California, Nevada, Arizona e Utah: un viaggio alla conquista del Far West
PRIMA DI PARTIRE
Quando si ha in mente un viaggio di questo calibro l’organizzazione deve essere allo stesso tempo precisa ed elastica. Bisogna calcolare i tempi restando abbondanti, ma allo stesso tempo cercare di darsi degli obiettivi e delle scadenze. Da casa abbiamo prenotato ovviamente il volo, abbiamo stipulato un’ottima assicurazione (per i viaggi negli USA è importante avere la copertura sanitaria, anche per le piccole cose! Con la nostra eravamo coperti sia a livello sanitario che per quanto riguarda l’automobile) e abbiamo prenotato un’automobile, una Jeep Grand Cherokee (un buon SUV, comodo per 4 persone e relativi bagagli…anche per poterci trascorrere molto tempo!). Cercando su internet poi abbiamo prenotato vari Motel, Bed & Breakfast e Hotel dove abbiamo alloggiato nel nostro soggiorno.
Per quanto riguarda l’itinerario è importante prenotare alcune visite, tra queste l’isola di Alcatraz a San Francisco.
VOLO
Il nostro itinerario è stato Venezia – Madrid / Madrid – Los Angeles all’andata, mentre al ritorno San Francisco – Dallas / Dallas – Londra Heathrow / Londra Heathrow – Venezia. Uno scalo in più al ritorno, ma a suo modo più piacevole delle 13 ore filate dell’andata.
VENERDÌ 31 LUGLIO 2015
Siamo pronti alla partenza, il viaggio che aspettavamo da molto tempo è finalmente arrivato! Levataccia alle 4 del mattino, pronti e via! Prendiamo l’aereo all’aeroporto Marco Polo di Venezia, facciamo scalo a Madrid e poi dritti fino a LOS ANGELES. Abbiamo viaggiato con Iberia, compagnia tra le più economiche (e si vede). Non male il cibo e il servizio, ma gli spazi e l’intrattenimento a bordo sono stati terribili! 13 ore da non augurare a nessuno! Una volta atterrati a LAX superiamo indenni tutti i controlli e otteniamo l’ambito timbro sul Passaporto. Siamo finalmente a LA!
Recuperati i bagagli ci dirigiamo all’esterno e attendiamo per buoni 40 minuti lo shuttle che ci porterà al Motel Super 8 LAX. In questo motel passiamo solo la prima notte, distrutti dal viaggio e storditi dal jet lag. Nonostante questo non riusciamo a dormire particolarmente bene perché il motel si trova alla testa della pista di atterraggio (cosa ovviamente non menzionata nel sito) e fino a notte inoltrata sentiamo un aereo ogni minuto mezzo atterrare, tutto ciò circa 50 metri sopra la nostra testa.
SABATO 1 LUGLIO 2015
Oggi prima giornata vera e propria a LOS ANGELES! Andiamo a ritirare l’auto da Alamo, che si trova a qualche isolato dal nostro motel (se arrivate a LAX e ritirate subito l’auto, i noleggiatori offrono degli shuttle gratuiti che vi porteranno dall’aeroporto alla sede con il parcheggio). Caricate le valigie siamo pronti a partire. La prima tappa della giornata è Venice Beach. Alla prima impressione la zona può sembrare un po’ trasandata, ma in realtà è proprio questo tocco di arte di strada che rende Venice Beach così particolare. La spiaggia è ottima, poco affollata al mattino (in effetti l’acqua è gelata e tira un vento a dir poco cool). Volevamo fare un’oretta di surf, ma il freddo ce lo ha impedito. Freddo che ovviamente ci ha poi abbandonati lasciando posto ad un ustionante sole d’agosto. Proseguiamo la passeggiata lungo la Ocean Front Walk, buttando un occhio ai vari negozi di magliette, occhiali da sole e cianfrusaglie. Per non parlare dei Green Doctors, i “dottori” autorizzati alla vendita di Marijuana a fini medici che si piazzano in mezzo al marciapiede a farsi pubblicità. Sempre a Venice Beach potete trovare uno skate park sempre pieno di skaters impegnati in mille evoluzioni e Muscle Beach, una palestra all’aperto dove invece incontrerete di sicuro dei corpulenti omoni che cercano di diventare ancora più corpulenti.
Ci spostiamo poi a Santa Monica, per vedere una spiaggia diversa. Un ambiente più di classe, meno artistico e più turistico. Passeggiamo ovviamente sul Pier, dove finisce la Route 66. Sul molo c’è un luna park e un’ottima vista sull’oceano e su buona parte della città. È uno spazio anche concesso agli artisti di strada, quindi vi capiterà di incontrare di tutto: noi abbiamo visto, in sequenza, una ragazza con una voce potentissima, brava per davvero; un ometto che cercava di suonare dei barattoli a mo’ di batteria e un predicatore che cercava di convertire tutti quelli che passavano. Insomma, una compagnia eterogenea!
A pranzo un panino al volo e ci spostiamo verso Beverly Hills. Rodeo Drive ci affascina, ci immaginiamo chi fa abitualmente shopping in questa via e ci scatta una punta di invidia. Gli stilisti che hanno boutiques qui sono per la maggior parte italiani e francesi (quindi con prezzi migliori a casa nostra…forse…non siamo così esperti!). La strada dello shopping di LA si mostra per quello che è: ricca, ambiziosa e sfavillante. Aggettivi che si addicono anche ai suoi frequentatori abituali.
Ci spostiamo poi sulle colline di Los Angeles, dirigendoci verso il Griffith Observatory. Il sabato il parco è affollatissimo. Troviamo un parcheggio per puro caso, quando ormai ci stavamo rassegnando a dover andare via. La vista panoramica sulla città è ottima, anche se LA è perennemente coperta da una cappa giallognola di smog. Facciamo le foto di rito e, scottati dal sole, ci dirigiamo verso lo Sweet Dreams Bed & Breakfast, di Sherman Oaks, dove staremo per due notti. Soggiornare qui è stato come entrare in una famiglia americana. I proprietari sono una coppia di insegnanti in pensione che vive in una casa molto grande, progettata per i loro 4 figli che ora però vivono lontani. Ecco che quindi hanno deciso di convertirsi in B&B con ottimi risultati. Accoglienza familiare, si fa amicizia facilmente (anche con gli altri ospiti), camere pulite e comode. Insomma, consigliato!
DOMENICA 2 AGOSTO 2015
Seconda giornata piena dedicata a Los Angeles. Oggi ci dedichiamo a ciò che rende LA famosa nel mondo, cioè il cinema! Da casa non abbiamo prenotato nessun tour dentro agli studios, che sono un po’ costruiti per attirare turisti (ovviamente). Tra l’altro, non tutti gli studios offrono l’accesso e un tour guidato, quindi la scelta si riduce ulteriormente. Se poi pensiamo che gli Universal Studios sono un mega parco divertimenti in stile Gardaland che costa oltre 100$ al giorno…passa anche la voglia! Il tour più classico è quello all’interno dei Paramount Studios e decidiamo di fare quello. Andiamo a prenotarlo al mattino, riservandolo per il primo pomeriggio. Mentre attendiamo il nostro orario di visita ci spostiamo di qualche km e passeggiamo lungo la celeberrima Walk of Fame, dove vediamo le stelle di moltissimi artisti. Facciamo una capatina anche al Dolby Theater (più un centro commerciale che un teatro!), il setting della consegna degli Academy Awards. Nell’atrio del teatro ci sono dei cartelli che indicano il vincitore dell’Oscar al miglior film di ogni anno. Hollywood si è presa in anticipo ed ha preparato cartelli (rigorosamente vuoti) fino al 2060. Proseguiamo verso il Chinese Theater con le sue placche in cemento arricchite di stampi di mani e piedi degli artisti.
È l’ora del nostro tour ai Paramount Studios. Il tour dura due ore e si svolge a gruppi di 6-8 persone su un golf cart. La nostra guida è un simpaticissimo ragazzo texano, Ryan, che ci intrattiene con battute e aneddoti divertenti sui vari luoghi degli studios. C’è perfino la panchina originale con cui hanno girato Forrest Gump, ovviamente segnalata. Pensate che Tom Hanks un giorno, di passaggio, si è fatto prendere dalla nostalgia e, recuperato il classico completo bianco e una scatola di cioccolatini (forse anche più di una), ha passato l’intera giornata interpretando Forrest seduto sulla panchina e distribuendo cioccolata a chiunque passasse lì accanto.
