Etiopia… i Suri di Magalogne, la festa dei Dassanech, i pozzi “cantanti”…

Abbiamo deciso di proseguire il nostro viaggio in Etiopia dopo che in Dancalia Mauro ci ha sfinito con le "bellezze" che avremmo incontrato "al di là" del fiume Omo
Scritto da: canapino
etiopia... i suri di magalogne, la festa dei dassanech, i pozzi cantanti...
Partenza il: 15/08/2011
Ritorno il: 01/09/2011
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
Abbiamo deciso di proseguire il nostro viaggio in Etiopia dopo che in Dancalia, Mauro ci ha sfinito con le ” bellezze” che avremmo incontrato “al di là” dal fiume Omo. Io dico di là nel senso che per vedere le tribù dobbiamo avere le jeep, gli autisti eccezionali (di quelli che conoscono davvero le tribù e buona parte dei loro idiomi), le tende, i cuochi e spirito di adattamento. Si parte da Addis Abeba verso Bebeka e se Dio vuole piove! Stupenda piantagione di caffè visitata camminando in un pantanaio incredibile. Sotto l’acqua, la mattina presto, siamo partiti per Kibish, nella terra dei Suri. Strada facendo il tempo migliora.

Durante l’ultimo tratto del percorso su un tratturo affiancato da piante di mais altissime spuntano come funghi i Surma. Rimaniamo stupiti dalla bellezza e dal portamento di questo popolo. Alcuni di loro, completamente nudi, scappano al nostro arrivo, altri ci guardano curiosi, altri con indifferente fierezza.

Campo montato, andiamo a visitare il mercato settimanale di Tum. Ci sono sia i Surma che i Dizi.

Durante la notte si scatena un diluvio universale, forse stiamo per essere sommersi dal fango. Le nostre tende sono ottime e al mattino quando smette di piovere siamo ancora tutti vivi e in piena forma. Meno male! Ci aspetta un trekking di un giorno, questa volta sotto un sole cocente, fra salite e discese. Vi assicuro che sono peggio le discese sui sassi ancora umidi dalla pioggia della notte. Arriviamo… e rimaniamo senza fiato! abbiamo sotto di noi il fiume Magalogne (in lingua Suri acqua rossa).

Silenzio totale. In lontananza un gruppetto di bambini si sta colorando il corpo con la terra rossa del fiume, uno beve l’acqua salatina del Magalogne, due uomini nudi si stanno lavando, un paio di donne con il loro disco labiale cicalecciano fra loro. Come faranno a parlare? Boh! Altre più giovani e bellissime, a quanto pare non in età da marito perché non hanno il “ piattello”, si guardano intorno. Noi stiamo a osservarli non so per quanto tempo. Poco, molto, non so. So che a un certo punto arrivano i capi del villaggio.

Alcune donne ci fanno vedere come si mette il disco, in questo caso un trapezio. Vi assicuro che è ben peggio di come ci possiamo aspettare.

I bambini si dipingono col fango colorato e drappeggiano il loro corpo con dei pezzi di stoffa di viola intenso. Quanto sono belli! Che emozione! Siamo ammutoliti da tanta pace e serenità.

Torniamo a Kibish stanchi e infangati ma contenti. I viottoli sono melmosi. Ci facciamo una doccia (parole grosse!) con l’acqua presa da fiume Akabo (?!) e ci cambiamo l’ennesimo paio di pantaloni. Minaccia di nuovo pioggia, ceniamo coperti da una tenda. Non c’è l’ombra di una zanzara della temuta malaria. La notte è piovuto di nuovo. Indossiamo i nostri k-way e smontiamo il campo. Si parte e ci fermiamo subito. La jeep si è impantanata e occorre tutta la sapienza di queste persone che sono abituate a strade rese impraticabili da piogge torrenziali. Comunque ce la facciamo.

Si entra nel territorio dei Bume e nel parco dell’Omo.

