Egitto fai da te, gioie e dolori

Una scelta di autonomia un po' faticosa, ma di grande soddisfazione.
Scritto da: artemisia59
egitto fai da te, gioie e dolori
Partenza il: 16/04/2010
Ritorno il: 28/04/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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“Ma non andrete da soli anche in Egitto?” Queste sono le parole che ci convincono a questa nuova avventura “fai da te” per il nostro 25° anniversario di matrimonio. Si inizia a leggere, a cercare su internet tutte le informazioni possibili sugli spostamenti, sulla sicurezza e sulla scelta dell’itinerario. Cercherò in questo racconto, più che soffermarmi in descrizioni delle indiscutibili meraviglie archeologiche, di cui ogni guida è piena, di dare tutte le indicazioni che possano tornare utili a chi voglia girare in autonomia questo paese. Vado sul sito Alitalia ogni giorno e finalmente becco l’offerta Roma-Cairo a 157 euro a testa a/r. Poi, come già fatto dalla TPC Kipling, acquistiamo il volo interno Cairo-Assuan in lire egiziane sul sito Egyptair e lo paghiamo 266 EGP a testa, cioè 67 euri in due. Se lo avessimo acquistato in euro, lo avremmo pagato 180. Ci divertiamo a confrontare le varie tariffe a seconda della valuta scelta nel menu a discesa. Mi sembra incredibile, ma come in ogni suk che si rispetti, ad ogni straniero il suo prezzo. Comunque sia, un bel risparmio di soldi e di tempo, visto che il treno Abela sarebbe costato 60 dollari a testa e 14 ore di viaggio, seppure notturne.

Il nostro itinerario: Roma-Cairo-Assuan. Assuan-Abu Simbel-Assuan. Assuan-Luxor. Luxor-Hurgada. Hurgada-Cairo. Cairo-Baharya-Cairo. Cairo-Roma. Prenotiamo gli hotel su Booking.com e su Hostelbookers.com (in media 15-20 euro a notte),ci registriamo su “Dovesiamonelmondo” e siamo pronti per partire.

16 aprile Atterriamo al Cairo con mezz’ora di anticipo e abbiamo 5 ore prima del volo per Assuan. Il volo interno parte però dal Terminal 1, che non è quello alla nostra destra, ma dista forse un paio di km. Oltre ovviamente al taxi, o alla “limousine”, il modo semplice ed economico per raggiungerlo è la navetta gratuita bianca e blu che ferma di fronte all’uscita, guardando verso sinistra, sotto un palazzo marrone con la scritta Mall Air. Dopo qualche ora di congelamento (l’aria condizionata è polare), saliamo su un aereo non troppo grande, ma nuovo e molto comodo.

All’arrivo inizia la battaglia delle contrattazioni per farci portare in albergo. Sappiamo che il prezzo giusto è 50 LE, ma la stanchezza ci fa cedere a 70. Il mezzo di trasporto è favoloso, come poi saranno tutti: sedili ricoperti di pellicce e peluches di colori indefinibili, carrozzeria che cade a pezzi, corano a portata di mano. Si aggrega una francese che vorrebbe mettersi la cintura di sicurezza, ma le viene impedito sghignazzando. “Welcome in Egypt!” Si viaggia a fari spenti, preferibilmente sulla corsia opposta, ad alta velocità e si lampeggia e ci si sposta solo se si incrocia un altro veicolo, con un tempismo incredibile, come in un balletto in cui i clacson sono la musica. Impossibile per un europeo pensare di guidare in tali condizioni.Nemmeno un ateniese o un napoletano ce la farebbero. L’Hator Hotel, prenotato senza troppa fiducia, solo perchè prometteva l’affaccio sul Nilo, ci accoglie con una gradinata ed una hall bisognose di pulizia decennale. La stanza è appena accettabile, ma appena apriamo le tre grandi finestre restiamo a bocca aperta: la vista Nilo c’è, e che vista…

17 aprile L’albergatore ci propone l’escursione alla Grande Diga, al tempio di Philae e all’obelisco incompiuto per 90 pound. Accettiamo, anche per iniziare ad ambientarci. Si chiacchiera sempre, con gli autisti, che ci chiedono di noi, ma soprattutto hanno sempre un “friend” che ci potrebbe portare con la feluca, o con il calesse, o a casa sua, o a fare qualunque cosa ci venga in mente per poche lire. Conviene in effetti usarli, questi taxi, che per 5 o 10 pound (la tariffa all’interno delle città) ti evitano chilometri sotto un sole che non perdona.

