Scoprire Barcellona con chi la abita

Vivere la vera Barca in cinque giorni
Scritto da: Sandro Rizzi
scoprire barcellona con chi la abita
Partenza il: 21/10/2010
Ritorno il: 26/10/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Un ritorno a Barcellona (dalla sera del 21 ottobre alla sera del 26) lasciandosi guidare da una giovane coppia, lui italiano lei di Pamplona, che nella capitale catalana vive e lavora ormai da anni. Sono un campione di quella generazione cosmopolita che dà energia a una città in evoluzione. Nell’ultimo biennio, mi dicono, la comunità italiana ha superato quella cinese. Sono quasi in 15mila: tecnici informatici, medici (richiesti soprattutto nella Sanità privata), manager di multinazionali, camerieri, commessi di negozi, anche studenti dell’Erasmus o specializzandi. Con un buon curriculum, tanta volontà di fare, flessibilità e spirito di adattamento, il posto lo si trova. Sugli aerei da e per Milano trovi soprattutto persone che viaggiano per lavoro. Consigliabili i tre collegamenti giornalieri Alitalia con Linate, andata e ritorno, mattino mezzogiorno e sera: prenotati in anticipo con Expedia i prezzi sono concorrenziali ai low cost. Dopo l’arrivo, il primo appuntamento è alle 22.30 all’Harlem Jazz Club, in Calle Comptesa de Sobradiel, dietro Plaça Sant Miguel, nella città vecchia. Zona pedonale, poco lontano dalla cattedrale. Un’insegna poco vistosa, ma si è richiamati dalla musica. Ingresso 8 euro. Un bancone per le bevande, poi uno stanzone più lungo che largo: in fondo un palchetto senza pretese, con la scritta Harlem su un tendone nero. Questa sera in locandina c’è il complesso del nostro amico italiano: lui suona il sax, gli altri sono un tedesco e quattro spagnoli (una ragazza e tre ragazzi). Insieme da qualche anno, provano una volta alla settimana quando finiscono i rispettivi lavori. Gli ingaggi sono modesti, ma passione e piacere della compagnia prevalgono. Il pubblico rispecchia l’orchestra e si impegna anche in qualche allegra mazurka. Saluti e un’ultima birra compresi, all’una tutti a casa, perché il venerdì mattina si va in ufficio. Nella settimana per questa categoria di neobarcellonesi il giorno del divertimento serale è in genere il giovedì: tra sabato e domenica si va al supermercato, ci si dedica alla casa o si va per mostre.

Mangiare low cost, ma bene. Le nostre guide sono preziose per i ristoranti doc, collaudati ma a basso costo: si mangia bene, in locali di tradizione, a prezzi convenienti. Alla Pulperia “A’ Gudiña”, Carrer d’Entença 2, zona Plaça de España, servono infinite specialità galiziane, tra cui il famoso Polpo gallego, per poco più di 16 euro a persona. Accoglienza calorosa nella vecchia osteria “Cal Papi”, Calle Atlantida, vicino al nuovo mercato del quartiere Barceloneta, poco distante dalla spiaggia. Carmen, la padrona argentina, propone la Coda di toro in umido con patate, bollenti frittelle di baccalà, molluschi vari, ceci con tonno, una polpetta di carne resa una vera “bomba” da un tocco di salsa piccante. Anche qui sui 15 euro. Da pesce e carne, ai menu vegetariani: “L’hortet”, Calle Pintor Fortuny 32, a cinque minuti dalla Rambla, offre piatti sfiziosi in un ambiente allegro e colorato. Un luminoso self-service della catena “Lactuca”, Ronda Sant Pere 17 angolo Pau Claris, a un passo da Plaça Catalunya, per 8,95 euro, a mezzogiorno, a volontà insalata, pizza, un piatto di carne o pesce, bevanda, dessert e caffé. Una sosta confortevole che saziato dopo una inevitabile camminata. Perché città come Barcellona vanno conquistate a piedi (rilassante la domenica pomeriggio a Barceloneta una passeggiata lungo la spiaggia che è uno dei lasciti fruttuosi dell’Olimpiade 1992). Lavori in corso (pare ancora per qualche mese) privano i visitatori del settimanale spettacolo d’acqua, colori e musica alla Font Magica di Montjuic: salire al tramonto le scalinate fino al Museo nazionale d’arte della Catalogna consente in ogni modo di affacciarsi sullo scenario di Plaça d’Espanya.

