Dreams road: West Coast

Due settimane tra parchi (Grand Canyon, Zion, Bryce, Death Valley, Yosemite) e città (Los Angeles, Las Vegas e San Francisco) dell'ovest americano
Scritto da: TheseD
dreams road: west coast
Partenza il: 20/08/2015
Ritorno il: 06/09/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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A luglio inoltrato, avendo due settimane a disposizione ad agosto e 200.000 miglia Alitalia da sfruttare mi son messo alla ricerca del luogo ideale dove passare una bella vacanza con mia moglie… l’unica disponibilità… Los Angeles… e quindi ecco che uno dei viaggi da sogno sempre desiderato prende il via… West Coast on the Road!

Prenotato il volo, compiliamo il modulo per l’ESTA sul sito esta.cbp.dhs.gov ed una volta ottenuta l’autorizzazione a recarci negli Stati Uniti procediamo con il noleggio dell’auto che ci accompagnerà per il nostro tour di 3.000 miglia. Utilizziamo rentalcars.com e scegliamo una Compatta a 389 euro per 16 gg offerta da Dollar incluso il pieno finale e assicurazione franchigia zero (ovvero, puoi anche scassare l’auto ma non avrai spese). Al ritiro, Dollar permette di scegliersi l’autovettura nella categoria scelta ed optiamo per una Ford Focus, auto che consigliamo. E’ un auto (o comunque la categoria) che mi sento di consigliare per questo tour, non è assolutamente necessario un SUV o auto di categoria, solo in poche occasione percorrete strade non asfaltate e saranno comunque battute, il vano bagagli contiene ampiamente quattro valigie (due grandi + due trolley). Dunque evitate di spendere cifre per il veicolo, a meno di non voler realizzare il sogno di guidare una mustang decapottabile (a Euro 100 al dì)… sconsiglio però la Dollar, al rientro ho notato che mi hanno addebitato costi per servizi non richiesti e sto ancora lottando per il riaccredito.

Acquistiamo poi l’assicurazione medica, assolutamente necessaria negli USA, con Columbus Direct a un prezzo che è meno della metà di quello offerto da Zurich e EuropeAssistance e offre una copertura migliore. Fortunatamente, non ne abbiamo usufruito, ma ricordatevi di farla.

Infine, abbiamo acquistato le mappe USA per il nostro TomTom (23 euro), anche qui assolutamente necessario tenuto conto che in molti posti del tour il cellulare non prende e google maps è inutilizzabile. Inoltre, è un acquisto che “rimane” e che potrete utilizzare anche per futuri viaggi. E credetemi, vorrete tornare negli USA dopo questa esperienza on the road.

Conclusa la parte burocratica, inizia quella divertente, ovvero la pianificazione del viaggio e delle tappe. Decidiamo di prenotare tutti gli hotel in anticipo utilizzando booking.com e di fare il tour in senso antiorario, ovvero partire da Los Angeles verso i parchi dell’Arizona e Utah, fermarsi a Las Vegas e da qui visitare San Francisco passando per Death Valley e Yosemite Park ed infine tornare a LA facendo la famosa Highway 1 che costeggia il Pacifico. Questo consente di lasciarsi la maggior parte dei chilometri nella prima parte. Altro consiglio, per Las Vegas cercate di andarci in settimana. I prezzi degli alberghi sono molto più bassi e godrete lo stesso dell’atmosfera. Paradossalmente abbiamo pagato meno il Mandalay Bay che i motel a Page o Mammoth Lake.

Noi avevamo solo due settimane, sono sufficienti per visitare tutto, ma una settimana in più avrebbe consentito un maggior relax ed aggiungere anche San Diego e la Monument Valley facilmente.

Vi sono poi delle attrazioni per le quali è necessario assolutamente prenotare per esser sicuri di visitarle, come Alcatraz tramite il sito ufficiale www.alcatrazcruises.com (attenzione: Alcatraz Cruise è l’unica che offre il trasporto e visita alla Roccia, gli altri siti applicano solo un ricarico) e Antelope Canyon su www.antelopecanyon.com (in questo caso, il sito non vi chiederà il pagamento anticipato, ma vi assicura il posto per l’ora prevista presentandovi una ora prima). In altri casi è semplicemente preferibile, come agli Universal Studios, per evitare le code.

Giorno 1 – 20 agosto – Arrivo a Los Angeles e visita a Griffith Observatory

Nonostante un ritardo di un’ora alla partenza (come sempre “ottimo” Fiumicino), atterriamo in orario alle 14 ora locale. Passati i controlli rapidamente e ritirato il bagaglio (fortunelli, è la terza valigia… la paghiamo al ritorno che ce la perderanno), prendiamo il pulmino per ritirare l’auto. La zona all’uscita dell’aeroporto dove si fermano i bus per i rental cars è un po’ caotica, posto che di compagnie ve ne sono molte, il marciapiede è lungo 10 metri e l’attesa media è 5 minuti, ma riusciamo prendere velocemente il nostro. Svolte rapidamente le pratiche burocratiche, l’addetto ci comunica che, come anticipato, possiamo scegliere noi l’auto. Optiamo per l’unica Ford Focus presente per il suo bagagliaio e gli optional, incluso la presa usb per l’ipod… unico neo…. È targata FLORIDA… Mannaggia, delusione… vabbè, impostiamo il TomTom, diamo il là a Katy Perry per la sua California Girls e siamo on the Road… nel viaggio verso l’Hollywood Historic Hotel in Melrose Avenue ci imbattiamo anche in una troupe che sta girando ed in lontananza appare l’Hollywood sign. Sempre più gasati, arriviamo e ci avvisano che ci hanno dato una delle stanze con vista migliore… apriamo la porta e… una puzza terribile… la vista è bella, per carità, ma a un certo punto la puzza è tanta da lacrimare e cambiamo stanza per scoprire che la puzza è una costante, probabilmente dovuta al pavimento in moquette e ai prodotti che utilizzano per pulirla. Lasciamo aperta la finestra (vista distributore) ed usciamo alla volta del Griffith Observatory dove potremo godere della vista di tutta la città e della famosa scritta. In 20 minuti siam lì e scattano le prime di quasi 5.000 foto complessive del viaggio. Al tramonto, la temperatura cala molto e non siamo attrezzati per lo sbalzo termico, quindi interrompiamo la visita subito dopo aver visto Saturno con il telescopio in dotazione al centro. Rientriamo in albergo per cambiarci e usciamo per mangiare (male) da Denny’s poco lontano.

