influenzò i costruttori del Taj Mahal. È già tardo pomeriggio quando arriviamo al Tempio Sikh Gurdwara Bagla Sahib, un tempio di marmo bianco sormontato da cupole dorate. Prima di entrare ci copriamo i capelli con un fazzoletto arancione poi, con Raj, assistiamo alle funzioni religiose, visitiamo la cucina e la mensa dove chiunque, indipendentemente dalla razza o religione, può cibarsi gratuitamente.

È buio quando l’autista ci lascia davanti al Tempio hinduista Lakshmi Narayan, entriamo per vedere numerosi fedeli dediti alla preghiera e intenti a porgere offerte.

Ritornati alla macchina, temporeggiamo ancora un po’ andando in un centro commerciale, occupiamo quest’ora a disposizione per passeggiare e vedere negozi. Alle ore 20 partiamo per l’aeroporto: con nostalgia ripenso a dieci giorni prima, sulla stessa strada, con le stesse luci della notte siamo arrivati, la vacanza cominciava e noi carichi di entusiasmo, ora questo entusiasmo si è trasformato in esperienza, torniamo a casa altresì carichi, ma carichi di un’esperienza straordinaria.

In attesa della partenza mangiamo qualcosa in uno dei tanti fast food che si trovano all’interno dell’aeroporto, poi con un po’ di ritardo, quasi alle quattro del 15 aprile, partiamo per l’Italia. È stato un viaggio meraviglioso, un cocktail inebriante di colori, spiritualità e tradizioni culturali. Caotica, povera, sovraffollata ma con templi così belli e raffinati da lasciarti a bocca aperta, ti entra nel cuore e appena l’hai lasciata pensi già a quando la rivedrai.

Namastè India.

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