Andiamo a Mantova
Chi è che non ha mai avuto, in un cassetto o sullo scaffale, una di quelle scatoline di cartone che contengono una vacanza pagata? E chi ne ha mai usata una? Quasi nessuno. Il loro destino è quello di illudere e deludere, tentare e poi farsi rimandare, fino a scadere. Ma noi, prodi viaggiatori, ci siamo opposti a questo destino e, a pochissimi giorni dalla scadenza della nostra scatoletta-vacanza, l’abbiamo presa, abbiamo annullato ogni impegno e ci siamo lanciati in un viaggio assolutamente improvvisato.
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Ma dove andare? Era fine gennaio, poche mete sono ricettive e quelle più gettonate (cioè la montagna) erano tutte piene. Allora abbiamo optato per una città d’arte, una di quelle a cui non si pensa spesso: Mantova! Città di Virgilio, di Sordello, di Rigoletto, di Mantegna! Città di terra e di fiume! Ma soprattutto (dopo tante avventure campestri) città!
Così scegliamo i nostri compagni di viaggio per questa avventura cittadina. I fortunati sono stati lo zainetto da 10 litri soprannominato Bambino per le sue piccole dimensioni e il trolley da trenta litri, soprannominato Trolley per la nostra mancanza di fantasia. Entrambi vengono stracaricati (fino al mal di pancia loro e al mal di schiena nostro) e portati sul treno. Sì, perché si viaggia rigorosamente in treno (coi regionali)! Tanto Mantova è vicina (ma a chi?).
Day one – Giovedì
Arrivati a Mantova ci incamminiamo tutti e quattro (io, Trolley, Mia e Bambino) per le vie della città, sfidando le orde di scolari che si dirigono verso la stazione. È l’una. Il nostro check-in è alle tre. Ci potremmo presentare alla reception e chiedere con gentilezza se sia possibile lasciare le valigie nella stanza. Oppure, come tutte le persone timide e insicure, potremmo aspettare le tre camminando e contando i minuti. Essendo noi persone timide e insicure scegliamo la seconda opzione e cominciamo a camminare per piazza Sordello, contemplando il Palazzo del Capitano e la Domus Magna. Qui mi giro e vedo che Mia ha deciso di fare come la Domus: magna. Addento anche io un panino e riprendiamo a camminare. In pochi minuti siamo in piazza Broletto, dove, da una parete, una statua ci guarda male. È Virgilio, detto anche la Vecia Mantua, ed è tradizione salutarlo la prima volta che si entra in città, ma noi non sapendolo non lo facciamo. A mia discolpa, non è la prima volta che vengo a Mantova… ma nemmeno la prima volta l’ho salutato. Forse si ricorda di me ed è per questo che mi guarda male. Ah, virgiliana memoria!
Alle 14.30 siamo in piazza delle Erbe. Qui camminiamo in tondo per un’ora, operazione facilitata dalla presenza di una rotonda: la Rotonda di San Lorenzo. La rotonda di San Lorenzo è un edificio panciuto e buffo (termini tecnici del linguaggio architettonico) che ha circa mille anni. Di fianco alla rotonda c’è una torre con un magnifico orologio astronomico che ci ricorda che il tempo passa molto lentamente quando hai un check-in alle tre. Imperterriti, continuiamo a camminare facendo il giro della piazza più volte. Infine, alle 14.56 la stanchezza prevale sulla timidezza e con ben quattro minuti di anticipo imbocchiamo via Giovanni Arrivabene e raggiungiamo la piazzetta del nostro alloggio. Entriamo e al bancone ci accolgono con un: “Ben arrivati!”. Devono aver visto che siamo passati per via Arrivabene. Con molto garbo ci chiedono se possono darci del “tu”. Mia gli fa notare che preferirebbe del tè e questo basta perché io mi perda a immaginare un mondo dove le persone si rivolgono le une alle altre porgendo una tazza di tè.
In ogni caso il tè ci stava aspettando in camera, nella Suite. Suite? Sì, Luxury Suite precisa il receptionist. È inclusa nel nostro pacchetto.
Mentre il mio cervello cerca di associare le parole “Luxury Suite” a qualcosa che conosce, senza trovare alcun riferimento nei ricordi di campeggi e ostelli a buon mercato, il mio corpo irrompe nella stanza e contempla lo spettacolo. Solo l’anticamera è ampia come la sala di casa mia. Le pareti sono affrescate e sul letto c’è un baldacchino con un velo. In quel momento consideriamo l’idea di restare all’interno della stanza per tutta la durata della vacanza. Ma lo sguardo di rimprovero della Vecia Mantua si riaffaccia nella mia mente (ormai è il volto della mia coscienza) ordinandomi di uscire.
