Diario di viaggio a Cividale del Friuli
Ben presto posso andare alla scoperta della cittadina friulana grazie alle preziose spiegazioni della guida. Per esempio vengo a sapere che Cividale ha una storia interessante: fondata da Giulio Cesare nel 52 a.C. (del quale si può ammirare una statua di fronte al Duomo) con il nome di Forum Iulii (ecco da dove deriva l’odierno nome del Friuli!) diventò in seguito la capitale del primo dei 35 ducati longobardi d’Italia e più tardi fu la sede del patriarcato di Aquileia.
La guida ci rammenta che l’edificio in cui si trova lo IAT -dove mi sono iscritta per la visita guidata- venne eretto nel XVIII secolo con funzione di Monte dei Pegni, perciò si trattava del luogo dove le persone depositavano i loro averi per ottenere in cambio del denaro (purtroppo anche oggi con la crisi continua ad esserci bisogno di servizi del genere…).
La piazza prende il nome dall’edificio in stile gotico con affreschi ancora visibili che, secondo la tradizione, fu il luogo ove ebbe i natali Paolo Diacono –per chi lo ignorasse era un monaco e storico longobardo vissuto nel secolo VIII- e nella parte inferiore si intravvede un lacerto di affresco che risale alla fine del Duecento, che rappresenta la natività.
Io e la sparuta schiera di seguaci della guida veniamo a sapere che Cividale vanta sì architetture medievali e rinascimentali, tuttavia queste hanno dovuto fare i conti con innumerevoli terremoti. Il più catastrofico e recente è stato quello del 1976 che oltre ad aver provocato un migliaio di vittime ha danneggiato appunto molti degli edifici storici, che hanno dovuto essere restaurati.
Al centro della piazza sto quasi per andare a sbattere contro una fontana con statua e quindi per un pelo non pesto in maniera dissacrante il punto in cui una stele ricorda che qui fu riportata alla luce nel 1874 la Tomba di Gisulfo –primo duca longobardo di Cividale-. E’ noto che la piccola città in cui mi trovo crebbe e divenne importantissima proprio con l’arrivo di questo popolo –i longobardi- originario della Scandinavia. Prima di abbracciare la religione cristiana questi barbari erano ariani e seppellivano i defunti con il corredo funebre e tutto ciò che la persona era avezza a utilizzare durante la sua vita terrena. Per questo nel pomeriggio, presso il museo archeologico nazionale, potrò vedere alcuni degli utensili, oggetti di arte orafa, o addirittura la bardatura dei cavalli che usavano. A Cividale i longobardi divennero stanziali. Tuttavia il loro momento politico nella città ducale finì nella seconda metà del 700 d.C. per l’arrivo dei Franchi; il toponimo passò così da Forum Iulii a Civitas Austriae, ovvero Civiltà dell’Oriente (per i Franchi era un avamposto parecchio decentrato). L’altro appuntamento storico chiave per leggere i monumenti della cittadina è quello della Serenissima. Difatti a Cividale ci sono stati quattro secoli di dominazione veneziana (dal 1420 fino al 1797) cui pose fine il trattato di Campoformio. L’ultimo gran momento storico fu quello relativo al dominio austriaco. Poi l’intera regione diventò parte del regno d’Italia, eccetto la zona di Trieste.
Dopo queste spiegazioni ci addentriamo in via del Monastero Maggiore, una stradina lastricata talmente pittoresca che abbiamo subito l’impressione di essere sbalzati indietro nel tempo di parecchi secoli: è qui, infatti, che ammiriamo la Casa Medioevale, le cui fondamenta appartengono a quello che era il perimetro di una torre di guardia della Domus Duci ovvero la sede del duca longobardo, intesa come residenza in opposizione alla gastaldia, che era il centro amministrativo, una sorta di dogana dei giorni nostri, dove si controllava quello che entrava e usciva dal ducato. Ha l’aspetto di una casa tipica del sud della Germania: sotto il materiale da costruzione è la pietra mentre sopra la struttura è sorretta da travi in legno.
