Il cuore d’Irlanda

Il nostro terzo viaggio sull’isola di smeraldo per scoprire i luoghi meno frequentati dal turismo di massa
Scritto da: superele1982
il cuore d'irlanda
Partenza il: 10/08/2016
Ritorno il: 21/08/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Questo è il mio terzo viaggio in Irlanda: tre soggiorni che hanno incatenato il mio cuore a questo incantevole Paese, unico e sempre imprevedibile nel regalare nuove emozioni nei luoghi e nei momenti più inaspettati. L’anno scorso, ho fatto conoscere l’Irlanda a mio marito Davide in dieci splendidi giorni, ma quest’anno siamo tornati sull’Isola di Smeraldo per scoprire soprattutto i luoghi meno frequentati dal turismo di massa, ma non per questo meno affascinanti.

GIORNO 1 – MERCOLEDì 10 AGOSTO

Partiamo da Parma in mattinata, il nostro volo Aer Lingus da Linate decolla alle 11.20. Atterriamo a Dublino dopo due ore e mezza, sbrighiamo le formalità aeroportuali e andiamo subito a ritirare l’auto a noleggio da Hertz. Quest’anno, la nostra compagna di viaggio è una comoda Opel Astra. Dall’aeroporto a Malahide, dove abbiamo prenotato una stanza al Sonas B&B, il viaggio è breve: in nemmeno 20 minuti arriviamo nel tranquillo quartiere residenziale dove è ubicata la villetta che ci ospiterà per stanotte. Il tempo non è clemente, momenti di pioggia anche intensa si alternano a qualche minuto di tregua. Dopo aver scaricato i bagagli dall’auto ed averli sistemati in camera (che ci costa 80 euro, la colazione è inclusa; il letto matrimoniale è piuttosto piccolo, ma il bagno è davvero qualcosa di minuscolo: quasi non c’è spazio per sedersi sul wc!), ci armiamo di ombrelli e giacche a vento e usciamo in cerca di un posto in cui pranzare. Il centro di Malahide non è lontano dal B&B, e in pochi minuti raggiungiamo il pub “Duffy’s”: da fuori cattura l’attenzione con il suo intenso colore blu, e il menù esposto ci fa venire l’acquolina in bocca (d’altra parte non mangiamo da stamattina a colazione, e sono già quasi le 15!). Ci accomodiamo e ordiniamo due porzioni di Fish & Chips, un piatto che l’anno scorso abbiamo imparato ad apprezzare. Con l’aggiunta di due belle pinte di birra paghiamo un conto di 38€, ma siamo sazi e soddisfatti, e possiamo riprendere la nostra passeggiata. In un quarto d’ora circa, raggiungiamo il castello di Malahide, sempre sotto una pioggerella insistente: il parco è davvero immenso, e il castello si staglia maestoso contro un cielo grigio che non accenna a migliorare. Usciamo dopo aver percorso tutto il perimetro del parco, riattraversiamo il centro di Malahide e torniamo in camera per riposarci un po’. Per cena, torniamo in centro con l’auto e mangiamo al ristorante “McGovern’s”: io non ho tanta fame e prendo solamente un piatto di antipasti di mare, Davide invece si lancia su un appetitoso burger al formaggio Cashel Blue. Con due pinte di birra, il conto è di poco più di 33 euro.

Siamo un po’ stanchi, quindi torniamo al B&B per un buon sonno ristoratore.

GIORNO 2 – GIOVEDì 11 AGOSTO

Ci svegliamo di buon’ora e facciamo colazione alle 8. Non è la classica full Irish breakfast, ci vengono serviti un uovo e una fetta di bacon a testa, ma per il primo giorno va bene così: avremo tempo per abituarci a colazioni molto più sostanziose! Paghiamo il conto della stanza in contanti (pratica molto diffusa in Irlanda, soprattutto nei piccoli B&B a conduzione familiare) e partiamo alla volta di Kildare, che dista un’ora da qui.

La pioggia ci accompagna per quasi tutto il viaggio, e anche quando parcheggiamo a Kildare il tempo non sembra migliorare. Arriviamo alla Cattedrale di Santa Brigida, il nostro punto di interesse, dopo aver attraversato un colorato mercatino delle pulci, sempre sotto la pioggia. Entriamo nella cattedrale, e un’anziana signora ci offre una guida della chiesa in cambio di 4 euro come offerta per la manutenzione di un edificio così maestoso ed importante per l’intero Paese. Santa Brigida, infatti, è considerata, dopo San Patrizio, una figura chiave per la cristianizzazione dell’Irlanda. La cattedrale è deserta, possiamo visitarla con calma ed ammirare le vetrate che la decorano. All’uscita, la custode ci accompagna, e solo una volta fuori capisco il perché: vuole indicarci la pietra dei desideri, che stavo giusto cercando. Pare che, se si infila il braccio destro nel foro e ci si tocca poi la spalla, il desiderio che abbiamo espresso verrà esaudito. Quasi mi inginocchio, ma non si sa mai… meglio provare! A poca distanza, una maestosa torre rotonda (aperta al pubblico, ma con questo tempo non è proprio il caso di salire) veglia sulla cattedrale. Salutiamo la custode e riprendiamo la nostra strada, stavolta per andare a visitare Jerpoint Abbey. A poco più di un’ora da Kildare, nella cittadina di Thomastown, vediamo ciò che rimane di questa meravigliosa abbazia già dalla strada, appena superata l’ultima curva, e rimaniamo a bocca aperta anche prima di entrare (ingresso 4€). Questa è considerata una tra le più belle abbazie cistercensi di tutta l’Irlanda (risale al XII secolo). La struttura, benché diroccata, esprime un fascino particolare e, passeggiando mentre si osservano i bassorilievi ancora ben visibili nell’elegante chiostro, si respira ancora l’aria del Medioevo.

Facciamo decine di foto, esploriamo l’abbazia in lungo e in largo, e poi ci dirigiamo verso Thomastown per il pranzo. Thomastown è una piccola cittadina in cui i turisti sono pressoché inesistenti, in ogni caso troviamo un pub e, con due sostanziosi panini e due birre, non arriviamo a spendere 17 euro.