Giorno 2 – 21 agosto Universal Studios

E’ il primo giorno pieno e andremo a visitare gli Universal Studios. Abbiamo fatto questa scelta perché è venerdì e non vogliamo visitare gli Studios nel week-end quando l’affluenza dovrebbe esser superiore. Abbiamo acquistato i biglietti dall’Italia ($85 each) e studiato tutte le strategie possibili per ridurre al minimo le code e i tempi morti così da evitare il costosissimo Front of the Line ($189)… recatevi presto e andate subito al piano inferiore per poi fare le attrazioni al piano superiore, così ottimizzerete il vostro tempo. Infatti, alle 9 appena apre siam già lì e trascino di peso mia moglie al piano inferiore del parco dove si trovano le attrazioni principali. A quell’ora non c’è quasi nessuno, infatti siamo tra i primi a fare Transformers (con annesso bis immediato, inutile dire l’apprezzamento) e Revenge of the Mummy (una volta, niente di che) e scattare qualche foto con Megatron… per poi recarci al pezzo forte… una musichetta familiare dal 1993 ed un portone ci attendono… il parco è aperto ed una barchetta ci farà fare il tour del Jurassic Park! Appena finito, trascino mia moglie per un secondo giro… (quasi) soddisfatto ci rechiamo all’ultima grande attrazione del park lot inferiore, ovvero la DeLorean esposta (in una teca) al centro dell’Universal Museum… vi sono altri memorabilia cinematografici, ma io scatto foto e selfie da ogni angolazione solo a Lei, un mito… fatta la foto anche con Optimus Prime stiamo per riprendere le scale mobili per l’upper lot ma la musichetta familiare mi rapisce per una terza ride nel parco jurassico, questa volta con maglietta annessa ma senza moglie così salto la coda ormai di mezz’ora (i single hanno la corsia preferenziale…). Tornati in cima al parco, visitiamo Krustyland (carino, son stati anche capaci di ottimizzare il tempo in coda) per poi farci un hamburger al Krusty Burger – volevo anche la Duff, ma 10 dollari solo per la label Duff mi sembravo un po’ tantini – e partecipare allo Waterworld show prima del Studio Tour vero e proprio. La coda è lunga ma scorre sempre, quindi non scoraggiatevi. I set sono carini ed interessanti, tra l’altro vi è anche la piazza di Hill Valley (peccato che la torre dell’orologio non vi sia più) dove la DeLorean ha sfrecciato a 88mph.

Non ci rimangono che i Minions (carino) e Shrek 4D (evitabile) come attrazioni e girare il resto del parco – tra l’altro già si vede Hogwarts del modo magico di Harry Potter, sezione del parco che aprirà in primavera 2016. Siam rimasti quasi fino a chiusura per poi cambiarci in hotel ed effettuare una veloce visita notturna a Hollywood. Niente cena, solo birretta, sarà che abbiamo pranzato un po’ tardi, ma alle 10/11 il Krusty Burger era ancora lì…

Giorno 3 – 22 agosto Hollywood – Beverly Hills – Santa Monica

Fatta colazione americana ma con un espresso grazie al fatto che il cafè a lato dell’hotel è gestito da un italiano, ci rechiamo all’Original Farmers Market, un mercato che in Italia definiremmo rionale/comunale ma in salsa americana. Ci perdiamo tra le bancarelle e i negozietti dove vendono veramente frutta fresca e secca che sembrano veramente genuine. Superata la torre con l’orologio, annesso al market vi è anche una parte più “commerciale” con negozi.

Ci dirigiamo quindi verso Hollywood. Riusciamo a parcheggiare gratuitamente in una strada quasi all’incrocio con Hollywood Bldv all’altezza del Chinese Theatre. Dovete fare attenzione ai cartelli, se la scritta è verde allora si può parcheggiare per il tempo menzionato. Non esiste disco orario, passano dei controllori, però rispettate il tempo altrimenti si portano via l’auto. Noi avevamo due ore, tempo più che sufficiente per camminare un po’ sulla Walk of Fame, fare foto con le stelle dei propri beniamini e visitare qualche negozio, su tutti l’Hard Rock Cafè dove acquistare la classica maglietta. Francamente di più non c’è su Hollywood Blvd, tutto si concentra in quell’isolato o poco più dove vi sono il TLC Chinese Theatre fino al Egyptiam Theatre, il resto è una normalissima strada americana piena di bar e negozi di souvenir scadenti. Il marciapiedi stesso lascia un po’ a desiderare, sarà figo aver la stella ma averla davanti a una lavanderia o un kebbabaro non credo sia il massimo…

Un po’ delusi, ci spostiamo verso una zona che invece almeno dal punto di vista della cura ci soddisferà… Beverly Hills. Dopo 20 minuti lungo Santa Monica Bldv avvistiamo la famosa insegna e decidiamo di fare deviazioni a caso per vedere le varie villette. Come riportato, alcune hanno siepi sono molto alte, mentre la maggior parte erano come quelle dei Walsh nel celeberrimo telefim. Finito il giro a zonzo, visitiamo Rodeo Drive, strada che mi comunica mia moglie esser quella dove Julia Roberts faceva compere in Pretty Woman… il film è quello che è, la zona è evidente che è per ricchi, quindi particolarmente curata e pulita, in particolare Two Rodeo Dr, dove troverete un bel ciottolato come in Europa (ed infatti i sanpietrini sono stati importati dall’Italia). Mangiamo in zona da Cheesecake Factory, uno dei primi, se non il primo, ristoranti della famosa catena. La loro ceasar salad è sufficiente per sfamarci in due, mentre lì vicino Nespresso ci permette di bere un caffè decente anche a pranzo.

Andiamo nuovamente a zonzo per Beverly Hills fino a quando non prendiamo la famosa Mulholland Drive, una strada tortuosa e panoramica. E’ sempre impressionante in America passare in un attimo da una zona urbana ad alta densità demografica e curata ad una rurale/collinare con poche case (in questo caso ville, a dire il vero) e strada dissestata. Seguendola arriviamo fino a UCLA della quale visitiamo il campus e l’esterno degli edifici in stile romanico, tanto che l’avevo scambiata inizialmente per una chiesa. Visitiamo anche uno dei campi sportivi, quello di calcio giusto in fondo alla scalinata. Stanno anche giocando e, se il livello di gioco è basso, non posso non notare come il campo sia migliore di tanti visti in Italia (incluso San Siro, a livello di manto erboso).

Proseguiamo verso Santa Monica e il suo Pier, ormai non più dedicato all’attracco ma solo al divertimento con il suo luna park e negozietti di souvenir. Qui si trova anche il cartello che indica la fine della mitica Route 66, la strada che collegava Chicago a Los Angeles lungo 2.448 miglia attraversando 8 stati. Dopo una passeggiata in spiaggia al tramonto, desidereremmo cenare da Bubba Gump – e scopro pure che mia moglie non ha mai visto manco Forrest Gump, ma si può – l’attesa però era troppo lunga quindi optiamo per i Schrimps & Fish del ristorante accanto. Seppur sabato sera, siamo troppo stanchi per una serata e visitare il resto di Santa Monica, andiamo quindi a nanna, del resto poi il giorno dopo abbiamo l’attraversata del deserto.

Giorno 4 – 23 agosto – Desert Trip

Fatta solita colazione al cafè dell’albergo, torniamo al Farmers Market per acquistare dei cestini di macedonia e frutta fresca per il viaggio. Lì vicino c’è anche un Whole Foods e un Kmart dove acquistiamo una cassetta da 35 bottigliette d’acqua e un cooler portatile di tela con annesse barrette flessibili di ghiaccio, fondamentale per il viaggio on the road lungo i parchi. Date le temperature, è sicuramente un acquisto consigliato (a meno di portarlo dall’Italia), soprattutto se volete fare un bel pic-nic nei parchi dove troverete aeree attrezzate apposta. La maggior parte degli Hotel ha il frigo e anche il freezer, quindi no problem nel conservare i cibi.

