Viaggio on the road nella Turchia occidentale: 18 giorni di pura meraviglia

Scritto da: LucaGiramondo
viaggio on the road nella turchia occidentale: 18 giorni di pura meraviglia

Dopo la prolungata agonia dei viaggi, causa pandemia, per queste ferie estive torneremo finalmente a calcare anche i confini geografici extra-europei, pur se, tutto sommato, non troppo lontani. Andremo infatti in Turchia, uno stato collocato fra Europa ed Asia, scrigno di una cultura millenaria e dalle affascinanti sfaccettature, un paese però molto esteso (poco meno di 800 mila chilometri quadrati, quasi tre volte l’Italia), del quale, per ovvi motivi di tempo, ne esploreremo solo la metà più occidentale, ricca di storia e luoghi particolarmente interessanti.

Diario di viaggio

Sabato 12 agosto

Alle 11:10, di una calda mattinata di metà agosto, partiamo da casa e, vista la giornata da bollino nero prevista per il traffico, siamo subito costretti a cambiare itinerario, così, anziché a Faenza, dopo circa mezzora, entriamo in autostrada A14 ad Imola, diretti a nord. In questo modo, un quarto d’ora dopo mezzogiorno, giungiamo a Bologna e al Bravo Parking, dove lasciare in deposito l’auto per l’intera durata della vacanza, quindi, con la navetta gratuita, raggiungiamo la hall delle partenze dell’Aeroporto Marconi.

Non ci sono tante file agli imbarchi e ai controlli doganali, così, dopo aver consumato anche uno spuntino, in perfetto orario, giungiamo al gate previsto e lì ci mettiamo in attesa del volo TK 1324 per Istanbul. Senza troppi patemi si fa l’ora dell’imbarco e, una volta saliti a bordo, il Boeing 737 della compagnia Turkish Airlines, stacca da terra virando subito verso sud-est, quando sono le 14:45.

Il volo è super tranquillo e anche breve, così dopo aver spostato le lancette dell’orologio avanti di un’ora, sul fuso turco, alle 17:49 locali atterriamo (in anticipo) nel Grand Airport di Istanbul. Oltrepassiamo senza problemi il controllo passaporti, ritiriamo sane e salve tutte le nostre valigie, ci procuriamo un po’ di valuta turca e poi usciamo, come da istruzioni ricevute, dalla porta numero 14 per incontrare il tassista che ci accompagnerà nel centro di Istanbul.

In effetti l’aeroporto è molto fuori la città e, una volta incontrato il nostro uomo, impieghiamo quasi un’ora per giungere all’Edibe Sultan Hotel, in pieno quartiere di Sultanahmet, nel quale prendiamo alloggio per le prossime tre notti. Portiamo i bagagli in camera e usciamo subito per cena nei paraggi. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta perché le vie intorno a noi sono molto turistiche e disseminate di locali, così ci fermiamo (o meglio, ci fermano) al primo che incontriamo, l’Amara Restaurant, dove gustiamo ottimi piatti tipici turchi (ad un prezzo però non stracciato), poi facciamo una passeggiata nei dintorni prima di ritornare in hotel per il giusto riposo.

Domenica 13 agosto

Prima giornata di visite ad Istanbul, non capitale ma indiscussa metropoli turca, con oltre quindici milioni di abitanti. Facciamo colazione in hotel e poi prendiamo il via, poco dopo le 8:30, a piedi, seppur per poche centinaia di metri, fino al primo luogo di visita, che aprirà i battenti alle 9:00, ma che solitamente ha lunghe code di attesa. Questo luogo è la cosiddetta Basilica Cisterna, la Yerebatan Sarnıcı, che in turco significa “il palazzo inghiottito”, fatto costruire nel IV secolo e poi ampliato dall’imperatore Giustiniano nel 532. La Cisterna, lunga 143 metri e larga 70, è un enorme spazio sotterraneo nel quale si trovano 336 colonne alte 9 metri, che ricordano una colossale chiesa sommersa e che un tempo forniva acqua al palazzo imperiale, con un serbatoio capace di ben 80.000 metri cubi.

Poco dopo le 9:00 siamo già al suo interno e ne restiamo esterrefatti perché le sue dimensioni sono davvero impressionanti. Così la esploriamo con soddisfazione e quando torniamo all’aria aperta dobbiamo però constatare, con rammarico, l’arrivo di tante nuvole, che incupiscono decisamente il cielo.

Dalla Basilica Cisterna, passando per la Sultanahmet Meydanı, la vasta piazza che nell’antichità era lo Stadio di Costantinopoli, giungiamo all’ingresso del Museo delle Arti Turche e Islamiche, ma non per visitarlo, bensì per acquistare, presso la sua biglietteria, il Museum Pass Turchia, che ci darà l’opportunità di accedere alla maggior parte dei siti archeologici e culturali del Paese, nei prossimi quindici giorni, con un notevole risparmio di tempo ma anche economico. Tornati sui nostri passi ci fermiamo poi a vedere, nelle vicinanze, il ricco e suggestivo Mausoleo di Ahmet I, il sultano che commissionò, nel XVII secolo, la costruzione della grande Moschea Blu. Qui, in un ampio e sontuoso spazio, su di un rosso tappeto, sono collocati, uno di fianco all’altro, i sarcofagi dell’intera famiglia.

In breve giungiamo quindi al cospetto della monumentale ed universalmente nota Basilica di Santa Sofia, vero e proprio gioiello dell’architettura bizantina, che porta splendidamente i suoi quasi 1.500 anni di età, perché i lavori di edificazione risalgono al 532 e l’inaugurazione al 26 dicembre del 537, per mano dell’imperatore Giustiniano. Santa Sofia fu poi trasformata in moschea, per volere di Mehmet II, dopo la presa della città da parte degli ottomani nel 1453. I nuovi conquistatori coprirono i mosaici cristiani e aggiunsero i minareti, ma, soprattutto, rimasero ammaliati dalla maestosità dell’edificio, tanto che ne fecero un modello per la costruzione delle future moschee. L’accesso al monumento è caratterizzato da una lunghissima coda, che affrontiamo con pazienza, ma che si rivela più breve del previsto (circa mezzora), così ben presto ci ritroviamo al suo interno ad osservare, estasiati, le sue colossali dimensioni e mirabili fattezze, con la navata centrale di 70 metri per lato e la grandiosa cupola che, svettante a 56 metri di altezza e con un diametro di 30, risulta una delle più ampie al mondo. Ci fermiamo un po’ in contemplazione e poi usciamo all’aria aperta, dove il sole è ancora latitante, quindi, saltata la visita agli attigui Mausolei Ottomani, ovvero le tombe di numerosi sultani, che sono in restauro, c’incamminiamo sul retro di Santa Sofia verso l’Imperial Gate, la porta che dà accesso al palazzo del Topkapı, fiancheggiata dalla monumentale Fontana di Ahmet II, eretta nel 1728 in stile ottomano, ma con influenze del rococò europeo.

Prima di dedicarci alla visita del famoso palazzo imperiale ottomano diamo però uno sguardo alla vicina chiesa bizantina di Santa Irene (piuttosto spoglia e decadente), ma soprattutto esploriamo il Museo delle Antichità, nella speranza che poi arrivi il sole. Il museo è una importante collezione di statue, stele, sarcofagi e altre antichità provenienti da tutto il Medio Oriente; davvero un bel museo, ben organizzato, che ha meritato appieno il tempo a lui dedicato, nel quale spicca per interesse il meraviglioso Sarcofago di Alessandro, ma anche il Sarcofago della Licia, risalente al 400 a.C. Quando usciamo, poco dopo mezzogiorno, finalmente filtra qualche timido raggio di sole attraverso le nuvole. Torniamo allora verso Santa Sofia e nei pressi pranziamo con un panino acquistato per strada, quindi riprendiamo l’itinerario andando di nuovo in direzione del Topkapı. Costruito nel 1478 sul Promontorio del Serraglio, ubicato fra il Corno d’Oro ed il Mar di Marmara, il palazzo crebbe poi fino ad inglobare l’antico palazzo imperiale bizantino e fu residenza di 26 dei 36 sultani dell’Impero Ottomano. Varchiamo ancora una volta la Imperial Gate e poi anche la cosiddetta Porta di Mezzo, che dà accesso al cuore del grande complesso monumentale, un insieme eterogeneo di chioschi, harem, corridoi e ampi cortili che ci apprestiamo ad esplorare.

Cominciamo dalla Corte delle Cerimonie e da lì entriamo dell’Harem, la sezione più ricca ed affascinante, composta da circa 300 stanze (ma se ne visita solo una ventina), dove alloggiavano un migliaio di donne, oltre al sultano e al suo evirato corpo di guardia, i leggendari eunuchi. Usciti dall’Harem, nella terza corte del Topkapı, visitiamo la Sala delle Udienze, detta Arz Odası e ubicata all’interno di un suggestivo padiglione dall’ampio cornicione spiovente, fiancheggiato dal palazzotto che ospita la Biblioteca di Ahmet III, un tempo custodia di oltre seimila preziosi volumi. Dalla stessa corte accediamo poi alla Sala del Tesoro dove sono esposti gioielli universalmente unici, come il Pugnale Hançer, che porta incastonato a sé il celebre diamante Spoon Maker, uno dei più preziosi al mondo, ma anche la sezione delle Reliquie dei Santi, con alcuni importanti cimeli del mondo islamico, fra i quali alcuni oggetti appartenuti a Maometto, ma anche, addirittura, il presunto Bastone di Mosè. Nella quarta ed ultima corte vediamo infine il grazioso Bağdat Köşkü, un edificio ottagonale interamente rivestito di piastrelle blu di Iznik e circondato da esili colonne, il tutto accompagnati dal sole ed ampi spazi di cielo serenoma è solo un’illusione!

Poco più tardi, infatti, tornano a perseguitarci le nuvole, mentre ripassiamo nei pressi di Santa Sofia e sfiliamo l’Hamman Haseki Hürrem, il secondo più grande della Turchia (dopo quello di Bursa), fatto costruire nel 1556 da una moglie di Solimano il Magnifico. In questo modo giungiamo al cospetto della grande Moschea Blu, eretta nel XVII secolo dal sultano Ahmet I, nelle cui intenzioni c’era la volontà di generare un edificio ancora più maestoso della Basilica di Santa Sofia, e lo fece caratterizzando la moschea con ben sei minareti, che a suo tempo suscitarono parecchio scandalo nel mondo musulmano, poiché solo quella de La Mecca ne aveva altrettanti. Alla fine il sultano risolse il problema inviando il suo architetto a La Mecca per aggiungerne un settimo. Ci presentiamo all’ingresso del complesso religioso poco dopo le 16:00 con davvero poco tempo da perdere, perché un quarto d’ora prima delle 17:00 chiuderà i battenti per la preghiera quotidiana. Ci avventuriamo così, celermente, nei suoi sontuosi interni, illuminati da 260 finestre e impreziositi da decori in maioliche blu, da cui il nome del luogo.

Usciti dalla moschea addirittura piovigginache disdetta la pioggia, ad Istanbul, in agosto! Sorpresi e un po’ attapirati ci rechiamo così nel quartiere retrostante per visitare il Museo dei Mosaici, contenente opere bizantine ritrovate in loco e risalenti al VI secolo, ma è chiuso per restauri, allora ci avviamo verso la Piccolo Santa Sofia, di origine precedente alla sua più nota e grande sorella, della quale sembra essere uno studio preliminare, mentre comincia a farsi sentire la fatica di questa prima intensa giornata di visite. Nell’attesa che termini la preghiera per entrare dentro la Piccola Santa Sofia smette di piovere e filtra pure qualche timido raggio di sole, così, un po’ più sollevati, possiamo esplorare l’attuale moschea, che risulta carina, ma meno bella, a quanto si dice, dell’antica chiesa cristiana. Dalla Piccola Santa Sofia andiamo poi verso il termine dell’odierno itinerario. Manca però all’appello ancora la Moschea di Sokullu Mehmet Paşa, progettata nel XVI secolo dal famoso architetto ottomano Mi’mār Sinān, dall’interno davvero bello, tutto tempestato di piastrelle colorate di Iznik, seppur abbastanza intimo, viste le ridotte dimensioni, e manca anche la Colonna di Costantino, non eccelsa nell’aspetto ma con una storia decisamente travagliata. Eretta nel 330 d.C. inizialmente era infatti alta cinquanta metri e sormontata da un’enorme statua dell’imperatore Costantino. Nel 1106 però una forte tempesta provocò la caduta della statua e di alcune parti superiori. Nel 1779, infine, un vasto incendio del quartiere la mutilò ulteriormente e oggi, alta solo 35 metri, fa parte comunque del Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Poco dopo le 18:00, chiudendo il cerchio, arriviamo sfiniti all’Edibe Sultan Hotel e ci trasciniamo in camera per una doccia ed un riposino, prima di uscire per cena. Intorno alle 20:00 scendiamo poi nuovamente in strada e andiamo a rifocillarci, nelle vicinanze, al Pasha Restaurant, quindi facciamo una passeggiata fino a vedere Santa Sofia e la Moschea Blu illuminate. Sono davvero splendide e particolarmente suggestive allorquando cominciano ad urlare i müezzin, che richiamano alla preghiera della sera.