Ripartiamo, ora è la volta di Cashel, distante appena un’ora d’auto, dove visiteremo la celebre Rock of Cashel e dove ci fermeremo per la notte (a RockVille House, a poca distanza dalla Rocca, 70 euro con colazione inclusa). Troviamo il B&B senza problemi, è davvero vicinissimo al centro, e parcheggiamo nel parcheggio privato riservato agli ospiti. Il titolare, Patrick, un ironico e simpatico gigante irlandese, ci accoglie e ci mostra la camera, che è spaziosa e pulita. Usciamo dopo aver sistemato i bagagli e ci incamminiamo sulla salita che ci porta alla maestosa e famosissima Rock of Cashel, uno dei siti archeologici più spettacolari di tutta l’Irlanda (e oserei dire del mondo). Un’imponente cerchia di mura circonda un’ampia zona in cui sorgono maestosi una torre rotonda, una cattedrale, un cimitero e una cappella. Nata come centro del potere, la Rock of Cashel passò alla Chiesa nel XII secolo, e furono probabilmente costruiti numerosi edifici, ma oggi possiamo vedere solo i resti di quelli religiosi, sopravvissuti allo scempio perpetrato dall’esercito di Cromwell a fine Seicento. Anche all’interno, l’impressione di stupore è marcata: archi maestosi, bassorilievi meravigliosi, è tutto a cielo aperto, e il vento piuttosto forte – ma che fa sempre tanto Irlanda – soffia tra i pilastri. Scattiamo molte foto, ma nessuna sarà mai in grado di trasmettere le sensazioni che si provano in un posto così magico, che davvero sa di eterno.

La nostra fedele guida della Lonely Planet ci suggerisce due punti piuttosto interessanti nelle vicinanze, e vogliamo andare a dare un’occhiata. Dopo una veloce puntatina in un negozio per acquistare qualche souvenir, riprendiamo l’auto e ci dirigiamo prima all’Athassel Priory. Si trova ad una manciata di chilometri da Cashel, poco fuori Golden, in fondo ad una stradina di campagna piuttosto stretta (una freccia quasi invisibile lo indica, ma è meglio usare il navigatore!), e… in mezzo ad un campo dove è evidente – date le maleodoranti tracce biologiche – che le mucche vengono qui a pascolare. Un cancello piuttosto malconcio divide la strada dal campo, volendo si potrebbe anche passare ma, visto cosa c’è sul terreno nel tragitto dal cancello ai ruderi del priorato, è meglio scattare qualche foto da lontano. I resti della struttura sono comunque piuttosto consistenti e la luce che comunque filtra dal cielo nuvoloso di questo pomeriggio inoltrato rende l’atmosfera un po’ cupa, e sempre un po’ “medievale”.

Tornando verso Cashel, ad un chilometro dalla Rocca troviamo la meravigliosa Hore Abbey: le rovine di quest’abbazia benedettina, che risale al Duecento, sono davvero molto affascinanti. Un sentiero di sassolini agevola l’accesso al sito e, all’interno delle mura che hanno resistito al tempo e alle violenze della Storia, troviamo una grande breccia che regala uno stupendo scorcio panoramico che dà direttamente sulla Rock of Cashel. Una meraviglia dopo l’altra, una specie di matrioska di sorprese in questa contea di Tipperary, che ancora non ci aveva rivelato i suoi tesori.

Al nostro rientro al B&B, il parcheggio privato è completo, ma lasciamo comunque l’auto di fronte alla finestra della nostra camera: dalle 18 in poi, fino al mattino successivo, il parcheggio pubblico è gratuito.

Cerchiamo un posticino per la cena, e alla fine – dopo aver visto uno stuolo di locali chiusi e abbandonati – optiamo per il pub “Brian Borù”. L’ambiente è accogliente e, con due porzioni di Fish & Chips, due birre e un caffè (in tutto spendiamo meno di 35 euro), ci rimpinziamo e siamo pronti per una bella dormita dopo la nostra seconda intensa giornata in questa magica Terra d’Irlanda.

GIORNO 3 – VENERDì 12 AGOSTO

Patrick ci serve una sostanziosa colazione irlandese a base di uovo fritto, bacon, pomodoro e wurstel. Con noi al tavolo, ospiti provenienti dalla Svizzera e dalla Germania. Giocoforza, chiacchieriamo delle nostre vacanze itineranti in Irlanda con gli svizzeri, che vengono dal cantone che parla italiano. I tedeschi comunque stanno decisamente sulle loro, quindi… Dopo colazione, salutiamo tutti e paghiamo in contanti la stanza a Patrick (la doccia non era funzionante, ma non ci lamentiamo con lui: il nostro anfitrione è troppo indaffarato con tutta questa gente per casa, e comunque la camera, la colazione e l’accoglienza ci hanno soddisfatto).

Partiamo alla volta di Adare, che dista un’ora da Cashel. Questa ridente cittadina è stata spesso definita come “il villaggio più grazioso d’Irlanda”, e devo riconoscere che il piccolo gruppo di tipici cottage irlandesi con il tetto di paglia (risalenti all’Ottocento) è quantomeno delizioso. Ci sono molti turisti in giro, e la strada principale, lungo la quale abbiamo trovato miracolosamente posto per l’auto (gratis), è trafficatissima. Qualche foto, una passeggiata fino in fondo al villaggio, una sosta all’Ufficio del Turismo (che consiglio caldamente: oltre a vendere tantissimi gadget, dà la possibilità di raccogliere moltissimo materiale informativo su tutte le regioni d’Irlanda, e brochure che contengono anche sconti per diverse attrazioni turistiche), e siamo pronti per ripartire verso la contea di Clare.

Ennis dista quaranta minuti d’auto, l’obiettivo era visitare l’Ennis Friary, il celebre convento francescano al centro della cittadina, ma quando arriviamo tutto è in fermento per il Festival di Musica Celtica che inizierà domani e durerà diversi giorni. Impossibile trovare parcheggio, ci arrendiamo e ci dirigiamo al Leamaneh Castle, non lontano da Lisdoonvarna. Ciò che resta di quello che era un castello davvero imponente è comunque qualcosa di affascinante: i resti della struttura sono all’interno di un perimetro di muri a secco, e danno su una stradina di campagna di fronte alla quale cavalli e bovini pascolano indisturbati. Non c’è nessuno, solo noi, gli animali e il mio amatissimo vento d’Irlanda che fischia tra le finestre eternamente aperte del castello abbandonato.