Alla diga di Assuan c’è ben poco da vedere. Si paga un piccolo ticket per entrare nell’area piena di militari e affacciarsi da un ponte. E’ il classico luogo da “io ci sono stato”. Al tempio di Philae si arriva con una barca (10 pound a tratta più 40 di biglietto) e il primo impatto con un tempio egizio, seppure spostato su quest’isola non originale, è magico. Il caldo inizia ad essere tremendo, ci saranno quasi 40 gradi, e rinunciamo all’obelisco incompiuto. Proprio di fianco al nostro hotel c’è la porta del suq, che corre parallelo alla Corniche fino alla stazione dei treni. Ci immergiamo nei suoi colori, tra le voci che ci chiamano, le mani che ci toccano, gli odori che ci cercano. Acquistiamo un pranzo un po’ rimediato, e ce lo andiamo a gustare al tavolino della nostra camera con le finestre spalancate sulla Corniche. Chi sta meglio di noi? Il pomeriggio, dopo un’inevitabile sosta per il caldo, andremo all’isola Elefantina con il traghetto pubblico da 1 pound, che si prende un paio di discese prima dei giardini a ridosso dell’Old Cataract Hotel, ora in ristrutturazione. E’ fantastico, poco più in là sono ormeggiate le navi da crociera con i turisti blindati, e noi siamo qui, in mezzo alle mosche, su una specie di carretta con le donne e i bambini da una parte e gli uomini dall’altra. Ci guardano con curiosità, ma nessuno ci importuna, neppure mentre ci aggiriamo tra le stradine, le capre e la spazzatura del vecchio villaggio. Semmai siamo noi a provare la sensazione di essere importuni, guardoni dell’intimità altrui.

18 aprile Oggi avremmo potuto approfittare dell’escursione ad Abu Simbel dell’hotel per 60 pound a testa (circa 8 euro), ma abbiamo i nostri tempi, e sebbene la partenza delle 3,15 sia strategica per evitare il caldo, non ci va di fare l’alzataccia, e poi vuoi mettere l’autobus di linea? L’autobus parte alle 8 e si prende alla stazione dei bus che si trova un paio di km a nord della stazione dei treni. Solito taxi da 10 pound (1 euro e 50), di cui c’è offerta sia sotto l’albergo che ad ogni metro di strada. Ovviamente il prezzo va chiesto prima, poi si dimezza la richiesta, come in un rituale che, se non rispettato, deluderebbe anche l’autista. La partenza del bus è abbastanza puntuale, ma l’arrivo non è mai ben specificato. Arriveremo dopo poco più di 4 ore, anche se al botteghino dei biglietti ne dichiarano 3. Dalla fermata al tempio di Abu Simbel c’è un tragitto da 5 pound di taxi. Non fatelo a piedi, vi toglierebbe le forze per il tempio. Il costo d’ingresso è di 90 pound. Se si considerano gli standard egiziani, i ticket per i monumenti sono davvero alti. I locali dicono che è colpa del governo che mette tutto in tasca. Davanti agli occhi abbiamo solo una enorme collina di terra. Appena aggirata, il cuore inizia ad accelerare per l’emozione: i due templi, di Ramesse II e di Nefertari, sono un miraggio. Il tempio di Ramesse è di una maestosità che ti prende alla gola e ti schiaccia. Avamposto all’estremo sud del paese, doveva dare un esempio di potenza senza pari. Ciò che mi affascina maggiormente, oltre l’obiettiva grandiosità architettonica, è l’incredibile capacità di coniugare architettura e astronomia, con le statue degli dei illuminate dal sole nell’anniversario, pare, della nascita e della salita al trono di Ramesse. Infatti, con lo spostamento e la ricostruzione per via dell’allagamento dovuto alla diga, le conoscenze odierne non sono riuscite a riprodurre lo stesso effetto, che ora si ha con un giorno di anticipo. Ma erano veramente alieni, i primi faraoni? Io dico di sì Se avessimo visitato il sito con rapidità, avremmo potuto riprendere l’autobus per Assuan delle 13,30, ma la rapidità non è nei nostri programmi. Il lago Nasser visto da qui è uno spettacolo. Ora però siamo bloccati. Sono le 14 e non si vede un’anima. Perfino i venditori si accasciano, dopo aver tentato con poca convinzione di venderci delle cartoline. Ci sediamo all’ombra e aspettiamo. Finalmente arrivano dei giapponesi, e con il loro taxi ci facciamo riportare alla fermata dell’autobus. La partenza delle 17 non sarà però nello stesso punto dell’arrivo, ma girando sulla destra e procedendo per qualche centinaio di metri fino ad una tettoia dove sono fermi molti minibus. Partenza e arrivo in punti diversi, saranno la caratteristica di ogni viaggio in autobus che faremo.