Son già le 11 e il nostro viaggio on the road comincia ufficialmente! Destinazione Flagstaff, Arizona, tappa di avvicinamento al Grand Canyon. Ci aspettano 7 ore nel deserto, o quasi. Fino a Barstow la strada è la classica highway a tre corsie minimo, poi inizia la strada che tutti almeno una volta abbiamo sognato di percorrere. Una striscia d’asfalto, due corsie, il deserto ai lati. Seppur in auto, ci sembra di esser i protagonisti di Dreams Road il programma con il mitico Emerson Gattifoni! Ed in suo onore decidiamo che ad ogni tappa faremo il video di chiusura della giornata! Lungo il percorso troverete delle Rest Area, ma senza distributore. Perciò il consiglio è quello di fare benzina prima di Barstow perché poi fino a Needle non vi è più neanche una pompa. La benzina costa poco (abbiamo speso circa 300 dollari per 4.500km), ma le distanze sono grandi, anche e soprattutto nei parchi, la nostra strategia è stata quella di fare il pieno ogni mattina o sera.

L’Highway “costeggia” la famosa Route 66, è segnalata e se volete prenderla potete farlo, ma il consiglio è quello di percorrerla da Kingman in poi. Ok, il deserto, ok la storia, ma dopo un po’ vorrete arrivare a destinazione e visitare qualcosa. Per questa ragione, decidiamo di fare una deviazione e raggiungere Oatman, un paesino western rimasto a quel tempo e pieno di asini liberi di muoversi. E’ tutto a chiaramente a beneficio dei turisti, ma tanto la parte finale della strada per arrivarci quanto il posto alla fine meritano. Mancava solo il Saloon con la classica entrata a portellini, o forse c’era, quel giorno il ristorante del posto era chiuso…

Fatte le classiche foto riprendiamo la strada verso Flagstaff che, sorpresa, è la Route 66… vicino a Kigman troviamo anche il classico logo stampato sull’asfalto e ci fermiamo per le foto… con la simpatica compagnia di altre due coppie… ovviamente italiane. Puoi esser anche nel deserto, ma stai sicuro che un italiano lo incontri sempre.

Proseguiamo un po’ sulla Route 66 per poi riprendere l’highway, è più veloce e ormai è quasi buio, il paesaggio non sarebbe comunque visibile. Arriviamo a destinazione verso le 9. Pensavamo al classico motel un po’ sgarrupato dei film con la macchina parcheggiata davanti alla porta, ed invece il Rodway Inn & Suites si rivela un ottimo posto dove fare tappa con una stanza pulita e grande da far invidia a molti hotel, oltretutto al prezzo più basso di tutti gli altri hotel prenotati ($50). Cena al Porky’s lì vicino, e per chi è degli anni ’80 è l’ennesima citazione, poi a nanna un po’ stanchini a dire il vero.

Giorno 5 – 24 agosto – Grand Canyon

Appena svegliati, visitiamo il downtown di Flagstaff, cittadina molto carina, attraversata dalla Route 66. Sembra di esser ad Hazzard e con un po’ di immaginazione vedo sfrecciare i cugini Duke sul Generale Lee inseguiti da Roscoe P. Coltraine. Concluso il mio trip mentale, riprendiamo la strada per il Grand Canyon. Avete due possibilità: tornare con l’H40 fino a Williams e prendere poi la AZ64 direzione nord oppure prendere la US180 a nord di Flagstaff. Optiamo per la seconda, è più scenografica, attraversa una foresta e le montagne per poi scendere verso Valle (in tutti i sensi) e offrire nuovamente un percorso desertico (seppur differente in flora).

Arrivati all’ingresso del Grand Canyon verso le 11, acquistiamo per $80 il pass annuale dei parchi che ci garantirà l’entrata anche a tutti gli altri che desideriamo visitare (eccetto l’Antelope). E’ conveniente, posto che ogni parco costa dai $20 ai 30$ cadauno e ha validità un anno. Seguiamo le indicazioni e parcheggiamo vicino al visitor center, ci tiriamo su il nostro cooler e da qui dopo un breve cammino si apre la vista su uno scenario che è difficile descrivere a parole, bisogna viverlo. Quel momento è l’immagine del mio viaggio, quella che mi arriva alla mente quando ci penso. Il Canyon è immenso, arriva quasi a noia dopo molte ore, ma il primo impatto ti rimane dentro.

Gli americani sono maestri nel gestire i parchi ed eventi, tutto è organizzato, all’ingresso ti consegnano un bullettin con le mappe e tutte le informazioni necessarie per godere al meglio la propria esperienza nel parco.

Il Grand Canyon nel periodo estivo non è visitabile con la propria auto, se vuoi puoi farti tutto il bordo a piedi oppure prendere dei comodi shuttle che passano ogni 10/15 minuti e fermano in punti strategici di diversi tour (3 in totale). Noi decidiamo di fare il primo tratto (blu) a piedi per poi prendere il bus per il tour “rosso”. Tenuto conto che ti fermi ogni due minuti per le foto, siamo alla fermato del rosso dopo due ore e aver camminato per 5 km. Prendiamo il bus che arriva proprio in quel momento. All’andata il bus ferma in tutte le fermate, mentre al ritorno solo in 3.

Io avevo organizzato la visita già da casa visitando il sito ufficiale del National Park Service www.nps.gov, dove si trovano tutte le informazioni necessarie per visitare TUTTI i parchi americani gestiti dal NPS sfruttando la funzione “find a park” e poi seguendo i menu di ogni singolo parco, dove si trova anche la documentazione consegnata all’ingresso.

Al capolinea del tour rosso in Hermits Rest, facciamo il nostro primo pic-nic nei parchi con le macedonie acquistate il giorno prima e poi decidiamo di fare un tratto a piedi fino alla successiva tappa (Pima Point) per il rientro verso il visitor center. In questo tratto, si vede infatti al meglio il fiume Colorado.

Da qui rientriamo quindi in bus fino al visitor center dove poco lontano vediamo tre placidi cerbiatti riposare dall’altra parte della strada. Scattate le foto di rito, prendiamo il bus arancione e andiamo a vedere l’ultimo tratto del Grand Canyon con l’ultimo sole. Sono ormai le 19 e riprendiamo l’auto per percorrere la Desert View Road, una strada che costeggia il Grand Canyon in direzione est e ci godiamo il tramonto e i colori che dona al canyon e alle nuvole. Arriviamo a Page verso le 21, facciamo check-in al Lulu’s Sleep Ezze Motel e andiamo a mangiare da Big John’s dove si è appena concluso un piccolo concertino in pieno stile country… peccato, ma ci rifacciamo con le fantastiche ribs per poi andar a letto stremati ma con ancora negli occhi la meraviglia.

Giorno 6 – 25 Agosto – Antelope Canyon + Zion National Park

Page è la cittadina ideale per visitare l’Antelope Canyon, un parco non incluso nel nostro pass visto che si trova in territorio navajo. Come detto, si deve prenotare prima, e il nostro turno è alle 10. L’ideale sarebbero i tour delle 11 e 12, quando i raggi di sole amplificano i giochi di luci ed ombre, ma oggi non c’è un cielo limpido quindi è uguale.