Usciti dai Paramount Studios cerchiamo di assaporare ancora lo spirito del cinema. Proviamo ad entrare alla Fox, ma i custodi ci dicono gentilmente che non è un luogo aperto al pubblico. Decidiamo di spostarci. Grazie alla freeway muoversi a LA è abbastanza facile. Il traffico è intenso, ma per fortuna le strade sono tante e grandi, quindi scendiamo a Downtown. Una meta obbligata è la Walt Disney Concert Hall, progettata da Frank Gehry. L’edificio è imponente e lascia il segno, anche su chi capisce poco o nulla di arte.
Ci spostiamo poi agli Universal Studios, più per vedere l’ambiente che per entrare nel parco (anche perché ormai è tardo pomeriggio). Attigua al parco c’è una zona commerciale, il Citywalk, ricca di negozi e ristoranti e fast food, dove passare del tempo in compagnia. Il parcheggio è lo stesso del parco a tema, quindi costa 10$ a prescindere. Ci facciamo rapire dall’”americanità” della situazione. Tutto è esagerato, la musica altissima, le luci coloratissime e il cibo untissimo. A fine giornata il letto è quasi un miraggio!
LUNEDÌ 3 AGOSTO 2015
Oggi lasciamo Los Angeles per intraprendere la via dei grandi parchi nazionali. Usciamo attraversando la città e le sue Freeways a 12 corsie. La giornata è dedicata al viaggio in auto, il più lungo del nostro programma: dobbiamo raggiungere KINGMAN, ARIZONA.
Appena fuori Los Angeles la natura selvaggia e desertica la fa da padrone. Gli spazi sono immensi e senza confini, tutto è secco, fa caldissimo e diciamo che riusciamo a godere del panorama dalla nostra comodissima auto. Ci fermiamo lungo il cammino: prima a Barstow al Tanger Outlet (dietro consiglio di un altro diario di viaggio), dove però non troviamo grandi affari. Nei dintorni dell’outlet c’è il deserto, nel vero senso della parola. Pianura sabbiosa e rocciosa, cactus e qualche monte che spunta. E nel bel mezzo un’oasi commerciale dove immancabili arrivano le corrierate di asiatici che fanno foto a qualsiasi cosa e svuotano i negozi. Tutto il mondo è paese!
Torniamo in macchina e imbocchiamo l’Interstate 40, autostrada che copre il vecchio tracciato della Route 66. Il paesaggio intorno a noi cambia: da asciutto diventa secco, fino a diventare secchissimo. Sembra che in questi luoghi la vita abbia scelto di non arrivare, ma invece incontriamo perfino dei villaggetti di case viaggianti, roulottes e baracche abitate da persone vive (veramente), in grado di affrontare il deserto e i suoi 45°C costanti. Restiamo senza parole, per l’ennesima volta. Proseguendo per la strada attraversiamo il confine tra California e Nevada, dove proviamo l’ebbrezza di attraversare il Colorado. Le cittadine cresciute lungo le sue sponde presentano una profonda differenza con il resto della zona. Per chilometri la terra è rossa, mentre nelle vicinanze del fiume crescono rigogliose erba e piante verdi. Sembra impossibile conciliare due ambienti tanto diversi, eppure Madre Natura ci riesce.
Dopo 320 miglia circa di viaggio arriviamo finalmente a Kingman, in Arizona. In questo paesino tutto parla della Route 66 e tutto vive grazie alla Mother Road. È una cittadina piena di Motel, Lodge e Hotel, ristoranti e BBQs che fanno riferimento alla strada più famosa d’America. E come biasimarli? Il clima che ci accoglie è pazzesco, ci sembra di essere piombati in Easy Rider. Ceniamo a Dambar & Steak House, una steak house a tema western (ovviamente). Bistecche ottime, staff simpatico e ambiente molto cinematografico.
Dormiamo al Motel 6 Kingman West: niente di eccezionale, un classico motel senza troppe pretese. Ce lo facciamo andare benissimo grazie all’ottimo prezzo delle camere (veramente molto molto economico!).
MARTEDÌ 4 AGOSTO 2015
Il motel dove abbiamo passato un’ottima notte di riposo non offre la colazione, così siamo quasi “costretti” a provare un altro locale tipico del paese e della Route 66. Andiamo da Mr D’z, un fast food – ristorante – bar – café con ambientazione anni ’50. Pavimento a scacchi bianchi e neri a terra, targhe appese ai muri, divanetti imbottiti rosa e verde acqua, juke box che suona e menu stampati su vinili (musicali, s’intende). Insomma, il locale giusto nel luogo giusto! Prendiamo pancakes e french toasts, ma le porzioni sono talmente abbondanti che siamo costretti a chiedere delle scatole per portarci via gli avanzi.
È ora di mettersi in marcia: oggi proseguiamo lungo il tratto della Route 66 che collega Kingman a WILLIAMS, passando per Peach Springs e Seligman. Ci fermiamo lungo il tragitto per scattare qualche foto perché il paesaggio ancora una volta ci stupisce. Non siamo abituati (e non riusciremo mai ad abituare il nostro occhio) a questi spazi così ampi, così aperti e così avvolgenti. È impossibile non restare a bocca aperta di fronte a tutto ciò.
La strada costeggia la ferrovia e facciamo anche amicizia a distanza con un capotreno (di un treno merci con circa 100 vagoni…noi pendolari abituati ai mini treni di Trenitalia della tratta Belluno – Padova restiamo sconvolti per l’ennesima volta): lo salutiamo con le mani dalla macchina e lui in risposta suona più volte la sua sirena. Un’amicizia lampo!
Ci fermiamo a fare rifornimento di acqua, benzina e cibo in un negozio gestito da indiani Hualapai. Siamo nella loro riserva e tutto è mandato avanti da questa tribù che vive nel mezzo del nulla.
La nostra meta è VALLE, un paesino piccolissimo a metà strada tra Williams e il GRAND CANYON. A Valle ci fermiamo al Bed & Breakfast che ci ospiterà per la notte, il Dumplin Patch. Depositiamo velocemente le valigie e ci dirigiamo verso l’ingresso del Grand Canyon National Park South Rim. I parchi nazionali prevedono il pagamento di un biglietto per l’accesso dei veicoli e delle persone. È possibile comprare la tessera annuale (costo: 80 $) a nome di un componente del gruppo e che vale per un veicolo. Volevamo acquistarla già da casa, ma i costi di spedizione erano spropositati così ci avevamo rinunciato. In effetti non è necessario: al primo ingresso al Grand Canyon (o in qualsiasi altro parco) basta richiederla al ranger all’ingresso che la registra al momento associandola ad un documento di identità. Fatto l’Annual Pass entriamo nel parco nazionale, pieni di adrenalina al pensiero di cosa avremmo incontrato di lì a breve. Ormai sono le 3 del pomeriggio, ma riusciamo comunque a trovare parcheggio e ad avviarci a piedi verso Mather Point. Il primo impatto con il Canyon è a dir poco sconvolgente (so di ripetermi, ma tutto ci è sembrato talmente assurdo che ci siamo sconvolti spesso). L’immensità di questo luogo non sono descrivibili: gli spazi sembrano irreali e l’uomo di fronte alla natura si sente una nullità. È un luogo da vedere almeno una volta nella vita: pensare che acqua, aria e terra possano aver creato uno spettacolo del genere in un tempo che per noi è inimmaginabile ci fa sentire minuscoli.