Dopo quest’ultima esperienza possiamo infine goderci il meritato riposo, nel nostro hotel, chiudendo una bellissima ed indimenticabile giornata, disturbata solo da troppe nuvole.

Lunedì 14 agosto

Scosto le tende della camera e fuori il cielo è tutto grigio, non è da credere: si prospettano due giorni ad Istanbul, in estate, senza sole! Intorno alle 8:30 usciamo comunque dall’Edibe Sultan Hotel e diamo il via alle danze.

Camminiamo per qualche centinaio di metri ad ovest del nostro hotel, passiamo davanti alla Colonna di Costantino e arriviamo all’ingresso Nurosmaniye Kapısı del famoso Gran Bazar di Istanbul, uno dei più grandi e antichi mercati coperti al mondo, risalente al 1461, che oggi conta 18 porte d’ingresso, 60 strade e oltre 4.000 negozi. A quest’ora del giorno il luogo non è ancora troppo affollato e possiamo girarlo tranquillamente, seguendo un percorso predefinito, che passa fra due ali di colorite attività commerciali e da alcuni punti di interesse, come il curioso Chiosco Orientale ed il Caravanserraglio Zincirli Han, fino a condurci all’uscita da Beyazıt Kapısı. Arrivati in questo modo sull’ampia strada prospicente il Gran Bazar ci mettiamo alla ricerca di un taxi che ci conduca, a tre chilometri di distanza, nel distretto di Fatih. Prima ci chiedono una cifra esorbitante, poi, al nostro deciso rifiuto, un tassista scende a compromessi e lo assoldiamo.

Così facendo giungiamo al cospetto della grande Moschea di Fatih, risalente al 1463, ma completamente ricostruita, nel 1771, in conseguenza di un devastante terremoto. La visitiamo, rimanendone ottimamente impressionati e poi da lì andiamo lungo alcune vie che ci fanno passare accanto ai ben conservati resti dell’Acquedotto Valente, dal nome dell’imperatore romano che fece completare la sua costruzione nel 368 d.C., un’opera che, con i suoi 921 metri, risulta il più lungo tratto di acquedotto romano esistente al di fuori dei confini italiani.

Passeggiando arriviamo così anche alla Moschea di Şehzade, commissionata nel XVI secolo da Solimano il Magnifico per commemorare il figlio prediletto (Şehzade Mehmed) prematuramente scomparso. Di dimensioni ridotte ma ugualmente affascinante. Usciti pure da questo tempio islamico ci avventuriamo in un isolato nel quale spiccano alcune case in legno, perfettamente ristrutturate e tipicamente ottomane, oltrepassato il quale guadagniamo l’immensa Moschea di Solimano, la seconda più grande di Istanbul, edificata per mano dell’omonimo sultano, su progetto del celebre Mi’mār Sinān, fra il 1550 ed il 1557 su di uno dei sette colli dell’antica Costantinopoli, con splendida vista sullo Stretto del Bosforo. L’edificio religioso, di sontuose e monumentali proporzioni è davvero bello, sia esternamente che internamente, e al suo fianco ci sarebbe anche la possibilità di vedere il mausoleo del mitico sultano, ma di lunedì (oggi) risulta purtroppo chiuso al pubblico.

Mentre in cielo appare qualche squarcio di cielo azzurro, non troppo beneaugurante per dire la verità, scendiamo sulle rive del Bosforo, presso il Ponte di Galata, una delle icone di Istanbul, che collega il quartiere di Eminönü, nella penisola storica, con quello di Galata. Lì andiamo a visitare prima la Moschea di Rüstem Paşa, realizzata nel 1561, piuttosto piccola, ma dagli interni eccellenti grazie alla sofisticata decorazione con le maioliche di Iznik, poi attraversiamo il Bazar Egiziano (o delle spezie), abbastanza ridotto, ma molto curato e caratteristico, forse più del Gran Bazar, per giungere infine alla Moschea Nuova, che nuova non è affatto, visto che risale al 1597, ed è anche decisamente interessante, sia esternamente che internamente, grazie agli elaborati ornamenti.

Ormai passato mezzogiorno andiamo a cercare informazioni circa la Crociera sul Bosforo con la compagnia statale Şehir Hatları e poi pranziamo, seduti ai tavoli di un vicino locale, in attesa della barca delle 14:40. Un po’ prima dell’orario ci mettiamo in fila per acquistare i biglietti, che costano un’eresia: 32 lire turche (circa 1 euro) per due ore di navigazione (per un tragitto simile alcune compagnie private chiedono 20-30 volte di più!). Poco più tardi quindi, nei tempi previsti, prendiamo il largo, mentre soffia vento forte ed il cielo minaccia pioggia; anzi, a metà percorso comincia veramente a piovere, che peccato! Poi, quando tutto sembrava perduto, le nuvole si aprono ed esce fuori un po’ di sole, ad illuminare almeno il clou dell’escursione, ovvero la piccola Moschea di Mecidiye, situata ai piedi del grande ponte sul Bosforo e alla fine, tutto sommato non delusi, rientriamo al punto di partenza, con il cielo che, nel frattempo, è tornato ad incupirsi.

A piedi attraversiamo il Ponte di Galata e, giunti sull’altra sponda, saliamo sulla collina che caratterizza questa parte della città, dove spicca la Torre di Galata che, alta circa 60 metri e risalente al 1348, è l’eredità più grande lasciata dalla dominazione genovese di quell’epoca. Lì affrontiamo una discreta fila per salirvi in vetta, al termine della quale però dobbiamo purtroppo riscontrare un panorama deludente, causa l’odierno meteo avverso. Ormai comunque è sera, così guadagniamo il capolinea della Linea T2, sulla quale opera lo storico tram e, saliti sullo sferragliante mezzo, percorriamo İstiklal Caddesi (la via più alla moda della città) e giungiamo a Piazza Taksim, la principale di Istanbul, nonché scenario di molte cerimonie ufficiali. Dalla piazza andiamo poi spediti verso l’epilogo di giornata grazie ad un taxi, ed è un’esperienza elettrizzante osservare il nostro estemporaneo autista destreggiarsi, più o meno correttamente, nel caotico traffico del centro di Istanbul.

Poco dopo le 20:00 arriviamo comunque (sani e salvi) all’Edibe Sultan Hotel. Facciamo una veloce doccia e poi usciamo a cena nelle vicinanze; un’altra buona cena, consumata questa volta al Sirevi Restaurant, quindi rientriamo in camera a sistemare le valigie, perché domani prenderà il via il nostro tour on the road della Turchia con la speranza di essere accompagnati da tanto sole!

Martedì 15 agosto

La sveglia è alle 7:00 in questa mattinata di un cupo Ferragosto turco sì, perché le nuvole persistono ancora nella zona e per fortuna noi, invece, dobbiamo cambiare aria. Alle 8:00 in punto arriva a prelevarci il taxi che deve accompagnarci all’aeroporto, non per un decollo però, ma per ritirare l’auto a noleggio che ci porterà a spasso per il Paese. Lungo il percorso pioviggina anche e prima delle 9:00 siamo già a destinazione, allora entro nella sala degli arrivi (da solo, per qualche problema al metal-detector causa le posate dentro lo zaino) e lì mi presento al banco Europcar. Poco più tardi così, nei vastissimi parcheggi del Grand Airport di Istanbul, ci consegnano una fiammante Renault Koleos nera, con la quale partiamo subito.

Dopo una manciata di chilometri mi accorgo però che il cofano anteriore non è ben chiuso e vibra vistosamente. Mi fermo per richiuderlo, ma non ne vuole sapere. Provo quindi a chiedere assistenza, più avanti, presso un’area di servizio, perché la cosa sembra piuttosto preoccupante, ma anche qui non trovano soluzione. Chiedo allora se cortesemente possono chiamare l’autonoleggio per spiegargli il tutto e alla fine mi dicono di tornare all’aeroporto per la sostituzione della vettura. Intorno alle 11:00 siamo così, di nuovo, all’aeroporto e lì ci consegnano un’auto gemella, anche nel colore (targata 34 GEE 118) e con quella ripartiamo, ma con circa due ore di ritardo. Per fortuna però la tappa odierna è quasi di solo trasferimento, seppur lunga oltre 500 chilometri. Passiamo per strade e superstrade che transitano a nord del Mare di Marmara e, consumato un veloce pranzo in area di servizio, poco dopo le 14:00 e finalmente con il sole ed il cielo azzurro, attraversiamo il poderoso ponte sullo Stretto dei Dardanelli, il 1915 Çanakkale Köprüsü, inaugurato il 18 marzo 2022, che è il più grande della Turchia e, con i suoi 2.023 metri di luce fra le due torri, anche il più lungo ponte sospeso al mondo.

Mezzora di strada dopo il ponte sui Dardanelli giungiamo poi nella città di Çanakkale e lì andiamo dritti a parcheggiare nei pressi del centro, sul lungomare, dove si trova l’originale Cavallo di Troia utilizzato nelle riprese del film Troy, con Brad Pitt, risalente al 2004. Scattiamo qualche foto e poi ripartiamo per andare, a breve distanza, a visitare il sito archeologico di Troia, mitica città dell’Ellade, narrata da Omero nell’Iliade e scoperta da Heinrich Schliemann nel 1871, che sapevamo essere piuttosto scarno, tanto che ci ha sorpreso più del previsto.

Dal sito di Troia ci restano però da percorrere ancora quasi duecento chilometri per giungere a destinazione, allora non perdiamo ulteriore tempo e intorno alle 19:30 arriviamo nella città di Bergama, all’Acropolis Guest House, dove alloggeremo per questa notte. Davanti a noi si apre così un portone ed entriamo in un piccolo mondo, curato in ogni particolare, che è questa bella struttura turistica a conduzione famigliare, nella quale più tardi ceniamo molto bene e pure ad un buonissimo prezzo!

Mercoledì 16 agosto

Finalmente la sveglia con il cielo azzurro sopra la testa. Peccato solo che l’Acropolis Guest House non serva la colazione prima delle 8:00, così partiremo in ritardo rispetto ai programmi. Al via, in auto, saliamo subito sulla collina che domina a nord la città, così da visitare l’Acropoli dell’antica Pergamo, che nel suo periodo di massimo splendore rivaleggiava con quella ben più famosa di Atene. Qui possiamo così osservare le spettacolari rovine del Tempio di Traiano (di epoca romana) e quelle sottostanti del Teatro Greco, una costruzione insolita ed imponente, dalle vertiginose pendenze, che poteva ospitare fino a 10.000 spettatori, edificata sul fianco della collina così da valorizzare il vastissimo panorama che da essa si gode.