Dopo un breve tragitto in jeep dal parcheggio appena fuori Page, raggiungiamo l’entrata del canyon. E’ veramente stretto, per percorrerlo a piedi tutto ci impiegheremo quasi 30 minuti, più che altro perché ci si ferma ogni 5 metri a fare foto. La nostra guida oltre a fornirci le informazioni circa la formazione e la geologia del canyon, ci impartisce anche una breve lezione di fotografia e, grazie a lui, anche senza raggi, riusciamo a scattare delle foto splendide.

Ritornati al parcheggio, ci dirigiamo verso l’Horseshoes Bend, una insenatura a ferro di cavallo creatasi quando deviarono il corso del fiume a seguito della costruzione della vicina diga. Per raggiungerlo, dovete fare una piccola camminata di circa poco meno di un km dal parcheggio a lato della strada, ma ne vale la pena. Non vi sono protezioni e per scattare le foto migliori dovete avvicinarvi molto al bordo, quindi attenzione (se avete uno smartphone Android, ne potete avere un assaggio. Tra le varie modalità di foto del sistema, vi è colore ricco. Ecco la foto d’esempio è proprio Horseshoes…)

Ci dirigiamo infine alla diga Glen subito fuori Page. Al solito Visitor Center, leggiamo della storia della diga, come fu costruita e perché, oltre a vedere alcuni resti fossili di dinosauri. Sembra oggi impossibile immaginare che tutta l’area del midwest americano era in origine un oceano con temperature tropicali! Decidiamo di non spendere i $5 dollari a testa per visitare la diga in sé e ci spostiamo verso la Page Recreation Area, dove potremo scattare foto del Lake Powell e farci anche il bagno. Fa parte del sistema di parchi, ma non avremmo pagato in ogni caso. Oggi si celebra infatti l’anniversario della creazione del NPS e l’entrata è gratuita in tutti i parchi.

Prima di andare alla spiaggia, ci fermiamo nell’area pic-nic, veramente ben attrezzata (questa aveva anche diverse postazioni per i barbecue). E’ un giorno feriale e le scuole in Arizona hanno riaperto, quindi non troviamo molte persone, neanche in spiaggia, per lo più turisti. Facciamo un rapido bagno, ma francamente il posto non ci aggrada e oltretutto inizia una leggera pioggerellina. E allora via, verso lo Zion National Park.

Arriviamo all’ingresso del parco dopo due ore, sono già le 17 passate, non avremo molto tempo ma decidiamo di proseguire almeno fino a quando ci sarà luce. Appena entrati rimaniamo affascinati da queste montagne striate, a noi ricordano le onde del mare, tanto che facciamo qualche foto come se stessimo surfando. E poi abbiamo un contatto diretto con la wildlife: lungo la strada troviamo cervi, antilopi, soli o in branco, ormai credo abituati all’uomo tanto che si lasciano fotografare pacificamente.

Attraversiamo il tunnel e siamo dall’altra parte del parco, dove si trova la valle che costituisce il parco vero e proprio, percorribile solo con uno shuttle o a piedi tramite sentieri. Qui le montagne cambiano, non sono striate ma imponenti. Arriviamo al visitor center, ma l’ultimo shuttle è già partito, ormai il tramonto è iniziato e presto farà buio. Col senno di poi, se non avessimo perso tempo alla spiaggia del Lake Powell, avremmo avuto modo di completare la nostra visita, ma ci riteniamo comunque soddisfatti.

Ripecorriamo quindi la strada per poi raggiungere Panguitch alloggiando al Quality Inn subito dopo l’incrocio per il Bryce Canyon, nostra visita del giorno dopo. Albergo consigliato, un po’ meno il suo ristorante, buono ma molto caro.

Giorno 7 – 26 Agosto Bryce Canyon

Maledizione! Piove. A dirotto. Il Bryce Canyon è il parco che più attendavamo, e piove. E non si vede una mazza. All’entrata la gentile ranger ci augura buona giornata, in buona fede, ma mi sento un po’ preso in giro… Il Bryce si estende per 32 km e in alcuni punti panoramici iniziano dei sentieri che permettono di goderne la bellezza a pieno, ovvero i pinnacoli di diverse forme e spessore di color rosso. Ecco, noi abbiamo fatto tutti i punti panoramici e l’unico colore delle foto è il bianco della nebbia… si intravede qualcosa, ma aumenta solo la rabbia… verso mezzogiorno arriviamo al Sunset Point e la visibilità sembra migliorare, seppur la pioggia continui leggera. Vediamo un percorso che scende lungo stradine tortuose e decidiamo comunque di percorrerlo. Scopriremo poi che abbiamo fatto il Navajo Loop, un sentiero di 2km in tondo molto bello con alcuni punti panoramici veramente impressionati, come Wall Street o i Two Bridges. Arrivati a metà avremmo potuto fare anche il Queen trails, ma continuava a piovere, il percorso richiedeva almeno una ora e noi non eravamo attrezzati. Peccato, perché sarebbe stato bello. Come ultima beffa, poco dopo aver concluso ed esserci ripuliti, esce il sole! Dopo un veloce pasto nella solita area picnic, ci fiondiamo in auto e rifacciamo tutti i 32 km per vedere i punti panoramici. Una nebbiolina persisteva, ma comunque abbiamo avuto modo di goderci la vista del Bryce Point o Natural Bridge. In particolare, siamo arrivati all’Inspiration Point al tramonto, con tutti i pinnacoli illuminati. Bellissimo, ripagati in parte della sventura mattutina.

E’ ormai ora di muoverci, la prossima metà dista “solo” 4 ore, ma questa non è un problema arrivarci di notte, anzi… potremo godere appieno delle luci della sfavillante Las Vegas.

Giorno 8-9 / 27-28 agosto – Las Vegas

Arrivare da nord-est è consigliato perché l’autostrada percorre una breve collina e consente una visita dall’alto della città, rendendo immediatamente riconoscibili gli hotel della Strip più famosi anche da kilometri di distanza.

Noi abbiamo deciso di fermarci due giorni, così da rilassarci un po’ e consentirci un po’ di shopping negli outlet a sud della Strip (le tasse in Nevada sono inferiori rispetto alla California). Per questa ragione, abbiamo optato per il Mandalay Bay, proprio all’estremità sud e con una piscina a forma di spiaggia. Di contro, eravamo un po’ isolati. E’ vero che ci sono i tram e la maggior parte degli hotel è collegata da passerelle, però non eravamo al “centro dell’azione”.

Il primo giorno abbiamo visitato tutti gli hotel, o quasi, partendo dall’estremità opposta, il Treasure Island. Ognuno ha la propria caratterizzazione, più o meno kitsch, ma non si può rimanere indifferenti alla maestosità del Venetian… non dico che è uguale al trovarsi a Venezia, ma son riusciti ad avvicinarvisi.