Dunque… da cosa iniziare la nostra visita? Sant’Andrea? No, troppo facile! Castello di San Giorgio? Troppo banale! Palazzo Te? Perfetto (anche perché è ora di merenda)!
Palazzo Te è la meta più distante che possiamo scegliere nel panorama mantovano (circa venti minuti a piedi da piazza delle erbe) e siccome non abbiamo camminato abbastanza decidiamo di dirigerci proprio lì. Purtroppo Palazzo Te è una gran delusione! Non per la bellissima architettura, con una facciata imponente, un ponte pittoresco e un’armoniosa esedra. Nemmeno per lo straordinario affresco della Camera dei Giganti. Ma perché nessuno e dico NESSUNO ci ha offerto un solo goccio di tè! E cosa me lo chiami a fare Palazzo Te, allora?
Comunque, grazie agli onnipresenti pannelli esplicativi nelle sale del palazzo, integrati dalla conoscenza da restauratrice di Mia, anche un analfabeta artistico come me ha potuto imparare qualcosa.
Tra le cose che ho appreso ci sono queste:
- Palazzo Te è opera dell’architetto Giulio Romano, allievo di Raffaello.
- Gli affreschi sono sempre del signor Romano, allievo di Raffaello.
- Il palazzo è stato voluto dai Gonzaga.
- Ai Gonzaga piacevano tanto i cavalli. C’è anche una sala tutta dedicata a loro (la Sala dei Cavalli).
- A volte le volte fanno schifo (guarda la foto e capirai).
Inoltre, un pannello esplicativo delle usanze a tavola nel 1500, ci ha insegnato che i tedeschi erano soliti mangiare con i tavoli uno di fronte all’altro, mentre gli italiani mangiavano coi tavoli a ferro di cavallo (o era… afferro da cavallo?).
Sulla via del ritorno decidiamo di visitare il tempio di San Sebastiano, attratti dal suo aspetto… simpatico (quello che conta è essere belli dentro!).
Ma ci aspettava una brutta sorpresa (la prima). San Sebastiano era chiusa! Per… boh, lavori? Non si capiva! Fatto sta che avrebbe riaperto due settimane dopo (e noi non avevamo intenzione di restare tanto a lungo davanti alla chiesa), quindi ci siamo ripromessi di tornare, facendo un nodo al fazzoletto, e siamo tornati verso il centro.
Qui abbiamo visitato la maestosa Basilica di Sant’Andrea, la chiesa principale (è la con-cattedrale) di Mantova. Progettata da Leon Battista Alberti (ma realizzata da qualcun altro, perché il Maestro era un po’ uno scaricabarile).
Sulla basilica ci sono un po’ di cose da dire. Innanzitutto è qui conservata una reliquia molto preziosa, talmente preziosa da avere la parola “prezioso” anche nel nome. Si tratta del Preziosissimo Sangue di Gesù. La leggenda narra che, quando Mantova era ancora un villaggetto, ci fu il ritrovamento miracoloso di questa reliquia, così di botto, senza senso (un vero e proprio Deus ex machina). A questo punto, per tutelarla, il Papa collocò un vescovo nel paese (avete presente nel Monopoli, quando mettete un albergo? Ecco, il Papa faceva uguale coi vescovi). Con il Vescovo venne una chiesa (dopo un turno) e poi una basilica (dopo almeno due turni, quindi non prima del 1400). Ed ecco la Basilica di Sant’Andrea.
Nella Basilica è seppellito il corpo di Andrea Mantegna (l’autore degli affreschi della Camera degli Sposi, l’uomo dell’anno 1505). Vicino alla tomba c’è un busto che raffigura il Mantegna e… indovinate da chi è stato realizzato. Vi do un indizio: la basilica è stata commissionata dai GONZAGA. E chi sono i prediletti dei Gonzaga? Ci siete arrivati? Ebbene sì: i cavalli. Il busto è realizzato interamente da Cavalli. Gianmarco Cavalli, per l’esattezza, un artista scelto chiaramente per il suo nome (una sorta di nepotismo).