Tessema, guida espertissima, ci ha guidati nella ricerca delle varie tribù senza perdere mai la “ strada”. Certo! Ha accompagnato per alcuni mesi una troupe del National Geographic per effettuare un reportage-ricerca sugli insediamenti dei primi ominidi (Lucy) sulle rive dell’ Omo. Abbiamo visto termitai giganti e cespugli di lang lang in fiore (sembrano oleandri). Mentre i nostri autisti e cuochi preparavano il campo, Massimo, Mauro ed io siamo andati al fiume Muji a fare uno stupendo bagno in acque tiepide. Wow lavati! Anche gli elefanti si lavano nella stessa pozza! Come siamo rilassati! Ci siamo rilassati davvero e ci siamo messi anche a prendere un po’ di sole.

La mattina presto siamo partiti per il villaggio dei Muguji. I Muguji vivono di pesca e coltivano sulle sponde del fiume Omo. Riposino. Siamo anche un po’ stanchini. Finalmente non piove e allora via dai Gnangatom o Nyangatom, sono quelli con miriadi di collane di perline colorate appese al collo. Nemmeno l’ombra di un uomo, che siano a pascolare o coltivare qualche orticello non mi è dato di sapere, quei pochi rimasti stanno sotto gli sparuti alberi a riposarsi. I bambini ci toccano ovunque, le mamme con i piccoli sulle spalle macinano a pietra il sorgo, altre cucinano dentro buie capanne, vecchi mezzi ciechi ci sfiorano. Il capo villaggio (?) ci fa la richiesta di una qualche offerta a favore del villaggio. Accettiamo. Possiamo così vedere come si svolge la vita dei Gnangatom.

Ripartiamo per attraversare l’Omo nel luogo dove due volte hanno cercato di costruire un ponte. Gli spiriti sono contrari. I resti sono lì come un braccio stanco in mezzo al fiume. Dobbiamo passare sull’altra sponda, ma l’Omo non ha ponti e non abbiamo i permessi per navigarlo. Ci dicono che i permessi li possono ritirare a Omorate (che sia Macondo?). Massimo e Tessema chiamano un indigeno che con il suo mokoro li accompagna sull’altra riva. Dopo 2 ore, quando comincia a scurire ed io ad agitarmi Massimo torna da solo. Tessema è sparito! Ok manteniamo la calma e prepariamo le tende. Qui ci sono galline, capre, un orticello secco e qualche albero. Aspettiamo. Quando è già buio arriva Tessema con una buona notizia: ci hanno dato il permesso per navigare il fiume(!) con l’unica piccola barchetta disponibile. Ceniamo in una polvere che non fa aprire gli occhi. Al mattino salutiamo Tessema e Kuro, nostri autisti fidati. Da ora in poi ne troveremo altri che conoscono il fiume. Sulla barchetta carichiamo le vettovaglie, i sacchi a pelo e le tende, prendiamo i k-way, qualche salvietta per lavarci. Il grosso dei bagagli rimarrà a Omorate. 3/4 ore di navigazione sul maestoso delta. Campeggio a Lojere. E’ qui il paradiso terreste?

Notizia! Sull’altra sponda sembra che ci sia una festa in onore alla fine della stagione delle piogge. Via di corsa . E quando ci ricapita! Arriviamo al villaggio Selem, tribù Dhasanech, conosciuta da una delle nostre nuove guide. Una nuvola di polvere, un crepitio di spari, un suono assordante di fischietti ci assalgono. Gli uomini stanno tutti correndo in cerchio imbracciando i kalashnikov, in bocca hanno fischi che assordano e a un ritmo cadenzato da tamburi girano intorno ad una area sacra dove dalla mattina stanno effettuando un rito propiziatorio: il capo villaggio legge le interiora delle due vacche sacrificate, ”arringa“ la tribù e predice il futuro. Viene allora intonata una nenia, canto che gli arriva dal cuore. E’ un misto fra cori degli alpini e invocazioni sacre. Siamo molto coinvolti. Più tardi ci verranno a salutare e informarsi perché facciamo foto e film. Torniamo al campo felici come pasque e non facciamo caso alle tende montate dai due cuochi Aman e Mari. Come al solito ottima cena.

