Viaggio nel Barocco siciliano, tra cattedrali marmoree e arancini
Per la festa del 2 giugno sfruttiamo il voucher che l’organico dell’azienda nella quale ho prestato servizio gli ultimi dieci anni mi ha regalato in occasione del mio addio al mondo del lavoro, chiara dimostrazione della loro gratitudine per essermi levato dai piedi dopo tanti anni di forzata convivenza e sopportazione. Fatta questa doverosa premessa, con mia moglie ci apprestiamo a trascorrere quattro giorni nella Valle di Noto, nei bellissimi borghi del barocco siciliano.
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Diario di viaggio
1° giugno, giovedì
Comodo volo Ryanair da Perugia per Catania nel primo pomeriggio, partenza puntuale ed arrivo a Fontanarossa alle 15,40 in un momento di relativa calma che mi evita una lunga sosta al ritiro della vettura all’autonoleggio. Usciamo dall’aeroporto e dopo aver percorso un tratto di tangenziale prendiamo la E45 in direzione Siracusa, dove siamo sommersi da un vero nubifragio, ma alla fine riusciamo a raggiungere Noto e la sommità del borgo, dove, una volta riusciti a parcheggiare, prendiamo possesso della camera assegnataci presso la Guest house Embrace Sicily.
Da quassù si gode di una magnifica vista color ocra delle case e dei monumenti, primo fra tutte la Cattedrale, che abbiamo proprio sotto, ai piedi di una lunga scalinata. Scendiamo lungo questo tracciato e sbuchiamo in Corso Vittorio Emanuele, il biglietto da visita della città, un susseguirsi di splendidi palazzi, chiese e monumenti. Visitiamo la Cattedrale di San Nicolò, sopraelevata rispetto alla via, dove, fra le tante cose da vedere, all’ingresso è posta una croce lignea fatta con frammenti delle barche dei disperati che arrivano a Pozzallo, opera dell’artista Elia Li Gioi. Di fronte alla Basilica c’è il bel Palazzo Ducezio, sede del Municipio, e prendendo a destra in sequenza si trovano le chiese della Santissima Trinità e di San Carlo al Corso, alle quali fanno seguito l’ex collegio dei Gesuiti ed il teatro Vittorio Emanuele.
A sinistra invece, immediatamente dopo la Cattedrale, c’è la Basilica del Santissimo Salvatore, dove si può salire sul campanile e godere di una bella vista, e successivamente la chiesa di Santa Chiara, sul lato opposto, e quella di San Francesco d’Assisi all’Immacolata. Terminiamo la visita del corso soffermandoci alla Porta Ferdinandea, che segnava l’accesso alla città. A questo punto risaliamo verso casa, e facciamo l’ultima tappa della giornata alla Chiesa del Santissimo Crocifisso, sulla piazza dietro la nostra sistemazione, dove possiamo ammirare un magnifico crocifisso dorato che probabilmente da il nome a questo luogo di culto. Con buona approssimazione possiamo stimare che in questa parte del centro storico c’è una chiesa per ogni isolato, e tutte di pregevole fattura. Ora non ci resta che rientrare e prepararci per la cena, che Alessio, uno dello staff della Guest house, ci ha prenotato al ristorante Vicolo, giusto a due passi. Ottima cena, in un ambiente d’epoca (una vecchia stalla con annesso magazzino) particolarmente accogliente. Assaggiamo le panelle con i famosi gamberi rossi di Mazara e un arrosto misto e finiamo con il classico cannolo e passito di moscato. Il costo della cena non è sicuramente economico, ma ne è valsa la pena.
2 giugno, venerdì
Mi sveglio presto e faccio due passi nei dintorni; l’imponente ex convento dei cappuccini, oggi trasformato in casa di reclusione è giusto al di là della via, e girandovi attorno odo i rumori del risveglio di chi vi è custodito. Dopo colazione scendiamo dal colle e prendiamo in direzione di Pachino, destinazione la riserva naturalistica di Vendicari. Cinque euro di parcheggio e tre e cinquanta per l’ingresso ci danno diritto a passare la mattinata in un ambiente alquanto idilliaco: il percorso si addentra in una macchia di arbusti, fra qualche olivo solitario, dove risalta il color lilla del timo in fiore ed il verde intenso del rosmarino.