Farsi tutta la strip a piedi è impegnativo, quindi preparatevi. Noi alle 16 e dopo aver provato le roller coaster del New York New York abbiamo deciso di rientrare e sfruttare un po’ la piscina fino a chiusura per prepararci alla serata. Las Vegas si vive al massimo la notte, con tutte le luci e i cotillion, ma come si dice “what happens in Vegas, remains in Vegas” quindi passiamo al giorno dopo…

E’ dedicato allo shopping, prima al Town Square e poi al Las Vegas Premium Outlet South. Basti dire che, tra prezzi più bassi di suo, sconti e promozioni, ci siam comprati 4 paia di Converse al prezzo di uno in Italia. Soddisfatti di aver contribuito sensibilmente all’economia del Nevada (mia moglie avrebbe voluto contribuire di più, direi che sarebbe ancora là), è ora di prepararsi nuovamente alla serata. Abbiamo i biglietti per lo spettacolo per antonomasia di Vegas, lo show di Copperfield al MGM. Fila tutto bene, lui è bravo a interagire con la folla ed intrattiene, però solo due numeri mi hanno veramente impressionato ed in linea con le aspettative del più grande illusionista di tutti i tempi (certificato da una placca all’ingresso)… Nessun pentimento, sei a Las Vegas e vuoi vedere uno show, questo è il più famoso. Tra i tanti, segnalo quello al Planet Hollywood di una cantante che a fine anni ’90 cantava di “averlo fatto ancora” ed ora offre “pieces of me”….

Giorno 10 – 29 agosto: Death Valley

Il primo giorno al Venetian abbiamo notato una pasticceria particolare, la Carlo’s. Sì, proprio quella del mitico Boss delle Torte di Real Time, Buddy Valastro. Per colazione, decidiamo quindi che è venuto il momento di giudicare Buddy e la prova è ampiamente superata. Ora abbiamo calorie sufficienti per affrontare la prossima tappa, la calda Death Valley.

Come non bastasse, noi riusciamo ad arrivarci intorno alle 14… ci sono solo 40° gradi all’ingresso del parco. Entrando da Sud, decidiamo di visitare per prima cosa il Dante’s View, una collina che offre temperature più miti (30°) e consente di vedere la sottostante vallata della morte… in particolare, la Badwater basin con i suoi 50°… scendiamo nuovamente a valle e ci fermiamo allo Zabriskie Point, immortalato dal celebre (mai visto) film. Sembrano tante dita protese in avanti. Per vederlo al meglio è necessario affrontare una piccola salita di qualche decina di metri, ma il caldo è tanto quindi portiamo l’acqua. Nonostante questo mia moglie soffre una piccola insolazione e colpo di caldo e rientriamo velocemente in auto.

Entriamo quindi nella Valle vera e propria, direzione Badwater lungo la Hwy 178. Dopo circa mezz’ora arriviamo a questa distesa di sale che rappresenta il punto più basso degli Stati Uniti (86m sotto il livello del mare, che per dare meglio l’idea, è segnalato sul versante della montagna opposta). Controlliamo il termometro della Focus. Segna 50°! In nostro soccorso, un legger venticello (caldo) elimina la salinità nell’aria e ci permette di passare qualche minuto a scattare foto a questa landa desolata.

Riprendiamo la strada per fermarci al Devil Golf Course che si raggiunge con una deviazione di un km su uno sterrato battuto. Tutto intorno terra brulla con pinnacoli e solchi profondi creati dal caldo e dal sale.

Ripresa la strada principale, incrociamo la strada a senso unico che ci porterà fino all’Artist’s Palette. Percorrere la strada in sé è già bellissimo, si costeggiano le pendici delle colline vicine e si passa attraverso piccoli canyon ammirando queste rocce che presentano sfumature di colori unici grazie ai depositi minerari e ceneri vulcaniche. Non a caso l’area si chiama tavolozza dei colori.

Lungo la Hwy178 vi è anche il Golden Canyon, che è percorribile a piedi, ma il caldo e un certo languorino (son già le 16) ci ha sfiancato e decidiamo di non fermarci per proseguire verso Furnace Creek, una vera e propria oasi nel deserto dove rifocillarsi e cercare un po’ di refrigerio.

Riposati e saziati da un hotdog, riprendiamo la Hwy 178 verso le Sand Dunes, distese di sabbia verso il confine ovest del parco. Noi ci addentriamo brevemente fino a un gruppo di alberi un po’ rinsecchiti, ma vegeti, e scattiamo alcune foto spettacolari, grazie anche ai giochi di luce creati dal sole non più allo zenit.

Ed eccoci pronti ad affrontare le canoniche 4 ore che porteranno a Mammoth Lakes, tappa di sosta per la visita del giorno dopo. A destinazione la temperatura è 12°, che escursione termica! All’esterno del Rodeway Inn (bocciato) notiamo un cartello “inquietante”: portate via tutto il cibo dall’auto, altrimenti gli orsi selvaggi ti distruggono la macchina per prenderli”. Mica male… Noi tiriamo su i nostri noodle che mangiamo cotti al micronde e andiam a letto.

Giorno 11 – 30 agosto Mono Lake + Yosemite National Park

La mattina facciamo anche l’esperienza della lavanderia americana e un po’ di spesa per poi dirigerci verso il Mono Lake, caratteristico per i suoi pinnacoli di tufo che continuano a crearsi e portano il lago ad avere una alcalinità superiore a quella del mare, oltre che ad essere occupato dalle mosche, da cui il nome del lago (mono in lingua dei nativi americani che vi abitavano). Vale una visita veloce, tanto è incluso nella tessera parchi.

Lasciamo il lago dopo una mezz’oretta a zonzo per i sentieri e finalmente arriviamo allo Tioga Pass la porta di entrata dello Yosemite Park da est. I paesaggi sono incantevoli, laghetti alpini, grandi montagne, boschi, il Tuolumne river a lato della strada, con il risultato che ci fermiamo quasi ogni km per foto. Sono già quasi le 14 e decidiamo di fare il nostro consueto pic-nic presso l’area di Tuolumne Meadows, ai piedi di un enorme roccia bianca. Riusciamo anche a vedere un uccellino che dal becco e la forma sembra un picchio. Da qui partono numerosi sentieri e tour guidati dai rangers. In particolare, uno dovrebbe portarti presso un area con alcune sequoie. La nostra intenzione è quella perché per tutto il 2015 il Mariposa Grove a sud del parco è chiuso, quindi sarebbe l’unica nostra opzione dell’intero tour per vedere le sequoia giganti. E’ purtroppo tardi e solo per completare la Tioga Road ed arrivare alla Yosemite Valley ci vorranno almeno un’altra ora e mezza. Riprendiamo la strada, ma subito arriviamo al Tenaya Lake, troppo affascinante ed attraente la sua acqua limpida per non fermarsi a fare un pucciatina. Scopriamo pure che l’acqua è veramente fredda. Rigenerati ci riproponiamo questa volta di non fermarci più, seppur a malincuore e i fantastici vista points. All’ingresso nella valle, svoltiamo a sinistra direzione Glacier Point a 2.100 metri di altezza. Ci vorranno altri 40 minuti, ma la vista ripaga del tempo e kilometri. Da qui infatti, oltre ad esser circondati da scoiattoli, si vede l’intera valle, le cascate Nevada e Vernal Falls, incredibilmente ancora attive essendo agosto inoltrato, e soprattutto l’imponente Half Dome, una montagna il cui picco incurvato e tagliato longitudinalmente ricorda appunto una cupola a metà, il tutto per un panorama mozzafiato. Scattiamo diverse foto, ma il tempo è tiranno e il sole inizia a calare. Ripercorriamo la strada fino alla valle, ma poco prima dello svincolo, subito dopo una galleria, c’è Tunnel View da cui ammirare El Capitan, un massiccio che domina la valle e da cui sgorgano le Yosemite Falls (non visibili da qui), ed in lontananza l’Half Dome. Qui il sole calante alle nostre spalle aiuta a scattare delle bellissime foto. Ci addentriamo quindi nella valle fino ad arrivare allo spiazzo da cui nella prima parte dell’anno si possono vedere le Yosemite Falls cariche d’acqua sgorgare dalla montagna. E’ agosto e sono in secca, ma è chiaramente visibile il percorso dell’acqua sulla roccia. Ci inoltriamo ulteriormente nella valle fino al VIsitor Center dove si apre un ampio prato da cui scattare altre foto più ravvicinate all’Half Dome, ormai colorato di rosa ed arancione grazie ai raggi del tramonto. Noi vi troviamo anche un cervo e suo piccolo che placidamente stanno brucando e riposando, per nulla infastiditi da noi e altri turisti lì accanto. Devono averci fatto il callo a questi umani e alle loro macchinette fotografiche!