Per pranzo, raggiungiamo Doolin, che conosciamo dall’anno scorso e che abbiamo apprezzato in modo particolare. Mangiamo al pub “O’Connor’s” (chili con carne, un burger fatto in casa, una pinta di birra e una di sidro, per poco più di 30 euro), sempre pieno di gente, che sia pomeriggio o sera, quando l’ambiente si riscalda con allegri concerti di musica tipica (che l’anno scorso avevamo felicemente sperimentato, proprio in questo locale). Sazi, ci dirigiamo contenti verso l’”Ocean View B&B”: siamo felici perché l’anno scorso avevamo soggiornato qui e da allora siamo sempre rimasti in contatto con la famiglia MacMahon, soprattutto con Martha, la sorella di Patrick (è lui a gestire tutto, lei lo aiuta insieme al padre Gussie). Al suono del campanello, è proprio Martha ad aprirci: ci abbracciamo, non sembra vero potersi rivedere, alla fine viviamo a migliaia di chilometri di distanza! Ci accompagna subito a vedere la stanza, che è la stessa in cui abbiamo dormito l’anno scorso: spaziosa, e con vista sull’oceano. Sistemiamo i bagagli mentre ormai fuori diluvia e tira un vento fortissimo. Patrick ci raggiunge, e chiacchieriamo bevendo tè e cioccolata calda. Dopo un paio d’ore usciamo nonostante il tempaccio, ma dobbiamo rivedere il programma causa maltempo. Prima ci rechiamo a vedere i resti della Corcomroe Abbey, che dista quaranta minuti da qui. Se non piovesse faremmo meno fatica con le macchine fotografiche, ma riusciamo comunque ad immortalare le rovine medievali di questa magnifica abbazia cistercense. A venti minuti d’auto, immerso nel particolarissimo panorama del Burren (le pietre fanno da pavimento tra i ciuffi d’erba, impressionante), ecco finalmente il celebre Poulnabrone Dolmen: il parcheggio è abbastanza pieno di auto, a quanto pare la pioggia non spaventa nemmeno gli altri turisti! Questo antichissimo monumento, con un lastrone orizzontale che pesa cinque tonnellate, risale a più di cinquemila anni fa: come avranno fatto a costruirlo? La domanda è negli occhi di tutti quelli che saltellano sulle pietre fino al dolmen, e che come noi fanno foto anche sotto la pioggia.

Ormai siamo veramente fradici, quindi torniamo a Doolin. Davide riposa un po’ in camera, io raggiungo Martha in salotto e chiacchieriamo fino all’ora di cena. Mangiamo allo “Stonecutter’s Kitchen”, ma ci troviamo peggio rispetto all’anno scorso: il salmone è buono ma la porzione è scarsissima, e le verdure al vapore sono talmente crude da essere immangiabili. Il burger è abbastanza buono (con due birre spendiamo circa 40 euro). Facciamo due passi al molo e qualche foto, ma l’aria è molto fredda.

Al B&B, Martha mi aspetta e chiacchieriamo ancora fino a mezzanotte. Ci capiamo al volo, anche se pensiamo in due lingue diverse. Ma l’amicizia è bella anche così, e l’Irlanda ci unisce. Buonanotte, a domani!

GIORNO 4 – SABATO 13 AGOSTO

Patrick ci serve la sua ottima colazione: uovo fritto, bacon, wurstel, pomodoro e hash brown, una specie di frittata con uova, patate e cipolle… superba! Con lo stomaco bello pieno, partiamo per la nostra giornata. Il tempo non è ancora stabile, per cui rinunciamo alla giornata su Inishmore (l’anno scorso avevamo visitato Inisheer, la più piccola delle tre isole Aran, per cui non ci facciamo troppi problemi) e seguiamo i consigli che Patrick e Martha ci hanno dispensato ieri pomeriggio. Prima tappa: Fanore.

Da Doolin dista solo 15 chilometri, e il tratto di costa che attraversiamo è uno dei più belli visti finora. Il panorama è incantevole, selvaggio e piuttosto deserto: solo qualche casetta compare ogni tanto sulle colline, sembra di vedere quei documentari sui Paesi del Nord, tra i fiordi… Fanore Beach è incantevole: dal parcheggio riesco già a vedere tre fantini in sella ai loro cavalli che corrono lungo la spiaggia, roba da film mai vista! Mi fiondo giù, e inizio a scattare foto a raffica. Il vento soffia, ma è come se mi accarezzasse, lì vicina all’oceano, in mezzo ad una natura che mi lascia senza fiato.

Il viaggio fino a Black Head è brevissimo, appena cinque minuti d’auto, ma non riusciamo – come ci aveva anticipato Patrick – a individuare esattamente la testa nera che dà il nome alla punta. Il faro, bianco, dà proprio sulla strada, che continuiamo a percorrere fino a Lahinch, una cittadina turistica votata in particolare al surf. Qui l’oceano fa divertire i surfisti con le sue grandi onde impetuose. Pranziamo con due mega sandwich e le nostre due immancabili pinte di birra.

Al rientro a Doolin, il tempo è abbastanza bello, le nuvole sono lontane e non sembrano così minacciose. Martha si offre di prenotarci due biglietti per la crociera in battello alle Cliffs of Moher, in partenza dal molo di Doolin tra un’ora. Il tempo di darci una rinfrescata e scendiamo al porto con l’auto. Appena presi i biglietti, le nuvole grigie arrivano e iniziano a scaricare la solita pioggerellina infida: siamo lì lì per rinunciare, ma dopo mezz’ora riecco il sole. Come diceva Fiorella Mannoia, “il cielo d’Irlanda è un oceano di nuvole e luce”… Saliamo sul traghetto e iniziamo la nostra crociera verso le meravigliose scogliere (l’anno scorso le avevamo visitate dall’alto). Bellissimo, se non fosse per il fatto che l’oceano non è per niente tranquillo, e il battello oscilla da una parte all’altra. Siamo tutti un po’ verdognoli, ma riusciamo in qualche modo a resistere e sbarchiamo al molo di Doolin senza essere stati male.

Piccola puntata in un negozio di artigianato ed oggettistica e torniamo da Martha, che ci accoglie dopo il nostro mal di mare. Davide si prepara il tè in camera con il bollitore a disposizione, io resto con Martha e parliamo fino all’ora di cena. Per stasera, scegliamo il “Riverside Bistro”, dove spendiamo un po’ più del solito (quasi 60 euro) ma mangiamo bene con una bella bistecca, un buon piatto di tagliatelle ai frutti di mare, due golosissime fette di cheesecake al Baileys e due birre.