Ovviamente la visita al Grand Canyon è perfettamente organizzata: ci ha stupito il fatto che tutto sia accessibile al 100% anche a disabili in carrozzina. Il sentiero principale che costeggia il South Rim è asfaltato, in modo che anche chi non ha la possibilità di camminare abbia la possibilità di vedere questo spettacolo. Ovviamente accanto a questo ci sono anche tutti i sentieri più selvaggi che scendono anche nel Canyon (sconsigliatissimo ad agosto, visto le caldissime temperature) e che permettono viste migliori rispetto alla strada. I vari punti panoramici, inoltre, sono collegati tra loro da bus navetta gratuiti che corrono lungo 4 linee. La linea viola collega TUSAYAN (cittadina al limite del Parco Nazionale, a sud) con il Grand Canyon Village; la linea arancione collega Yavapai Point, Mather Point e Yaki Point; la linea azzurra che si muove all’interno del Village, collegando hotel, parcheggi e campeggi; infine la linea rossa, la più lunga e panoramica che collega Maricopa Point, Powell Point, Hopi Point, Mohave Point, Pima Point e Hermits Rest. Ad ogni fermata c’è la piantina con il tracciato della navetta che passa di lì con una frequenza di circa 10 minuti. Riusciamo a prendere la linea arancione ed arrivare a Yaki Point (ad est del Village). Ammiriamo il panorama e restiamo sbalorditi per l’ennesima volta. Poi torniamo verso il Village, lo attraversiamo con la linea azzurra e cambiamo a Hermits Rest Route Transfer, fermata che permette il cambio per la linea rossa. Scendiamo e ci mettiamo in coda: aspettiamo mezz’ora per salire nella navetta, che ci porterà a Pima Point da cui osserveremo il tramonto. Nella navetta facciamo amicizia con una coppia di nonni francesi che sta facendo un viaggio on the road con i nipotini franco – americani. Riportiamo il sorriso ad un bambino molto stanco con un broncio che arrivava fino in Francia regalandogli dei bonbons italiens. A Pima Point lo spettacolo è notevole: la mezz’ora di attesa e la mezz’ora di autobus valgono la visione che si apre ai nostri occhi. Immenso e irreale, con tutti i colori dell’arcobaleno. Roccia rossa, piante verdi, cielo blu. Il Sole sta scendendo e illumina l’ambiente con mille colori diversi. Vediamo anche il placido Colorado che scorre sotto di noi, tranquillo nel letto che si è scavato nel corso dei millenni. Sembra piccolo anche lui di fronte a tutto il resto. E invece è semplicemente un chilometro sotto di noi, enorme e tutt’altro che tranquillo.
Dopo il tramonto torniamo indietro, verso il Village e la nostra auto. Ormai sono le 8.30 e buona parte dei ristoranti sono già chiusi (attenzione agli orari! Le cene statunitensi hanno tutt’altro ritmo rispetto a quelle italiane!). L’unico locale aperto è il Pizza Hut di Tusayan (ci arriviamo che ormai sono le 9) e dopo aver mangiato una costosissima pizza terribile torniamo a Valle. Ci concediamo una sosta per vedere le stelle: l’assenza di inquinamento (luminoso e dell’aria) ci consente uno spettacolo senza paragoni. Vedere la Via Lattea che attraversa il cielo da un orizzonte all’altro è – per l’ennesima volta – una visione unica. Nonostante l’enorme stanchezza che ci fa desiderare ardentemente il letto e il freddo che ci sta congelando (ebbene sì, la notte fa davvero freddo!) restiamo per un po’ parcheggiati in una stradina di campagna a riempirci gli occhi di questo magnifico panorama.
MERCOLEDÌ 5 AGOSTO 2015
Passiamo una notte di riposo assoluto nel Dumplin Patch B&B, un luogo curioso, kitsch e assurdo. È a gestione familiare e ha veramente una dimensione casalinga. I letti sono comodi e dopo una giornata come quella che abbiamo passato sono stati veramente la manna dal cielo. A colazione ogni camera ha il suo posto assegnato, segnalato dalla bandiera della nazione di provenienza. Siamo in tavoli misti, in modo da essere quasi “costretti” a scambiare due chiacchiere. Purtroppo i nostri compagni di tavolo sono arrivati mentre noi stavamo andando via, quindi niente chiacchiere! Ma non importa, ci siamo decisamente gustati una colazione molto ricca, gustosa e fresca. Ottima per iniziare bene la giornata. Carichiamo i bagagli e via, pronti a ripartire verso il GRAND CANYON.
Questa volta non ci dirigiamo verso il Grand Canyon Village, ma svoltiamo verso Est nella DESERT VIEW DRIVE. La meta finale della giornata è Page, ma lungo il percorso ci fermeremo in vari punti panoramici sul Grand Canyon.
Grazie al Pass acquistato ieri entriamo senza problemi e ci avviamo verso Grandview Point, Moran Point, Lipan Point e infine Desert View. Da ogni punto, da ogni angolazione il Grand Canyon si presenta maestoso e immenso, ma è a Desert View che si raggiunge il climax: la vista è indimenticabile, da est si riesce a vedere una porzione abbastanza grande (comunque maggiore rispetto agli altri punti) delle 270 miglia di lunghezza del Canyon. Si vede perfettamente il Colorado scorrere nel mezzo e si ammira il North Rim, che sembra vicinissimo e invece è a 20 km di distanza. Anche a Desert View c’è un centro visitatori dotato di piantine, bagni e negozi. Anche qui facciamo incetta d’acqua, la nostra migliore amica in queste giornate caldissime. Cerchiamo di goderci il più possibile questa meraviglia della natura, ma dopo un po’ la strada ci chiama di nuovo e siamo costretti a ripartire. Varcate le porte ad est del parco nazionale salutiamo ufficialmente il Grand Canyon, lasciandoci una porzione di cuore e sperando di poterci tornare per approfondire la visita in un futuro prossimo.
Proseguiamo lungo la strada 64 verso PAGE. Scendiamo e saliamo di quota, incontriamo lungo la strada villaggi Navajo, la terra diventa più rossa. Pian piano ci avviciniamo al Lake Powell e a Page, ma l’unica civiltà che vediamo sono i pali dei cavi dell’alta tensione che portano l’energia elettrica fuori dalla città. Arriviamo finalmente ai confini di Page verso l’ora di pranzo. Riusciamo a trovare un’insalatona (molto ambita dai nostri stomaci), per poi tornare sui nostri passi. Dobbiamo uscire di circa 5 km da Page per fare una capatina all’Horseshoe Bend, un’ansa panoramica e scenografica del Colorado. Parcheggiamo l’auto e ci avviamo a piedi. C’è circa una mezz’oretta di cammino in un sentiero sabbioso in salita. Non un percorso difficile, ma siamo messi in enorme difficoltà dal caldo che ci attanaglia. Ogni tanto poi si alza una folata di vento che ci getta sabbia negli occhi, il tutto a rendere più selvaggio il luogo. Qui infatti l’uomo non ha messo il suo zampino. Tutto è rimasto al naturale e ci si sente ancora più piccoli di fronte alla natura.
Dopo il sentiero si arriva di fronte ad uno strapiombo verticale di circa 100 metri. Generalmente mi capita di soffrire di vertigini, mi gira la testa e sono costretta ad allontanarmi. Questa volta però, sarà che lo spettacolo è unico, sarà che un’altezza del genere creata da Madre Natura mi dà sicurezza, non ho minimamente paura e mi avvicino allo strapiombo. Se il Grand Canyon ci aveva lasciato senza parole, l’Horseshoe Bend ci lascia senza fiato. È molto soggettiva la sensazione che si prova. Io, personalmente, ho apprezzato di più questo lembo di Colorado curvato che si è scavato il suo corridoio stretto in mezzo alla roccia. L’immagine di questo luogo mi è rimasta impressa a caratteri di fuoco nella memoria, forse proprio perché ancora selvaggia, ancora Wild America e ancora senza alcun confort.
È stato un crescendo di emozioni, questo Grand Canyon e abbiamo chiuso in bellezza. Dopo esserci arrampicati ovunque, aver fatto amicizia con un branco di motociclisti di Fano ed aver superato indenni qualche tempesta di sabbia torniamo in auto per raggiungere il nostro motel, dove troveremo un appartamento ad attenderci. Soggiorniamo al Debbie’s Hide A Way, non trovandoci troppo a nostro agio. I prezzi a Page sono esorbitanti, forse perché non ci sono alternative nelle vicinanze. E la qualità offerta non è delle migliori. Decisamente sconsigliato questo motel (vecchio e sporco), poi sugli altri non possiamo proferire parola.
Ceniamo in un BBQ all’aperto in stile texano, Big John’s Texas BBQ. Si mangia su tavoli lunghissimi, con le panche tipo una sagra paesana. Il clima è familiare e anche qui si fa amicizia facilmente. La cena semplice, gustosa e relativamente economica è accompagnata da musica country suonata dal vivo. Una serata in allegria, quasi poetica!