Per ingannare l’attesa, ci sediamo al tavolino di un baretto scalcinato dietro l’angolo, insieme all’autista che fuma la shisha e al ragazzo dei biglietti col suo tè. Prendiamo due gassose egiziane quasi fresche, e, col caldo che ormai da cocente si è fatto vellutato, in questo silenzio, mi sembra di essere nel posto più bello del mondo.

19 aprile Visto che la nostra camera sulla Corniche, che è anche la strada principale, non consente molto riposo per il rumore continuo del traffico, ieri ho avuto un’idea veramente geniale: perchè non farcela cambiare per l’ultima notte con una stanza interna? La stanza interna è senza aria condizionata e verso il suq. La gente in effetti, seppure tardi va a dormire, ma chi poteva immaginare di avere l’altoparlante del muezzin sotto il balcone? Un’esperienza devastante. Bastonati dal caldo e dalla nottataccia, ci alziamo un po’ più tardi e dobbiamo rinunciare alla partenza per Edfu (il tempio meglio conservato dell’Egitto) prefissata con il treno delle 7. Oziamo nei giardini vicino all’Old Cataract, che sono comunque piacevoli, ombrosi e con una magnifica vista sul Nilo e l’isola Elefantina. Dobbiamo attendere fino alle 15 il treno per Luxor, il primo dopo quello delle 7. Il costo è di 31 pound per un treno comodo, climatizzato e puntualissimo. Gli orari delle ferrovie egiziane sono su internet. Il paesaggio verso Luxor, seguendo il corso del Nilo, è il meno monotono di tutto il viaggio. Si vedono palmeti, villaggi, animali, cimiteri fatti da soli cumuli di terra con una pietra (non sono le tombe dei re). Scendiamo dopo 3 ore alla stazione di Luxor e veniamo avvolti da una cappa di calore così densa che mi fa quasi svenire. La stazione è esattamente di fronte al tempio, ad una distanza di 200 metri. Ci fermiamo a mangiare il solito pollo allo spiedo, che ci sembra il cibo più adatto ad evitare la famosa maledizione, ma gli intingoli recuperati dagli avanzi di altri clienti e la pulizia delle stoviglie fatta con la stessa pezza lurida usata per pulire il bancone, ci fanno un po’ preoccupare. Non siamo schizzinosi e vorremmo assaggiare tutto, ma la prospettiva di stare male e rovinarci il viaggio non ci attrae. Non sapendo esattamente dove si trovi il nostro albergo, e avendo il tempio illuminato a pochi passi, pensiamo di visitarlo subito, credendo che ci sia anche al suo interno un deposito per i bagagli. Errore! Dobbiamo tirarci dietro le nostre pur piccole valige sul terreno sconnesso del tempio (50 LE l’ingresso). All’uscita fermiamo un taxi per farci portare al Queens Valley Hotel. Ci dicono che è lontano 25 km, poi 10, poi 2. Contrattiamo per 10 pound, facciamo il giro dell’isolato e ci troviamo a 20 metri da dove eravamo partiti. L’hotel, comodissimo e molto confortevole, si trova alla fine del viale delle sfingi, pochi passi dopo il Susanna Hotel, di cui si legge la grande insegna. Per 15 euro abbiamo una grande stanza con due letti singoli enormi (meglio del piccolo matrimoniale), balconcino sul viale delle sfingi, aria condizionata, frigo, tv, grande bagno, colazione e piscina sul tetto.

20 aprile Ci attende lo spettacolare, grandioso tempio di Karnak, una vera meraviglia, se si considera anche che probabilmente, nonostante la distanza da quello di Luxor di un paio di km, erano un tutt’uno. Infatti stanno proseguendo gli scavi che, portando alla luce altre sfingi, ne continuano il viale fino forse al tempio di Karnak. E se da Abu Simbel fino alle Piramidi ci fosse sotto la sabbia un’unica via fatta di templi e di statue che segue il corso del Nilo? Mi piace immaginarlo. Il pomeriggio, dopo l’indispensabile ritiro in albergo, era in programma il museo, ma non ne abbiamo voglia, e preferiamo tuffarci nel piccolo suq dietro l’albergo, dandoci alle contrattazioni. Stasera cena sulla terrazza del Susanna Hotel, mangiando il filetto più duro della storia, ma con una purea di fave e spezie davvero ottima. Qui c’è anche la birra locale, la Stella, che a me piace. La vista poi è impagabile. Stasera è il nostro anniversario, e esageriamo con una cena da una novantina di pound.