Giungiamo alla famosissima spiaggia di Calamosche, ma alte onde conseguenza dell’uragano di ieri rendono l’acqua torbida e la spiaggia cosparsa di alghe. Peccato. Proseguiamo lungo i sentieri seguendo le raccomandazioni di non abbandonarli, per non calpestare la vegetazione, fino a giungere ad una laguna dove stormi di fenicotteri passeggiano tranquillamente beccando a ridotta frequenza nei bassi fondali. Seguendo la riva giungiamo ad un casotto di osservazione, e di seguito arriviamo alla vecchia tonnara abbandonata e oggi recuperata parzialmente a museo e ad area didattica. Solo a questo punto ci rendiamo conto della inutilità degli osservatori, perché gli uccelli pascolano imperterriti a poca distanza dalla riva, indisturbati nel modo più assoluto dalla massa di visitatori.
Facciamo ora il percorso a ritroso, ed abbandoniamo l’oasi dopo tre ore per andare a Marzamemi, una grossa delusione. Già all’arrivo ci attende un parcheggio grande come un aeroporto, che con tre euro ti toglie da tutti gli impicci del caso, ma ti rende l’idea di quello che troverai: una zona altamente turistica con una alta densità di vacanzieri. Sono circa le due e mezza, e ci concediamo un gelato da “Don Peppinu”, per proseguire verso la famosa piazzetta oggi intasata da un raduno di auto d’epoca. Il mare è bellissimo, con i suoi colori sfumati nelle tonalità verde – azzurro – blu, e non oso pensare cosa ci sarà qui fra un mese.
Rientrati a Noto, la sera optiamo per la Pescheria Jonica, in una piazzetta sotto la porta Ferdinandea, dove mangiamo benissimo e spendiamo la metà di ieri sera. Tagliolini allo scoglio ed arrosto misto con vino bianco dell’Etna: niente male. Dopo cena facciamo due passi per il corso, poi prendiamo la scalinata che porta al nostro alloggio, rivestita a fotografia, e ci fermiamo sui gradini coperti da cuscini all’angolo del bar “il Castello”, dove passiamo una mezz’ora sorseggiando una bibita ascoltando musica “soft”.
3 giugno, sabato
Il programma di oggi prevede il viaggio nei siti simbolo del barocco, Modica – Scicli – Ragusa. Modica ci appare in lontananza arroccata su di un’altura, dove riteniamo si trovi il centro storico, così che, una volta giunti in prossimità della città seguiamo l’indicazione per Modica alta, e troviamo un inaspettato e comodissimo parcheggio. Una volta liberatici della zavorra dell’auto percorriamo a piedi via Roma, dove quasi subito incontriamo la chiesa di San Giovanni, ubicata nel punto più alto del colle; molto particolare l’altare di legno scolpito. Proseguendo sulla destra, uscendo dalla chiesa, dopo un centinaio di metri si arriva al Belvedere Principe di Piemonte, da dove si ha una visuale panoramica della città e della gravina circostante. Da questo punto privilegiato saltano agli occhi alcune brutture architettoniche di relativa recente costruzione che deturpano il bellissimo paesaggio rinascimentale: alcuni palazzoni anni 60 inseriti senza logica nel borgo vecchio, e due altissimi ponti sullo sfondo. A questo punto ci rendiamo conto che siamo completamente fuori dal contesto urbano, e per questo motivo dobbiamo scendere fino alla base della collina utilizzando ripide scalinate e strade scoscese (e poi il tutto dovrà tramutarsi necessariamente in risalita!).