GIOVEDÌ 6 AGOSTO 2015
Visto che alloggiamo in un appartamentino ci concediamo una colazione all’alba (abbiamo fatto shopping in un supermercato di Page, comprando da bere in taniche da un gallone e prendendo anche una pentola nuova visto che non siamo in grado di affrontare quelle messe a disposizione dal motel) e partiamo prestissimo verso la MONUMENT VALLEY. Abbiamo 250 km da fare, ma la strada scorre tranquillamente. Alle 9.15 siamo al centro visitatori, dopo aver pagato 20 $ per l’ingresso (questo parco, essendo gestito dagli Indiani Navajo, non è compreso nell’Annual Pass). Già sulla strada ci eravamo accorti delle formazioni rocciose tipiche della zona, ma ancora una volta restiamo stupiti. Effettivamente la Monument Valley è una zona talmente fotografata e talmente rappresentata che sapevamo benissimo cosa avremmo trovato; ma il fatto di vedere piante ed erba verde sul terreno rosso proprio non ce l’aspettavamo! Immaginavamo un territorio marziano, tutto rosso, e invece ancora una volta Madre Natura ci ha fatto un bello scherzo.
La vista che si ha dalla terrazza panoramica del complesso del Centro Visitatori e Hotel già vale le due ore di macchina. Facciamo qualche foto da lì, da cui si ammirano perfettamente i tre famosi Butte, il West Mitten Butte, il Merrick Butte e l’East Mitten Butte. Poi dobbiamo decidere se percorrere il tracciato sterrato nella nostra auto o procedere accompagnati dagli Indiani (al costo di 75 $ a persona). Ci accorgiamo che i tour accompagnati sono fatti con dei pick – up aperti, sotto il sole e in mezzo alla sabbia. Visto che il percorso è quasi interamente accessibile ai veicoli privati decidiamo di procedere con la nostra Jeep lungo il loop di 17 miglia che ci permette di vedere da vicino i Buttes e le Mesas.
Gli scorci che abbiamo sono tantissimi e indescrivibili e anche qui ogni due minuti la scena cambia. Ogni angolo dona emozioni e ci fa sentire minuscoli. A volte però essere troppo vicini alla roccia fa scomparire la magia del panorama, quindi forse una visione complessiva e da lontano regala più emozioni. La strada è sterrata, ma la nostra Jeep non teme nulla. Saltiamo un po’, ma ci divertiamo parecchio. Ci fermiamo al John Ford’s Point Overlook, una roccia rialzata che spunta e che ha il vuoto sotto di sé. Qui sarebbe possibile fare la foto a cavallo, in stile John Wayne pagando 5 $, ma insieme al cavallo non c’è nessuno. Pazienza, rinunciamo a questo sfizio da turisti.
Certo, nella nostra visita alla Monument Valley non abbiamo avuto una guida Navajo che ci ha raccontato delle storie o che ci ha fatto vedere scorci inaccessibili ai veicoli privati, ma comunque la nostra visita è quanto basta. Terminato il giro ci spostiamo a Kayenta per un pranzo al volo e per tornare poi a Page. Sono ormai le 5.30 e decidiamo di andare a vedere la Glen Canyon Dam, la diga sul Colorado che forma il Lake Powell. Le altezze sono spaventose, in più il ponte che attraversiamo trema al passaggio dei veicoli più pesanti. Solo i più coraggiosi riescono ad affrontarlo.
CI spostiamo poi alla marina del LAKE POWELL, a Wahweap, dove ci informiamo per una gita in barca sul lago per il giorno dopo. Anche questa zona è a pagamento, in quanto National Recreation Area: anche qui entriamo mostrando al ranger il nostro Annual Pass.
Torniamo in motel dove dopo un passaggio nella laundry ceniamo con un’improbabile pasta in bianco (pare impossibile, ma la Barilla fa schifo negli USA!) e con un’insalata a caso presa da chi di solito non fa la spesa. È l’insalata Kale, stando a Google la più amata dai newyorkesi, ma che ha noi sembra plastica con un retrogusto di cavolo.
VENERDÌ 7 AGOSTO 2015
Questa mattina siamo svegliati da un fragoroso tuono. Ebbene sì, siamo riusciti a beccarci la pioggia in Arizona! Oggi avevamo in programma l’ANTELOPE CANYON e proviamo comunque a prenotare la visita. Dopo la colazione andiamo all’ingresso della zona gestita dai Navajo. Siamo lì alle 7.15 anche se i cancelli aprono alle 8. Dobbiamo essere lì presto per prenotare la visita più tardi nel corso della giornata. Alle 8 entriamo, paghiamo la somma d’entrata (8 $ a testa, anche questa non compresa nell’Annual Pass) e prenotiamo e paghiamo la visita alle 13.00. Con la nostra ricevuta ce ne andiamo, con un buon programma per il primo pomeriggio. Ci spostiamo quindi alla marina per prenotare il giro sul lago, questa volta alle 5 del pomeriggio. Qui non serve l’acconto. Piove sempre di più. Siamo felici di aver trovato posto in entrambi i tour (comunque consiglio di prenotare l’Antelope Canyon da casa via internet se volete un orario ottimo tipo 11 – 12 – 13, rischiate di non trovare posto o comunque evitate la levataccia al mattino presto), ma siamo terribilmente intristiti dalla pioggia. La mattinata è libera, quindi uscendo dalla zona della marina e tornando in città ci fermiamo alla Glen Canyon Dam, questa volta per la visita all’interno. L’ingresso costa 5 $ e in quanto struttura federale è necessario passare sotto il metal detector e portare con sé solo una borsetta piccolissima. È una visita che vale la pena fare! Siamo stati accompagnati da un ex lavoratore, ora in pensione, un ingegnere che ha lavorato nella diga per 30 anni. Un uomo veramente appassionato e che ci ha spiegato con interesse cosa abbiamo ammirato.
Usciti dalla diga andiamo a fare un po’ di spesa. I supermercati americani sono qualcosa di assurdo: sembra impossibile che le confezioni possano avere sul serio quelle dimensioni e che si possano trovare le peggiori schifezze! Vorremmo provare di tutto, ma per fortuna riusciamo a trattenerci. Pranziamo al volo in appartamento e via verso l’Antelope Canyon, nonostante la pioggia. Entriamo nell’area grazie al biglietto pagato al mattino e abbiamo una brutta sorpresa (che però ci aspettavamo): a causa della pioggia i tour della giornata sono annullati, per non rischiare allagamenti e incidenti nel canyon. Veniamo rimborsati dell’intera somma versata e ce ne andiamo, tristi e sconsolati.
Tornati in appartamento e senza nulla da fare – Page non è una cittadina particolarmente ricca di attività al coperto – ci concediamo un paio d’ore di relax, guardando la TV e schiacciando un pisolino. Rinunciamo alla gita in barca, a causa della pioggia e del cielo grigio (non avendo versato acconti, basta non presentarsi e il nostro posto andrà venduto ad altri temerari). Più tardi ci muoviamo, decisi a cercare un caffè espresso. E invece finiamo a cercare a piedi una vista panoramica sulla diga, avventurandoci per 2 km sotto la pioggia in mezzo alle rocce quasi a strapiombo sul Colorado. Effettivamente la vista è mozzafiato e la fatica che abbiamo fatto per arrivarci non ha paragoni. Torniamo alla macchina completamente fradici, per poi trovare, a distanza di 5 km il punto panoramico con terrazza attrezzato per la discesa sulla strada (Glen Canyon Dam Overlook, Scenic View Road). Ma la nostra avventura ci ha divertito ben di più!
Ceniamo in appartamento e ci concediamo una partitina a poker…dobbiamo scaldare i motori per i prossimi giorni!
SABATO 8 AGOSTO 2015
Anche oggi levataccia all’alba e di nuovo in coda per l’ANTELOPE CANYON. Dovremmo partire da Page verso il Bryce Canyon, ma vogliamo provare a recuperare quello che la pioggia ci ha impedito di fare ieri. Entriamo nella zona Navajo e prenotiamo il tour delle 8.45. Certo, non c’è la luce di mezzogiorno e quindi i colori non sono al loro massimo, ma dobbiamo accontentarci per evitare di dover rinunciare alla visita alla nostra prossima tappa.