Comprare con gusto. Ormai i marchi e le firme del mondo globalizzato sono presenti ovunque. Ma i giovani amici ci fanno scovare qualche negozietto ricco di originalità e di fascino. Sempre in Calle Pintor Fortuny all’angolo con Calle Doctor Dou, “Naifa” conquista le donne con abitini, golf fatti o decorati a mano, piccola bigiotteria, borse dipinte: un’idea regalo sono mutandine pezzi unici, di morbidi tessuti differenti combinati in fantasie di colori. Qualche intenditrice poi non riparte prima di aver fatto una capatina nei due negozi “Paramita” (Ramblas 88 e Calle Argenterìa 6) per le nuove collezioni estrose e coloratissime di abbigliamento a prezzi ragionevoli: ci sono sempre sconti sui capi più “vecchi”. Un’altra prova che a Barcellona c’è lavoro per tutti? Ancora in Calle Pintor Fortuny, al numero 14 da “Kinki peluqueros”, negozio di una catena olandese aperto anche il lunedì, un rasta francese, alto, ipertatuato, in canottiera nera, fa il parrucchiere. Il locale sembra l’installazione di un artista bizzarro: sedili con cuscinetti in pelle simili a panettoncini ognuno di diverso colore, specchi con graffiti, poltroncine incartate in teli di plastica. Un servizio impeccabile: per soli 20 euro “sciampo specifico, crema, cristalli di luce”. Da raccomandare, garantisce una signora abituata a ben altri prezzi in saloni meno attraenti. Il rasta, sotto i trent’anni, è molto ciarliero: “Sono di Tolosa, ho cominciato a fare questo mestiere a Parigi. Dopo un po’ d’anni però non ne potevo più. Ho piantato tutto per venire qui e penso che non mi smuoverò: è un altro vivere rispetto a Parigi”.

Il quartiere di Raval. Dopo ristoranti e shopping, la coppia italo-spagnola ci fa conoscere il CCCB e il MACBA, due splendidi esempi di architettura degli Anni ’90, nel quartere di Raval, proprio sotto la piazza dell’Università. Il CCCB, Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, aperto nel 1994, è il risultato della ristrutturazione della Città della Carità, un complesso di edifici dell’800: ospita mostre, congressi, concerti, sale multimediali. L’ampio cortile quadrato ha una illuminazione smagliante perché in alto il sole è filtrato da un intreccio di pannelli verticali che crea un gioco di riflessi mobili. In più, la parte superiore del lato rinnovato tutto in vetri a specchio è inclinata quel tanto che dal basso consente di vedere uno squarcio di panorama fino al porto vecchio: una sorta di periscopio. Fino al 9 gennaio 1911 ci si può perdere nei labirinti: ad essi è dedicata una mostra (ingresso 4,5 €, gratis dalle 15 alle 20). Dal mitico labirinto di Creta (Minosse, il Minotauro, Teseo e il filo di Arianna…) ai labirinti più moderni creati con le tecniche audiovisive. Passando per il labirinto di Villa Pisani a Stra (Riviera del Brenta) a quello dei Gonzaga a Mantova. Si può anche cimentarsi a compiere il percorso con un dito: su uno schermo i presenti seguono l’avanzata verso il centro o il tentativo di uscita, fino a quando scade il tempo e appare il verdetto con il punteggio acquisito. Non c’è pericolo di finire nelle fauci del Minotauro. Sarebbe bello se questa esposizione arrivasse in qualche città italiana. Due passi ed eccoci al MACBA, il Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona, inaugurato nel 1995 e progettato dall’architetto americano Richard Meier: da una hall cilindrica parte una serie di rampe meccaniche che portano alle varie gallerie. Attraverso le grandi vetrate le opere esposte sono in dialogo continuo con le forme degli edifici circostanti. Del Macba fa parte anche quella che era la cappella del seicentesco Convento degli Angeli: ristrutturata, viene utilizzata per mostre temporanee (fino al 6 febbraio 2011, l’artista marocchina Latifa Echakhch, presenta tre installazioni create apposta per questo spazio suggestivo: colpisce in particolare una serie di bianchi pennoni di navi intrecciati che evoca una fantasia tradizionale marocchina). L’antistante Piazza degli Angeli è subito diventata, grazie alla sua conformazione inclinata, la pista ideale per lo skatebording: a qualsiasi ora si vedono in azione parecchi skater, anche professionisti.