Il molo di Doolin, dopo cena, è sempre molto affascinante. Facciamo un po’ di foto, e salutiamo le scogliere da lontano. Chissà quando le rivedremo… Rientriamo al B&B, Martha e Gussie ci aspettano in salotto per l’ultima serata insieme. Alle 22, ricevo un’e-mail dal B&B che ci dovrebbe ospitare domani notte (Ocean Wave, a Sellerna, vicino a Cleggan): la signora, non avendo ricevuto una mia e-mail entro le 20 in cui le confermavo la nostra presenza e l’orario di arrivo per l’indomani, ha pensato bene di dare la nostra camera ad altri turisti. Imprecando contro questa ingiustizia (non mi era stato chiesto di mandare un’e-mail del genere), ci mettiamo subito all’opera per trovare una sistemazione: Martha ci consiglia di provare a Clifden, e infatti Davide prenota subito una stanza, tramite AirBB, in un B&B in centro a Clifden. Andiamo a dormire più sollevati ma un po’ tristi, dopo aver salutato Martha e Gussie per l’ultima volta, con la promessa che torneremo. Una promessa è una promessa… giusto? Goodnight and goodbye, Doolin!

GIORNO 5 – DOMENICA 14 AGOSTO

Dopo l’ultima leggendaria colazione preparata da Patrick, salutiamo anche lui e siamo pronti per partire. Destinazione: Kilmacduagh. A tre quarti d’ora di viaggio da Doolin, sorgono gli importanti resti di questo grande complesso monastico: un’alta torre rotonda, una cattedrale, un oratorio e alcune cappelle, un cimitero con tombe antiche e moderne. Intorno, un silenzio irreale, il cielo cupo, tutto a regalare un’atmosfera particolare, probabilmente non troppo diversa da quella che in cui i monaci vivevano così tanti secoli fa. Facciamo un giro e scattiamo molte foto, le nuvole si addensano sempre di più.

Partiamo alla volta di Roundstone, che dista più di due ore da qui. Ci troviamo all’improvviso in un luogo completamente diverso: siamo in un paesino arroccato intorno ad un porticciolo, in giro c’è tanta gente. Quando arriviamo c’è il sole, e siamo contenti. Pranziamo a base di cozze e panino aperto al salmone, ma quando usciamo dal pub inizia a piovere, quindi riprendiamo l’auto e ci spostiamo di pochi chilometri. Raggiungiamo la meravigliosa Dog’s Bay, che ci accoglie con la sua sabbia bianca e l’acqua verde azzurra: ancora una volta l’Irlanda sa toglierci il fiato con la sua natura che sa sorprendere all’improvviso, con cambiamenti di panorama rapidi e repentini. In spiaggia c’è chi fa il bagno e chi passeggia, chi gioca e chi raccoglie conchiglie. Sembra di essere in un piccolo paradiso, che sarebbe tropicale se solo ci fosse qualche grado in più. Ma qui è bello così, l’Irlanda è bella perché è così. Respiriamo la fresca brezza che ci regala l’oceano, che accarezza la sabbia chiara bagnata da dolci onde lente, e ci godiamo dei bei momenti di tranquillità in questa natura così meravigliosa.

Riprendiamo la macchina e arriviamo a Clifden in nemmeno mezz’ora. Market Street è affollata come la ricordavamo (l’anno scorso avevamo pranzato in questa cittadina, quando eravamo di ritorno dal nostro giro sulla Sky Road del Connemara), ma è comunque piacevole, piena di negozi, pub e ristoranti. Parcheggiamo (tra l’altro gratis, la domenica non si paga) poco lontano dal B&B prenotato solo ieri sera tramite AirBB: Martha ci accoglie in modo amichevole, e ci mostra la camera, che è spaziosa e pulita (abbiamo pagato 93 euro, la colazione è compresa). Mentre Davide riposa, esco a far un giro per negozi alla ricerca di un po’ di regali da portare a casa. Poi, per cena, dopo aver scartato qualche locale perché troppo affollato, decidiamo per il Pub del Central Hotel in Main Street: c’è poca gente, si sente solo un po’ di musica tipica in sottofondo, l’accoglienza è amichevole e il servizio veloce. Mangiamo molto bene (e spendendo anche poco, solo 34 euro!) a base di Bacon & Cabbage (piatto tipico irlandese assaggiato l’anno scorso a Killarney. E’ pancetta di maiale cotta a lungo nel forno e servita con cavolo verza stufato e patate), Irish Stew (il tipico stufato di agnello all’irlandese), una bella fetta di torta al cioccolato con Baileys e le nostre solite due pinte di birra. Soddisfatti, facciamo due passi fino alla cattedrale con il suo famoso alto campanile a punta, poi ripercorriamo Market Street e andiamo a riposare al B&B dopo una breve chiacchierata con Martha (a quanto pare, qui in Irlanda le donne che si chiamano Martha sono tutte molto simpatiche e socievoli!). Anche Clifden ci ha accolto come meglio non potevamo desiderare.

GIORNO 6 – LUNEDì 15 AGOSTO

La colazione di Martha è un’ottima Irish breakfast: uova, bacon, wurstel e pomodoro, qui non si sbaglia. Lasciamo Clifden, la “capitale” del Connemara, e ci tuffiamo alla scoperta di questa meravigliosa regione. Lungo i quasi 50 chilometri che ci separano da Delphi, viviamo alcuni tra i momenti più belli della vacanza: oltre al fascino delle strade che percorrono questa selvaggia regione, tra oceano, cascate, fiumi, laghi e montagne, ci troviamo davanti all’unico fiordo d’Irlanda. Passando per Leenane, infatti, costeggiamo un panorama davvero magnifico sul Killary Harbour, e rimaniamo senza parole. Il sole splende, l’acqua del fiordo è di un blu intenso, e le montagne che fanno da contorno a questo scenario sono dei grandi giganti che sembrano vigilare sulla pace di questo paradiso d’Irlanda. Poco lontano, ci imbattiamo in qualcosa che avevo letto su qualche guida ma che non ero riuscita ad immaginare, qualcosa di curioso: lungo la strada, legati ai rami di un albero, centinaia di brandelli di stoffa, che rappresentano degli ex voto degli abitanti del luogo, dei passanti, di chiunque ci creda. Tutto in questa terra ha anima, tutto sembra avere uno spirito.

Rivediamo anche la maestosa Kylemore Abbey, ma stavolta ci appare all’improvviso, dall’altra parte, che fa da sfondo ad un panorama davvero mozzafiato.

Delphi in realtà non è né una cittadina né un villaggio, è solamente una zona in questo stupendo Connemara, totalmente immersa nella natura che qui comanda, che non è stata costretta a farsi da parte per le costruzioni dell’uomo. A dieci chilometri da qui, ecco un altro punto che il turismo di massa sembra non conoscere. Lungo il Clew Bay Archaeological Trail, un percorso che racchiude diversi siti archeologici della zona, ci tenevo a vedere la Srahwee Wedge Tomb (scovata su qualche misterioso sito irlandese). Ed eccola qui: una costruzione piuttosto bassa, che però differisce dal dolmen, dato che è dotata di una parete di fondo. In giro non c’è nessuno, possiamo fare tutte le foto che vogliamo senza essere disturbati, e il bel tempo è sicuramente un grosso punto a favore dell’esperienza che stiamo vivendo.