La nostra guida all’orario stabilito è Roger, un omone gigante che ci fa salire sul retro del suo pick up. Dopo circa un quarto d’ora di rally sulla sabbia (per fortuna è bagnata dalla pioggia di ieri! Quando è asciutto qui ci sono dei nuvoloni di sabbia rossa alzata dai pick up) arriviamo all’ingresso del Canyon, uno stretto passaggio creato dall’azione di acqua e vento. I giochi di luce delle 9 del mattino non sono al loro massimo splendore, purtroppo, ma abbiamo comunque un assaggio. Roger ci mostra come scattare le foto (probabilmente ne fa un miliardo al giorno), a volte ci ruba perfino le macchinette e gli smartphone per farle lui. Ci mostra le facce che si vedono, ad esempio Washington, il muso dell’Antilope, la farfalla e il cuore. La visita dura un’ora perché la quantità di gente dentro al canyon è spropositata. Purtroppo questo è un punto a sfavore di un luogo che una visita la merita.
Dopo la visita all’Antelope Canyon è giunto il momento di salutare Page. Imbocchiamo la Hwy 89 e ci dirigiamo verso nord ovest. Varchiamo il confine con lo Utah e cambiamo fuso orario (ci spostiamo un’ora avanti). Proseguiamo filati fino a KANAB, una cittadina che spunta in mezzo al nulla. È stata in passato la fermata prediletta di Hollywood per girare i film Western. Infatti si assapora un clima molto cinematografico, è mantenuta la finzione che si richiede per girare un film. Pranziamo in un saloon, dove ci concediamo anche una veloce partita a biliardo (niente da fare, siamo troppo scarsi!) e ripartiamo subito.
Il paesaggio dopo Kanab cambia. Dal deserto rosso che ci aveva accompagnato da Page fino a qui passiamo a paesaggi più montuosi e con piccoli villaggi lungo la strada. Proseguiamo verso nord e incontriamo qualche comunità di mormoni lungo il cammino. Arriviamo nel primo pomeriggio ad Hatch e prendiamo le chiavi delle nostre camere all’Hatch Station Bryce Canyon, un motel carino e in tema montuoso, adatto al luogo in cui si trova. Dopo aver depositato le valigie proseguiamo verso nord e svoltiamo sulla UT 12. Entriamo nel parco nazionale del BRYCE CANYON sempre con il nostro Annual Pass. Questa volta non abbiamo grosse aspettative: abbiamo inserito il parco nel nostro programma più come punto intermedio che per vero interesse. E invece dobbiamo ricrederci! Avremmo voluto dedicarci più tempo, tempo che abbiamo dedicato alla visita dell’Antelope Canyon del mattino. Purtroppo dobbiamo selezionare, quindi evitiamo di prendere le navette gratuite (anche qui efficientissime come sul Grand Canyon) e ci spostiamo in macchina e a piedi. Il primo punto che incontriamo è Sunrise Point, vicinissimo al lodge e ai campeggi. La vista è ancora una volta spettacolare e le formazioni rocciose – gli hoodoos – sono talmente assurde che sembra impossibile che la semplice erosione di ghiaccio e vento abbia potuto fare tanto. In effetti è un parco in continua evoluzione, proprio perché l’azione erosiva è abbastanza veloce. Gli stessi rangers dicono che da un anno all’altro si possono vedere notevoli differenze…dovremmo vedere per credere! Il progetto iniziale era quello di raggiungere gli altri punti panoramici in macchina, ma invece preferiamo passeggiare lungo il Rim Trail per raggiungere il Sunset Point. Da qui scendiamo nel canyon (anche qui, un po’ disorganizzati, senza acqua e un po’ in ritardo). Il sentiero scende parecchio con un’innumerevole serie di tornanti talmente inseriti nel paesaggio che sembra di essere all’interno di un formicaio. Una volta raggiunto il fondo del canyon ripercorriamo il percorso al contrario, perché ormai è troppo tardi per avventurarci nel Navajo Loop Trail, lungo 2,2 km.
Dal Sunset Point ammiriamo oltre al panorama anche il Martello di Thor, una roccia a forma di parallelepipedo che sembra sul serio il martello del dio scandinavo.
Recuperata la macchina ci spostiamo a Inspiration Point e a Bryce Point, dove un cartello spiega per bene l’origine del nome (l’inizio del turismo nell’area si deve ai mormoni, in particolare a Bryce che si spostò a fine ‘800 nella regione per espandere la propria fede e fondare nuove comunità) scendiamo verso sud di circa 15 miglia per vedere il Natural Bridge, un ponte ad arco naturale che tra qualche tempo potrebbe non esserci più, proprio grazie a vento, pioggia ed acqua.
Torniamo verso nord, sperando di trovare qualcosa per cena visto che ormai sono le 8. A Bryce Canyon City riusciamo a trovare un tavolo al Ruby’s Inn, un hotel e ristorante da vera montagna americana, tutto in legno e con le teste di animali appese alle pareti. La cena è buona, ottimo il rapporto qualità prezzo.
Torniamo al motel abbastanza esausti, ma nonostante questo ci fermiamo per strada ad osservare le stelle, che anche da qui sono meravigliose.
DOMENICA 9 AGOSTO 2015
Lasciamo Hatch e i suoi 6°C (affrontati in modo temerario con i pantaloni corti in previsione della giornata) dopo una ricca colazione in un tipico diner, The Galaxy of Hatch, e ci dirigiamo verso sud ovest, diretti a Las Vegas. Sulla strada entriamo a ZION NATIONAL PARK (sempre grazie al nostro Annual Pass) e vediamo di passaggio questa zona alquanto singolare, con montagne a striate a scacchi dall’azione degli agenti atmosferici. Attraversiamo velocemente il parco fino ad imboccare la Hwy 15 a St. George. Da qui ci dirigiamo verso sud: LAS VEGAS, stiamo arrivando!
Entriamo in città da nord e la periferia che ci accoglie ci lascia perplessi: triste, malfamata e piena di senzatetto per strada. Proseguiamo verso la Strip un po’ delusi e intimoriti dalla prima impressione. Ma appena incontriamo l’inizio della Strip, la strada principale di Las Vegas dove c’è e avviene tutto, strabuzziamo gli occhi. Tutto è sfavillante, ricco ed eccessivo. Per prima incontriamo sul nostro cammino Fremont Street (la seconda strada più famosa di Las Vegas, un parco giochi per adulti al coperto), alla cui visita però dovremo rinunciare per mancanza di tempo. Poi vediamo lo Stratosphere con la sua torre alta 350 metri con in cima una specie di giostra a catene che pende nel vuoto; poi il Trump hotel dorato, il Wynn e l’Encore color bronzo, elegantissimi. E poi l’impatto con The Palazzo, il Venetian, il Caesar’s Palace, il Flamino, il Bellagio, il Paris, il New York New York, il Luxor e il Mandaly Bay. Insomma, uno sfavillio di schermi, luci e suoni anche in pieno giorno. E gente, tanta, tantissima gente.
Usciamo subito dalla città, a sud, diretti alla Hoover Dam, passando per Henderson e Boulder City. Il caldo eccessivo ci fa restare solo per pochissimo sulla diga costruita negli anni ’30. Per quanto spettacolare ed affascinante ci ritiriamo, sconfitti dagli oltre 40°C.
Rientriamo in città dopo aver mangiato qualcosa al volo e scattiamo una foto sotto il cartello Welcome to Fabulous Las Vegas (a sud sulla Las vegas Boulevard, all’altezza dell’aeroporto). Ci fermiamo poi al Luxor per vedere l’hotel e il casino. L’impatto con il primo hotel che visitiamo è assurdo. Non è enorme, ma ci sentiamo come bambini a Gardaland, dove tutto è talmente finto che sembra vero. La piramide ha al suo interno un centro commerciale e una quantità assurda di ristoranti e cafè, per non parlare del casino. Nella lobby vediamo la coda per fare il check in e ragionando decidiamo di spostarci al nostro hotel per metterci a nostra volta in coda.
Arriviamo al Flamingo, dove resteremo per due notti, e ci mettiamo in coda per il check in. Dopo circa 40 minuti ce la facciamo e ci sistemiamo nelle nostre camere, una vista piscina, l’altra vista Caesar’s Palace e Bellagio. Se avete un budget limitato e volete essere comodi a tutto il Flamingo è u n ottimo hotel: è centrale, permette di raggiungere tutto a piedi e le camere sono appena state rinnovate. Non sarà il più lussuoso, ma è un ottimo compromesso!