Ma la cosa che mi ha più lasciato perplesso è l’epigrafe che accompagna il busto, che dice “tu che vedi le sembianze di bronzo del Mantegna, saprai che questi è pari, se non superiore ad Apelle”. Ma che significa? Apelle (non è quello della palla di pelle di pollo) era considerato uno dei più grandi artisti dell’antichità. Ma perché mai guardando una scultura fatta da Gianmarco Cavalli dovrei pensare che Andrea Mantegna era più bravo di Apelle?? Al massimo, se il busto è veramente ben fatto, potrei pensare che Cavalli è più bravo di Apelle! Oppure, se il busto è molto verosimile, che Mantegna fosse più bello di Apelle. Insomma… chiunque abbia scritto quella frase, aveva le idee confuse ed è riuscito a confondere anche le mie.
Dopo questa scorpacciata di arte e cultura torniamo in albergo, preparandoci alla scorpacciata di tortelli della serata. Così entriamo in un’osteria alla ricerca di piatti tipici, trovando ad attenderci una bella birra artigianale e un piattone di tortelli alla zucca mantovana.
Quando la birra artigianale inizia a fare il suo effetto usciamo per una passeggiata (non ne abbiamo mai abbastanza!) e concludiamo la serata con la vista del lago di notte, cioè un rettangolo nero nel buio.
Day two – Venerdì
Il buongiorno si vede dalla colazione: brioches, cappuccino, prosciutto, marmellata, yogurt e succo di frutta al caffè letterario storico di Mantova: il Bar Venezia. Senza prendere fiato divoriamo tutto quello che ci viene offerto, perché siamo persone timide e insicure e non ce la sentiamo di dire di no alla cameriera. E forse anche perché è tutto incluso nella nostra Suite. Poi, all’improvviso succede l’impensabile: nel bar entra Jovanotti! Io mi agito, penso a come chiedergli un autografo, poi lo guardo meglio e mi accorgo che non è Jovanotti. Anzi, non ci assomiglia proprio. Imbarazzato mi annoto mentalmente di risolvere il mio problema di fisionomia (o fisiognomica?).
E poi ci poniamo la domanda: a cosa dedicare la giornata? Mia propone la Camera degli Sposi, ma non mi sento pronto al grande passo, così ne facciamo tanti piccoli che ci portano davanti alla Rotonda di San Lorenzo. Il termine rotonda, forse è il caso di chiarirlo, indica un’isola spartitraffico circolare ma anche un edificio a pianta circolare sormontato da una cupola. San Lorenzo appartiene al secondo tipo di rotonde e devo dire che è molto bella, soprattutto perché l’ingresso è a offerta libera, ma non ci vivrei (sono un tipo un po’ quadrato).
Dopo un giro(tondo) della rotonda ci affacciamo di nuovo su piazza delle Erbe, lasciandoci tentare dalla Torre dell’Orologio Astronomico… che a giudicare dal nome dev’essere costato parecchio. Ci colpisce molto la scelta di appendere su una delle pareti interne una frase di Plauto che si scaglia contro l’invenzione degli orologi (marketing con psicologia inversa?).
Nel resto della mattina visitiamo la leggendaria Camera degli Sposi, all’interno di Castel S.Giorgio, a sua volta all’interno di Palazzo Ducale. Sempre in quel complesso visitiamo la Corte Vecchia, ma la Corte Nuova no perché è chiusa per restauri (Maledetti restauratori! Hanno avuto cinquecento anni e si mettono al lavoro adesso!).
Ma diciamo qualcosina sulla camera degli sposi! Alla Camera degli Sposi si accede tramite una scalinata detta “dei Cavalli” (abbiamo già detto che ai Gonzaga piacevano i cavalli?) chiamata così perché gli scalini potevano essere percorsi anche da un cavallo… Anche se non capisco perché portarsi un cavallo in camera la notte di nozze (ai Gonzaga dovevano piacere veramente MOLTO i cavalli).
Successivamente andiamo a visitare di visitare la Basilica Palatina di Santa Barbara, facilmente individuabile perché gigantesca. Purtroppo, arrivati lì davanti scopriamo che è chiusa per ferie. Per ferie? Esatto, anche le basiliche vanno in ferie. Facciamo dunque un terzo nodo al nostro fazzoletto delle visite sospese e riprendiamo il nostro giro.
All’improvviso ci si para davanti una bellissima facciata. Molto probabilmente Sant’Apollonia. Rimaniamo a contemplarla qualche minuto, poi entriamo e ci rendiamo conto di essere entrati in Sant’Andrea da un ingresso laterale.
Dopodiché, torniamo in Piazza Sordello per ammirare da fuori la casa di Rigoletto, il protagonista dell’opera Rigoletto, di Giuseppe Verdi.