Siamo soddisfatti dalla visita al parco, ma un po’ pentiti di non aver avuto tempo di goderci appieno il parco. Se anche il Mariposa Grove fosse stato aperto non avremmo avuto modo di visitarlo, ragion per cui ci sentiamo di consigliare il pernottamento in zona, seppur costoso. A noi invece, dopo 4 ore, aspetta San Francisco!

Giorno 12-13 – 31 Agosto 01 Settembre San Francisco

Abbiamo prenotato al Geary Parkway Motel, fuori dal centro ma raggiungibile in 10/15 minuti dalla linea 38 che svolge servizio 24 su 24, ed offre il parcheggio gratuito, un vero lusso. Il modo migliore per visitare la città sono i mezzi pubblici, quindi consigliamo il MUNI, ovvero un pass giornaliero oppure per 3 o più giorni che consente l’utilizzo senza limiti dei bus, metro e Cable Car, il classico tram della città immortalato da numerosi film e serie tv. Una singola corsa su questo costa 7 dollari, il Muni giornaliero 17, quindi conviene.

Preso il 38 arriviamo in Powel Street, capolinea del Cable Car. Ci mettiamo diligentemente in fila e in quei 5 minuti di attesa ci godiamo lo spettacolo del cambio di direzione, tutto svolto manualmente da tre operatori. Superiamo Union Square, facciamo la prima salita e poi scendiamo per visitare la Grace Cathedral, di vago stile gotico, ma costruita ai primi del 1900. Riscendiamo verso Union Square, convenzionalmente considerata il centro della città. Ai suoi quattro angoli vi sono delle statue a forma di cuore che cambiano costantemente tema. Purtroppo all’angolo con Grant street, sono in corso dei lavori e il quarto cuore non è raggiungibile. Continuiamo però lungo Grant Street e raggiungiamo il Chinatown Gate, porta d’ingresso del più antico quartiere cinese degli Stati Uniti. Sembra di stare veramente in Cina, con cartelli scritti in cinese, negozi di souvenir con prodotti d’oltreoceano e ristoranti il cui piatto forte è l’involtino primavera… Stranamente all’incrocio troviamo però l’Old St. Mary Cathedral, non proprio un edificio che ti aspetteresti di visitare in mezzo a lanterne e edifici in stile cinese. Poco più avanti scendiamo verso il Financial District attraversando il Park, dove molti anziani cinesi sono intenti a giocare a domino. Ci troviamo quindi sotto la Transamerica Pyramid, edificio più alto di San Francisco. Subito dietro vi è un grazioso parchetto dove i professionisti del Financial District si godono il loro pranzo al sacco. A proposito di pranzo, la nostra guida National Geographic suggerisce un locale in Jackson Street dove provare le prelibatezze cinesi ad un prezzo congruo e lì ci rechiamo per scoprire che è stato sostituito da un altro locale ma decidiamo di provare. E’ una esperienza surreale ed interessante perché tutti i camerieri sembrano parlare solo cinese e un inglese stentato, il sistema di ordinazione si basa su un foglietto dove segnare quante piccole porzioni si vogliono dei piatti offerti, per capirci qualcosa devono portarci un menù fotografico… alla fine però siamo sazi e soddisfatti, solo speriamo di aver mangiato veramente pesce…

Rinvigoriti torniamo verso il Financial District e precisamente il 555 California Building, edificio particolare in precedenza chiamato Bank of America Center. Lungo California St vi sono anche altri edifici degni di foto. In quella via passa anche il Cable Car e non ci lasciamo sfuggire l’occasione, anche solo per percorrere poche centinaia di metri in piano fino a Drumm St.. Da qui iniziamo costeggiamo l’Embarcadero Building arrivando fino al Pier 1 e la sua torre d’orologio con sullo sfondo il Bay Bridge, il ponte che collega San Francisco al nord passando per Treasure Insland. Proseguiamo verso Levi’s Plaza, dove si trova il quartier generale della famosa azienda di jeans, fondata proprio a San Francisco da Levi Strauss. Tutta la zona è carina, gli edifici sono nuovi o ristrutturati con mattoni rossi a vista. Dalla piazza parte una scalinata che porta alla Coit Tower, da cui poter fotografare l’intera città. La salita è invero un poco impegnativa data l’altezza ma è resa più piacevole dalle piante e fiori che la circondano e sovrastano. Per arrivare in cima alla torre è possibile prendere un ascensore al costo di $8, ma dato il forte vento le aperture tra le torrette sono chiuse da finestre e solo alcune aperte. E’ quindi anche difficoltoso scattare fotografie, le migliori sono quelle verso il Financial District mentre risulta più complicato farle ad Alcatraz, Golden Gate Bridge e Fisherman’s Wharf. Scesi alla base della torre visitiamo i murales che rappresentano scene di vita quotidiana e poi prendiamo un bus fino allo Washington Square Park dominato dalla Cattedrale di San Pietro e Paolo. E’ proprio questa la denominazione, infatti ci troviamo in Little Italy e moltissimi negozi, in primis i ristoranti, hanno insegne nella nostra bella lingua. Questa è però una tappa intermedia verso la metà finale, ovvero la famosissima Lombard Street, la strada più tortuosa del mondo e adornata da ortensie e bouganville. Per evitarci la salita sfruttiamo il Muni e da Union St. prendiamo il bus 45 fino all’incrocio con Leavenworth Street e poi scendiamo per una ventina di metri ed eccoci a destinazione. Peccato che il sole, fino a quel momento nostro alleato per foto spettacolari, sta tramontando proprio in quella direzione. Rimandiamo al giorno dopo le foto “dal basso” ed iniziamo la salita districandoci tra auto (in discesa) e turisti che come noi non vogliono perdersi l’esperienza. In cima c’è proprio una fermata del Cable Car che arriva proprio in quel momento. Saltiamo su e ci facciamo tutta la strada in discesa verso Ghirardelli Square, il capolinea, appesi ai pali esterni… cavolo se viaggia quel trabiccolo! Ci facciamo quindi tutta Fisherman’s Wharf senza troppe soste, è un susseguirsi di ristoranti e negozi di souvenir poco attraenti, ed arriviamo invece al famoso e caratteristico granchio, simbolo del Pier39. Anche qui negozi e ristoranti la fanno da padrone, ma il pontile e lo stile in legno donano un’altra aurea. E poi ci sono i leoni marini! Il sole è ormai calato e qualche brontolio alla stomaco ci avvisa che è ora di provare il piatto tipico (?) del posto, il granchio preparato alla Crab House bagnato con un buon bianco della Napa Valley. Soddisfatti della giornata torniamo con i mezzi fino al nostro motel.