Scendiamo di nuovo e visitiamo il Caesar’s Palace, hotel a tema romano, dove in realtà più che il tema prevale il semplice lusso. Questo hotel è enorme, non ha eguali a Las Vegas. Anche qui dentro si trova di tutto, dalle boutique al casinò fino alla discoteca. L’hotel è celebre grazie a film come Una notte da leoni.
Proseguiamo la visita spingendoci verso nord: passiamo all’esterno del Mirage, l’altro hotel storico (insieme al Flamingo), dove ammiriamo lo spettacolo del vulcano all’esterno (fa due spettacoli al giorno, alle 13.00 e alle 21.00). Attraversiamo poi la strada per andare al Venetian. E questo sì che ci ha lasciato senza parole! Sarà che conosciamo bene l’originale, sarà patriottismo, sarà che gli architetti sono stati veramente bravi, ma il Venetian è sul serio la migliore tra le imitazioni che ci offre Las Vegas! Palazzo Ducale e il campanile di San Marco sono ricreati alla perfezione. Certo, le scale mobili a Rialto e l’acqua dei canali azzurra e limpida stonano un pochino, ma ci accontentiamo. All’interno le calli e i campi di Venezia sono perfetti, perfino il soffitto dipinto e illuminato con le luci giuste ci dà l’impressione di passeggiare nella città lagunare.
Usciamo e continuiamo la nostra passeggiata: arriviamo al Treasure Island, dove scopriamo che lo show dei pirati non esiste più da qualche anno e torniamo indietro al Flamingo. Giochiamo qualche dollaro alle slot machines senza vincere nulla e finalmente alle 2 andiamo a dormire.
LUNEDÌ 10 AGOSTO 2015
Per la prima volta nel nostro viaggio ci svegliamo tardi. Sono le 9.30 quando facciamo colazione in un bar del Flamingo e poi pronti a partire. Al Tix4Tonight (un box office che offre prezzi scontati su biglietti per gli show e cene e altre attività) acquistiamo uno sconto sulla cena a buffet del Treasure Island. Risparmieremo 10 $ a testa, che non saranno tanti, ma fanno comunque comodo! Speravamo di trovare qualche show del Cirque du Soleil scontato, ma anche se è lunedì non c’è nulla per noi. Decidiamo quindi di prendere i biglietti a prezzo normale, alla Concierge del Flamingo. Lo show che il Cirque fa al Bellagio, “O”, non va in scena il lunedì, quindi optiamo per Mystère, lo spettacolo al teatro del Treasure Island. Senza volerlo abbiamo cena e spettacolo allo stesso hotel!
Dopo esserci organizzati la serata cominciamo la visita vera e propria alla città. Oggi andiamo verso sud. Visitiamo il Paris, che nelle intenzioni ha la stessa struttura del Venetian, ma con un risultato diverso (rovinato da stanze troppo grandi e con colonne portanti non molto nascoste). Proseguiamo verso l’Hard Rock Cafè, l’M&M’s Store e l’MGM, per arrivare all’Excalibur e al New York New York. Quest’ultimo è veramente scenografico all’esterno, ma è rimasto abbastanza vecchio all’interno, quindi perde un po’ del suo charme.
Ci dirigiamo di nuovo verso nord, questa volta dal lato ovest della Strip e cercando i collegamenti interni tra gli hotel (ci sono anche oggi oltre 40°!). Purtroppo non sempre li troviamo e quindi ci cuciniamo a fuoco lento. Entriamo all’Aria e finalmente anche al Bellagio. I due lussi diversi (modernissimo nell’Aria e classico al Bellagio) ci lasciano senza fiato. Veramente sono due hotel meravigliosi e lussuosissimi.
Dopo una doccia veloce andiamo verso il Treasure Island per ritirare i biglietti dello spettacolo e per cenare: lo show è alle 7 e si entra in sala alle 6.30. Di conseguenza dobbiamo cenare prima e alle 5.30 siamo seduti a tavola. Ci sembra più un pranzo in ritardo! Il buffet del Treasure Island (e immagino anche quelli degli altri hotel) è abbondante, variegato e gustoso. Mangiamo fino a scoppiare quasi e ci dirigiamo verso il teatro.
Anche lo show ci lascia senza parole: se siete a Las Vegas il Cirque du Soleil non va perso, merita ogni dollaro speso e non può essere raccontato. Usciamo dal teatro alle 20.40 e ci spostiamo al Bellagio per vedere lo spettacolo delle fontane, che va in scena ogni quarto d’ora dal tramonto a mezzanotte. Il caso ha voluto che beccassimo Viva Las Vegas di Elvis come colonna sonora…e quale canzone migliore di questa?
Per concludere la serata giochiamo ancora qualche dollaro al Margaritaville, il casinò del Flamingo. Questa sera siamo fortunati e portiamo a casa 25 $!
MARTEDÌ 11 AGOSTO 2015
Oggi è il giorno in cui salutiamo Sin City per tornare alla natura selvaggia. Questa due giorni nella civiltà ci è servita per caricare e scaricare le batterie, ora siamo pronti ad affrontare di nuovo la vastità dei parchi nazionali. Caricate le valigie usciamo da Las Vegas verso ovest, prendiamo la Hwy 160 e ci dirigiamo verso la DEATH VALLEY. Facciamo l’ennesima scorta di acqua a Pahrump, l’ultima città del Nevada prima del confine con la California. Da qui proseguiamo su Bell Vista Road fino alla Death Valley Junction. Ci immettiamo nella CA 190 e ci prepariamo psicologicamente alla Death Valley. Già prima di entrare il paesaggio è lunare e la vita sembra essersene andata. La temperatura è già intorno ai 40°.
Per entrare nel Death Valley National Park è necessario, ancora una volta, pagare il pedaggio. Qui però non ci sono dei poveri ranger chiusi nei caselli con temperature inavvicinabili (come criticare questa scelta?!), ma delle macchinette automatiche a lato della strada. Qui si dovrebbero inserire i soldi o l’Annual Pass. Nonostante la buona volontà le due macchinette che troviamo lungo la strada non funzionano quindi procediamo senza far riconoscere il nostro Pass.
Svoltiamo a sud, nella Dante’s View Road per arrivare a Dante’s View (a 1669 m di altezza), da cui vediamo tutta la valle. Da qui si vede il punto più basso (- 86 m s.l.m.) del Nord America; il punto panoramico è stato scelto nel 1926 da alcuni rappresentanti della Pacific Coast Borax Company, una ditta mineraria che operava nella valle e che aveva deciso di convertire la valle a meta turistica. Il nome è stato dato perché il punto panoramico è come una terrazza tra terra e cielo, tra alto e basso, una terrazza dal Purgatorio da cui si vede l’ultimo dei gironi infernali (il Badwater Basin a – 86 m s.l.m.) e il Telescope Peak (3454 m), l’ultima “terrazza” del Purgatorio prima del paradiso.
Torniamo sui nostri passi, sulla 190 e raggiungiamo Zabriskie Point, paesaggio di origine sedimentaria e vulcanica reso celebre prima dal filosofo Michel Foucault che ha definito la sua visita “la migliore della sua vita” e poi dall’omonimo film di Michelangelo Antonioni (Zabriskie Point, 1970) con musiche dei Pink Floyd. La leggera salita a piedi che dobbiamo fare ci stende e continuiamo il percorso in macchina con il condizionatore al massimo. Proseguiamo su Artists Drive per vedere le rocce colorate di Artists Palette fino ad arrivare poi a Furnace Creek. L’unico luogo abitato della valle, con un Lodge e un campeggio. Mangiamo con l’aria condizionata e proseguiamo verso nord ovest.
Arriviamo alle Mesquite Flat Sand Dunes, delle bellissime dune di sabbia bianca, che contrastano alla perfezione con la roccia rossa circostante. Scendiamo per due salti, perché la sabbia è sempre la sabbia. Ci starebbe benissimo il mare, ma in realtà siamo in pieno continente e l’oceano è distante ancora centinaia di chilometri. Qui il termometro tocca i 116°F, cioè 46,7°C. E li abbiamo sentiti tutti. Proseguiamo in auto verso l’uscita ad ovest del parco e incontriamo un lago ormai asciutto, il Lake Hill.