A Mantova Rigoletto era l’unico al quale potevi gridare “Buffone!” senza che si offendesse.
Siccome è ora di pranzo compriamo delle focacce e andiamo a mangiare in riva a quel cumulo di nebbia e acqua che chiamano “lago”. Poi ci rimettiamo in marcia, verso il Teatro Bibiena.
Il Teatro Scientifico Bibiena è sicuramente una delle tappe obbligate di Mantova: è un teatro antico interamente in legno, davvero spettacolare. Persino Mozart (padre del più famoso figlio) ha detto che è il teatro più bello dove si sia mai esibito.
Usciti da lì passiamo davanti a una bellissima chiesa. Ci avviciniamo e scopriamo che è di nuovo Sant’Andrea, che si presenta da un’angolazione diversa per non farsi riconoscere.
Per concludere la giornata visitiamo anche la chiesa romanica di San Francesco, non troppo distante (a Mantova niente è troppo distante). Poi, siccome abbiamo fame ed è ora di carnevale (cioè fine gennaio) decidiamo di assaggiare i dolci di carnevale tipici di Mantova, cioè le lattughe (non l’insalata dolce). Di fatto le lattughe sono identiche alle chiacchiere, che in Italia cambiano nome più spesso di un latitante in fuga. Purtroppo non le troviamo da nessuna parte, ma a furia di camminare capitiamo di nuovo davanti alla nostra stanza… e che si fa? Non si entra? Soprattutto quando si ha disposizione una Luxury Suite (non devo ripeterlo troppo spesso se no poi il mio cervello si abitua e non riesco più a fargli accettare la parola “campeggio”).
A quel punto, si fa ora di cena. Carichi e affamati usciamo e ci dirigiamo verso una pizzeria che sembra veramente buonissima, ma solo per trovarla chiusa. Nonostante la delusione troviamo la forza di dirigerci a una hamburgheria lì vicino. Ma non c’è posto a sedere. Allora optiamo per un pub, ma anche questo è pieno, al contrario del nostro stomaco. Ormai si è fatto tardi e persino il McDonald si fa trovare chiuso (ed erano solo le 22.15)!
Ecco un consiglio: se vi trovate a dover cenare a Mantova un venerdì o sabato sera d’inverno, prenotate un posto!
Dopo mezz’ora di cammino alla ricerca di un locale facciamo rotta verso il lago, sperando di veder uscire dalla nebbia spettrale qualche bestia strana, da poter mettere sotto i denti. Non succede, ma in compenso troviamo del cibo da asporto e ci rifugiamo nella nostra Suite, per rifocillarci.
Day three – Sabato
Colazione con la Veneziana del Bar Venezia. La Veneziana è un dolce tipico del nord-Italia, è tipo una pagnotta con degli zuccherini sopra. Si dice che il numero di zuccherini sia uguale al numero dei Dogi di Venezia… o al numero del Doge? Comunque sia, non provate a chiamarlo.
Mentre siamo immersi nella nostra colazione, una signora si avvicina chiedendoci se abbiamo del dolcificante. Prima che possiamo rispondere si allontana, dirigendosi verso altri due clienti, facendo sempre la stessa domanda. In poco tempo questa misteriosa vecchietta fa il giro di tutti i tavolini ripetendo la sua tiritera. Una persona di scarsa immaginazione penserebbe che la vecchina è un po’ fuori di testa. Ma io ho un’altra teoria: la signora spaccia. Chiaramente il dolcificante altri non è che un’allusione a una qualche ben più illegale sostanza. La signora è veramente un genio del crimine! Perché spacciare di sera, tra i vicoli bui di qualche quartiere suburbano, dove la concorrenza è fittissima, quando puoi avere la città tutta per te al mattino nelle strade principali? Quando, al termine delle mie elucubrazioni scritte, rialzo lo sguardo mi rendo conto che siamo già in strada, in Piazza delle erbe.