21 aprile Sveglia alle 6, o non ce la faremo a vedere la valle dei Re. Appena dietro al tempio, sulla Corniche, c’è il solito traghetto pubblico che con 1 lira ci trasporterà dalla sponda est, quella dei vivi, dove sorge il sole, alla sponda ovest, quella dei morti e del tramonto. Veniamo incalzati per tutto il tempo da un ragazzo che ha un amico con la macchina, uno con la feluca, l’altro con l’asino e non so più cosa. Noi siamo ancora assonnati e non ci va nemmeno di starlo a sentire, ma è incredibile l’energia di questi personaggi il mattino presto. Ci sarebbe piaciuto noleggiare delle bici e andarcene in autonomia verso la valle, ma i km sono diversi, in salita e sotto un sole impossibile. Portatevi molta acqua. Alla fine ci facciamo portare con il taxi (che si offre a 20 pound), superando i colossi di Mnemone, la valle delle Regine, il tempio di Hatshepsut e il villaggio di Qurna, che vedremo solo dalla strada. La sponda occidentale è un sito sconfinato, attraversato da una strada asfaltata e varie biglietterie. Non è possibile visitarla in una sola giornata, dovendo anche fare i conti con la calura, che dopo qualche ora dà veramente alla testa. Arriviamo al punto più alto, l’ingresso della Valle dei Re. Qui il nostro economico taxi ci abbandona e ci ricatta: per tornare a prenderci vuole 120 pound. Ovviamente rifiutiamo: un conto è la trattativa, un altro il ricatto. All’ingresso la soluzione: il ragazzo del controllo ha un amico che ci verrà a prendere per 20 pound. In questi posti ci sarà sempre qualcuno pronto a darvi una mano. Il biglietto d’ingresso costa 80 pound, ma dà diritto alla visita di tre tombe reali. Per arrivare al punto in cui le visite hanno inizio, c’è un trenino che per 4 pound vi farà fare poche centinaia di metri. Il sito è tutto un saliscendi, apparentemente è solo roccia con qua e là qualche apertura. Da queste aperture si scende nelle varie tombe, e sembra proprio di scendere nel mondo dei morti, tra disegni e geroglifici, cunicoli e stanze. Alle 11, nonostante acqua, cappelli e ombrelli per il sole, dobbiamo ripartire. Il nostro nuovo tassista, prenotato per 20 pound, ne vuole 25 per fermarmi per le foto, poi farà succedere il finimondo perchè se ne dimentica, o fa finta, e lo facciamo tornare indietro. Un vero macello di improperi in arabo. Capiamo solo “benzina”, e con 5 pound in più va tutto a posto.

Alle 14.30 abbiamo il pullmann per Hurgada, e questa è un’altra cosa abbastanza complicata. Ci sono due compagnie: una parte alle 8 del mattino 50 metri a sinistra della stazione dei treni. L’altra invece dalla stazione bus nella zona dell’aeroporto. Per sapere ciò (io avevo solo gli orari trovati su internet digitando Upper Egypt Travel), ci siamo rivolti all’ufficio informazioni turistiche di fronte alla stazione treni. Non fidatevi delle informazioni per strada: spesso sono interessate o semplicemente date a caso. All’ufficio informazioni ci viene dato un biglietto in arabo da dare al tassista, con tanto di indicazione di quanto lo dobbiamo pagare: 25 pound. Alla stazione bus facciamo amicizia con un ragazzo messicano che viaggia da solo. Si fa insegnare parolacce in abruzzese e se le annota su un taccuino. Arriva il nostro scassatissimo mezzo (il costo per i turisti è 35 LE), guidato dal sosia di Bin Laden, abbigliamento compreso. Prima non si riesce a partire perchè bisogna “pompare i freni”, poi finalmente ci si avvia e sembra impossibile che uno scassone come questo possa fare tutta questa strada. Qui i meccanici devono essere davvero dei maghi. Le soste sono lunghe e, a quanto sembra, a discrezione dell’autista. I posti sono numerati (in arabo) sul biglietto, e non provate a sedervi a caso: i controllori hanno una vera ossessione per il rispetto dei posti assegnati. La sosta a metà viaggio, quella in cui si scende e l’autista mangia, fuma e fa conversazione, sarà lunghissima. Risaliti sull’autobus, mentre il messicano finge di dormire per liberarsi di un ambiguo grassone che vuole un “cadeau”, succede qualcosa di leggermente inquietante: Bin Laden gesticola e urla in arabo con i due dei primi posti, e, pronunciando la parola “european” fa il segno del taglio della gola. Gli altri ridono e improvvisano una gara di rutti. Spero sia solo folclore locale.Questo viaggio, indicato come di 4-5 ore, ne durerà 6, passando e sostando anche a Safaga. Veniamo scaricati in un punto indefinito nel centro di Hurgada, zona Dahar.