Usciti dal parco ci dirigiamo verso Big Pine, dove abbiamo prenotato il motel. Facciamo tutta una tirata in una strada veramente monotona: tutta dritta, stesso paesaggio lunare, niente vita. Ad un certo punto inizia a comparire qualche casa e un po’ di verde. A Lone Pine ci immettiamo nella Hwy 395 e procediamo verso nord. Raggiungiamo Big Pine e il nostro motel, il Bristlecone, che sono ormai le 6.30. La receptionist ci dice che a Big Pine vicino al motel c’è un solo posto dove mangiare la sera e chiude alle 8.30. In sostanza, ci muoviamo e andiamo a mangiare di corsa al Country Kitchen, dove ci vengono serviti dei piatti ricchissimi (anche di verdure) e veramente gustosi.
MERCOLEDÌ 12 AGOSTO
Torniamo per colazione al Country Kitchen. Anche di prima mattina i pasti sono ottimi e abbondantissimi. Ci mettiamo in macchina, oggi attraverseremo lo YOSEMITE NATIONAL PARK. Ci dirigiamo verso nord nella Hwy 395, fino a Lee Vining, sul Mono Lake, dove svoltiamo verso ovest sulla Tioga Road.
Entriamo nel parco sempre grazie al nostro Annual Pass e ammiriamo il paesaggio che ci circonda. Tutto è diverso dai giorni scorsi, siamo in montagna, ma una montagna a cui siamo abituati. Il paesaggio è molto dolomitico e forse non riusciamo ad apprezzare del tutto proprio perché siamo abituati a montagne ben più poetiche di queste. Comunque sia, siamo a Yosemite e comunque è una novità per noi! Anche qui ci sono shuttle gratuiti, ma siccome il nostro obiettivo è attraversare il parco, non ne facciamo uso.
Seguiamo la strada e scendiamo nella Yosemite Valley, dove ci sono il centro visitatori, l’hotel, campeggi, una mostra su Ansel Adams (fotografo che ha immortalato Yosemite in molte delle sue opere) e qualche posto dove mangiare. Dalla Valley si vedono alla perfezione le due cime più popolari di Yosemite, El Capitan e l’Half Dome. Ci fermiamo in mezzo a un prato per ammirare queste rocce così riconoscibili e così tanto amate dagli scalatori.
Nella Valley la strada prosegue a senso unico compiendo un loop in senso antiorario, tutto per permettere alla gente di fermarsi in parte alla strada per scattare fotografie e ammirare il paesaggio. Parcheggiamo l’auto vicino al visitor center (per quanto possibile, vista la miriade di persone presenti) e ci avviamo a piedi. Ci concediamo una passeggiata di un’oretta abbondante per vedere le Yosemite Falls, che però troviamo asciutte a causa della scarsa portata d’acqua del torrente. Che delusione!
Finito il nostro tour ci rimettiamo in macchina, pronti ad uscire dalla Valley e ci troviamo in coda! Ci mettiamo un po’ ad immetterci nella Central Yosemite Hwy, ma quando finalmente la raggiungiamo riprendiamo finalmente a correre. Il paesaggio è meno monotono di ieri, il tempo scorre più velocemente e non ci annoiamo! La nostra destinazione è Merced, un luogo non prettamente turistico, ma dove siamo di passaggio.
Passiamo per Mariposa e continuiamo sulla 140, superiamo Planada e arriviamo dopo un po’ a Merced. Qui dormiamo al Motel 6: una buona struttura, appena rinnovata. Per cena cerchiamo il centro e riusciamo a trovare un localino molto europeo, il FiveTenBistro (dove ci danno perfino la tovaglia di stoffa) dove mangiamo delle ottime insalate depurative.
GIOVEDÌ 13 AGOSTO 2015
Anche oggi sveglia presto e colazione velocissima da Starbuck’s e pronti a partire per SAN FRANCISCO! Il paesaggio attorno a noi continua a cambiare: dalla montuosa zona di Yosemite siamo ora in una zona collinare, completamente secca e gialla. Sembra quasi la nostra Toscana, se non fosse per gli enormi camion americani!
Andiamo verso nord nella Hwy 99 fino a Manteca, svoltiamo ad ovest nella Hwy 120 e ci immettiamo nella Hwy 5 per svoltare subito nella Hwy 205. Insomma, nel giro di poco svoltiamo tantissime volte, ma comunque arriviamo sani e salvi nella Hwy 580 che ci porta ad Oakland. La strada più breve per San Francisco passa attraverso il San Francisco – Oakland Bay Bridge, ma noi vogliamo partire con il botto e attraversare il Golden Gate Bridge. Proseguiamo quindi verso Richmond, a nord, e attraversiamo il Richmond – San Rafael Bridge (pedaggio al casello 5 $). Proseguiamo verso sud nella Hwy 191 fino ad arrivare al punto panoramico che dà sul ponte e sulla città. Ebbene il nostro primo impatto con San Francisco è…la nebbia! Dal punto panoramico si vede un muro bianco, nemmeno il primo pilastro rosso del ponte è visibile. Siamo così tristi che decidiamo di entrare in città e optare per luoghi migliori.
Anche il Golden Gate Bridge è a pagamento, ma non ci sono cartelli molto chiari che spiegano come pagare né casellanti a cui chiedere. Abbiamo cercato su Google e in sostanza è necessario pagare in internet con la carta di credito nelle 48 ore successive al passaggio (inserendo il numero di targa).
Appena entriamo in città siamo accolti dal traffico. Le strade sono molto meno spaziose di quelle di Los Angeles e ce ne accorgiamo subito! Le macchine sono più piccole e la nostra Jeep che altrove era un po’ nanetta qui sembra un gigante. Nel centro di San Francisco splende il sole e siamo sconvolti dal fatto che in così poco spazio possa esserci una tale variazione di clima. Ci arrampichiamo nelle Twin Peaks per ammirare il panorama dall’alto. Anche qui siamo circondati dalle nuvole, ma riusciamo ad avere due minuti di sole in cui osserviamo l’intera città sotto di noi. Il ponte comunque è avvolto dalla nebbia.
È ora di pranzo e scendiamo in macchina a Downtown dove andiamo a caccia del Sushirrito, un piatto fusion tra sushi e il burrito (in sostanza un burrito fatto di sushi). Lo aspettavamo da mesi e finalmente siamo riusciti ad assaggiarlo! Una cosa deliziosa, 1000 punti! Da veri cittadini ci sediamo agli Yerba Buena Gardens a mangiare, in mezzo a studenti in vacanza e uomini d’affari in pausa pranzo. Ah, la città!
Dopo pranzo ci avviamo verso il Chateau Tivoli Bed & Breakfast, la struttura che ci ospiterà per 3 notti. È una vecchia casa vittoriana, risistemata e adattata, ma che conserva ancora gli arredamenti e le strutture (in alcuni casi ammodernate, ad esempio i bagni e i letti). Ci sistemiamo un po’ le valigie in camera e siamo pronti a ripartire.
Muoversi a San Francisco in auto è un incubo e ce ne siamo accorti subito. Gli spazi limitati della città non le hanno consentito di espandersi come L.A. o come altre città, di conseguenza spesso le strade sono troppo piccole per il flusso di auto che le percorre. Avendo trovato un parcheggio in strada gratuito di fronte al B&B decidiamo di lasciare lì l’auto fino al giorno seguente e prendiamo un autobus per andare in centro. Il sistema di trasporto pubblico è molto efficiente e si vede che è molto usato ed apprezzato. C’è rispetto per i mezzi, non sono pieni di scritte o sporchi come i nostri (anche se usurati dal tempo).
Prendiamo la linea 5 e scendiamo a Powell Station. Da qui ci spostiamo in Union Square, la piazza più famosa di San Francisco, circondata da negozi e locali. È un luogo di aggregazione e turistico: ci sono un sacco di persone che girano, comprano e parlano.
Lasciamo perdere la linea di Cable Cars che troviamo alla nostra sinistra perché degli operai stanno facendo manutenzione, quindi per oggi non è operativa. Proseguiamo verso nord diretti a China Town. Arriviamo al Dragon’s Gate, all’incrocio tra Grant Street e Bush Street, ed entriamo nella zona che è stata per anni il ghetto cinese della città. La China Town di San Francisco è la comunità cinese più grande al di fuori dell’Asia e la più antica degli Stati Uniti. Un ambiente molto caratteristico, pieno di lanterne e negozi di cianfrusaglie e souvenir. Tutto è in cinese prima e in inglese poi. Insomma, un pezzo di Cina negli Stati Uniti.