Scesi dall’Acropoli ci fermiamo in centro a Bergama per dare un’occhiata alla cosiddetta Basilica Rossa, che in origine era un enorme tempio dedicato alle divinità egizie Serapide, Iside e Arpocrate, costruito nel II secolo d.C. Oggi, per quanto malconcio e in rovina, è ancora un edificio maestoso. Subito dopo ci spostiamo alla periferia occidentale dell’abitato per visitare anche il sito archeologico dell’Asklepieion, nel quale vediamo le interessanti rovine di quello che un tempo era un centro terapeutico, dove esercitava la sua professione Galeno, originario di Pergamo e da molti considerato il più grande medico dell’antichità. Intorno alle 11:00 lasciamo la città di Bergama e andiamo spediti verso sud lungo scorrevoli strade a quattro corsie. Oltrepassiamo la metropoli di Izmir (Smirne), che conta oltre quattro milioni di abitanti, e dopo circa due ore conquistiamo il paesone di Selçuk, sede di importanti vestigia. Prima di tutto ci rechiamo all’antica Moschea di Isa Bey, risalente al 1375, ma la troviamo chiusa per restauri, allora pranziamo nei paraggi con i nostri panini e poi ci dedichiamo alla visita della Basilica di San Giovanni e della Fortezza di Ayasuluk.

Cominciamo dalla Basilica che, voluta dall’imperatore Giustiniano (527-565 d.C.), un tempo era imponente e fu eretta in onore di San Giovanni, che visitò il luogo due volte: prima fra il 37 ed il 48 d.C. in compagnia di Maria e poi nel 95 d.C., ovvero nell’ultimo periodo della vita, quando scrisse il suo Vangelo, proprio sulla collina di Ayasuluk. Oggi di quell’edificio rimangono solo alcune rovine, in parte restaurate e ricostruite, ma comunque suggestive, che si stagliano sullo sfondo della poderosa fortezza, di epoca bizantina, della quale non resta molto oltre alle massicce mura.

Fa caldo in questa giornata, così come ci aspettavamo che fosse in Turchia, in pieno agosto, ma soffia anche una piacevole brezza, così dalla Basilica ci spostiamo, a piedi, nel centro di Selçuk, presso il Museo Archeologico di Efeso, il più importante sito ellenistico di tutta la Turchia, che visiteremo più tardi. Nel museo sono raccolti i reperti rinvenuti durante gli scavi dell’area archeologica, tutti molto belli, fra i quali spiccano la Statuetta di Priapo, mitologico dio greco della fertilità, riconoscibile per lo smisurato fallo, un magnifico busto di Marco Aurelio, talmente integro da sembrare appena scolpito, e due eccezionali statue della dea Artemide dai tanti seni, quale icona della fertilità femminile. Usciti dal museo, in anticipo sui tempi previsti, recuperiamo l’auto e con quella andiamo poco fuori la città, sulle alture che la sovrastano, per vedere la presunta casa della Vergine Maria. Giunti però sul posto ci chiedono un prezzo esagerato per visitarla, così desistiamo e torniamo sui nostri passi in direzione di Selçuk.

Ci fermiamo a scattare una foto dell’unico pilastro rimasto del glorioso Artemision, il tempio di Artemide che fu annoverato fra le Sette Meraviglie del mondo antico e poi ci rechiamo, intorno alle 16:00, al parcheggio del sito archeologico di Efeso per intraprenderne la visita. La gloriosa città di Efeso, in epoca greco-romana, era uno dei più importanti snodi commerciali di tutto il Mediterraneo, ma l’interramento del suo porto la portò lentamente al declino, fino ad essere definitivamente abbandonata e addirittura dimenticata in epoca medioevale. Grazie a questo i resti della città si sono conservati nel tempo e oggi, nonostante gran parte degli scavi siano ancora in corso, Efeso si può definire il sito archeologico di una metropoli classica più completo d’Europa. Parcheggiata l’auto e superati i tornelli di accesso arriviamo prima di tutto sulla monumentale Via Arcadiana, che un tempo collegava il porto al teatro ed era la più elegante della città, interamente pavimentata in marmo e illuminata da cinquanta lampade disposte lungo i colonnati.

Già da qui non si può fare a meno di notare il Teatro Grande, che era sicuramente l’edificio più imponente di Efeso, ancora più impressionante se osservato dalle sue gradonate, che potevano ospitare fino a 25.000 spettatori, rendendolo così il più grande dell’Asia Minore. Dalla base del teatro andiamo poi lungo la Via di Marmo, a metà della quale un volto di donna ed un piede sinistro scolpiti su di una lastra indicavano la direzione per il bordello, posto poco più avanti, e così facendo arriviamo alla celebre Biblioteca di Celso, punto saliente della visita ad Efeso. Questo, in effetti, è l’edificio meglio conservato e più spettacolare del sito, costruito nel II secolo d.C. e caratterizzato dalla sua meravigliosa facciata che spicca fortemente, nonostante l’evidente controluce. Al suo interno poi si pensa che ospitasse circa 12.000 pergamene, rendendola, a suo tempo, la terza biblioteca al mondo per numero di volumi, dopo quelle di Alessandria d’Egitto e Pergamo.

Proprio di fronte alla biblioteca si inerpica sul fianco di un colle la Via dei Cureti, che era la strada principale di Efeso, fiancheggiata da nobili botteghe e scultorei edifici, fra i quali, sulla sinistra, l’elegante Tempio di Adriano. Sull’altro lato della via entriamo invece nelle cosiddette Dimore a Terrazzi (che richiederebbero un biglietto aggiuntivo, ma sono comprese nel Museum Pass). Questa era una zona residenziale della città, nella quale oggi si può seguire un percorso che porta alla scoperta di alcune abitazioni di circa duemila anni fa in parte ben conservate, compresi alcuni magnifici affreschi, tanto che pare di essere a Pompei.

Ritornati sulla Via dei Cureti la percorriamo tutta, passando davanti alla bella Fontana di Traiano per giungere fino all’Agorà Superiore, una grande piazza che era il cuore legislativo e politico della città, con il pregevole Odeon, un piccolo teatro che veniva utilizzato principalmente per le riunioni del consiglio cittadino. Stanchi, ma pienamente soddisfatti, facciamo poi il percorso inverso, passando anche a vedere, vicino all’ingresso, i resti della Chiesa Paleocristiana della Vergine, nella quale si tennero, nel V secolo, i due principali Concili del mondo cristiano, quindi in auto guadagniamo il centro di Selçuk e la struttura turistica Amazon Antique, che ci ospiterà per la notte. Ci andiamo a riassettare un po’, dopo la bella ma faticosa giornata, e poi usciamo a cena, nelle vicinanze, al Ristorante Kybele Gastro, quindi, al termine di una passeggiata che ci ha portato a scoprire pure le rovine di un acquedotto romano, sul quale spiccano alcuni nidi di cicogne (ma non i volatili), rientriamo in camera a riposar le membra, perché siamo davvero sfiniti.

Giovedì 17 agosto

Giornata completamente dedicata all’esplorazione di siti archeologici e pare che farà anche molto caldo.

Dopo colazione, alle 8:30, lasciamo l’Amazon Antique e ci dirigiamo a sud di Selçuk, così, percorsa un’ora di strada, giungiamo presso il sito di Priene, che dal 300 al 45 a.C. era un’importante città facente parte della Lega Ionica e prima che il fiume Meandro esondasse aveva ben due porti ed era famosa per l’industria navale e la tradizione nautica. Oggi invece il mare neppure si vede da Priene, ma restano le importanti rovine, in particolare quelle del Teatro, molto ben conservate, e ciò che rimane del Tempio di Atena, fatto costruire addirittura da Alessandro Magno. Dopo un piccolo infortunio occorso a Leonardo (un po’ di paura ma nulla di grave) torniamo all’auto per riprendere l’itinerario e conquistare, ad una ventina di chilometri di distanza, il sito di Mileto, un tempo anch’essa grande città portuale, situata su di un promontorio non lontano dalla foce del fiume Meandro, dove non si può fare a meno di notare quella ciclopica costruzione che è il Grande Teatro ellenistico, dotato di ben 15.000 posti a sedere, mentre le restanti rovine risultano un po’ scarne.

Nei paraggi vediamo anche l’interessante Ilyas Bey Caimii, una moschea post selgiuchide del 1404, caratterizzata da un elaborato porticato, e poi riprendiamo strada, spostandoci di altri venti chilometri, fin quasi in riva al Mar Egeo, nella località di Didim. A Didim, e più precisamente nell’antica città di Didyma sorgeva uno dei più importanti templi dell’Ellade. L’Oracolo di Apollo di Didyma, infatti, aveva un prestigio secondo solo a quello di Delfi ed il tempio da cui parlava l’oracolo era uno dei più imponenti mai costruiti. Non di meno sono grandiose e spettacolari le rovine giunte ai giorni nostri, con basamenti di enormi colonne e colossali resti sparsi tutto intorno, fra i quali la splendida testa di Medusa che un tempo occupava un posto d’onore nel fregio del tempio.

Ci godiamo quanto più possibile il luogo e poi a Didim pranziamo, con la temperatura che intanto sale decisamente, soprattutto quando, poco dopo, ci avviamo verso l’interno. Il termometro segna infatti +37 °C, presso la cittadina di Sultanhisar, mentre arriviamo al sito archeologico di Nyssa, antica città fondata intorno al III secolo a.C. alle pendici del Monte Malgaç, di cui restano alcune interessanti vestigia, come lo splendido Teatro, del II secolo ed il ben conservato Bouleuterion, nel quale si riuniva il consiglio della polis greca.

Completiamo la visita con sollecitudine, visto il caldo, e alla ripartenza abbiamo necessità di fare rifornimento niente di più facile, vista la quantità di distributori presenti lungo le strade turche. Senonché ai primi due interpellati risulta terminata la benzina (avevano solo diesel) e, già un po’ preoccupati, riusciamo a fare il pieno solo al terzo tentativo, dopodiché, un po’ più tranquilli, possiamo andare verso il quinto ed ultimo sito di giornata, quello di Aphrodisias, antica città greco-ellenistica ubicata a seicento metri di altezza, nella valle del fiume Meandro, inserita dal 2017 nella lista dei Patrimoni Unesco.

Giunti nel parcheggio abbiamo però qualche timore a scendere dall’auto, perché il termometro segna +40 °C poi prendiamo coraggio e diamo il via alla visita, accompagnati per fortuna da un po’ di brezza che allevia la calura. Prima di tutto vediamo il bellissimo Tetrapylon, una costruzione formata da quattro gruppi di quatro colonne disposte in quadrato, eretta nel II secolo come passaggio monumentale su una delle vie cittadine più importanti, quindi quel che resta del glorioso Tempio di Afrodite e, in una posizione più periferica del sito, lo straordinario Stadio, la struttura del suon genere meglio conservata del mondo antico, che poteva contenere fino a 30.000 spettatori.

Tornando verso l’ingresso esploriamo poi il Bouleuterion e lo splendido Teatro, infine lo stupefacente Sebasteion, che fungeva da via processionale, fiancheggiata da un portico adornato da eccezionali bassorilievi. Vorremmo infine completare il tutto con la visita del Museo, ma al nostro passaggio ha già chiuso i battenti, allora usciamo comunque molto soddisfatti perché Aphrodisias, per ora, si colloca saldamente al secondo posto di una ideale classifica dei siti archeologici, subito dopo Efeso.

Da qui restano però ancora circa cento chilometri per completare la tappa, così ci muoviamo senza indugio e poco prima delle 20:00 arriviamo nella cittadina di Pamukkale per prendere dimora al Paradise Hotel. Portiamo i bagagli in camera e usciamo a cena nel piccolo centro, al China Town Restaurant (ma non di cucina cinese), dove mangiamo, senza infamie e senza lode, ad un prezzo irrisorio, quindi ci ritiriamo nei nostri appartamenti a riordinare le idee circa l’impegnativa giornata appena conclusa.

Venerdì 18 agosto

Ci aspetta un duro capitolo del viaggio, non tanto per le cose da fare ma per il caldo previsto, infatti, quando partiamo dall’hotel, ancor prima delle 9:00, ci sono già più di trenta gradi. In programma c’è uno dei luoghi più iconici di tutta la Turchia, il cosiddetto “Castello di Cotone” (la traduzione dal turco del suo nome: pamuk-kale, appunto), che è una collina interamente bianca, originatasi in modo naturale, in seguito a fenomeni sismici e tettonici, che hanno prodotto numerose sorgenti termali, con acque ricche di calcio e anidride carbonica, il cui scorrere, nel corso dei millenni, ha dato vita a queste straordinarie formazioni.