La prima tappa è il duomo di San Giorgio, posizionato a mezza costa, con un bellissimo polittico dietro l’altare ed una meridiana solare inscritta nel pavimento di marmo, entrambi di pregevolissima fattura. Proseguiamo scendendo lungo Corso Regina Margherita e visitiamo il Castello dei Conti, nulla di ché se non una splendida veduta (ingresso tre euro), e poi prendiamo una ripida scalinata per raggiungere Corso Umberto ed entrare in Modica Bassa. A metà percorso ci imbattiamo nella casa natale di Salvatore Quasimodo, dove facciamo tappa per omaggiare il premio Nobel 1959 per la letteratura (due euro e cinquanta quale contributo alla Fondazione) . Scendiamo ancora e sbuchiamo nella via principale, in prossimità del duomo di San Pietro, che visitiamo dopo averne risalito l’ennesima scalinata. Caso curioso, questa città annovera due chiese qualificate come duomo, una per la parte alta ed una per quella bassa. Una volta usciti attraversiamo la strada e ci inoltriamo in un corto vicolo dove ha sede la Dolceria Bonajuto, tempio del famoso cioccolato di Modica. Facciamo scorta di barre di fondente alla vaniglia ed alla cannella (ricetta originale), di un 80% amaro e di un aromatizzato all’arancia. È un cioccolato iper energetico, che sazia al primo assaggio, basato sulla tecnica e la metodologia usata dagli aztechi e importata a suo tempo in Europa.
A questo punto facciamo una pausa, rifocillandoci con una fresca granita seduti ad un tavolino del corso, prima di intraprendere la parte peggiore del viaggio, la terrificante risalita lungo corso Vittorio Emanuele. Arrancando passo dopo passo finalmente raggiungiamo la vetta e la nostra auto, fortunatamente all’ombra sotto le fresche fronde degli alberi, e via con destinazione Scicli. Purtroppo la visita di questo borgo è abbastanza deludente, vuoi perché dopo Modica tutto sminuisce, vuoi perché tutti i luoghi di interesse sono chiusi, probabilmente a causa dell’orario (sono le due e mezzo del pomeriggio). Parcheggiamo l’auto fuori dal centro in una stradina secondaria dopo essere “riemersi” da un vicolo nel quale eravamo rimasti imbottigliati, e percorriamo a piedi la strada che costeggia il canale fino a raggiungere la Chiesa della Madonna del Carmine, che possiamo visionare solo dall’esterno. Raggiungiamo quindi la piazza del Municipio con il suo bel palazzo sede delle istituzioni locali, e proseguiamo fino alla chiesa di San Francesco in attesa dell’apertura. Sono le tre passate e ancora tutto è fermo, ed allora, complice anche la stanchezza, decidiamo di rientrare a Noto tralasciando anche la visita a Ragusa.
Dopo esserci rinfrescati e cambiati scendiamo in corso Vittorio Emanuele e visitiamo presso il convitto delle arti la mostra “il barocco è Noto”, invogliati dalla presenza di una quarantina di quadri di un certo spessore. Il costo del biglietto è secondo me fuori dalla norma (dodici euro), ma siamo alla presenza di dipinti certamente di qualità, opere di Caravaggio, Rubens, Van Dyck, Pietro da Cortona, Guido Reni, Luca Giordano solo per citarne alcuni. Non mi ritengo certo un conoscitore dell’arte, ma la Maria Maddalena in estasi di Caravaggio vale da sola il prezzo del biglietto. Abbiamo fatto l’ora di cena, e torniamo alla pescheria Jonica per chiudere in bellezza il nostro soggiorno a Noto. Frittura di sarde ed alici come antipasto, ed un pagro da 1200 grammi accompagnato da una bottiglia di bianco dell’Etna che mi farà boccheggiare per buona parte della nottata ci deliziano lo stomaco. Poi a nanna.
4 giugno, domenica
Consumata l’ottima colazione carichiamo i bagagli e leviamo le tende, ripromettendoci che se mai torneremo da queste parti sicuramente prenoteremo ancora questa struttura, tanto siamo rimasti soddisfatti. Il programma originario di oggi era Caltagirone – Piazza Armerina, ma complice l’esperienza e la faticata di ieri decidiamo di dedicarci unicamente alla Villa Romana del Casale a Piazza Armerina, dove giungiamo dopo circa due ore di viaggio. È mezzogiorno e la gente comincia a defluire, e bisogna prestare molta attenzione ai bus turistici che si incontrano lungo la stretta strada fuori dal paese. Un grande parcheggio a pagamento è a disposizione dei visitatori, ma non capisco secondo quale illogica teoria sia strutturato in un 35% destinato alle autovetture, un 35% ai pullman ed un 30% ai camper. Morale: auto parcheggiate senza regole una sopra l’altra e spazi dedicati ai bus e camper semivuoti (semivuoti perché parte di essi è stata occupata dalle autovetture che non hanno trovato posto negli appositi spazi).