Dopo un viaggio di circa quaranta chilometri, raggiungiamo la colorata Newport, dove pranziamo. Ci fermiamo in un caffè e mangiamo due bei panini. Dopo tre chilometri, incontriamo il bivio che porta alla Burrishoole Abbey, un’abbazia domenicana di fine Quattrocento, le cui rovine, circondate da un cimitero, con questo sole stupendo non hanno proprio niente di sinistro. Davanti al cancello d’entrata, una barchetta giace abbandonata nell’erba. Sul retro dell’abbazia, invece, il prato accarezzato dal venticello che soffia tra le croci degrada poi in una rada dove l’oceano ha un colore blu così intenso che ci si dimentica di avere i piedi in un cimitero.

Dopo un bel po’ di foto scattate in una solitudine pressoché totale, riprendiamo il nostro viaggio. Decidiamo di percorrere la strada più panoramica per arrivare ad Achill Island: mai decisione si rivelò tanto saggia. Panorami stupendi, chilometro dopo chilometro. Il bianco ponte di Achill Sound, che collega l’isola alla terraferma, ci dà il benvenuto in quello che si rivelerà poi, guardando indietro, il luogo più bello visto durante l’intera vacanza. E lo capiamo sin da subito: questo sarà davvero un buon Ferragosto. A Keel, verso la parte opposta dell’isola rispetto al ponte di accesso, troviamo subito il B&B che abbiamo prenotato per stanotte: la Joyce’s Marian Villa. La signora Anne ci accoglie amichevolmente, ci lascia scegliere la stanza con la vista che più ci piace (scegliamo quella che ci costa un piccolo sovrapprezzo in più rispetto a quella che ci aveva riservato. Pagheremo 110 euro, colazione inclusa), e ci dispensa degli utilissimi consigli circa i punti di Achill Island che meritano davvero una visita. La camera è la più bella vista finora, ha quattro finestre che danno sull’oceano, una luce spettacolare, e un bagno spazioso. Riprendiamo l’auto per andare alla scoperta dell’isola, e ci rechiamo subito al villaggio abbandonato di Slievemore. Al di sopra di un cimitero, e alle pendici del monte che porta lo stesso nome, troviamo le rovine di questo villaggio, che fu abbandonato dagli abitanti all’epoca della Grande Carestia. I resti delle case, ormai cumuli di pietre e muri a secco, costituiscono comunque una testimonianza significativa delle avversità che dovettero affrontare in passato gli abitanti di quest’isola. Le pecore pascolano liberamente in mezzo ai ruderi delle case e ai turisti che scattano foto o salgono verso il monte alle loro spalle. Il silenzio è irreale, il vento soffia ma è piacevole.

Ci rimettiamo in auto, e percorriamo il perimetro dell’isola della zona ad est di Slievemore. In camera, ci riposiamo un po’ ma decidiamo comunque di cenare presto per non avere problemi a trovare un posticino per noi. Altra decisione saggia: il ristorante Chalet, a pochi metri dal B&B in cui dormiremo, apre alle sei e ha un tavolo libero proprio a quell’ora. E noi siamo lì, pronti per una bella cena a base di pesce (ostriche, antipasto misto di mare, coda di rospo con gamberetti e pomodoro, dolce alla fragola, cheesecake al Baileys, due birre e un caffè, per un conto di 61 euro). Il ristorante, con i tavoli quasi tutti prenotati, si riempie poco alla volta. Dopo cena, ripartiamo in auto e andiamo a Keel Bay, un’incantevole baia bagnata da un oceano quasi paradisiaco, che aumenta la propria forza verso il tramonto. Lungo la strada panoramica, ad un’altezza impressionante, pecore e arieti vagano tranquilli, incuranti delle auto.

Tornando verso il B&B ci fermiamo a scattare altre foto, in ogni angolo c’è una piccola spiaggia. E ce n’è una proprio a pochissimi metri dalla nostra camera. La sabbia è sottile, c’è chi fa correre il cane, chi fa acrobazie con la moto da cross, chi semplicemente contempla la luna che si rispecchia nell’oceano. E dalle finestre della Joyce’s Marian Villa entra il rumore del mare, una ninna nanna che ci fa addormentare contenti di aver vissuto una giornata così stupenda nella magnifica e sorprendente Irlanda.

GIORNO 7 – MARTEDì 16 AGOSTO

Achill Island ci sveglia con un magnifico sole, e la colazione di Anne rinforza la sensazione che anche questa sarà un’ottima giornata. Marmellate e composte fatte in casa, melone verde fresco, arance, pane tostato, burro salato, uova strapazzate e salmone affumicato, tè, caffè, latte, miele: tutto e ancora di più, condito dalla cortesia di Anne e dalle chiacchiere insieme ad un’altra ospite, un’irlandese amante dell’Italia.

Un ultimo giro in spiaggia, poi rientriamo, paghiamo il conto e salutiamo Anne, anche qui promettendo che torneremo, magari anche per più giorni, per riposarci davvero su questa meravigliosa “isola di un’isola” in cui abbiamo lasciato un pezzetto di cuore.

Prima di lasciare l’isola, però, percorriamo l’anello dell’Atlantic Drive, che ci porta in un punto panoramico mozzafiato, dove l’altezza della scogliera ci regala una delle viste più belle della vacanza.

Alla fine, ripercorriamo il ponte di Achill Sound e torniamo sulla terraferma. In un’ora e mezza arriviamo a Ballycastle, un piccolo centro che ci appare pressoché deserto. Pranziamo con semplicità al “Mary’s Cottage Kitchen” con appena 12 euro, e riprendiamo l’auto per percorrere i sette chilometri che ci separano da Downpatrick Head, una punta dell’oceano davvero imperdibile. Qui ci sono già molti turisti rispetto ad altri luoghi che abbiamo visitato, ma il luogo è talmente bello, il panorama così maestoso, che niente conta di più per noi: l’oceano blu, l’erba verde su un terreno inspiegabilmente morbidissimo, le onde forti che si infrangono contro le scogliere altissime. E il vento, un vento gentile, quello che sembra sempre accarezzare questa terra d’Irlanda nelle giornate più belle.