Nonostante ci svegliamo poco prima delle 8, rischiamo di perdere il nostro appuntamento delle 10 al Pier 33, il traghetto per Alcatraz. Dobbiamo arrivarci in auto posto che dormiremo a Monterrey e non possiamo occupare il parcheggio del motel, ma il proprietario ci da una dritta su un parcheggio vicino al Pier 39 dove per soli $18 puoi lasciare l’auto tutto il giorno. Tenuto conto che quello a lato applica la tariffa di $9 all’ora (!!!) è un affare. Casualmente, ma neanche tanto, il tragitto suggerito dal TomTom passa per Lombard Street, quindi riusciamo a fare la mitica strada con relativo video ad immortalare l’evento e poi le foto dal basso. Prima però rimaniamo un poco imbottigliati nel traffico mattutino e per questo parcheggiamo l’auto solo alle 9.45 obbligandoci a fare di corsa quasi tutto l’imbarcadero. Ma alla fine riusciamo a salire sul traghetto proprio quando stanno per chiudere le passerelle di accesso.

Alcatraz è la famosa isola trasformata in carcere nei primi anni del 1900 e chiusa nel 1963 per gli elevati costi di manutenzione. Dopo una breve occupazione dei nativi americani negli anni ’70, di cui sono visibili alcune tracce, è stata trasformata in parco nazionale (la tessera però qui non vale) e attrazione turistica. E’ possibile visitare praticamente tutto, dagli edifici agli esterni ed è inutile dire che si gode di una vista privilegiata sulla città e il Golden Gate. Come al solito, il tour è veramente fatto bene con audio guide in diverse lingue, tra cui l’italiano che spiegano e rendono bene come era la vita dei detenuti e guardie sulla Roccia. Alcuni saranno sorpresi di sapere che il direttore e le guardie, con le rispettive famiglie, vivevano sull’isola, mentre i detenuti erano per lo più ladri di bassa lega, a parte alcune “notevoli” eccezioni come Al Capone (ospite qua per evasione fiscale e poi uscito di senno dopo 4 anni). La guida spiega anche le rivolte e la famosa Fuga da Alcatraz di Frank Morris e compagni, celebre per il film di Clint Eastwood. Ci passiamo circa tre ore, poi riprendiamo il traghetto per San Francisco. Al Pier 39 mangiamo un crab burger e schrimps&fish con vista sulla baia e la Roccia, facciamo nuovamente visita ai leoni marini e poi noleggiamo due biciclette per la prossima escursione, lungomare e attraversamento del Golden Gate fino a Sausalito e rientro nuovamente in traghetto al Pier 1. Abbiamo fortuna perché oggi la solita nebbia che avvolge il Golden Gate non è presente e riusciamo a scattare numerose foto lungo il tragitto, che ad onor del vero presenta alcune salite un poco impegnative per chi non è allenato. Niente di insormontabile, intendiamoci, ma neanche una scampagnata. Sul ponte il vento è forte, ma è una esperienza unica e merita sicuramente di esser vissuta.

Quando rientriamo è quasi sera e buio, la città offrirebbe ancora moltissimo (Golden Gate Park, quartiere di Castro, la casa di Mrs. Doubtfire e quella di Party on Five) ma noi dobbiamo partire per arrivare entro le 11 a Monterrey altrimenti il motel cancella la nostra prenotazione. Riusciamo solo a passare vicino alle Painted Ladies, ma con il buio non riusciamo a godercele. Peccato, vorrà dire che abbiamo la scusa perfetta per ritornare!

Giorno 14 – 02 settembre Monterrey – Carmel + Big Sur

Con il senno di poi, vale la pena fermarsi a Monterrey solo per dormire. Nonostante sia stata la prima capitale della California, non c’è nulla di particolarmente interessante, se avete visitato Santa Monica o il Pier39 anche il molo non vi impressionerà, noi ci facciamo una ricca colazione americana e poi via subito verso Pebble Beach e la 17mile Drive. Si pagano $10 posto che l’intera piccola penisola è nei fatti una ricca zona privata, immaginate un grande campo da golf con case/ville ed immerso nella natura, con una costa ricca di Vista Point dove riuscire a vedere e stare a contatto con cormorani, gabbiani e altri uccelli di varie forme, oltre agli immancabili Cip&Ciop. Sono tutti abituati alla presenza umana e viceversa, tanto che a poche decine di metri da un gruppetto di golfisti locali vi erano cervi e cerbiatti che placidamente mangiavamo erba, senza che nessuno dei due gruppi fosse infastidito dalla presenza dell’altro. Una nota: nonostante si chiami Pebble Beach non esiste nessuna spiaggia… non fate l’errore di qualcunA…

Una bella spiaggia la troverete invece a Carmel-by-the-Sea subito dopo esser usciti da Pebble Beach. E’ l’ideale per rilassarsi un po’ a prendere il sole, l’acqua era fredda ma qualcuno che faceva il bagno c’era. Attraversiamo Carmel e le sue villette in auto, non ci fermiamo in centro, ma si nota subito che è una zona ricca e benestante, c’è un gusto più europeo, mancano le solite strutture e insegne pacchiane americane, tutto è curato.

Ma è arrivato il momento, quello che nonostante le bellezze viste fino ad ora attendevo di più. Guidare per 90 miglia lungo la Highway 1 con il Pacifico alla sinistra, le colline verdi a destra e davanti una strada tortuosa con scogliere che si gettano strapiombo nell’oceano. Benvenuti al Big Sur!

Ho sempre amato guidare in riva al mare, soprattutto vicino a scogliere, è qua è veramente il massimo. Rapito dal momento di gioia, saltiamo Point Lobos e Point Sur Lighthouse, dove avremmo visto per l’ennesima volta i leoni marini spiaggiati e un faro, e proseguiamo verso il Bixby Bridge, ponte in metallo costruito negli anni ’30, probabilmente il punto più fotografato dell’intero percorso riuscendo a riunire in un unico scenario tutta la bellezza del posto.

Proseguendo lungo la strada arriviamo allo svincolo per Pfeiffer Beach, raggiungibile tramite una strada sterrata. L’entrata è a pagamento ($10), il bagno è fortemente sconsigliato date le onde e la temperatura, ma sicuramente vale la pena di fermarsi per godere del panorama, riposarsi e passeggiare sulla sabbia fina per tutta la lunghezza della spiaggia sovrastata da due rocce proprio vicino all’ingresso.