22 aprile Hurgada è un posto di rara bruttezza, che potrebbe trovarsi in una qualsiasi zona squallida del mondo. L’Egitto non è qui. Solo cemento, degrado, sporcizia. Il bellissimo mare dai mille colori è imprigionato alla vista da alberghi e villaggi, o da transenne che indicano che lì si sta per costruire e ingabbiare. Praticamente solo turisti russi e tanto alcool. Il nostro albergo, il Three Corner’s Inn, è più che decente, ed ha la sua spiaggia privata convenzionata con il villaggio dallo stesso nome. Ci andiamo, il villaggio è sicuramente gradevole per chi ama i villaggi e le loro attività, ma la spiaggia è praticamente un buco tra due ali di cemento. Fa freddo e tira vento. Impossibile anche spogliarsi. Solo i russi ce la fanno. Andiamo via, in cerca di una spiaggia diversa, e l’unica è poco più a sud, gestita da due ragazzi. Per una palma con due lettini e materassi ci chiedono 20 pound, ma ci andremo il giorno dopo. Praticamente ad Hurgada non si sa che fare, soprattutto se il mare è proibitivo come oggi. Mi sembra un posto solo per chi fa immersioni o vita di villaggio. Se dovessi starci una settimana impazzirei.

23 aprile Dopo circa un’ora alla spiaggetta trovata ieri, senza comunque poter fare il bagno per via del freddo, ce ne andiamo al piccolo “Acquario del Mar Rosso”, a pochi metri verso nord. L’unica cosa gradevole di questa permanenza. Interessanti sarebbero state certamente le gite in sottomarino per vedere la fauna, o l’escursione all’isola protetta di Giftun, ma il mare è troppo mosso per il mio stomaco. Alle 12,30, in una stazione degli autobus differente, al solito, da quella dell’arrivo, partiamo per Il Cairo. Questa corsa è con un bus di prima classe, nuovissimo, al costo di 65LE. Ci danno anche la merenda. La strada verso la capitale è solo deserto di sassi e pozzi di petrolio, che però poi cedono il posto ad un incredibile opera di cementificazione man mano che ci si avvicina verso Suez. Sembra che secondo i piani, tutto il mondo debba venire al mare qui. Uno sfruttamento selvaggio di una risorsa non certo inesauribile. Alberghi, villaggi, case… E le infrastrutture? E lo smaltimento? E’ un posto che fa davvero paura. Dopo 7 ore veniamo scaricati alla stazione bus in zona Orabi (non alla Cairo Gateway, ma lì vicino). Chiediamo a un taxi di portarci al Cairo Center Hotel in Adly Street, ma ci lascia davanti ad un altro hotel, per fortuna a pochi passi. L’ingresso del palazzo è semplicemente spaventoso, ma non è quello l’ingresso dell’albergo, che si trova al terzo piano, e che, forse anche per contrasto, non sembra affatto male. La camera è accettabile.

24 aprile La posizione dell’albergo è abbastanza comoda per muoversi a piedi, e a piedi ci avviamo verso il Museo Egizio (1 km). Il traffico del Cairo è diverso da quello di tutti gli altri posti finora visti: è inimmaginabile. Sarebbe logico un incidente al secondo, eppure tutto va liscio in una frenesia di clacson, sgommate, frenate, improperi, sorpassi e incredibili uscite dai parcheggi o inversioni senza dare precedenza. Ma la precedenza, men che meno la si dà ai pedoni. Anzi, in vista di un pedone si accelera. Attraversare è un atto di coraggio. Cerchiamo di farci scudo con i locali, ma quando ci troviamo da soli, non possiamo che chiudere gli occhi e correre. Al Museo arriviamo verso le 9 e la fila è pochissima. A fianco della biglietteria dovete lasciare macchine fotografiche e telecamere, anche se non ve lo dicono, o vi faranno tornare indietro. Il Museo non è certamente tenuto nel migliore dei modi, nè l’esposizione è ricca di didascalie esplicative, specie al piano terra, dove la visita ha inizio se si vuole seguire un ordine cronologico.