A novanta chilometri da qui, c’è il Carrowmore Megalithic Cemetery: si tratta di uno dei cimiteri dell’Età della Pietra più grandi di tutta Europa, e oggi lo visiteremo, spostandoci quindi verso la contea di Sligo. Per un’appassionata di archeologia come me, questo è un piccolo angolo di paradiso: dolmen, cerchi di pietre, un grande tumulo… E tutto questo è immerso nella campagna irlandese, in mezzo a pascoli di mucche, a fianco di un recinto dove due cavalli salutano dolcemente i visitatori che bighellonano tra le colline, in mezzo ai dolmen. Al Centro Visitatori sono gentili, ci danno la possibilità di scegliere un percorso con una guida anche in italiano oppure un cammino da affrontare da soli con una miniguida scritta in italiano. Scegliamo la via dell’autonomia, e visitiamo praticamente tutto il visitabile (nel tumulo, abbiamo incontrato il gruppo con la guida e ascoltato un po’ di storia, tradotta malamente in un italiano molto incerto).

La caotica Strandhill dista appena undici chilometri. Troviamo parcheggio un po’ lontano dall’oceano, la vera attrazione di questa piccola cittadina. Qui, infatti, l’Atlantico dà spettacolo con le sue onde fortissime, ed è la gioia dei surfisti che planano sull’acqua. Una folla impressionante è seduta sul lungomare, attirata dall’oceano, e in effetti anche noi rimaniamo un po’ qui ad osservare le onde che si infrangono con una forza impressionante sulla costa.

Verso l’entroterra, la montagna del Benbulben è sempre più visibile, con la sua forma particolare e la vegetazione che quasi pettina il versante che riusciamo a vedere con chiarezza dal Benbulben Farmhouse B&B, a Drumcliff, dove passeremo la notte. L’accoglienza è amichevole e gentile, la camera è spaziosissima (è una tripla!) e ci costerà 75 euro (colazione inclusa). Per cena, scegliamo il comodo Davy’s – The Yeats Tavern, dove mangiamo bene a base di pollo alla Kiev, un burger con bistecca e due belle pinte di birra (38 euro in totale).

Siamo stanchi, quindi torniamo al B&B per un buon sonno ristoratore (e dormiamo scoperti, la notte è stranamente calda!).

GIORNO 8 – MERCOLEDì 17 AGOSTO

La colazione alla fattoria/B&B è degna di nota. Uova – appena raccolte – strapazzate con cupola di salmone affumicato, pancake con marmellate varie, pane tostato, burro salato, yoghurt e formaggi.

Lasciamo la famiglia che ci ha accolto così gentilmente e ci mettiamo in viaggio. Prima, però, facciamo una tappa veloce alla vicina Rosses Point, dove voglio fotografare una statua particolare: rappresenta una donna che saluta tristemente le anime che l’oceano ha portato via con sé. Il cielo è plumbeo, il vento è freddo, e anche la cittadina non sembra molto accogliente. Facciamo velocemente alcune foto alla statua e a ciò che ci circonda (un porticciolo piuttosto triste, ma forse è solo per colpa del cielo plumbeo) e partiamo per Slieve League.

Avevo cancellato questa tappa dal nostro itinerario, perché mi avevano spaventato i dieci chilometri che avremmo dovuto presumibilmente percorrere a piedi in salita per visitare le scogliere, ma la titolare del Benbulben Farmhouse B&B ci ha consigliato di fermarci con l’auto all’altezza del secondo parcheggio, che dà accesso direttamente alla vista sulle scogliere, senza dover per forza salire fino alla cima a piedi.

Partiamo baldanzosi impostando il navigatore, che ci porta fino ad una freccia che parla di “sentiero del pellegrino”. Ci fidiamo, e iniziamo la salita con l’auto, ma ad un certo punto la strada diventa più che sterrata: è tutta pietre, anche aguzze, e proseguire a passo d’uomo per otto chilometri è rischioso per le gomme dell’auto. Ci fermiamo per qualche foto in mezzo alla valle nebbiosa prima di tornare indietro (sembra di essere nel film “Braveheart”). Cerchiamo un’altra strada, e in effetti troviamo proprio quella che ci era stata consigliata: da un primo parcheggio dove molta gente lascia l’auto, apriamo un cancello (strano sistema, bisogna scendere dall’auto, aprirlo, richiuderlo e risalire in auto) e ci inerpichiamo con l’auto su una strada non molto larga, ma comunque asfaltata, che ci porta dritti ad un secondo parcheggio (con posti limitati). Riusciamo a parcheggiare perché il tempo è davvero inclemente: aspettiamo che smetta di piovere un po’ prima di scendere dall’auto, ma poi ci lanciamo tra pioggia, vento e nebbia per fare qualche foto a queste scogliere dall’aspetto così selvaggio e molto diverso rispetto alle Cliffs of Moher.

Ridiscendiamo (e mi bagno come un pulcino per aprire e chiudere quel benedetto cancello), e ci fermiamo per pranzo al caffè Ti Linn, dove è degno di nota un superbo brownie con la cioccolata calda versata direttamente sopra.

Il viaggio verso Narin è piacevole, e in poco meno di un’ora arriviamo dopo aver attraversato il Glengesh Pass tra le aspre montagne del Donegal. Passiamo davanti all’Annora Pub, Cafè and B&B dove abbiamo prenotato una stanza, ma è presto e proseguiamo verso Portnoo. Il tempo è inclemente, e la spiaggia – che probabilmente con il sole sarà stupenda – è bella ma ci lascia un certo senso di tristezza. La titolare del B&B mi telefona per essere sicura della nostra presenza, quindi ci dirigiamo verso il nostro alloggio per la notte. Ci accoglie il marito della titolare, che con un inglese semi incomprensibile ci mostra la camera ma si dimostra alquanto impreparato sulle nostre domande (WiFi, colazione…?). Andiamo in cerca della moglie, che risponde ai nostri dubbi. Approfittiamo del brutto tempo per riposarci un po’ in camera (70 euro, colazione inclusa), che è discreta ma pulita (il bagno è piccolo e un po’ spoglio). Per cena, scendiamo le scale ed entriamo direttamente al pub, dove ordiniamo due Fish & Chips e due pinte di birra (tutto buono, abbiamo speso poco più di 27 euro). Facciamo due passi verso l’oceano, le case abbandonate sembrano un po’ sinistre, e i cavalli nel recinto sulla strada sono inquieti.

Dalla finestra della nostra stanza vediamo la bandiera irlandese che sventola sul pub. Oggi abbiamo trovato davvero brutto tempo, ma l’Irlanda è bella anche così.