In auto andiamo a parcheggiare nel centro del paese, proprio ai piedi delle grandi cascate di bianchissimo calcare (dette anche “Travertini”), poi, da un taxi, ci facciamo portare a qualche chilometro di distanza, all’Ingresso Nord del sito, così da visitarlo nella sua interezza. Il “Castello di Cotone” è infatti compreso entro l’area archeologica di Hierapolis, antica città ellenistico-romana della Frigia, e insieme sono inserite nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco fin dal 1988. Appena varcato il cancello ci incamminiamo attraverso una vasta e suggestiva Necropoli: un migliaio di tombe disseminate in uno spazio di circa un chilometro. Un’affascinante successione di tumuli, sarcofagi e piccoli mausolei.

Attraversiamo quindi la stupenda Porta di Domiziano, che immette sulla monumentale Via Colonnata, e più avanti oltrepassiamo anche la Porta Bizantina per approssimarci al fulcro dell’antica polis, dove spicca il grandioso Teatro (in parte ricostruito). Gli ultimi metri, in forte salita, sotto il sole cocente, sono davvero faticosi, ma poi veniamo ampiamente ripagati dalla vista delle gradonate, quasi intatte, ed il sontuoso colonnato della quinta teatrale, a far da sfondo all’ampio panorama retrostante. Una volta scesi dal teatro andiamo a dare un’occhiata al piccolo museo del sito e poi ci rechiamo all’Antique Pool, millenaria piscina termale, disseminata dei resti di colonne e capitelli, nella quale pare si sia immersa anche Cleopatra. Lì consumiamo un suggestivo, ma non certo refrigerante bagno, visti i 35 gradi di temperatura dell’acqua.

Emersi dalla piscina, quasi a mezzogiorno, ci avviamo verso il “Castello di cotone”, che, come previsto (per motivi di conservazione), è tutto in secca, a parte una piccolissima zona in lontananza, ma ugualmente meraviglioso. Lo osserviamo dai vari punti panoramici e poi, togliendo le scarpe (che è un obbligo), ma usando saggiamente un paio di vecchi calzini, affrontiamo la discesa fra i Travertini, in direzione di Pamukkale, nell’unico punto in cui viene fatta scorrere l’acqua, fra una serie di piscine artificiali.

L’esperienza, in una luce accecante, nonostante gli occhiali da sole, è davvero unica e così facendo, poco dopo le 13:00, giungiamo all’uscita del sito, presso la nostra auto, semplicemente entusiasti. Vista l’ora però non ci muoviamo e non avendo voglia di metterci alla ricerca di un supermarket pranziamo, in un vicino locale, con tre rotolini di kebab e due grandi bottiglie di acqua fresca, comodamente seduti davanti ad un grosso ventilatore. In questo modo riacquistiamo pian piano le nostre forze vitali.

È stata questa una sosta davvero provvidenziale, perché ora ci aspetta, nel momento forse più caldo della giornata, un altro sito archeologico, che dista una decina di chilometri: quello di Laodicea al Lico, antica città detta “la bianca” per il candido marmo di cui sono composti i suoi edifici. Quando, intorno alle 14:00, arriviamo nel suo parcheggio il termometro, impietoso, segna +40 °C Prendiamo allora coraggio e usciamo all’aria aperta, mentre per fortuna soffia un po’ di vento che rende le condizioni accettabili, seppure decisamente al limite. Il sito, per estensione, è il secondo di tutta la Turchia, dopo Efeso, e anche se meno ricco offre spunti di grandissimo interesse, come la colonnata Syria Street, fiancheggiata dalle rovine dei templi più importanti, il cosiddetto Teatro Ovest, capace di 15.000 spettatori, dal quale in lontananza si intravede il “Castello di Cotone” e, sotto ad una grande tensostruttura, i resti della Chiesa di Laodicea, una delle “Sette Chiese dell’Asia”, citata anche nell’Apocalisse.

Visitiamo il tutto prima di riconquistare, accaldatissimi, la nostra auto, consci di aver esplorato un altro bel sito che però, causa la canicola, non ci siamo potuti godere appieno. Ora resta solo da percorrere la strada (circa duecento chilometri) per arrivare al termine della tappa. Attraversiamo così la vasta città di Denizli, con il termometro che, incontenibile, segna +42, poi cominciamo a salire di quota fra imponenti montagne e pian piano torniamo a più miti consigli, intorno ai 30 gradi, infine scendiamo in direzione del Mar Egeo e quando giungiamo nella località di Dalyan i gradi sono 32 un altro mondo! A Dalyan ci fermiamo per la notte presso il Riverside Hotel e più tardi sempre lì ceniamo, nel ristorante della struttura, in riva al fiume Dalyan Çayı, in un confortevole ambiente, chiudendo una dura (come previsto), ma splendida giornata.

Sabato 19 agosto

Sul Riverside Hotel avevo letto una particolarità, che mi ha indotto a sceglierlo: pare che durante la colazione, sui tavoli in riva al fiume, arrivino abitualmente a far visita le tartarughe caretta caretta chissà! Andiamo a far colazione per primi, poco dopo le 8:00. Ci mettiamo a sedere ad un tavolo con le suddette caratteristiche e di lì a poco arriva una grossa tartaruga e poi un’altra e un’altra ancora! Così questi affascinanti animali ci fanno compagnia per tutto il tempo. Bello, molto bello!

Appena passate le 9:00 lasciamo l’hotel e andiamo a parcheggiare nel centro di Dalyan, quindi ci rechiamo sulle sponde del fiume, dove sono ormeggiate tantissime barche. Noi siamo alla ricerca di quella che ci accompagni al sito archeologico di Kaunos, che nel 400 a.C. era una importante città della Caria, ai confini con la ben più nota regione della Licia, posto in una zona paludosa alla foce del fiume Dalyan Çayı.

Alla fine, dopo una breve trattativa, affittiamo un natante tutto per noi e con quello salpiamo, mentre sulle alture alla nostra destra appaiono subito evidenti, scolpite nella roccia, le Tombe Licie del IV secolo a.C., per le quali il luogo va famoso. Navighiamo quasi in solitudine per una mezz’ora abbondante, fra i suggestivi canali della laguna, quindi sbarchiamo in un punto predefinito per effettuare la visita del sito, quando fa già piuttosto caldo.

Così facendo, dopo un quarto d’ora di cammino, arriviamo alle rovine di Kounos, fra le quali spicca il ben conservato Teatro. Vorremmo poi salire sull’Acropoli, soprattutto per il panorama, ma non troviamo né il sentiero né le indicazioni forse non si potrà andare. Torniamo allora sui nostri passi fino alla barca e con quella facciamo il percorso inverso fino a Dalyan, mentre ora i natanti che solcano la laguna sono tantissimi, per lo più diretti alla grande spiaggia che fronteggia la zona lacustre.

Appena sbarcati utilizziamo un servizio di barchette a remi che portano sull’altra sponda del fiume, così da andare a vedere più da vicino le Tombe Licie. Giunti però sul posto troviamo chiuso il sito archeologico e dobbiamo far ritorno senza aver raggiunto l’obiettivo.

Fatte alcune compere nel centro di Dalyan riprendiamo poi strada con l’intento di conquistare la vicina Radar Hill, un’altura dalla quale godere del vastissimo panorama sulla laguna e le montagne circostanti. Salito qualche tornante però desistiamo dal farlo, perché più avanti il tracciato si fa sterrato, oltre che particolarmente irto, e non vale la pena correre rischi, vista la densa foschia odierna. Pranziamo comunque lungo la strada montana, all’ombra di alcuni alberi, e poi ripartiamo per la seconda parte di giornata.

Ci rechiamo più a sud, nella città di Fethiye, dove più tardi ritorneremo per la notte e dove si trova anche un interessante sito di tombe licie, quello di Amyntas, risalente al IV secolo a.C. Lì possiamo così salire ed anche entrare nella Tomba di Aminta, figlia di Hermapias, e poco distante vedere altre tombe, più piccole, incastonate nella montagna. Riconquistata l’auto andiamo quindi nel tratto di costa posto a meridione di Fethiye, dove si trova la nota località balneare di Ölüdeniz, che è strapiena di bagnanti. Noi però proseguiamo lungo la vertiginosa strada costiera che porta al grandioso punto panoramico sull’insenatura di Kelebekler Vadisi. Lì scattiamo le dovute foto e poi torniamo verso Ölüdeniz intenzionati a trascorre un paio d’ore al mare.

Vista la tanta gente ammassata nella principale località decidiamo però di fermarci qualche chilometro prima, a Kıdrak Beach. Una scelta azzeccatissima, perché nella sua estremità settentrionale la spiaggia è libera e poco affollata. Il mare è bellissimo e, bisognosi di refrigerio, consumiamo un lunghissimo bagno, di quasi due ore! Alle 19:00, con il sole ormai prossimo alla linea dell’orizzonte, andiamo verso Fethiye ed il termine della tappa, che però, causa traffico congestionato, raggiungiamo con un po’ di ritardo. Poco dopo le 20:00 guadagniamo così l’Hotel Status, quindi, sistemate le nostre cose, ceniamo nel centro della cittadina al Ristorante Agorà e dopo facciamo una passeggiata lungo il porto, così da prenotare l’escursione in barca detta delle “12 Isole”.

Fra le tante barche ormeggiate scegliamo quella soprannominata Oasis, non grande e senza troppa musica prevista lungo il tragitto, quindi con il comandante ci diamo appuntamento per le 10:00 dell’indomani. Facciamo infine ritorno all’hotel e ci ritiriamo in camera, concludendo un altro bel capitolo di questa vacanza turca.

Domenica 20 agosto

Dopo le intensissime giornate vissute fino ad ora ce ne concederemo quindi una di quasi totale relax. Ci svegliamo con calma e consumata la colazione poco prima delle 10:00 ci presentiamo al porto di Fethiye per salire a bordo della motonave Oasis con la quale, per l’intera giornata, andremo in escursione alle “12 Isole”, meglio conosciute come arcipelago delle Isole Göcek. Praticamente tutte le compagnie di navigazione, compresa la nostra, seguono un itinerario simile, che naturalmente non tocca l’intero gruppo di isole, così appena usciti dal porto facciamo rotta sull’isolotto di Kizilada e lì ci fermiamo, sotto costa, per un primo bagno. L’acqua è calda e deliziosa, azzurra e trasparente peccato solo che il fondo, piuttosto scuro, non ne esalti a dovere le qualità.

Dopo un lungo e piacevole periodo trascorso fra i flutti cristallini risaliamo a bordo per volgere la prua verso la piccola schiera di isole di Yassicalar, ovvero il clou dell’escursione. Il tragitto verso quest’ultimo luogo è però piuttosto lungo, così ne approfittiamo per consumare il pranzo, compreso nel prezzo dell’escursione, quindi arriviamo a Yassicalar che, innegabilmente, risulta essere molto bella, anche se affollatissima. Lì ci fermiamo, fino alle 14:00, e scendiamo anche nella spiaggia, di sabbia mista a ciottoli, poi saliamo su di una piccola altura per godere del panorama, quindi dopo un doveroso bagno ripartiamo, ma solo per spostarci di qualche centinaio di metri in una zona meno affollata, nella quale restare in acqua il più possibile indisturbati.

Poco dopo le 15:00 salpiamo sulla via del ritorno e ci fermiamo nuovamente a Kizilada per un ultimo bagno, quindi, intorno alle 18:30, attracchiamo nel porto di Fethiye, concludendo una bella giornata di mare Solo avrei voluto vedere anche i cosiddetti Cleopatra’s Bath (alcune antiche rovine in riva al mare), ma il capitano mi dice che erano troppo distanti peccato magari qualche altra escursione ci sarebbe andata, ma passando in rassegna i desk di molte compagnie non la vedo pubblicizzata, allora ce ne facciamo una ragione. Rientrati anche all’Hotel Status ci sistemiamo poi per uscire a cena, consumandone una buona e ad un giusto prezzo al Ristorante Address, situato lungo il porto di Fethiye, e mettendo la parola fine anche a questo piacevole episodio della vacanza.

