Vivere Saigon
Un viaggio a Saigon inizia all’aeroporto, dove una miriade di persone si accalca all’uscita degli arrivi, quasi semplicemente per il gusto di aspettare. Anche prendere un taxi non è facile a Saigon perché ci sono i cosiddetti taxi fantasma, dei taxi non ufficiali il cui tassametro corre un po’ troppo velocemente. Potrete riconoscere i taxi ufficiali da un bollino col numero sul vetro anteriore e dal fatto che hanno il tassametro di fronte al sedile del passeggero anteriore. Ad ogni modo una corsa dall’aeroporto in centro costa circa 60.000 dong, circa 4 dollari.
A proposito di dollari, e in alcuni casi anche di euro, non conviene cambiare le valute occidentali negli uffici cambio perché basta pagare in dollari o euro per avere il resto in dong. Se proprio dovete farlo recatevi piuttosto in gioielleria: è assurdo ma li si cambiano i soldi e il tasso di cambio è più conveniente che negli ufficio cambio o in hotel. Ufficialmente a Saigon vivono 5 milioni di abitanti ma dalle campagne si riversano in città circa 3 milioni di pendolari ogni giorno, ovviamente tutti muniti di rumorose motociclette, mascherine antismog e guanti al gomito antiabbronzatura. Se siete per strada in taxi vi sembrerà di andarvi a spiaccicare contro ognuna di tutte quelle motociclette, che scorrono per le strade come le acque di un fiume in piena. Un segreto per attraversare la strada è di farlo lentamente, resistendo all’istinto di correre: sarà più facile per i motorini evitarvi. In ogni caso il saigonese, vivendo per strada, sembra accoglierti con la sua apparente innocenza e naturalezza e il senso di privacy, tipicamente occidentale, sembra essere minimo. Se vi imbattete in dei coloratissimi carri che sembrano usciti dal carnevale di Viareggio, osservateli con attenzione ma non fotografateli: si tratta di carri funebri e meritano lo stesso rispetto dei nostri, anche se qui il rapporto con la morte è molto meno drammatico del nostro.
Anche se è raro vederli per le strade, in alcune delle quali sono banditi, i cyclo esistono. Mezzi di trasporto di giorno e scomodi letti quando fa buio, sono il simbolo di quel Vietnam che procede con lentezza e in silenzio, e che va pericolosamente scomparendo soppiantato da più veloci quanto rumorose motorette. Il passato e presente di una nazione. Chissà il futuro. Mi sembra moralmente d’obbligo visitare il Museo dei Crimini di Guerra a Saigon. Di questa toccante testimonianza delle atrocità della guerra, mi ha colpito la foto di una macchina fotografica perforata da un proiettile appartenuta ad un fotografo giapponese ucciso da quella pallottola. Sembra che la Guerra americana abbia voluto eliminare i reporter che avrebbero potuto testimoniare le disumane cattiverie perpetrate. Il Vietnam è stato dominato dai cinesi per un millennio. Di fatti la cultura cinese ha influenzato tantissimo quella vietnamita e anche se scacciati dal paese i cinesi hanno mantenuto la loro presenza a Saigon, dove popolano un intero quartiere, quello di Cholon, uno dei più vitali di questa già vitalissima città. Tutto Cholon merita una visita, ma in particolare merita il mercato all’ingrosso di Ben Thanh. Ci si può trovare di tutto, ma soprattutto perdersi ad osservare l’umanità e vivacità di questo popolo. Non sarà difficile vedere uova di tutti i colori, decine di tipi di zucchero e pepe, bancarelle che seppelliscono i loro proprietari, motorini stracarichi di mercanzie, macellerie open air… Consiglio di assaporare la delicata e deliziosa cucina vietnamita a base di pesce e verdure nei ristoranti Pho Hoa e Indochina. In tutti e due ho potuto anche ascoltare e vedere esibizioni di musica tradizionale vietnamita eseguita con particolarissimi strumenti a corda. Non mi avventurerò nel dirvi i nomi di questi strumenti che si suonano con unghia finte di metallo, ma il loro suono ha qualcosa di psichedelicamente trascinante, per non parlare dell’eleganza delle suonatrici. È incredibile ma “Torna a Surriento” fa parte del repertorio tradizionale del bravo musicista vietnamita (loro la chiamano “Back to Surriento”) e vi assicuro è stato commovente sentirla suonata.
Per un caffè pomeridiano o una crepe franco-vietnamita vale la pena cercare La Fenêtre Soleil. In effetti è letteralmente camuffato da un ingresso che sembrava quello di un bagno pubblico abbandonato, tutto l’arredamento di questo locale è fatto da materiali trovati per strada inclusi i pavimenti. Davvero un chicca. Per i più goderecci e ballerini consiglio il Maxim’s una discoteca soft in centro frequentata da benestanti saigonesi. Chi preferisce bere una birra o, come si usa a Saigon, un’intera bottiglia di cognac Hennessy, merita una visita il Seventeen un american bar lungo il fiume Saigon in centro dove si esibiscono gruppi dal vivo filippini. Chi ha la fortuna di uscire da Saigon andando verso sud, si imbatterà nel fiume Mekong (o dovrei chiamarli “i fiumi Mekong”, visto che non sono riuscito a capire quante ramificazioni abbia prima di abbracciare il mare), che è davvero la fonte di ricchezza e sostentamento del popolo del delta: gli dona argilla per costruire le loro case, acqua da bere, campi fertili per piantare il grano e seppellire i morti (ebbene si…In Vietnam, secondo esportatore al mondo di riso, i morti si seppelliscono nelle risaie), frutteti e foreste per farci mobili e capanne. Le ramificazioni del delta del Mekong sembrano le dita d’acqua di un’enorme mano. Una mano che accoglie e sostenta milioni di sfortunati ma dignitosissimi amici viet.
Andare a Saigon, o forse dovrei dire di andarsi a cercare a Saigon, è un’esperienza di vita. È una città in cui l’asiaticità ti trascina e la cui umanità ti fa guardare dentro. Purtroppo temo che la città conserverà la propria identità ancora per poco, disposta com’è a fare commercio di sè e a mercificare tutto. Sarebbe un peccato…E il dio dollaro avrebbe piegato l’orgogliosissimo popolo vietnamita con 30 anni di ritardo.