Passeggiamo un po’, ma ormai è ora di cena. Ci avviamo in Union Square e saliamo all’ultimo piano di Macy’s dove troviamo The Cheesecake Factory, catena di ristoranti – bar resa celebre dalla serie TV The Big Bang Theory. Dopo un’attesa relativamente lunga riusciamo ad avere un tavolo e mangiamo anche qui delle ottime insalatone. Chiudiamo il pasto, ovviamente, con due fette di cheesecake che meritano del tutto il nome che hanno!
VENERDÌ 14 AGOSTO 2015
Dopo una buona colazione riprendiamo la nostra auto (che riconsegneremo in serata) e ci dirigiamo verso sud, nella Silicon Valley. Sappiamo che i vari campus di ricerca sono privati e chiusi al pubblico e accessibili solo se accompagnati da un dipendente, ma vogliamo comunque tentare la sorte. Non si sa mai che qualcuno voglia essere nostro amico!
La prima tappa è Facebook, dove gentilmente ci dicono che avremmo potuto solo fare la foto accanto al Mi Piace gigante con l’insegna. Ci dirigiamo poi verso il campus dell’Università di Stanford, una delle migliori degli Stati Uniti, e facciamo una passeggiata assaporando il clima che vive lo studente americano (e notando anche quante comodità hanno all’interno del campus, a differenza nostra che dobbiamo spostarci continuamente all’interno di centri storici e zone industriali). Dopo aver acquistato una maglietta del campus (ovviamente), usciamo e ci spostiamo alla Microsoft; anche qui possiamo solo fare la foto al cartello.
Vicino si trova il campus di Google. Riusciamo a parcheggiare a 10 metri dall’ingresso ed entriamo nel vialetto principale che è ad accesso libero. Come nel film Gli Stagisti la vita nel Googleplex è colorata e vivace: ci sono un miliardo di persone che mangiano, chiacchierano, parlano di affari, di nuovi software e di cosa faranno la sera. Insomma, un bell’ambiente. Anche qui non ci lasciano entrare negli edifici, ma già respirare l’aria di un luogo del genere ci fa assaporare l’innovazione che scorre lì dentro.
Concludiamo con Apple, dove però non ci lasciano nemmeno chiedere di entrare. Ci sbattono fuori ancora prima di aprire bocca.
Visto che è primo pomeriggio e abbiamo ancora l’auto decidiamo di tentare nuovamente la sorte con il Golden Gate Bridge. In effetti c’è il sole dappertutto e dopo un’ora di coda (per fare 6 km) raggiungiamo Marine Drive e osserviamo il gigante rosso in tutto il suo splendore. Certo, non è il punto panoramico che abbiamo trovato ieri (attraversare il ponte e arrivare lì richiederebbe almeno altre 4 ore), ma comunque ci gustiamo gli occhi.
Torniamo in Union Square per riconsegnare l’auto: dopo due settimane di compagnia lasciamo la nostra Enterprise e torniamo all’uso delle gambe! Alamo è decisamente veloce nelle procedure di verifica: dopo due minuti siamo già liberi di andare. Usciamo a piedi dal garage e torniamo nella piazza. Dopo una passeggiata veloce in Market Street, dentro e fuori qualche negozio, andiamo a cenare alla Tad’s Steakhouse, dove ci regaliamo una mega bisteccona. Stanchi dalla giornata torniamo presto in autobus nel B&B, pronti a ricaricare le pile per domani.
SABATO 15 AGOSTO 2015
Anche oggi ci alziamo presto e dopo una buona colazione prendiamo l’autobus 5 e cambiamo poi con il tram F, diretti al Pier 33 dove ci imbarchiamo per l’isola di Alcatraz. Abbiamo prenotato e pagato il biglietto per il traghetto e la visita al carcere da casa mesi fa e in effetti quando arriviamo uno schermo dice che il prossimo posto disponibile sarà il 30 settembre. Insomma, è una visita che richiede una previsione di almeno un mese e mezzo!
Ritirati i biglietti ci mettiamo in coda e saliamo sul traghetto alimentato ad energia solare. Arriviamo sull’isola e siamo accolti da una ranger che al microfono ci saluta in modo festoso e ci spiega quali sono le regole del parco (l’isola è parte della Golden Gate National Recreation Area). Dal molo si sale fino allo stabile del carcere vero e proprio, incontrando altre costruzioni con dei cartelli che spiegano di cosa si tratta. Incontriamo il magazzino e la zona residenziale delle guardie. Pensate che molte guardie vivevano lì con l’intera famiglia e molti dei figli sono nati e cresciuti nell’isola senza mai andare nella terraferma fino alla chiusura del penitenziario. Saliamo fino allo stabile con le celle ed entriamo. Ritiriamo l’audioguida in italiano e iniziamo la visita. L’organizzazione è ottima, l’audio accompagna il tour con effetti sonori da brivido e raccontando aneddoti anche raccapriccianti. È strutturata veramente bene e vale al 100% il prezzo del biglietto.
Torniamo in città (una volta sull’isola basta prendere il primo ferry disponibile) e ci dedichiamo alla visita della zona portuale di San Francisco. Dal Pier 33 camminiamo fino al Pier 39, un centro commerciale – sala giochi all’aria aperta. Qui mangiamo una Clam Chowder, la zuppa di molluschi tipica di San Francisco e servita dentro una pagnotta scavata. Veramente gustosa e facilmente digeribile (anche se sembra molto pesante!). Dal Pier 39, inoltre, si può ammirare una colonia di leoni marini che ha deciso di stabilirsi lì. Gli animali stanno tutto il giorno su delle zattere di legno, distesi a prendere il sole e a farsi ammirare dalla gente che passa.
Continuiamo la passeggiata sugli altri moli, in Fisherman’s Wharf, fino ad arrivare ad Hyde Street. Avremmo voluto prendere da qui il Cable Car fino alla cima della collina, ma troviamo una coda di due ore e quindi desistiamo. Ci avviamo a piedi in salita (con una pendenza forse superiore al 20%) e arriviamo in cima al Russian Hill. Da qui svoltiamo a sinistra in Lombard Street, la strada più tortuosa al mondo. È un vero spettacolo di fiori ed è emozionante vedere le macchine che scendono attraverso un percorso abbastanza difficile!
Ai piedi di Lombard Street ci troviamo a North Beach, il quartiere italiano di San Francisco. Arriviamo a Washington Square Park, dove partecipiamo alla festa di Ferragosto della comunità italo americana della città. Certo, passare la festa più italiana del mondo qui ha avuto la sua buona dose di spettacolarità!
Camminiamo fino all’inizio di China Town, all’incrocio tra Columbus Avenue e Broadway. Appena più a sud sulla Columbus Avenue a destra c’è una piccola stradina, la Jack Kerouac Alley, dove il famoso scrittore americano ha vissuto per qualche tempo. Nella libreria che fa angolo, tra l’altro, si dice che sia nato il movimento Beat.
Continuiamo la passeggiata e torniamo al Pier 39 per cenare finalmente da Bubba Gump. Alle 7 siamo a prenotare il tavolo, ma il posto ci verrà assegnato solo alle 9. Due ore di attesa che però valgono la cena. È un locale speciale, per quanto sia una catena il clima è unico e si mangia veramente bene.
Andiamo a letto a mezzanotte passata e chiudiamo gli occhi a malincuore per l’ultima volta negli Stati Uniti.
DOMENICA 16 AGOSTO 2015
La sveglia suona alle 4.30 del mattino. Chiudiamo i bagagli, mangiamo qualcosa al volo e carichiamo le valigie nel taxi che ci porterà all’aeroporto di San Francisco. Da qui ci imbarchiamo in un volo American Airlines per Dallas, dove cambiamo per Londra. Tutt’altra compagnia rispetto all’Iberia, mangiamo peggio, ma siamo più comodi.
Salutiamo sul serio gli USA, lasciandoci un pezzo di noi e portandoci dentro un ricordo fortissimo e ricco di belle sensazioni. Con la speranza di tornarci per approfondire la conoscenza, ovviamente!