Appena comincia ad albeggiare sentiamo qualche gocciolone che ci cade addosso… Aman e Mari non hanno montato i copri- tenda impermeabili! In un attimo si scatena un temporale pazzesco . Dal cielo scende acqua a catinelle, il paradiso terrestre diventa un luogo melmoso, il meraviglioso fiume una massa di acqua ondosa che col passare delle ore cresce. Non sappiamo se aspettare o andare, oltretutto abbiamo pochissima benzina, l’abbiamo consumata per andare alla festa. La nostra tenda è una bella vasca da bagno! Ci rifugiamo sotto il tendalino della barca. Piove anche lì. Comincia a fare un freddo cane. Il fiume è agitato e abbiamo visto passare un “immenso“ serpente d’acqua. Decidiamo di partire. Aman e Mari rimangono a controllare che nessuno si prenda la nostra roba da campo. Un’ oretta dopo , fradici da capo a piedi arriviamo dove ci aspetta una jeep, saliamo e andiamo a Omorate in attesa del resto dell’equipaggio. Aspettiamo un paio d’ore in un barraccio fatto di canne e lamiera spruzzandoci quintali di spray per non essere punti dalla malefica zanzara malarica. Per fortuna continua a piovere!

Salutiamo Mari e Aman. Ci hanno fatto ingrassare. Ora il viaggio va verso la “civiltà”, stasera dormiremo al Buska Lodge di Turmi e ci faremo lavare le diverse paia di pantaloni fangosi.

Giorno dedicato al mercato di Demeka del popolo degli Hamer. Ahi! ci sono i turisti, non eravamo abituati. Domani visita al villaggio Konso, diventato patrimonio dell’umanità e protetto dall’Unesco. Dovremmo andare ad Arba Minch. Non ci pensiamo nemmeno! Abbiamo ancora un giorno a disposizione e fra chiacchiere e discorsi convinciamo Mauro ad allungare di un centinaio di km e visitare ai pozzi che cantano e il nero cratere di El Sod. Per fortuna il tempo è bello e fa un bel calduccio (in Italia pare ci siano 45°). Strada facendo troviamo un albergo, dormiamo e la mattina prestissimo via verso l’ignoto. Sappiamo che per la forte siccità i Burana – le tribù dei “pozzi che cantano”- stanno uccidendo le mucche non avendo da abbeverarle. Sappiamo che al confine con il Kenia, siamo proprio a due passi, c’è la guerriglia causa penuria di acqua, ma la nostra voglia di vedere è troppo forte per fermarci e impaurirci. Viaggiando su una pista polverosa, spesso circondati da mandrie di mucche alla ricerca di qualcuno che possa condurci ad un “pozzo” con acqua dove le bestie vengono condotte. Finalmente la nostra guida lo individua. Centinaia di capi di bestiame stanno aspettando in fila. Dieci per volta si avviano al “pozzo” e quando hanno bevuto risalgono. I pozzi sono stati scavati moltissimo tempo fa e ora sono molto profondi. Le falde si sono abbassate. Nel “pozzo” che abbiamo visitato c’erano 8/10 persone: tre all’aperto e altre cinque sotto terra fino ad una profondità di circa 30 mt. Formano una catena umana, attaccati alle pareti del pozzo passandosi secchi pieni d’acqua di mano in mano.

Prendono l’acqua dalla polla sotterranea e attraverso delle vasche che riempiono con dei secchi arrivano alla vasca esterna dove berranno gli animali. Per non perdere il ritmo sul movimento dei secchi, i Burana si incoraggiano e si incitano l’uno con l’altro. Sembra che cantino, forse cantano davvero, un coro di voci ritmate che si mescolano ai muggiti della vacche e ai secchi ordini dei mandriani. Non si riusciva a venire via da questo spettacolo di sopravvivenza primordiale, non sapevamo se eravamo affascinati o sconvolti da questo lavoro disumano. Sicuramente è un luogo dove la lotta per la sopravvivenza fra l’uomo e l’animale è molto stretta.

Siamo riusciti a sopravvivere all’emozione e alla polvere che si infilava in tutti i nostri anfratti, ci siamo riempiti gli occhi di questa visione spettacolare e via a El Sod: un cratere alla cui base c’è un lago nero che più nero non si può. Non siamo scesi – stanchi e vagabondi – e ce ne siamo pentiti.

Dopo due giorni di viaggio siamo ritornati alla civiltà e se Dio vuole al turismo.



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