Dopo la sosta alla casa medioevale ci dirigiamo verso le sponde del fiume Natisone, dove si trova quello che fu l’oratorio delle monache orsoline di Santa Maria in Valle, cioè il famoso Tempietto Longobardo, il massimo esempio architettonico di epoca longobarda a Cividale, un luogo di culto assolutamente unico nel suo genere. Anticamente il tempietto fungeva da cappella palatina per la gastaldaga (ossia il luogo dove viveva il gastaldo, che si occupava della gestione amministrativa del ducato ed era il rappresentante del potere centrale del re longobardo in ambito locale). Per prima cosa accediamo all’elegante chiostro del complesso monastico di S. Maria in Valle quindi ci ritroviamo in un piccolo ambiente a pianta quadrata e volta a botte. In basso spicca un coro ligneo dove le monache si sedevano, in alto la controfacciata interna del tempietto ornata di stucchi adesso bianchi, ma un tempo dipinti. Quello che colpisce di più sono proprio le figure femminili di stucco –tre per lato- e si distingue subito che le due alle estremità destra e sinistra hanno una postura diversa da quelle che si trovano al centro. Le quattro –due per lato- più vicine alle pareti sfoggiano un’acconciatura intrecciata tipica delle donne longobarde, portano una corona in testa e reggono in mano la croce (testimonianza della fede), e una corona, intesa come dono che serviva per ottenere la grazia divina. Ed era esattamente dalla finestra centrale incorniciata da semicolonne con capitelli e archivolto che penetravano i raggi del sole che alludevano simbolicamente alla luce di Dio Onnipotente, segno della grazia divina. E’ molto particolare anche la decorazione dell’arcone con un tralcio di vite traforato che ricorda sia l’arte bizantina sia quella mediorientale, nella cui lunetta si scorge un affresco con al centro Cristo e ai lati i due arcangeli Michele e Gabriele. Alcuni altri affreschi sono trecenteschi e non risalgono all’epoca longobarda.
Per uscire usiamo quello che fino a non molto tempo fa era l’ingresso al complesso, che dal punto di vista paesaggistico è assolutamente affascinante perché si affaccia proprio dove il Natisone scorre in profondità scavando il suo letto nella roccia.
Una breve passeggiata ci porta prima davanti al Palazzo dei Provveditori Veneti, sede del museo archeologico, la cui facciata si attribuisce a discepoli del Palladio e quindi al Duomo, dove entriamo. L’interno ha un aspetto settecentesco ed è abbastanza buio, perché la pietra usata è un materiale poroso, piuttosto scuro proveniente da Torreano di Cividale. La cosa più preziosa che si può vedere nel Duomo è la pala conservata sull’altare maggiore del XII secolo.
Quasi alla fine del “tour” scendiamo le scale che ci portano all’ipogeo celtico, un complesso di cavità artificiali, forse usate come cimitero in epoca celtica, o chissà come culto di Mitra in epoca romana, oppure come luogo di culto religioso dagli ebrei, o magari come necropoli romana. E’ plausibile che si tratti di un luogo di sepoltura perché vediamo sulla nuda parete di roccia tre mascheroni che potrebbero tradire questa origine. Fatto un piccolo pezzo di strada partendo dall’oscurità, l’umidità e il fresco dell’ipogeo celtico eccoci arrivati al ponte del Diavolo, situato a cavallo della gola del Natisone. Il ponte risale al XV secolo ma la versione attuale è stata eretta al termine del primo conflitto bellico. Secondo una leggenda si voleva accelerare la costruzione di questo ponte, perciò la cittadinanza fece ricorso all’aiuto di Belzebù, che contribuì a gettare la pietra che regge l’arcata centrale e a completare l’opera in una sola notte. Satana, però, si sa non fa niente per niente. Il prezzo da pagare era l’anima del primo cividalese che avesse attraversato il ponte, ma siccome gli abitanti di Cividale ne sapevano una più del diavolo fecero passare per primo un cane o un gatto, burlandosi così di sua maestà degli inferi e sacrificando solo l’anima di un animale. Finita la visita guidata, prima che chiuda – alle due ovviamente- mi affretto verso il museo archeologico che contiene il maggior numero di testimonianze di epoca longobarda esistenti, dove posso vedere il corredo della tomba di Gisulfo, tra cui una bellissima croce, esempio di arte orafa eccelsa.
All’ultimo momento in una pasticceria compro come souvenir da portare a casa degli strucchi, ossia dei ravioli dolci, e una gubana, una sorta di ciambellone locale. Mi congedo dalla città fotografando il suo stemma: due strisce rosse e una striscia bianca al centro.