Qui avrò finalmente la conferma dell’origine aliena dei faraoni: a parte le statuette più antiche raffiguranti omini minuscoli dalla testa spropositata e gli occhi enormi, la prova decisiva sarà il letto del faraone. Chi mai, se non un alieno, potrebbe scegliere di dormire poggiando la testa su un trespolo in tutto somigliante ad un poggiagambe del lettino ginecologico? Al piano superiore, la parte più attesa e spettacolare: il sarcofago di Tutankamon, la sua maschera e il suo tesoro. Poi la sala con le mummie degli animali, la sala delle 11 mummie reali (100 LE extra), e tanti e tali reperti da non poter elencare. Vorremmo tornarcene un po’ in albergo, ma ovunque abbiamo trovato l’originale abitudine di pulire le camere di primo pomeriggio. Così, o si rioccupa la camera prima e si rinuncia alla “pulizia”, o si resta bloccati fuori. Oggi ci capita la seconda opzione, e ce ne andiamo. Percorrendo tutta Adly Street ci si trova in Sharia El Azahr e al Cairo Islamico. Il traffico cairota diventa bolgia infernale. Khan el Khalili ti avvolge e ti schiaccia. Mai visti tanti colori e tanta folla tutti insieme. Camminiamo in uno stato quasi ipnotico e arriviamo al Complesso di El-Gouriya. Ci fermiamo per orientarci e veniamo affiancati da un signore che, specificando di non essere una guida nè un seccatore, ci fa la cortesia di accompagnarci alla Moschea di El Azahr, facendoci passare per le nere e strette vie della zona più vecchia del mercato delle spezie. Incontriamo anche un chiassosissimo matrimonio. Ci spiega che viene celebrato in casa con l’addetto del comune, e poi sposi e corteo vanno in giro tutta la notte mangiando, ballando e accettando regali. In questa zona, stasera, come ogni sabato e mercoledì, ci sarà lo spettacolo gratuito di danze sufi. Alla Moschea El-Azahr la mia gonna quasi lunga e il mio scialle non basteranno: dovrò indossare una tunica con cappuccio per entrare. Vorremmo fare ritorno in taxi, ma il traffico è talmente compresso che il tassista si rifiuta e ci indica la strada da fare a piedi.