GIORNO 9 – GIOVEDì 18 AGOSTO

Al risveglio piove ancora. Scendiamo per fare colazione al caffè a piano terreno (ci avevano detto che non avremmo potuto mangiare prima delle 9.30, dato che avrebbero chiuso al pub all’una di notte) ma è ancora tutto chiuso. Verso le dieci, una cameriera arriva per iniziare il proprio turno e dopo qualche minuto riesce ad aprire il caffè per far entrare gli avventori. Chiediamo uova strapazzate e pane tostato, e dopo venti minuti ci serve in qualche modo delle uova stracotte e del pane tostato con burro praticamente già sciolto. Un po’ delusi, andiamo alla ricerca dei titolari per pagare il conto della stanza, ma non c’è nessuno. Torno al caffè e lascio il denaro alle cameriere prese alla sprovvista (sanno solamente il prezzo della camera).

Downings dista una settantina di chilometri, che percorriamo in un’ora e un quarto. Sulla spiaggia, molto grande, ci sono persino le auto. Il sole non c’è, ma almeno non piove. Pranziamo alla Coffee House del luogo, non troviamo altro, ma siamo comunque soddisfatti (un burger e lasagne ai frutti di mare, circa 20 euro).

Fanad Head dista ventitré chilometri da qui, e ci arriviamo in mezz’ora circa. Riusciamo a parcheggiare poco prima dell’arrivo di un pullman che getta gli automobilisti nel caos più totale, dato lo spazio più che esiguo del piccolo piazzale riservato al parcheggio. Notiamo che per accedere alla strada verso la punta e il faro chiedono 8 euro a testa, e ci sembra davvero esagerato, dato che troviamo una sentiero laterale che porta ad un prato da cui è possibile vedere un bel panorama sul faro che si staglia bianco all’orizzonte.

Facciamo qualche foto e torniamo indietro, il panorama è bello ma ne abbiamo visti di migliori.

Ad una decina di chilometri di distanza, Portsalon ci colpisce con la sua Ballymastocker Bay, che è stata giudicata dall’Observer la seconda spiaggia più bella del mondo. L’oceano è piuttosto tranquillo, i bambini giocano felici sulla spiaggia, è bello passeggiare in questo incantevole luogo.

Il Sonas B&B presso cui abbiamo prenotato una stanza (75 euro, colazione inclusa) è ad Upper Carrick, a quasi mezz’ora da qui. Veniamo accolti con gentilezza, la camera è ampia e pulita. Ci riposiamo per un po’, e per cena percorriamo in auto pochi chilometri, fino a Carrigart, dove mangiamo al pub “Carrigart”. Due buoni burger, una coppa di gelato, uno strepitoso brownie e due birre, per un totale di circa 40 euro.

Una breve passeggiata a piedi per qualche foto sul porticciolo, e poi a nanna.

GIORNO 10 – VENERDì 19 AGOSTO

La colazione da Ann e Myles è ottima e abbondante, scambio due chiacchiere con Myles, pago il conto e poi partiamo. Oggi dobbiamo scendere verso il centro dell’Irlanda e lasciare l’oceano e il nord del Paese. Anziché percorrere le strade dell’Eire e tornare a Drumcliff per poi scendere e passare per Boyle e la Fore Valley, decidiamo di risparmiare un po’ di tempo (anche perché piove, quindi alcune visite sarebbero quantomeno complicate) e attraversiamo un pezzo di Irlanda del Nord. Sulla statale “inglese” A5 non ci sono pedaggi da pagare con le sterline, quindi ce la caviamo ed arriviamo a Kells, nella contea di Meath, dopo circa tre ore di viaggio.

Il sole fa finalmente la sua comparsa mentre siamo a pranzo nel pessimo Pebble Cafè nel centro di Kells (cibo poco più che discreto, ma servizio piuttosto sgradevole). Ne approfittiamo per andare subito a vedere le alte croci celtiche nel cimitero della chiesa protestante di St. Columba: una torre rotonda del X secolo alta 30 metri sembra vegliare su questo tranquillo angolo, e le croci ci affascinano con i loro bassorilievi e le loro scritte rovinate dal corso del tempo.

Riprendiamo la strada e raggiungiamo Monasterboice in una quarantina di minuti. Il parcheggio è semideserto, i due custodi ci accolgono gentilmente dandoci una miniguida in italiano (l’entrata è comunque gratuita, nessuno ci ha chiesto un centesimo) che ci consente di localizzare facilmente le croci e comprendere meglio i bassorilievi con cui queste sono decorate. Mi aspettavo una specie di grande sito monastico simile a Clonmacnoise, visitato l’anno scorso, invece qui siamo in un cimitero di dimensioni ridotte, e ci troviamo davanti a dei veri e propri capolavori dell’arte cristiana. Tre grandi croci si stagliano nel cielo blu, vicino ad una torre rotonda e a due cappelle diroccate. I bassorilievi delle croci sono ben visibili, e le scene raffigurate – tratte dal Vangelo e dalla Bibbia – sono davvero molto ben conservate (le croci avevano un fine didattico, per tutti i credenti che all’epoca della loro costruzione erano analfabeti e non avevano altro modo di comprendere le Scritture).

Scattiamo un po’ di foto, non dimenticando di essere comunque in un cimitero, dove ci sono anche tombe piuttosto recenti.

Drogheda, dove dormiremo stanotte, è a soli quattordici chilometri da qui, ma impieghiamo molto tempo per attraversarla ed arrivare a Killowen House, il B&B in cui abbiamo prenotato una stanza. Il centro di Drogheda è davvero molto trafficato, e quando ne usciamo tiriamo un sospiro di sollievo. Arrivati al B&B, appena fuori dalla zona più caotica, veniamo accolti dal titolare, che ci mostra la nostra bella camera (spaziosa, bagno pulito e funzionale. Ci costerà 85 euro, colazione inclusa) e ci dà qualche consiglio per la cena.

Scarichiamo le valigie, facciamo una doccia e usciamo per cenare al “Black Bull’s Inn”, poco lontano dal nostro alloggio. Il ristorante è piuttosto affollato, anche se sono solamente le sei e mezza. Per fortuna, ci trovano un tavolo, e alla fine mangiamo piuttosto bene (cena “carnivora” a poco più di 40 euro, bevande incluse).

Siamo piuttosto stanchi, quindi torniamo in camera per una bella dormita.

GIORNO 11 – SABATO 20 AGOSTO

Abbiamo chiesto la colazione per le otto, in modo da essere sicuri di entrare a Newgrange senza fare troppa fila. La colazione preparata dalla signora Angela, che abbiamo conosciuto la sera prima mentre rientravamo in camera e con cui abbiamo chiacchierato un po’, è molto buona. A tavola, facciamo la conoscenza di un medico, irlandese ma di madre italiana, che si trova a Drogheda per un congresso. Parliamo dell’Irlanda e dell’Italia per un po’, poi però dobbiamo partire alla volta di Brù na Boìnne, una vasta necropoli neolitica che rappresenta uno dei siti più straordinari del mondo.