“Volem un barri digne!!”. Queste case della cultura, insieme ad alcuni edifici dell’università, fanno parte di un piano di progressiva riabilitazione del Barrio Al Raval, quartiere con scarsa reputazione, accanto alle famose Ramblas: si cerca di creare attrazioni, mentre con teli bianchi appesi alle finestre gli abitanti reclamano: “Volem un barri digne!!”. Ci sono ancora troppi sbandati, troppi immigrati irregolari senza contare i poco raccomandabili turisti inglesi che piombano a Barcellona la sera per ripartire all’alba successiva dopo i bagordi degli addii al celibato: va di moda il pacchetto comprendente “aereo-festa-aereo” e nulla più. Sbronze e canti, con l’immaginabile seguito, non alzano certo il livello della zona. Va inoltre ricordato che in tutta la città le tecniche dei borsaioli sono sempre più raffinate. Capita sovente che un turista sia avvicinato da un finto straniero che, cartina in mano, si finge smarrito e chiede indicazioni, mentre i compari silenziosi accerchiano a sandwich la vittima svuotandole la borsa magari con una cesoia. Bisogna stare molto attenti. Sempre nel tentativo di ripulire l’area, proprio sulla Rambla Raval è stato ora costruito un grande albergo di lusso, cilindrico, che svetta ben al di sopra delle costruzioni circostanti. Infine, seminascosto dietro gli alberi, sta sornione il “Gato” di Botero. Un bonario gattone in bronzo (alto 2 metri e mezzo e lungo 5 coda compresa) che si lascia cavalcare dai bambini. Lo scultore colombiano, famoso per i suoi personaggi ben in carne, lo ha donato alla città nel 1987 e da allora il gatto ha cambiato più volte collocazione, vagabondo come ogni felino che si rispetti. Da non molto l’amministrazione comunale lo ha spostato qui. Botero, abituato a prestigiose location in varie metropoli, sembra abbia storto il naso, ma forse anche il suo micione contribuirà a rendere più frequentabile la zona. Intanto sulla stessa Rambla sotto una tenda beduina si beve té alla menta e sulle panchine si riposano anziani nordafricani con i loro tradizionali copricapo cremisi: immobili, silenziosi, ma non sono le statue viventi che popolano la non lontana più celebre Rambla con la sua pavimentazione a onde.

La Font del Gat. Un altro gatto, ben più antico, lo troviamo nella zona di Montjuic. Dopo aver rinunciato (poco tempo e coda troppo lunga) ad entrare alla Fondazione Mirò (da non mancare però la prossima volta) si scende tra le scalette in pietra del parco-giardino e ci si imbatte nella Font del Gat, una fontana che risale all’800 intorno alla quale, nello spiazzo, si riunivano cantastorie, musici, allegre brigate per far festa. Oggi dal muso in cemento del gatto non sgorga acqua, ma il luogo è accogliente con un’ampia terrazza sulla città: tra gli alberi sbucano laggiù, proprio di fronte, a portata di teleobiettivo, le guglie e le gru della Sagrada Familia. Il capolavoro incompiuto del fantasioso Gaudì vivrà la sua grande giornata domenica 7 novembre, quando papa Benedetto XVI, presenti re Juan Carlos e la regina Sofia, lo consacrerà basilica. Barcellona è in fermento per la visita. L’affitto di un balcone per vedere il corteo della papamobile e arrivato anche a 1500 euro nelle case che si affacciano sul cantiere infinito. E’ a cinque minuti dalla Sagrada Familia che in Internet abbiamo trovato un albergo, il Sant Antoni (Consei de Cent 476): appena finito e aperto, tutto vetro e trasparenze, ma partorito da un creativo minimalista che ha pensato all’estetica e non alla funzionalità (doccia sdrucciolevole senza portasapone, unico comodino stretto e con telefono enorme, tra i due letti, tavolino quadrato microscopico, riscaldamento regolabile dal funzionamento incomprensibile). Camera doppia, prezzo variabile a seconda dei giorni, colazione non compresa (8€ a persona): 626 euro. Menomale che il personale era efficiente e gentile. Il relativo decentramento rispetto alle nostre mete ci ha indotto a usare molto i taxi. E la voce taxi ha contribuito a mantenere la spesa al livello del nostro incontro con la generazione multinazionale che sta rendendo Barcellona sempre più all’avanguardia. Il servizio è molto buono: sono 11mila, li prendi “al volo” a tutte le ore (una luce verde accanto alla scritta è il segno che la vettura è libera) e il costo della corsa è decisamente basso rispetto alle città italiane o anche a capitali come Parigi. Dalla Fondazione Mirò all’albergo e quindi all’aeroporto (distante dal centro una quindicina di chilometri): una quarantina di minuti, 30 euro. A Milano il pomeriggio di domenica 31, senza traffico, ne abbiamo pagati 11 dalla Stazione Centrale al Palazzo di Giustizia.



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