In piazza delle Erbe (la piazza principale di Mantova), dal giovedì al sabato c’è il mercato settimanale. Perlopiù ci sono vestiti e frutta, ma anche scarpe e verdura. Girovagando in piazza e guardando le vetrine dei tanti negozietti, a un certo punto lo vediamo. Il dolce tipico di Mantova. No, non la lattuga. No, nemmeno la veneziana. No, neanche i cavalli! La sbrisolona! La sbrisolona è una torta maledetta, antenata della crostatina che nessuno vuole avere come merenda alle elementari. Infatti è una torta progettata appositamente per disfarsi in mille briciole, ma questo non inficia la sua bontà. Si può avere quella tradizionale con le mandorle o quella golosa col cioccolato (Mia non me l’ha lasciata prendere!). Oltre alla sbrisolona abbiamo comprato un altro prodotto tipico di Mantova: la mostarda. La mostarda mantovana ha origini antichissime, la ricetta sembra sia stata elaborata nelle cucine dei Gonzaga, probabilmente insieme a tutte le ricette a base di cavallo. Nel barattolo della mostarda si trova frutta di un solo tipo, conservata sotto zucchero e senape. Il risultato è qualcosa dal sapore agrodolce che a qualcuno piace e a qualcuno no. A me no, preferisco il dolcificante.
Dal momento che il nostro treno è al pomeriggio, abbiamo ancora una mezza giornata da trascorrere a Mantova. Purtroppo, avendo già fatto il check-out non siamo più da soli: Trolley trotterella di nuovo in giro insieme a noi (qualsiasi oggetto con le ruote quando passa sul ciottolato dei centri storici trotterella). Così, in quattro, ci incamminiamo verso la casa del Mantegna. Nel tragitto però passiamo davanti all’imponente facciata di una chiesa. Stiamo per passare oltre, convinti che sia l’ennesima apparizione della basilica di Sant’Andrea con una facciata diversa, ma poi ci rendiamo conto che non è così. È la chiesa di San Barnaba. Questa chiesa, il cui cupolone svetta sulla città, ha un bellissimo chiostro, nel quale rilassarsi passeggiando e leggendo le lapidi che tappezzano letteralmente le pareti. Non preoccupatevi, non c’è bisogno di essere poeti sepolcrali per divertirsi guardando tutte quelle tombe, basta saper leggere. Infatti le scritte (epigrafi) sulle lapidi sono frutto della cultura e delle usanze di secoli fa e usano un linguaggio esagerato e pomposo che a noi visitatori moderni risulta esilarante. Non vogliamo certo mancare di rispetto ai morti… però forse sarebbero contenti di sapere che ci hanno regalato un sorriso.
Mentre Mia visita la chiesa, io e Trolley andiamo in esplorazione del chiostro, scoprendo una sala conferenze in cui c’è un mercatino di libri vecchi e siccome i libri e i mercatini sono la mia passione mi incanto, perdendo la cognizione del tempo. A Mia, non trovando più me e Trolley è venuto un mezzo crepacuore. Per fortuna si è ripresa subito, altrimenti… chissà come sarebbe stata la sua epigrafe. Per rispondere a questa domanda ho provato a scriverla (si trova tra le foto).
Dopo la nostra passeggiata a San Barnaba, andiamo a casa del Mantegna, che è uno degli edifici più pregevoli del rinascimento italiano (la casa, non il Mantegna). La casa è stata realizzata da Andrea Mantegna per Andrea Mantegna stesso (quando si dice chi fa da sé fa per sé) e ha un bizzarro cortile interno circolare circondato da alte pareti che formano un quadrato. L’effetto è che quando si guarda in alto si vede questo quadrato di cielo inscritto in un tondo di mura. Sarebbe stato contento di abitarci Gino Paoli, è praticamente il cielo in una stanza.
Terminata la visita passeggiamo, sempre trotterellando (o trolleyellando o trotterelleyellando), fino alla Loggia delle Pescherie, dove c’è anche il mercato contadino sul Lungorio e continuiamo la passeggiata fino a trovarci alla cinta muraria.
All’improvviso è ora di pranzo. La fame ci coglie di sorpresa e il nostro ottimo tempismo ci ha allontanati da tutti i ristoranti, bancarelle e locali dove poter mangiare qualcosa. Così iniziamo a vagare disperati alla ricerca di qualcosa, quando vediamo una piccola insegna: La bottega di Paolo. Così entriamo e accade il miracolo: riusciamo a mangiare. Infatti questo è un all you can eat di cucina casereccia (aperto solo a pranzo). Ci godiamo un bel pranzo con primi secondi e contorni in abbondanza. Grazie Paolo. Poi ci dirigiamo verso la stazione, pronti a ritornare verso casa.
Una volta saliti sul treno rivolgiamo lo sguardo alla città, grati di essere stati accolti e di esserci riempiti gli occhi con le sue meraviglie. Poi ci sediamo e chiudiamo gli occhi, stanchi. Ma quando il treno parte, all’improvviso un pensiero mi pugnala la mente: ci siamo di nuovo scordati di salutare la Vecia Mantua!