Lunedì 21 agosto

Al giro di boa della vacanza ci svegliamo a Fethiye con in programma la ripresa del tour “on the road”, che prevede la mattinata dedicata alle visite di siti archeologici ed il pomeriggio al mare. Partiamo poco prima delle 9:00 e andiamo a sud della città per un buon tratto di strada, così, dopo oltre un’ora, giungiamo al primo sito previsto, quello di Xanthos, che un tempo fu anche capitale della Licia.

La zona delle rovine non è molto ampia ma merita attenzione, soprattutto per il bel Teatro, di origine ellenistica e ricostruito nel II secolo in stile romano, fiancheggiato da due grandi Pilastri Funebri, ma anche per il mirabile Sarcofago del Danzatore, posto oltre l’ex Via Colonnata, fra la macchia mediterranea. Il tutto non richiede tanto tempo e ben presto siamo di nuovo in strada a percorrere i pochi chilometri che ci dividono dall’area archeologica di Letoon, che nell’antichità era un grande santuario eretto in onore della dea Latona.

Anche questo sito è abbastanza ridotto, così lo visitiamo piuttosto velocemente, a partire dal Teatro ellenistico, risalente al II secolo a.C., per continuare con i resti del Tempio di Latona (parzialmente ricostruito), del Tempio di Artemide e di quello di Apollo, con al centro un raffinato mosaico, eccezionalmente conservato.

Un’altra manciata di chilometri ci conduce poi, passato ormai mezzogiorno, al più vasto sito di Patara, città che esisteva già nel IV secolo a.C. e che era una importante base navale della Licia. Qui, oltrepassato un gate di accesso, vediamo uno scenografico triplo Arco di Trionfo, fiancheggiato da alcune tombe licie, poi, quasi un chilometro più avanti, il resto dell’area archeologica con il grandioso Teatro, l’Odeion (fin troppo ben ricostruito) e la Via Colonnata meglio conservata di tutta l’Anatolia. Ci sarebbe infine da vedere l’interessante Faro, fatto costruire nel I secolo d.C. dall’imperatore Nerone, ma attualmente è in fase di ricostruzione e completamente avvolto dai ponteggi.

Pranziamo con i nostri panini all’ombra di un albero, vicino all’ingresso del sito, e poi con calma andiamo verso il tratto di costa, posto poco più ad est, nel quale dovrebbero esserci interessanti spiagge. Innanzitutto arriviamo a Kaputaş Beach, classificata fra le più belle e scenografiche spiagge dell’intera Turchia, ma ci sono auto parcheggiate già quasi un chilometro prima e considerate le sue dimensioni (non più di 150 metri) è un vero e proprio formicaio peccato, perché dobbiamo desistere e mettere in atto il piano B.

Sette chilometri più avanti, incastonata fra le rocce, c’è la più piccola ma comunque bella Seyret Pebble Beach. Anche lì c’è tanta gente, ma riusciamo comunque a ritagliarci un po’ di spazio, così da goderci lo splendido mare, fin quasi a sera, quando il sole scende dietro le montagne, mettendo l’insenatura nell’ombra. Allora raccogliamo le nostre cose e percorriamo gli ultimi chilometri della tappa, che ci portano nella cittadina di Kaş, dove prendiamo alloggio alla Meltem Pension. Qui, dopo esserci sistemati, usciamo per cena al ristorante greco Sardelaki, quindi, prima di rientrare, facciamo una passeggiata nel centro della località ed il suo porto, strabordante di turisti.

Martedì 22 agosto

Oggi trascorreremo una giornata ad di fuori della Turchia. La nostra intenzione, infatti, è quella di salire sul traghetto della Meis Ferry Lines per approdare nella dirimpettaia isola di Kastellorizo che, nonostante si trovi a soli 2,5 chilometri dalle coste turche è invece territorio greco e quindi dell’Unione Europea. Kastellorizo, fra l’altro, è anche l’isola resa famosa dal film, premio Oscar, Mediterraneo, lì girato nel 1991 e interpretato, fra gli altri, da Diego Abatantuono e Claudio Bisio, per la regia di Gabriele Salvatores.

Ci svegliamo con calma, perché abbiamo già i biglietti, acquistati fin da casa, e andiamo a far colazione Non riusciamo però neanche ad iniziarla che ci chiamano dalla compagnia di navigazione dicendoci che dobbiamo passare presso il loro ufficio a ritirare le carte d’imbarco e che siamo già in ritardo. Ci precipitiamo allora verso il porto, che dista poche centinaia di metri dal nostro hotel. Lì ci facciamo consegnare le carte e poi andiamo all’imbarco, dove c’è una lunga coda per la dogana. Mannaggia, potevamo anche consumarla la colazione!

Alle 9:30 il traghetto salpa con Kastellorizo già in vista all’orizzonte, che si avvicina rapidamente, così, già prima delle 10:00, attracchiamo nel caratteristico porticciolo di Megisti, unico villaggio dell’isola, nel quale individuiamo subito l’azzurra casa che nel film Mediterraneo era la dimora della prostituta Vassilissa. Qui però dobbiamo affrontare un’altra coda, quella della dogana greca, e quando finalmente ne veniamo fuori ci avviamo, a piedi, lungo la piccola marina alla ricerca di accattivanti scorci, quindi saliamo fino al Castello dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, edificato su di una roccia di colore rossastro (da cui il nome dell’isola: Kastellorizo, ovvero castello rosso). Non è rimasto molto dell’originale maniero, ma il panorama vale la visita.

Nei paraggi ci sarebbe anche una tomba licia (unica in territorio ellenico), ma non la individuiamo, allora scendiamo di nuovo al porto alla ricerca di una barca che ci porti a vedere la Blu Grotto (o Galzio Spilio), un anfratto che, a quanto si dice, non ha nulla da invidiare alla più celebre grotta di Capri. Troviamo immediatamente uno dei natanti che offre il servizio e con quello, poco dopo, sfrecciamo sull’odierno mare calmo (individuando sulle prospicienti scogliere anche la tomba licia), fino all’ingresso della grotta. Per entrare dobbiamo poi praticamente stenderci sul fondo dell’imbarcazione e una volta all’interno restiamo ammaliati dagli straordinari riflessi blu che illuminano la cavità. Sulla via del ritorno ci facciamo lasciare sull’isolotto di Agios Georgios, dove ci sono una chiesetta, una taverna ed alcuni ombrelloni, posizionati sui moli circostanti, ma soprattutto c’è un mare incantevole.

Concordiamo con il barcaiolo il ritorno per le 15:00, quindi corriamo a goderci il luogo. Consumiamo un lunghissimo bagno e poi un pranzetto con stupenda vista sulla baia (disturbato solo da troppe vespe), dopodiché torniamo in acqua, mentre il tempo vola via inesorabile, fino all’ora prevista per il puntualissimo prelievo. Riconquistato il porto di Megisti facciamo un’altra passeggiata alla ricerca di ulteriori scorci, quindi saliamo sul traghetto della Meis Ferry Lines, che parte anche in anticipo sull’orario previsto e già prima delle 17:00 ci riporta a Kaş. Kaş fu fondata dai lici ed il suo nome nell’antichità era Habeso o Habesa. La città faceva parte della Lega Licia e la sua importanza è confermata dalla presenza di una necropoli, la cui principale testimonianza è la cosiddetta Tomba del Re, risalente al V secolo a.C., che ci rechiamo a vedere, appena sbarcati, nella centralissima Doğruyol Caddesi. Subito dopo passiamo a rinfrescarci e a lasciare qualcosa in camera prima di andare a visitare anche il Teatro Antico, della stessa epoca delle tombe ma fin troppo ben restaurato e ricostruito. Stanchi, dopo l’intensa giornata, torniamo poi all’hotel a prepararci per cena una cena consumata nel centro di Kaş al Ristorante Smiley’s, non proprio ottimale rispetto allo splendido capitolo della vacanza appena concluso.

Mercoledì 23 agosto

Alla sveglia nella Meltem Pension facciamo in fretta colazione perché abbiamo un appuntamento inderogabile, a 35 chilometri di distanza, nel piccolo porto della località di Üçağiz, dove abbiamo prenotato una barca intera tutta per noi, così da fare un’escursione sulla dirimpettaia Isola di Kekova ed i suoi immediati dintorni. Venti minuti prima delle 10:00 giungiamo a destinazione e immediatamente andiamo alla ricerca dell’imbarcazione di Soner Kaptan. Lo troviamo, come previsto, e lui ci accoglie a bordo di un caicco che può trasportare almeno trenta persone, mentre noi siamo solo in tre Così, con l’unico imbarazzo di scegliere la postazione migliore, prendiamo subito il largo. Passiamo prima di tutto in un tratto di costa adiacente il paese di Üçağiz, dove in riva al mare si trova una suggestiva necropoli, poi, proseguendo nella navigazione, giungiamo di fronte al villaggio di Kaleköy (l’antica città di Simena), raggiungibile solo via mare, e lì ci godiamo il panorama del borgo dominato dal castello medioevale e fronteggiato dai resti di una necropoli licia, con una tomba che emerge addirittura dalle acque basse prospicienti il paese.

Subito dopo attraversiamo lo stretto braccio di mare che ci divide dall’Isola di Kekova, formatasi nel II secolo d.C. in seguito ad un violento terremoto, che fece anche sprofondare l’antica città di Dolchiste (o Dolikisthe). Sulla costa nord dell’isola si possono infatti osservare i muri delle case e del porto appena sotto il pelo dell’acqua e qui sarebbe bello fare un bagno fra le antiche vestigia, ma non si può Si può invece fare nella vicina Tersane Bay, dove si trova qualche altra rovina sommersa e dove il mare è splendido. A Tersane Bay consumiamo un bel bagno e poi ci spostiamo di nemmeno un chilometro, ad ovest di Kekova, fra gli isolotti di Kara e Topak, dove si trova Akvarium Koyu (o Aquarium Bay), un luogo idilliaco, con un mare eccezionale, nel quale rimaniamo immersi per quasi un’ora.

Risaliti a bordo il capitano ci accompagna a fare un ultimo bagno lungo la costa continentale, prima di far ritorno al porto di Üçağiz per concludere una magnifica esperienza, sia storica che balneare. Sono quasi le 14:00, così pranziamo con un panino e poi ripartiamo per coprire i venti chilometri che ci separano dalla località di Demre, dove ci sono da esplorare alcune importanti vestigia.

Prima di tutto ci rechiamo al sito archeologico di Myra, un tempo fulcro dell’omonima città, prima licia e poi romana, che nel IV secolo d.C. era tanto importante da avere un proprio vescovo e più precisamente San Nicola, che in seguito conquisterà l’immaginario del mondo occidentale. Qui spicca la Necropoli Rupestre forse più spettacolare della Turchia, ma anche il fantastico Teatro Romano, con sparse attorno, mirabilmente scolpite, numerose maschere teatrali. A qualche chilometro di distanza andiamo poi a vedere la Basilica di San Nicola, grandiosa testimonianza di epoca bizantina, con alcuni interessanti affreschi e pavimenti a mosaico.

Le spoglie del santo, ispiratore della leggenda di Babbo Natale, furono qui sepolte alla sua morte, avvenuta nel 343, in un sepolcro che ancora oggi si può osservare, e poi portate, circa settecento anni più tardi, da alcuni mercanti italiani a Bari (San Nicola, infatti, oltre che essere il patrono della Russia lo è anche del capoluogo pugliese). A questo punto della giornata sono le 16:00 ed il programma prevede una sosta al mare nella bella insenatura di Green Cave Bay, che dista una mezz’oretta di strada. Lì ci fermiamo e ci godiamo un rinfrescante bagno, compresa la nuotata fino alla grotta che dà il nome al luogo, il tutto fino alle 18:00, quando ci avviamo verso il traguardo di giornata, nella località di Çıralı.