Superato un piccolo diverbio con un conducente di bus (amico, se mi fai pagare il parcheggio mi devi dare anche l’opportunità di lasciare la macchina), raggiungiamo l’ingresso dell’area archeologica, che superiamo indenni dal pagamento del biglietto perché oggi è la prima domenica del mese. Il primo impatto con la villa non è dei migliori, in quanto la copertura non si coniuga affatto con l’epoca della costruzione, ma una volta entrati, senza parole!
Un lungo camminamento sopraelevato permette di ammirare interminabili sequenze di splendidi mosaici, ed anche le coperture interne del tetto si armonizzano con gli ambienti. Questo sito di epoca romana è sicuramente uno dei migliori conservati che ho potuto visitare in tutta la mia vita. La visita dura quasi due ore, e dopo l’avvenuto pagamento del parcheggio (tre euro) rientriamo a Catania, destinazione l’Etna Parking dove ho prenotato una camera per questa ultima notte. Questa struttura è un parcheggio che dispone di quattro camere, ed ha la comodità di essere a meno di un chilometro dall’aeroporto di Fontanarossa. Una volta fatto il check-in e pagata la tassa di soggiorno (due euro a testa) mi reco in aeroporto a riconsegnare la vettura, quindi attendo al terminal C che la navetta venga a prendermi. Non tarda, e chiedo all’autista se è a conoscenza di una fermata della linea Alibus in prossimità del parcheggio; mi risponde che ferma ad una rotatoria vicina, ma non sa indicarmi oltre. Sul pullmino sono presenti due ragazze appena atterrate, ed una di loro, gentilissima, mi dice che, se voglio, lei può darmi un passaggio fino a via Sicilia, dove ho soggiornato lo scorso anno e dove so come muovermi. Accetto più che volentieri, quindi, recuperata mia moglie, raggiungiamo Catania, dove ci facciamo lasciare agli “archi”, proprio dietro la Cattedrale.
Dobbiamo far passare qualche ora, quindi scendiamo lungo via Etnea fino alla piazza con l’elefante, giriamo dietro la fontana e gironzoliamo nei vicoli sotto i caratteristici ombrellini colorati appesi, prendiamo una granita da “Scardaci” (per me il top) quindi risaliamo la via per visitare i giardini Bellini, che avevamo tralasciato l’estate scorsa, e ci fermiamo a riposare su una panchina. Sono le sette quando riusciamo ad artigliare un tavolino alla dirimpettaia pasticceria Savia, e ceniamo con gli arancini catanesi (quelli con le melanzane) ed un cannolo a suggello della serata. È finita, e senza fretta raggiungiamo via Sicilia dove alla fermata dell’Alibus attendiamo il bus per l’aeroporto. Dopo circa dieci minuti giunge l’autobus (4 euro il biglietto) e una volta raggiunto il terminal di Fontanarossa torniamo indietro a piedi fino alla rotatoria con l’aereo e prendiamo possesso della camera per la notte.
5 giugno, lunedì
La sveglia è alle cinque e mezza, e dopo dieci minuti siamo già sul pullmino navetta che ci conduce in aeroporto. Alle sette precise, in perfetto orario, il decollo. Il tempo è da sempre il mio peggior nemico. Anche questa zona della Sicilia avrebbe meritato qualche attimo in più, ma tutto sommato non è andata male. Il progetto originario prevedeva i borghi del barocco orientale, Modica, Ragusa e Scicli, con una puntata a Pachino e Marzamemi, ma abbiamo attuato una variazione in corso d’opera per l’oasi di Vendicari e la Villa Romana di Piazza Armerina. Sono soddisfatto di come sono andate le cose, ma con il senno del poi, forse valeva la pena di non fare base a Noto ma di spostarsi giornalmente in modo da avere più tempo e riuscire a visitare anche Ragusa il terzo giorno e Caltagirone il quarto durante il trasferimento a Piazza Armerina. Sarà per la prossima volta.