Ripresa la strada principale proseguiamo fino alle McWay Falls, l’unica cascata che precipita direttamente in oceano. In realtà, l’acqua scende su una deliziosa spiaggetta, non raggiungibile, creando così un panorama ancor più bello. E’ possibile fotografare la cascata già dalla strada, ma decidiamo di scendere anche lungo il sentiero per alcune foto più ravvicinate e da una prospettiva leggermente migliore, consentendoci tra l’altro di vedere il panorama anche a nord. Abbiamo lasciato l’auto sul ciglio della strada, evitando il parcheggio del vicino parco nazionale a $10. La sosta non è lunga e il luogo non è vicino ad un centro abitato, difficile che polizia, o ancor peggio, il carroattrezzi abbiano il tempo di agire. Al ritorno l’auto è ancora lì e decidiamo di spostarci poco più avanti e prenderci un drink al Nephente, un bar in cima ad una scogliera con una terrazza a picco sul mare da cui godere di un panorama fantastico.

Prossima tappa San Simeon, dove dormiremo e vi arriviamo quando ormai il sole è calato e il buio circonda tutto, ma prima mi sono divertito un mondo a guidare lungo la strada con le sue serpentine… la Focus è stata impeccabile, peccato però non aver avuto una mustang decapottabile…

Giorno 14 – 03 settembre Hearst Castle + Santa Barbara

San Simeon è la sosta ideale per spezzare il viaggio verso Los Angeles lungo Highway 1 trovandosi più o meno a metà e avendo una stravagante attrazione nelle vicinanze: un castello in stile moresco in cima ad una collina, l’Hearst Castle. E’ stato costruito negli anni ‘30 da Julia Morgan su committenza di Mr. Hearst, il fondatore dell’omonimo gruppo editoriale, su un terreno che la sua famiglia possedeva già e dove vi si recava da giovane per le vacanze estive. Volle costruire un ranch (!?), ma inspirandosi all’architettura e stili europei. L’esterno è appunto ispirato alle costruzioni dei mori nel sud della Spagna, gli interni sono un mix di stile medievale con arazzi, soffitti a cassettoni e opere d’arte comprate da chiese e privati in Europa, vi sono due piscine, una in stile romano all’aperto e un’altra coperta tutta a mosaico blu e fogli d’oro, e un cinema arredato nello stile degli anni ’30. La struttura è visitabile solo con tour guidati, non è necessaria una prenotazione, costicchia ($40) ma il tutto è ben organizzato e ci abbiamo passato circa due ore.

Poco più a nord del Hearst Castle, a Piedras Blancas vediamo invece degli elefanti marini spiaggiati, mentre riprendendo la strada verso sud ci imbattiamo in un branco di animali che ti aspetteresti di vedere allo stato brado solo in Africa…le zebre! L’eccentrico Mr. Hearst si era fatto costruire anche il più grande zoo privato del mondo in queste terre. Alla sua morte, gli animali sono stati donati al San Diego Zoo, ma alcuni sono stati lasciati liberi, tra cui le zebre.

La nostra prossima tappa è Santa Barbara dove arriviamo poco dopo le 16. E’ la prima volta che arriviamo in un motel con la luce del sole! Dopo una oretta usciamo per visitare la cittadina che ha mantenuto uno stile spagnolo con bassi edifici bianchi e tetti rossi, anche qui tutto molto curato. La prima tappa è la Missione di Santa Barbara, ma scopriamo che chiude alle 17! Ci spostiamo verso il County Courthouse per la visita guidata (è gratuita) ma anche questo è chiuso. Non ci resta quindi che la passeggiata lungo State Street, il cuore pulsante di Santa Barbara. Qui si trovano due cinema d’epoca, l’Arlington Theater e il Granada Theater, entrambi con il caratteristico botteghino e l’insegna bianca con le lettere nere, oltre che numerosi ristoranti, pub e negozi. Santa Barbara potrebbe benissimo trovarsi in Europa per la sua atmosfera calma, elegante ed accogliente, senza fast-food e luci al neon tipici americani. Tutto è curato. La strada arriva fino al molo, anche questo poco attraente se comparato al Pier39 o Santa Monica e decidiamo di cenare in uno dei ristoranti lungo la via. E finalmente, dopo posti in cui la scelta era sostanzialmente limitata al burger o insalata gigante, il menù per la cena offre T-bones, rib-eyes, sirloins bagnati da buon vino locale.

Giorno 15 – 04 settembre: Santa Barbara – Malibù – Venice Beach

E’ il nostro ultimo giorno pieno e, dopo tanti chilometri, abbiamo previsto di passarlo in spiaggia per rilassarci un po’. Le opzioni sono diverse, ma alla fine abbiamo scelto Venice Beach.

Non abbiamo quindi fretta e con calma dopo colazione riusciamo a visitare la Missione fondata nel 1786 per favorire la conversione dei nativi americani della zona. La struttura non è molto grande, si visita in mezz’oretta ma è piacevole.

Ci dirigiamo quindi verso una delle località più conosciute al mondo, Malibù. La strada da Santa Barbara è interna lungo colline e tratti di pianura, piacevole guidarci, con ranch di cavalli e paesaggi che mi ricordano i Sons of Anarchy, tanto che mi aspetto che dalla prossima curva sbuchino Jax e i membri del Club.

Nonostante la fama, Malibù ci sembra ben poca cosa, caratteristico sembrano le case a palafitta sull’oceano, ma poco in confronto all’idea che uno si fa. Non ci fermiamo e dopo 10 minuti avvistiamo il molo di Santa Monica e proseguiamo per Venice Beach, così chiamata per i suoi canali dietro la spiaggia… direi che la similitudine si ferma qua. La spiaggia è fantastica, lunga kilometri e larga almeno 200 metri, ma la zona del lungomare è poco curata seppur “viva”. Visitiamo la Muscle Beach Gym, la palestra all’aperto immortalata in tanti film e telefilm, i playground di basket sono affollatissimi e le partite si susseguono, c’è un campo che è il paradiso per gli amanti degli skateboards e lungo la strada ragazzi improvvisano shows di danza, acrobazie e rap. In acqua poi i surfisti hanno le loro zone dedicate, così onde evitare incidenti con i bagnanti, il tutto coordinato a terra dai colleghi di Mitch Buchannon pronti a riprenderti se vai troppo al largo, come il sottoscritto… eh, eh, eh… sono anche fin troppo zelanti, tanto che, poco dopo che sono uscito, assistiamo proprio ad una azione di “salvataggio”, con tanto di barca della guardia costiera per riportare a riva due bagnanti che non si curavano/non sentivano i richiami del bagnino.

Soddisfatti dell’esperienza leviamo le tende e dopo esserci cambiati torniamo a Santa Monica per la nostra ultima serata in suolo americano. Ci sembra il posto ideale terminare il nostro viaggio qui, sotto il cartello che indica la conclusione della Route 66.

Abbiamo percorso 4.500 chilometri, visitato 5 parchi (Grand Canyon, Zion, Bryce, Death Valley, Yosemite), 4 stati (California, Arizona, Utah, Nevada), 3 città (Los Angeles, Las Vegas e San Francisco), 2 iconici ponti (Golden Gate, Bixby Bridge) e una grandissima e bellissima zona del mondo: il West Coast americano e i suoi parchi.

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Dreams Road: WEST COAST



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