Alle 19:30 circa arriviamo così nella curata ed accogliente struttura turistica Hane-i Keyif Pension, dove poco più tardi ceniamo anche, con una buona “pida” (tradizionale pizza turca), e poi non andiamo in camera a riposare, bensì ci rechiamo, a qualche chilometro di distanza, a vedere il sito della Chimera, che merita di essere visitato con l’oscurità. La Chimera è un agglomerato di fiamme, dovute a gas che ardono spontaneamente al contatto con l’aria e che fuoriescono da alcune fenditure dei pendii rocciosi del Monte Olympos. Il sentiero, percorso in salita con la luce dei cellulari, è piuttosto faticoso, ma alla fine veniamo premiati dalla visione infernale delle fiamme e non è difficile immaginare perché gli antichi attribuissero lo straordinario fenomeno al respiro del mostro (in parte leone, in parte capra e serpente) che terrorizzava la Licia. Secondo la leg-genda fu poi l’eroe Bellerofonte, in groppa al cavallo alato Pegaso, ad uccidere la Chimera, versandole in gola del piombo fuso.

Al termine di una lunghissima giornata scendiamo dal Monte Olympos e facciamo ritorno al Hane-i Keyif verso le 23:00, giusto in tempo per andare a dormire, perché domani mattina siamo intenzionati ad alzarci presto per fare una passeggiata lungo la spiaggia di Çıralı, con la speranza di veder nascere le tartarughe, per cui il luogo va famoso occorrerà però un pizzico di fortuna.

Giovedì 24 agosto

Comincia molto presto la giornata a Çıralı. La sveglia suona infatti già prima delle 6:00, così da permetterci di andare in spiaggia e, con un po’ di fortuna, veder nascere i tartarughini. Quando arriviamo nell’arenile sta sorgendo il sole e già questo offre un bello spettacolo. Intorno a noi ci sono tanti nidi segnalati, qua e là, nella sabbia, ma nessun movimento in atto, poi incontriamo Mustafà, il guardiano che passa quotidianamente a controllarli, seguito da un gruppetto di persone, che porta un secchiello con tre piccoli di tartaruga. Ad un certo punto si ferma presso un nido e ci fa notare le tracce lasciate nella notte dai nascituri, quindi affonda le mani nella sabbia e fa emergere la testolina di un ritardatario, che goffamente si libera e pian piano si avvia verso l’acqua un’esperienza emozionante! Fa la stessa cosa in un nido vicino e ne esce un altro, più arzillo, che prende a correre verso il mare ma finisce, come tutti gli altri, nel secchiello per essere condotto al centro specializzato per il suo recupero. Poi dal primo nido ne estrae un altro, purtroppo morto, e un altro ancora, per fortuna vivo. Mustafà completa così il suo giro esplorativo e noi possiamo dirci contenti perché ci è mancata la schiusa completa, ma abbiamo visto comunque nascere qualche tartarughino che non era scontato. Torniamo allora soddisfatti al Hane-i Keyif, facciamo colazione e subito dopo lasciamo Çıralı, che per vari aspetti si è rivelato un luogo davvero affascinante.

Ora dobbiamo percorrere oltre cento chilometri per guadagnare la prossima meta. Seguiamo così la strada costiera verso nord e alla periferia della grande città Antalya svoltiamo verso l’interno e le vicine asperità. In questo modo giungiamo al gate di accesso del sito di Termessos, che però si trova più avanti, in cima alla montagna, a quasi mille metri di altezza. Saliamo infatti per nove chilometri lungo un percorso tutto a tornanti fino all’ingresso vero e proprio dell’area archeologica di Termessos, antica e bellicosa città i cui abitanti, né greci né lici, ma pisidiani, mai si sottomisero agli invasori, ma si allearono con i romani. Continuiamo a salire a piedi, per un buon tratto, lungo un accidentato sentiero, per fortuna accompagnati da una temperatura accettabile, grazie all’altitudine e all’ombra del bosco. In tal modo, dopo circa mezzora, superiamo la porta della città e arriviamo allo spettacolare Teatro, che si apre maestoso sui monti circostanti, tanto da essere accostato, per la sua posizione e nelle dovute proporzioni, al sito incaico di Machu Picchu. Successivamente proseguiamo la nostra ascesa, sentendoci un po’ degli aspiranti Indiana Jones, per le numerose rovine sparse fra la vegetazione, e conquistiamo la suggestiva Necropoli Meridionale, fra tanti sarcofagi, a volte ribaltati e ammassati l’uno sull’altro davvero bello!

Scendiamo dall’incredibile sito di Termessos che è già passato mezzogiorno e riguadagnata l’auto ci avviamo in direzione della città di Antalya. Ci fermiamo a far spesa e poi andiamo a consumare il nostro pranzo, nella periferia orientale dell’abitato, nel parco pubblico di Düden Şelalesi. Düden Şelalesi è una cascata la cui particolarità è quella di tuffarsi, da 40 metri di altezza, direttamente nel Mar Mediterraneo, che in agosto pensavamo di trovare quasi in secca, invece ha una buona portata ed è davvero scenografica. Scattate le dovute foto del singolare salto l’acqua, nel primo pomeriggio, ci spostiamo di una ventina di chilometri a nord-est di Antalya, fino al sito archeologico di Perge, una delle città più importanti dell’antica regione della Panfilia, che conobbe due età dell’oro: durante il periodo ellenistico (II-III secolo a.C.) e sotto l’Impero Romano (II-III secolo d.C.), periodo al quale risale la maggior parte delle rovine.

La calura è notevole, ma ci dedichiamo ugualmente alla visita. Vediamo prima di tutto le scarne vestigia dello Stadio, poi attraversando la monumentale Porta Romana, ci affacciamo sulla Via Colonnata, fiancheggiata dall’Agorà e dai resti di due gigantesche torri È un sito grandioso quello di Perge che completiamo, accaldati, con la visita del suo Teatro, capace di 12.000 spettatori e bisognoso di qualche restauro, ma comunque imponente e con pregevoli sculture lungo il muro di scena. Da Perge ci muoviamo quindi di ulteriori trenta chilometri ad un altro sito archeologico, quello di Aspendos, probabilmente la più antica città della Panfilia.

Le sue rovine sono estese e comprendono uno Stadio, un’Agorà ed una Basilica del III secolo, ma poco di questo è rimasto intatto (e non lo visitiamo), a parte il grandioso Teatro, considerato il teatro romano meglio conservato del mondo antico, fatto costruire dall’imperatore Marco Aurelio nel II secolo d.C. Così esploriamo il sontuoso monumento, quasi perfetto in ogni dettaglio, peccato soltanto che il sole sia ormai basso e gran parte delle tribune risultino già nell’ombra. Da Aspendos non ci resta poi che andare verso il termine della tappa, neanche troppo disante, nella cittadina di Side, dove ci accasiamo al Derya Motel.

Ci ritiriamo in camera a rinfrescarci un po’, quindi usciamo per cena al Ristorante Dogan, uno dei pochi che in questa località espone i prezzi in lire turche, gli altri, quasi tutti (compresi i negozi), espongono furbescamente i prezzi in euro, per contrastare probabilmente l’inflazione della moneta locale.

Venerdì 25 agosto

Giornata imperniata soprattutto sul trasferimento verso l’interno della Turchia, in avvicinamento alla famosa regione della Cappadocia, il must del nostro viaggio. Non mancheranno comunque anche oggi gli spunti di interesse, a cominciare proprio da Side, dove si trova un’importante area archeologica. Dopo colazione ci spostiamo così, per meno di un chilometro, verso il centro di Side ed in prossimità del suo sito, che nell’antichità era il maggior porto della Panfilia. Qui vediamo uno spettacolare teatro che per capienza eguaglia quello più famoso della vicina Aspendos, e poi i resti della città con la Via Colonnata e l’Agorà Tutto molto interessante, anche se sono in corso parecchi lavori di restauro.

A metà mattinata lasciamo quindi l’ultimo di una lunghissima serie di siti ellenistici e romani (da questo punto di vista c’è molto di più in Turchia che nella ben più nota Grecia) e andiamo verso est lungo la costa. Attraversiamo una zona per noi davvero poco attraente, con enormi strutture turistiche affacciate sul mare, e intorno alle 11:00 arriviamo nella cittadina di Alanya, che per la sua naturale posizione strategica, con una piccola penisola rocciosa protesa sul Mar Mediterraneo, è stata una roccaforte per numerosi imperi, tra i quali quelli tolemaico, seleucide, romano, bizantino e ottomano. Seguiamo così le indicazioni che ci portano in vetta al promontorio, dove si trova il Castello, che dall’alto dei suoi 230 metri domina l’intera città. Non resta però molto delle poderose fortificazioni risalenti al XIII secolo, solo le mura perimetrali ed una chiesetta bizantina, ma è per il panorama che si gode dai bastioni che vale la pena effettuarne la visita.

Da questo punto scendiamo poi al mare nei pressi della cosiddetta Torre Rossa, che, costruita tutta in laterizio nel 1226 dal sultano selgiuchide Alaeddin Keykubad I, domina la zona dall’alto dei suoi trenta metri. Qui ci sono pure alcune fortificazioni, che arrivano in riva al Mediterraneo, ai piedi delle quali si trova la piccola Tersane Beach, dove vorremmo consumare l’ultimo bagno della vacanza. Un grosso nuvolone va però a coprire il sole e ci rovina un po’ la festa, allora pranziamo con i nostri panini e poi riprendiamo strada, apprestandoci ad affrontare un lungo trasferimento. Mentre, ovviamente, il sole torna a dominare la scena procediamo verso l’interno del Paese, superiamo poderose montagne e quindi planiamo sulla grande città di Konya, capitale di un sultanato selgiuchide sul finire dell’XI secolo, quando sono già passate le 17:00.

Qui andiamo a parcheggiare direttamente vicino al centro storico, così da visitare il Museo Mevlana, che in pratica è il Mausoleo di Mevlana (uno dei principali luoghi di pellegrinaggio e di culto di tutta la Turchia), inquanto conserva le spoglie di Gialal al-Din Rumi, detto appunto Mevlana, una delle più importanti personalità della cultura e della religione musulmana sunnita, fondatore, fra l’altro, dell’ordine dei Dervisci Rotanti. Appena entrati osserviamo le tombe dei discepoli e dei membri della famiglia, che contornano quella più grande di Mevlana, sormontata dal turbante del defunto, il tutto in un bellissimo ambiente orientaleggiante e anche l’esterno dell’edificio è accattivante. Peccato solo per la caratteristica torre scanalata, ricoperta di ceramiche verdi, in fase di restauro.

Proprio di fianco al Museo Mevlana si trova l’interessante Moschea di Selimiye, che vediamo solo esternamente per poi recarci, lungo Mevlana Caddesi, fino alla Madrasa di Karatay, l’ex scuola di teologia selgiuchide, risalente al 1251, che presenta pareti e cupola centrale ricoperte di maioliche bianco-azzurre. Subito dopo andiamo a dare un’occhiata anche alla vicina Madrasa di Ince Minare, costruita nel 1264, con la sua elaborata facciata ed il minareto ottagonale che si staglia sul colorato cielo prossimo al tramonto, quindi attraversiamo la collinetta di Alaeddin, originario fulcro della città, e torniamo alla nostra auto, ma solo per seguire l’ultimo chilometro di giornata, che ci porta al Baykara Hotel.

Per cena, su consiglio del portiere della struttura, che ci accompagna personalmente, andiamo al Şifa Restaurant, quasi di fronte alla Moschea di Selimiye, dove mangiamo bene spendendo davvero poco, poi, dopo aver fotografato l’edificio religioso illuminato, torniamo in camera a riposare, in vista dei prossimi eventi.

Sabato 26 agosto

Ha quindi inizio oggi l’operazione Cappadocia, un capitolo decisamente corposo del viaggio e pieno di aspettative. Grazie al fatto che al Baykara Hotel si può far colazione a partire dalle 7:00 prendiamo il via abbastanza presto. Un quarto d’ora prima delle 8:00 siamo infatti già in strada diretti ad est.

Dopo circa cento chilometri dalla partenza arriviamo così nella località di Sultanhani, dove si trova l’omonimo caravanserraglio, uno dei meglio conservati dell’Anatolia, che veniva usato in passato come area di sosta delle carovane che percorrevano la “via della seta”, in direzione della Persia. Fatto costruire nel 1229 dal sultano Alaeddin Keykubad I. L’edificio è molto bello, oltre che ben restaurato, ed è un’ottima occasione per osservarne uno simile, perché la maggior parte dei caravanserragli è andato distrutto, oppure è stato trasformato in una struttura ricettiva o in un ristorante. Da Sultanhani riprendiamo poi strada e, poco più tardi, nella città di Askaray, possiamo dire ufficialmente di essere entrati nella mitica regione della Cappadocia.