25 aprile Oggi le Piramidi! Il simbolo dell’Egitto! Saranno una delusione? Intanto bisogna arrivarci, e vogliamo farlo come un egiziano qualunque. E’ domenica, la gente in strada è poca, e ci dirigiamo alla stazione degli autobus urbani, che si trova di fianco al Museo Egizio. Chiediamo, e gli autobus che arrivano a Giza sono parecchi. Ci sono i bianchi, più confortevoli, (357, 355) che però passano ogni mezz’ora. Poi ci sono i verdi, popolari, senza aria condizionata, sporchi, scassati, ma frequentissimi. I numeri col 900 vanno a Giza. Un signore gentile che aspetta con noi, e che poi si rivelerà essere un poliziotto turistico che lavora alle piramidi, ci fa salire insieme a lui. A Giza dobbiamo cambiare con un altro bus verde con il numero in arabo. Comunque niente paura: alle fermate ci sarà sempre chi va nella vostra direzione, e aiutarvi sarà per loro addirittura un onore. Incredibile: sul bus, che costa 50 piastre (mezza lira), le persone stupite cercano addirittura di cederci il posto. “Welcome in Egypt!” . Scendiamo con la nostra guida al primo ingresso delle piramidi, non quello con la Sfinge. Certo è meno scenografico, ma certamente meno in salita e con meno strada da fare, oltre che con meno fila al botteghino. L’ingresso costa 65 LE, e l’entrata alle singole piramidi si paga a parte: 100 per Cheope e 30 per Chefren. I biglietti sono solo 150 o 250 al giorno, secondo la stagione. E’ vero, le piramidi non danno quel senso di enormità ed imponenza che ci si potrebbe aspettare, ma basta immaginarle emergere dal deserto, levigate e solitarie, custodite dalla terribile Sfinge, senza venditori, code di turisti, autobus e bar, e tutto cambia. Sappiamo che entrare negli stretti e spogli cunicoli delle piramidi è un’inutile fatica, ma se Napoleone volle dormire nella piramide di Cheope, noi vogliamo almeno entrare in quella di Chefren. Non abbiamo il biglietto, ma basta avvicinarci e allungare i soldi al custode che, ben felice, se li mette in tasca. Si entra piegati in due, con la speranza di non incontrare un ciccione in senso contrario. Nella stanza finale, buia e spoglia, non c’è nulla, se non un sarcofago vuoto, dove tutti cerchiamo di fotografarci con il telefonino. Le fotocamere si lasciano all’ingresso. Usciamo dal sito attraverso la zona-Sfinge, e io ne resto ipnotizzata. Qui sotto ci sono i sedili per le rappresentazioni teatrali: cosa darei per vedere l’Aida con questo scenario! Raggiungiamo la strada principale e cerchiamo la fermata per tornare al Cairo. Qui prendiamo il 991, che ci deposita direttamente a Tharir Square. Meglio di così… Ora un bel kebab, e poi in albergo a riprendere le forze. Abbiamo deciso di andare, domani, all’oasi di Baharya; abbiamo l’orario, ma non sappiamo dove sia la fermata dell’autobus. L’albergatore ci informa che le partenze sono dalla stazione in zona Orabi. Lì però ce ne sono due: una è quella dove siamo stati depositati venendo da Hurgada, l’altra è la Cairo Gateway, una moderna e grande stazione al chiuso. Chiediamo informazioni in giro, ma nessuno pare conoscerla. Incredibile. Comunque, arrivando alla stazione metro Orabi dal centro (Orabi Street), si deve procedere verso sinistra, passando sotto il cavalcavia e seguendo le indicazioni su cartelli marroni. Da lì si parte per Baharya e le altre oasi (Dakla, Farafra, Kharga e Siwa). Meglio fare il biglietto il giorno prima, perchè si potrebbe anche viaggiare in piedi. Per il mattino dopo ci sono due possibilità: il bus delle 7 che arriva a Farafra, con fermata a Baharya, e quello delle 8, che a Baharya finisce la corsa. Io vorrei vedere il deserto bianco, e so che sarebbe migliore la prima opzione, ma viene scartata e non insisto.

Stabilito il punto di partenza per l’indomani e fatto il biglietto (30 pound), prendiamo la metro alla stazione Orabi e scendiamo a Mar Girgis, esattamente al Cairo Copto. Soluzione comodissima, veloce ed economica (1 pound). Così abbiamo provato anche la metro. Il Cairo Copto è certamente un’oasi di tranquillità, ma non ci entusiasma, e ci sembra piuttosto un luogo un po’ tetro.

26 aprile Il viaggio verso Baharya sarà lungo e anche noioso. C’è da dire che i paesaggi egiziani non sono dei più variati. Con noi viaggia anche un gruppo di anatre, che rispondono starnazzando ai colpi di clacson. Welcome in Egypt! Arriviamo alle 13.30 e veniamo letteralmente circondati e assaliti da un gruppo di uomini e ragazzi che ci vogliono portare nel deserto. Bè, magari sarebbe bello dormire lì stanotte… Un signore, spacciandosi per un funzionario dell’ufficio turistico, ci scorta fino al suddetto ufficio e si siede alla scrivania, offrendosi di aiutarci. Chiama un ragazzo, e ci accordiamo per una notte in tenda nel deserto per 400 pound. Partiamo, e il ragazzo ci affida ad una terza persona con un’auto scassata, che vorrebbe i soldi subito. Dov’è la jeep? Il tizio ci dice che ora andremo a casa sua per prenderla. Squilla il telefonino, e il tipo ci informa che ci sono dei problemi. Ci propone di portarci nel deserto, poi di tornare e farci dormire a casa sua, per terra in una stanza senza letti (ormai siamo arrivati e ce la sta mostrando), con tanto di barbecue davanti a un enorme cumulo di rifiuti (ci mostra anche quello con orgoglio). Ci sentiamo vagamente presi in giro e ci facciamo riportare all’ufficio turistico. Lì è ancora peggio: parliamo con un altro funzionario che dice di essere il capo e non sapere niente di questa storia. Ci guarda e ridacchia. Ce ne andiamo seccati e inseguiti dal ragazzo di prima, che ora si è procurato un altro amico con la jeep che ci offre l’escursione a 600 LE. Esasperati, ci ficchiamo nell’albergo più vicino, l’Albenplick, dove il titolare ci fa notare che in ogni caso a quest’ora (sono ormai le 3 del pomeriggio), nessuna escursione è possibile, perchè si arriverebbe ormai con il buio. Sollievo di mio marito, che certamente preferisce le camere d’albergo, seppure spartane, alle tende. La camera dell’Albenplick è però più che spartana: è quasi indecente. Quando il sole cala, facciamo un giro per il paese. Che pace! Silenzio, asinelli e polvere. Nessuno ci importuna, se ci avviciniamo alle botteghe nessuno cerca di venderci nulla. I bambini ci salutano, chiedono di farsi una foto, e quando allunghiamo loro qualche lira sembrano addirittura stupiti. Qui le donne portano tutte il velo integrale: dai burqa neri non spuntano che le ciglia. Anche le mani sono spesso coperte da guanti. Il nostro albergo si riabilita un po’ con una cena abbastanza gustosa e una siesta nell’accogliente giardinetto interno.