In un quarto d’ora raggiungiamo il parcheggio, e sotto una pioggerella insistente arriviamo al centro visitatori, che ha appena aperto (in agosto l’orario è 9-19). Ci mettiamo in fila, scegliamo i biglietti che ci consentono di visitare Newgrange (Brù na Boìnne comprende anche i siti di Knowth e Dowth, ma quest’ultimo non è visitabile). Veniamo assegnati al turno delle 9.30, quindi non ci è andata troppo male. Ho letto che in estate si presentano qui fino a duemila persone al giorno, ma il centro non lascia accedere alle tombe più di 700 persone al giorno.

Un piccolo autobus ci viene a prendere appena fuori dal centro visitatori e ci porta nei pressi del grande tumulo di Newgrange. Percorriamo la salita verso il controllo biglietti, dove incontriamo la guida che ci condurrà direttamente all’interno della tomba neolitica. Mary parla un inglese senza accenti particolari, e lo parla lentamente, in modo che tutti possano capire. Sin dall’esterno, il tumulo è piuttosto impressionante: ha l’aspetto di una grande collina verde, contornata da un perimetro in quarzite bianca che con il sole potrebbe persino risplendere (ora però la solita pioggerellina ventosa non sta smettendo di bagnarci). Mary ci spiega che questa copertura bianca è una ricostruzione fedele dell’aspetto che Newgrange aveva all’epoca della costruzione, che risale a prima delle Piramidi e di Stonehenge.

La grande pietra orizzontale all’entrata del sito è fenomenale sia per le dimensioni che per le spirali che la decorano: questo simbolo rappresenta infatti il circolo senza fine tra vita e morte, secondo le credenze religiose dei popoli del Neolitico. Entrare dentro al tumulo è un’esperienza davvero emozionante: un corridoio lungo 19 metri porta fino al cuore della tomba. Il passaggio è piuttosto stretto, in alcuni punti bisogna chinarsi, ma la sensazione di essere in procinto di esplorare qualcosa di così antico è meravigliosa. Arrivati verso il fondo, Mary ci fa disporre in cerchio e ci fa notare l’altezza (6 metri) dell’interno del tumulo, costruito solo con pietre sovrapposte, senza cemento né malta (alcune pietre provengono da località lontane persino 80 chilometri da Newgrange). Dalla guida, ho letto che, grazie ad un complesso sistema di drenaggio, nel corso di quaranta secoli nemmeno una goccia d’acqua è mai penetrata all’interno della camera funeraria. Nelle tre nicchie presenti in questo spazio (davanti, a destra e a sinistra), ci sono tre grandi coppe in pietra dove venivano collocate le ceneri dei cadaveri cremati all’esterno del tumulo. Mary ci spiega che il sole era molto importante per la religione di questi agricoltori neolitici che costruirono Newgrange nell’arco di trent’anni, quando erano liberi dal loro lavoro nei campi. Ecco perché la tomba è stata costruita in modo che il sole riesca ad entrare all’interno in particolare ogni anno il 21 dicembre, e la guida ce lo dimostra spegnendo le luci e azionando un sistema artificiale di torce che ci fa rivivere ciò che – immancabilmente – avviene da 40 secoli. Altra bellissima emozione, un’ulteriore conferma dell’ingegnosità degli antichi. Rimarrei nel tumulo ancora a lungo, ma il gruppo successivo è già pronto ad entrare, quindi mi rassegno e usciamo.

Al centro visitatori, la mostra permanente illustra i metodi di scavo ed ospita interessanti ricostruzioni dei siti e di come gli uomini vivevano la loro quotidianità all’epoca della costruzione dei tumuli della zona. Facciamo in tempo anche a vedere un breve filmato in italiano che spiega chiaramente il fenomeno dell’entrata della luce del sole nel tumulo e del collegamento con le credenze religiose degli antichi abitanti di queste terre.

Usciamo verso il parcheggio sotto una pioggia battente, che ci accompagna fino a Raheny, un sobborgo di Dublino in cui soggiorneremo per stanotte. Il vantaggio è quello di essere a pochi chilometri dall’aeroporto, ma contemporaneamente non troppo lontani dalla capitale, per trascorrervi qualche ora di svago nel pomeriggio. Mentre aspettiamo le 14 per entrare in camera e depositare i bagagli, pranziamo discretamente al River Cafè (pasta e pollo tandoori). Riprende a piovere proprio mentre scarichiamo le valigie dall’auto, ma ormai ci siamo quasi abituati… Veniamo accolti da Mick, che ha in braccio la piccola Willow. Stanotte dormiremo da loro, che mettono a disposizione dei loro ospiti (tramite il sistema AirBB) una spaziosa camera con bagno privato. Anche Treise, la moglie di Mick, ci dà il benvenuto, insieme al tenerissimo cane Teddy. Il tempo di controllare la situazione meteo esterna, e decidiamo di passare il pomeriggio a Dublino. Con la DART, la ferrovia che collega la capitale con le cittadine periferiche, arriviamo in centro in un quarto d’ora (spendendo in totale 10 euro). A Dublino, il tempo varia continuamente, ma è sempre bello passeggiare per le vie affollate e i negozi stracarichi di prodotti di tutti i tipi e per tutti i gusti. L’ennesimo acquazzone ci costringe a rifugiarci in un pub (molto bello, vicino a Grafton Street: è il Bar Rua), dove aspettiamo che spiova bevendoci due belle pinte di birra. Dopo le 18, torniamo a mangiare in un posticino che l’anno scorso ci era piaciuto, il Gourmet Burger Kitchen: anche quest’anno rimaniamo soddisfatti. Sono ormai le sette, fuori continua a piovere e, nonostante ombrelli, cappucci e giacche a vento, siamo piuttosto bagnati. Ci incamminiamo verso la stazione della DART per tornare al nostro alloggio: domattina il nostro volo di ritorno decolla alle 7, ci dovremo svegliare prestissimo.

Questa è la nostra ultima notte in Irlanda…

GIORNO 12 – DOMENICA 21 AGOSTO

Ore 3.45: sveglia, dobbiamo tornare in Italia. Abbiamo percorso 2200 chilometri, esplorato posti meravigliosi, conosciuto gente simpatica, abbiamo riso di loro e con loro, e abbiamo vissuto esperienze che ricorderemo per sempre. Non potevamo volere di più.

Goodbye, Ireland.



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