Intorno alle 10:30 giungiamo così nel paese di Selime, dove appaiono ai nostri occhi i primi “camini delle fate”, ovvero le conformazioni rocciose tipiche della zona, e lì ci fermiamo per esplorare la cosiddetta Selime Katedrali, un antico monastero interamente scavato nella roccia. Un bel complesso di ambienti rupestri, compresa una chiesa, inseriti nel tipico ambiente a pinnacoli, attraversato da bizzarri cunicoli e scalinate scolpite nel tufo, un buon prologo di quanto possiamo aspettarci nei prossimi giorni.

Da Selime, in breve, arriviamo poi nel villaggio di Ihlara, dove siamo intenzionati a fermarci per seguire il sentiero che corre lungo la Valle di Ihlara, un verdeggiante canyon, un tempo chiamato Peristrema, che era uno dei luoghi di ritiro più amati dai monaci bizantini, ai quali si deve la realizzazione delle chiese rupestri in esso disseminate. Con un po’ di disappunto troviamo però chiuso per lavori il gate principale di accesso alla sottostante gola, così saremo costretti ad utilizzare l’ingresso posto più a monte, allungando la passeggiata in riva al fiume Melendiz Suyu di almeno un paio di chilometri.

Scendiamo per una lunga scalinata e prendiamo a camminare, fra due alte pareti rocciose, immersi in una rigogliosa vegetazione che, per fortuna, mitiga notevolmente la temperatura. Così facendo guadagniamo la prima chiesa rupestre, ovvero Ağaçaltı Kilisesi, ubicata proprio nel punto in cui saremmo dovuti scendere secondo le originali previsioni e caratterizzata da ben conservati affreschi, su fondo bianco, dipinti in rosso, grigio e giallo. Nei paraggi si trova anche la Sümbüllü Kilise, che si distingue per la semplice ma quasi intatta facciata e, soprattutto, sull’altro del fiume, la più antica e importante Yılanlı Kilise, la Chiesa del Serpente, con pregevoli affreschi risalenti all’XI secolo.

Lungo il tragitto, causa il tempo perso per la chiusura del gate, saltiamo la visita della Kırkdamaltı Kilise e andiamo direttamente all’uscita della valle, utilizzando il varco di Belisırma, dove ci sono altre due chiese interessanti: Bahattin Samanlığı Kilisi e Direkli Kilise, che però sono inspiegabilmente chiuse. Saliamo allora su di un taxi che ci riporta ad Ihlara, dove, passate ormai le 14:00, possiamo finalmente pranzare.

Al più presto, ma un po’ in ritardo rispetto ai programmi previsti, ripartiamo. Passiamo a vedere lungo il percorso la Chiesa dell’Analepsis, dalle origini relativamente recenti (XIX secolo), ma con una posizione particolarmente intrigante, arroccata com’è su di uno sperone roccioso al di sopra del Lago di Güzelyrut, e poi anche i resti della Chiesa Rossa (Kızıl Kilise), che, costruita con grandi blocchi di trachite scura e risalente al VI secolo, è una delle più antiche della Cappadocia, quindi giungiamo alla periferia della cittadina di Niğde per esplorare il Monastero di Eski Gümüs, quando sono già le 16:00.

Visitiamo così questo incredibile complesso rupestre, risalente al X secolo e scavato in un enorme blocco di tufo. Vi accediamo tramite una piccola galleria che immette in un ampio cortile quadrangolare, interamente ricavato nella roccia, attorno al quale si aprono, su più piani, gli ambienti trogloditi: dalla chiesa a croce greca, alle cantine e la cucina, oltre alle più comuni zone residenziali.

Da Niğde andiamo quindi spediti verso nord per arrivare, ormai a fine pomeriggio, nella località di Derinkuyu, dove si trova una incredibile struttura ipogea, risalente al VII secolo a.C. e scoperta per puro caso solo nel 1963.

La vera e propria città sotterranea di Derinkuyu, concepita per proteggere i suoi abitanti dalle guerre e dalle persecuzioni religiose, si sviluppò particolarmente in epoca bizantina, per ospitare fino a ventimila persone, ad una profondità massima di circa 85 metri. Dotata di pesanti porte in pietra, per fermare gli invasori, e di un ingegnoso sistema di ventilazione, nonché di un pozzo per assicurare l’approvvigionamento idrico, comprendeva una moltitudine di locali adibiti a cucine, camere da letto e magazzini, che esploriamo in circa mezzora seguendo angusti cunicoli.

Subito dopo torniamo all’aria aperta e ci spostiamo rapidamente, a dieci chilometri di distanza, nel villaggio di Kaimaklı, per visitare, in extremis, un secondo ipogeo, più piccolo del precedente, ma più curato ed accattivante.

Ora non ci resta che andare verso il termine di questa prima giornata in Cappadocia, così, poco minuti dopo le 19:00, contornati da tanti pinnacoli, guadagniamo il paese di Göreme, dove prendiamo alloggio per le prossime tre notti nell’Anatolia Cave Pension, le cui camere sono scavate nella roccia.

Subito dopo usciamo a cena nel piccolo centro del villaggio, al Gurme Kebab, ma appena possibile rientriamo, perché domattina ci aspetta una precoce sveglia, così da prendere parte alla già prevista e prenotata escursione in mongolfiera.

Domenica 27 agosto

Inizia prestissimo per noi questa giornata di fine agosto. La sveglia suona infatti alle 4:20 e con sollecitudine ci prepariamo, perché alle 4:50 passerà a prelevarci la navetta della Turkiye Balloons per la più classica delle escursioni in mongolfiera, iconica esperienza di ogni vacanza in Cappadocia. È ancora buio e fa anche piuttosto freddo quando arriva il pulmino, ma le strade di Göreme fremono già di turisti che faranno la nostra stessa esperienza.

Ci accompagnano in una zona aperta e appena scesi dal mezzo, nell’oscurità, vediamo crescere intorno a noi, come funghi, tanti palloni colorati e quando comincia ad albeggiare la nostra mongolfiera è quasi pronta, così saliamo a bordo con gli altri passeggeri (venti in tutto) e già alle 5:40 spicchiamo il volo. Un volo lento e rilassante, mentre intorno a noi il cielo si riempie di tanti altri aerostati.

Poco dopo le 6:00 sorge il sole, fra le montagne all’orizzonte, e pian piano inonda la scena della sua calda luce, destando intense emozioni. Saliamo e scendiamo di quota godendo di splendidi scenari, con sotto di noi gli inconfondibili “camini delle fate”, per quasi un’ora e poi torniamo a terra, dove festeggiamo tutti insieme l’avventura appena conclusa, prima di far ritorno ognuno al proprio hotel bellissimo!

Dobbiamo attendere poi per quasi un giro completo di lancette l’orario giusto per far colazione, quindi, dopo averla consumata, prendiamo il via a bordo della nostra auto e prima di tutto andiamo nella periferia est di Göreme, dove si trova il cosiddetto Museo all’Aperto, una delle maggiori attrazioni della zona, compreso anche nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Ciò che viene definito museo è in realtà una piccola valle disseminata di chiese rupestri, delle quali almeno sette di una certa importanza. Noi però iniziamo da un’altra chiesa, ubicata di poco all’esterno dell’area, la Tokalı Kilise o Chiesa dell’Anello, che è una delle più grandi e più belle di Göreme, realizzata nel X-XI secolo e decorata con favolosi affreschi raffiguranti la vita di Cristo.

Subito dopo entriamo nella zona del museo, inserito in un eccezionale contesto ambientale e andiamo a vedere la prima chiesa della serie, seguendo un percorso in senso antiorario, ovvero la Aziz Basil Şapeli, dedicata a San Basilio, poi la seconda (Elmalı Kilise) è chiusa e passiamo alla terza, che è Azize Barbara Şapeli e presenta decorazioni iconoclaste di colore rosso. La quarta (Yılanlı Kilise) è pure lei chiusa e andiamo alla quinta, ma anche la più importante: Karanlık Kilise, considerata una delle chiese più antiche e più belle dell’intera Turchia, con stupendi affreschi, che però, causa divieto, non possiamo fotografare. Anche la sesta chiesa della serie (Azize Katarina Şapeli) è chiusa, mentre la settima (Çarıklı Kilise) è aperta e pure bella, con notevoli affreschi.

Usciti dal Museo all’Aperto vorremmo vedere un’altra chiesa rupestre che si trova nei paraggi e dista solo un chilometro, ma causa una strada chiusa ne dobbiamo percorrere almeno sei per giungere alla Aynalı Kilise (la Chiesa dello Specchio), che risulta carina ma nulla di eccezionale meglio, sempre nei dintorni di Göreme, la minuscola El Nazar Kilizesi, suggestivamente ricavata all’interno di un’unica formazione rocciosa conica.

Intorno alle 10:30 ci muoviamo da Göreme e andiamo nel vicino paese di Çavuşin per fermarci innanzitutto al suo ingresso, dove, scavata dentro ad un enorme blocco di tufo, si trova la cosiddetta Chiesa di Niceforo, che purtroppo è chiusa, allora ci consoliamo facendo una breve passeggiata alla sua sinistra, fino a raggiungere una zona nella quale si trovano alcuni scenografici “camini delle fate”.

Subito dopo ci rechiamo a parcheggiare nel piccolo centro di Çavuşin, dominato da una enorme falesia trogloditica, chiamata Castello o Borgo Antico, tutta traforata a formare quelle che un tempo erano le case e le chiese del villaggio.

Un sentiero, fra eccezionali e vertiginose vedute, conduce in cima alla rupe, dove si trova anche la Chiesa di San Giovanni Battista, risalente al VII secolo e quindi una delle più antiche della Cappadocia.

Scesi nuovamente al centro del paese, visto l’orario, ci fermiamo a pranzare con una “pida”, in un locale affacciato sulla piazza, e alla ripartenza seguiamo un breve sterrato che ci porta a vedere una zona, adocchiata da in cima al Castello, ricca di conformazioni, quindi ci spostiamo, di una manciata di chilometri, al Belvedere sulla Love Valley, una vallata disseminata di enormi pinnacoli (alti fino a quaranta metri) a forma fallica, che hanno ispirato il nome del luogo.

Dalla Love Valley affrontiamo poi un buon tratto di strada che ci porta nella cittadina di Gülşehir, sede di due interessanti siti rupestri.

Il primo si trova nella sua periferia orientale ed è quello di Açık Saray, che comprende i resti di un intrigante monastero scavato nella roccia, risalente al VI-VII secolo, con nelle immediate vicinanze anche la curiosa conformazione di Mantarkaya Peribacası, ovvero una roccia modellata dall’erosione nelle forme di un grande fungo.

Il secondo sito si trova invece più vicino al centro abitato ed è la bella Karşı Kilise (Chiesa di San Giovanni), che, realizzata nel XIII secolo, si sviluppa su due livelli ed è quasi completamente ricoperta da magnifici affreschi, in ottimo stato di conservazione.

Ora, ormai a metà pomeriggio, transitiamo nel villaggio di Çat, quindi attraversiamo la città di Nevşehir e giungiamo in vista dell’abitato di Uçhisar, dominato dal suo Castello che non è un castello, ma una enorme roccia, tutta traforata e trasformata in fortezza in epoca bizantina, attorniata, nel suo lato settentrionale, da altri grandi camini, un tempo abitati, che danno vita ad una spettacolare visione.

Per mezzo di una lunga scalinata saliamo anche in cima al Castello, da dove si gode un vastissimo panorama, e poi, riconquistata l’auto, concludiamo l’odierno itinerario all’Anatolia Cave Hotel Pension, nella vicinissima Göreme.

Vogliamo però aggiungere la ciliegina sulla torta, così, fatta una rigenerante doccia, andiamo a qualche chilometro di distanza presso un noto punto panoramico, dove si raduna quotidianamente tanta gente per assistere ad un infuocato tramonto sulle sottostanti Red e Rose Valley.