27 aprile Alle 9 partiamo per un’escursione di 3 ore organizzataci dall’albergo, con la guida Magdi. Prima di tutto, sosta al piccolo museo per vedere le mummie d’oro, ritrovamento eccezionale di una decina d’anni fa. Si continua a scavare, e si sospetta ci possano essere diecimila mummie sepolte. Ci sono tombe già visitabili. Risalgono al tempo in cui Baharya era un’oasi fertilissima, granaio e frutteto di mezzo Egitto, terra di potenti mercanti. Dopo le mummie, ci dirigiamo verso un tempio davvero ben conservato, e poi verso la fonte di acqua termale, il palmeto, il lago salato e un giro nel deserto più vicino. Magdi è una guida per tutto il Sahara e organizza spedizioni di ogni durata. Chiacchiera, ride, si arrampica con la jeep, vuole foto e… Allunga parecchio le mani. Alle 15 il nostro autobus ci riporterà al Cairo (altre partenze 6.30 e 10). Arriveremo alle 20.30, ma, sorpresa, non alla stazione di partenza, ma al capolinea della metro a Giza. Siamo lontani dal centro, ma con la metro arriviamo direttamente a Tharir Square in pochi minuti. La serata, l’ultima di questo lungo viaggio, finisce in un locale di “coshary”, un piatto molto popolare, specie di pasta con ceci, lenticchie, cipolle fritte, sugo e spezie, molto gustoso. Spendiamo 17 pound. Al Cairo Center hotel, dove abbiamo riservato una stanza per l’ultima notte, ci aspetta una camera senza finestre.

28 aprile Stamattina, prima della partenza, è in programma una passeggiata nella residenziale, verde e silenziosa isola di Zamalek. La raggiungiamo a piedi, superando ponti e un traffico infernale. Sembra in effetti di essere in un’altra città, ma francamente avrei preferito tornare al Cairo islamico e continuarne la visita. Per me è quella la zona più interessante e anche la più bella. Alla prenotazione dell’hotel su Booking.com, era specificato che con tre notti di permanenza avremmo avuto dirtto al trasferimento in aeroporto. Ne abbiamo fatte 4, ma il trasferimento, guarda caso, si può fare solo in un orario che ci farebbe perdere l’aereo.

Prendiamo un taxi senza contrattare, ma in questo modo forse perdiamo di rispettabilità, visto che veniamo accompagnati al terminal sbagliato, e lì abbandonati nonostante le proteste. Per fortuna c’è la solita navetta pronta, e per fortuna siamo in largo anticipo, visto che al Terminal giusto regna il caos: ci sbattono a destra e sinistra. L’ometto del cambio ci ruba sfacciatamente 100 pound, e quando mio marito lo guarda interrogativamente, gliene rende 30 “per le spese in aeroporto”. Nei Duty Free i prezzi sono altissimi e in dollari. Per i souvenir dell’ultimo minuto spendereste in proporzione 5 dollari per ciò che avreste pagato 5 pound.

Il volo è puntuale, e atterriamo a Fiumicino con i soliti 30 minuti di anticipo. Questo ci consente di riuscire a prendere il Prontobus diretto per Pescara, senza dover cambiare alla stazione Tiburtina. Perchè se in Egitto ci siamo sentiti sempre sicuri, potrebbe non essere così a Tiburtina di sera. A Pescara il taxi si prende 10 euro per un tragitto da 5 pound. Non osiamo contrattare. Welcome in Italy!



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