Rientriamo poi a Göreme per la cena, consumata al Ristorante Seyrü Sefa, quindi corriamo in camera a riposare dopo la lunghissima, ma anche indimenticabile giornata.

Lunedì 28 agosto

È questo il terzo ed ultimo giorno dedicato alla Cappadocia e la nostra intenzione è quella di intraprendere, con l’aiuto di Google Maps, un trekking nelle due più famose valli della regione: la Rose e la Red Valley.

Già prima delle 9:00 lasciamo l’auto in un parcheggio sterrato nei pressi di Çavuşin e diamo il via alla passeggiata, cominciando a risalire la Rose Valley.

In questo modo incontriamo quasi subito, incastonata fra le rocce, una chiesa rupestre, quella chiamata Üç Haçlı Kilise, ma per raggiungere il suo ingresso occorre essere provetti scalatori, così rinunciamo ad entrarvi.

Continuiamo allora lungo un sentiero non troppo ben segnalato, ma contornato da bei panorami, e arriviamo anche alla Ayvali Kilisi, chiesa molto scenografica, inserita all’interno di un unico grosso pinnacolo, ma chiusa e da lì affrontiamo, con l’aiuto di una corda, un tratto molto ripido del percorso, che ci porta ad un punto panoramico dal quale la vista è superba, peccato solo manchi il sole, oscurato da qualche nuvola di passaggio.

Attendiamo con pazienza per una buona mezzora perché la nostra beneamata stella torni ad inondare di luce lo scenario e poi, scattate le dovute foto, riprendiamo l’itinerario per giungere alla Haçlı Kilise, contenente nell’abside qualche interessante affresco, quindi, seguendo una gola fra pregevoli panorami, guadagniamo anche la Direkli Kilise, una delle chiese più vaste e singolari della Cappadocia, caratterizzata da quattro enormi colonne.

Da lì affrontiamo poi la parte più irta del sentiero che, attorniati da viste eccezionali, ci porta nei pressi del punto panoramico dal quale, ieri sera, avevamo visto il tramonto. Quindi ci apprestiamo ad affrontare la discesa lungo la Red Valley.

Quasi subito incontriamo la Üzümlü Kilise, la Chiesa dell’Uva, che è estremamente caratteristica, situata com’è in un unico “camino delle fate”, ma è chiusa, così proseguiamo e, dopo una discesa piuttosto impegnativa, imbocchiamo prima un tunnel, quindi una strettissima gola, che ricorda, nelle dovute proporzioni, l’Antelope Canyon americano.

Giunti in questo modo sul fondo della valle ne percorriamo l’ultimo tratto fra alte pareti rocciose, infine sbuchiamo su di una strada bianca, seguendo la quale alle 13:00 riconquistiamo, stanchi ma felicissimi, la nostra auto Non c’è che dire: è stata una straordinaria esperienza, assolutamente da non mancare durante un viaggio in Cappadocia.

Alla ripresa delle ostilità con l’asfalto ripassiamo da Göreme, dove facciamo spesa, quindi, superato l’abitato di Ortahisar, saliamo verso un piccolo valico, al cui apice ci fermiamo per vedere le formazioni rocciose dette Three Graces: tre scenografici “camini delle fate” legati alla leggenda di una principessa, del suo amato pastore e del loro figlio, pietrificati così da restare insieme per l’eternità.

Subito dopo scendiamo nell’abitato di Ürgüp e da lì ci spostiamo una ventina di chilometri più a sud presso la Tağar Kilisesi, una chiesa rupestre dalle grandi dimensioni, dedicata a San Teodoro, ma è chiusa e in più il cielo si è incupito per l’arrivo di tante nuvole.

Torniamo allora sui nostri passi fino a Ürgüp, dove ci fermiamo a pranzare, e poi andiamo poco più a nord nella cosiddetta Devrent Valley, dove i “camini delle fate” sono particolarmente numerosi e sono anche genuini, cioè senza scavi di chiese o abitazioni, e sono pure famosi per le loro fantasiose forme, fra le quali la più nota è quella del cammello Purtroppo però anche qui manca il sole. In compenso ci sono tantissimi turisti troppi!

Scappiamo allora verso la prossima meta, peraltro molto vicina, che è il sito di Zelve, ovvero una vallata che dal IX al XIII secolo fu un ritiro monastico e poi divenne un insediamento, abitato fino al 1952, quando fu ritenuto troppo pericoloso e quindi evacuato. Da allora è stato restaurato e poi aperto al pubblico, così facciamo una lunga passeggiata fra costoni di roccia completamente crivellati, che pare debbano crollare da un momento all’altro. Molto suggestivi, anche nel grigiore imposto dal meteo di questo pomeriggio.

Poco distante si trova anche la Valle del Pascià, visitabile con lo stesso biglietto di Zelve, dove si trovano enormi “camini delle fate”, alcuni dei quali utilizzati da antichi eremiti, che meritano tutta la nostra attenzione e avrebbero meritato pure di stagliarsi su di un bel cielo azzurro peccato.

A questo punto, per completare la giornata, non ci resta che raggiungere, ad una manciata di chilometri di distanza, il Caravanserraglio Saruhan, una bella costruzione risalente al XIII secolo, presso la quale abbiamo una prenotazione per assistere alla cerimonia dei Dervisci Rotanti, un rituale religioso al quale prendono parte alcuni adepti, vestiti di un cappello conico ed un’ampia gonna bianca, che danzano roteando su sé stessi.

L’essere umano gira in compagnia di tutti i viventi e di tutte le cose, dalla più piccola particella alla stella più lontana dell’infinito. È questo in sintesi il pensiero che ha determinato questo rito, la cui durata è di circa quaranta minuti, durante i quali esprime una certa carica di misticismo, oltre che un po’ di noia, ma, tutto sommato, si rivela un’esperienza che merita di essere vissuta.

Quando usciamo dal caravanserraglio sta facendo buio, così andiamo spediti verso Göreme, dove arriviamo poco prima delle 20:00. Ci rechiamo in camera a toglierci di dosso la polvere di questa intensa giornata e poi usciamo a cena nello stesso locale di ieri, infine rientriamo in hotel per concederci il giusto riposo, consci del fatto che la vacanza volge ormai irrimediabilmente al termine.

Martedì 29 agosto

Prende il via così l’ultimo giorno intero da trascorrere in Turchia. Ci alziamo con relativa calma e ci godiamo la colazione con vista camini dell’Anatolia Cave Pension, dove ci siamo trovati molto bene.

Lasciamo quindi Göreme diretti a ovest e poi imbocchiamo una nuovissima autostrada verso nord. Così facendo, intorno alle 11:00, giungiamo nei pressi dell’incredibile Tuz Gölü, uno dei più grandi laghi salati dell’Eurasia, se non il più grande, con una superficie di 1.500 chilometri quadrati, che in estate è di solito completamente in secca e si presenta come un’enorme distesa bianca e accecante, in cui lo sguardo si perde all’orizzonte.

Dal punto di più facile accesso al lago, presso un’area di servizio della superstrada D750, facciamo così una formidabile passeggiata nell’immensa distesa di sale, scattando tantissime foto e consumando una delle più sbalorditive esperienze del viaggio.

Subito dopo riprendiamo strada e, passate da poco le 13:00, giungiamo in vista dei grattacieli di Ankara, capitale della Turchia per la sua posizione centrale nella penisola anatolica e seconda città del Paese dopo Istanbul.

Percorriamo le sue ampie strade e andiamo dritti al CP Ankara Hotel, che ci ospiterà per l’ultima notte del viaggio. Quando però arriviamo la nostra stanza non è ancora pronta, così ne approfittiamo per procurarci il pranzo in un vicino centro commerciale e consumarlo poi li a fianco. Successivamente ci consegnano la camera, ubicata al decimo piano, dalla quale si gode un bel panorama sulla città, quindi lasciamo lì i bagagli e usciamo per andare a visitare i pochi luoghi di un certo interesse della capitale. Facciamo uso della metropolitana, che passa proprio davanti all’hotel, e giungiamo nei paraggi del Mausoleo di Atatürk, situato su di una collina nel quartiere di Anıttepe, che, terminato nel 1953, è uno dei migliori esempi dell’architettura turca. In effetti il grandioso monumento è uno sei simboli del Paese, realizzato per rendere omaggio a Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Turchia moderna.

Con una lunga scarpinata e superando severi controlli raggiungiamo l’entrata del complesso monumentale. Percorriamo poi il Viale dei Leoni, fiancheggiato da 24 grossi felini in pietra, di ispirazione ittita, e arriviamo nella grande piazza sulla quale prospetta il mausoleo. Da lì un enorme porticato, posto alla sommità di una solenne scalinata, conduce all’interno dell’edificio che contiene il sarcofago simbolico di Atatürk, realizzato con 40 tonnellate di marmo rosso, perché il famoso personaggio riposa in una tomba scavata direttamente nel terreno, sette piani più in basso.

Quando usciamo dal mausoleo sta per consumarsi lo scenografico cambio della guardia, al quale assistiamo prima di far ritorno alla metro e con quella spostarci nel centro storico di Ankara.   Appena tornati all’aria aperta vediamo così l’interessante Moschea Melike Hatun, quindi, al termine di una faticosa camminata, il Museo delle Civiltà Anatoliche, uno dei musei più importanti del Paese, ricavato all’interno di un antico bazar del 1464, che narra la storia dei popoli che hanno vissuto questa terra per oltre diecimila anni.

All’interno non ci sono reperti particolarmente famosi, ma vale la pena seguire il percorso museale, che si sviluppa in ordine cronologico, a partire dal neolitico, osservando, strada facendo, pezzi di eccezionale bellezza.

Il Museo delle Civiltà Anatoliche è l’ultima visita del nostro viaggio, così all’uscita torniamo verso la metropolitana per riguadagnare l’hotel. Giunti a destinazione sistemiamo le valigie per il ritorno a casa di domani, ceniamo all’interno della struttura e poi andiamo a riposare, in previsione della prossima, stressante giornata.

Mercoledì 30 agosto

Prende il via da Ankara, intorno alle 8:30, l’ultimo capitolo della vacanza, dedicato al rientro in Italia, ma non sarà un’impresa da poco, perché sono circa cinquecento i chilometri da percorrere per arrivare al Grand Airport di Istanbul, per fortuna quasi tutti di scorrevole autostrada. A parte qualche breve sosta di servizio fila via tutto liscio e pochi minuti dopo le 13:00 siamo già, nei parcheggi dell’aeroporto, alla Europcar, a riconsegnare l’auto, con la quale in Turchia abbiamo percorso 3.657 chilometri.

Subito dopo guadagniamo la grande hall delle partenze, dove individuiamo il nostro banco e spediamo le valigie. Consumiamo quindi il solito pranzo a base di panini e poi, oltrepassati dogana e controlli di sicurezza, ci mettiamo in attesa del volo TK 1325, al gate D4. Una breve attesa, perché ben presto ci troviamo imbarcati sull’Airbus A321 della Turkish Airlines, che alle 17:11 stacca da terra diretto a Bologna. Sposto le lancette dell’orologio sul fuso orario italiano e in un attimo guadagniamo un’ora di tempo. Passiamo sul Mar Nero, scavalchiamo i Balcani e sbuchiamo sul Mar Adriatico in corrispondenza dell’Istria, così poco più tardi, alle 18:21, atterriamo sulla pista dell’Aeroporto Marconi.

Ritiriamo sani e salvi tutti i bagagli e poco dopo le 19:30, recuperata anche l’auto dal Bravo Parking, siamo già in viaggio verso casa sulla A14. Mezz’ora più tardi usciamo poi dall’autostrada a Faenza e alle 20:22 concludiamo felicemente il viaggio presso la nostra cara dimora Uno splendido viaggio, nel cuore del Mediterraneo e in Paese ricco di storia e di cultura, anche se con notevoli contraddizioni e divergenze sociali (dal bikini al burka per fare un bagno). Ma noi ci siamo trovati a meraviglia e lo terremo per sempre fra i nostri migliori ricordi.

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