Viaggio a nordovest…in treno ovviamente!

L’idea da cui parte il nostro viaggio è, come sempre, l’auto-organizzazione. Non ci interessano i tour all-inclusive, le marce forzate in bus privato per vedere quante più cose possibili e scattare migliaia di foto da mostrare al ritorno. Preferiamo vedere meno ma in modo più approfondito e per questo, crediamo, i piccoli alberghi a...
Scritto da: Shajara81
viaggio a nordovest...in treno ovviamente!
Partenza il: 04/08/2008
Ritorno il: 25/08/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
L’idea da cui parte il nostro viaggio è, come sempre, l’auto-organizzazione. Non ci interessano i tour all-inclusive, le marce forzate in bus privato per vedere quante più cose possibili e scattare migliaia di foto da mostrare al ritorno. Preferiamo vedere meno ma in modo più approfondito e per questo, crediamo, i piccoli alberghi a gestione familiare e i mezzi pubblici sono uno dei pochi modi possibili per incontrare la gente del posto, comunicare, conoscersi a vicenda. Non siamo hippy e neppure particolarmente avventurosi. Comunque questo è il nostro viaggio. Tre settimane in India, agosto 2008. Il monsone è agli sgoccioli nell’India nordoccidentale e inoltre sono appena scoppiate alcune bombe a Bangalore. Andiamo comunque, è la nostra possibilità di visitare l’India e non possiamo tirarci indietro.

Prima i particolari logistici ed economici. Il nostro budget, pienamente rispettato, era di circa 1000 euro a testa (eravamo in due). Il viaggio è costato 700 euro, quindi con 300 euro si vive comodamente 3 settimane, comprando pure qualche souvenir, mangiando in ristoranti di categoria media, dormendo in posti puliti, viaggiando in treno in classe 2AC e visitando diversi musei o luoghi con ingresso a pagamento. Fedeli al nostro ideale razionalista, “less is more”, decidiamo di concentrarci su alcune città: New Delhi, Jodhpur, McLeod Ganj, Amritsar, attraversando il Rajasthan, il Punjab e l’Himachal Pradesh. In pratica un triangolo, dettato dalla volontà di unire la visita del Rajasthan alla vista dell’Himalaya; anche perché sappiamo che purtroppo non ci capiterà spesso di ripetere un viaggio così.

Arriviamo a New Delhi, dove abbiamo prenotato un albergo nella zona di Karol Bagh. Lo abbiamo scelto perché mette a disposizione nel prezzo anche il trasporto da/per l’aeroporto e la colazione, ma soprattutto perché è vicino alla stazione della metropolitana di Karol Bagh. L’albergo Megha Sheraton è pulito e appena ristrutturato, nel complesso una buona scelta anche paghiamo ben 20 euro a testa. Schiviamo l’invito del padrone dell’albergo di visitare Delhi con un’auto privata e ci dirigiamo dritti verso Old Delhi. In giro ci sono pochissimi turisti occidentali, è facile sentirsi sperduti in mezzo alla moltitudine che affolla la moschea di Jami Masjid e il Red Fort (bellissimi). Ci arrendiamo all’evidenza che ci toccherà rinunciare in qualche tratto alla nostra metro e alla camminata per salire su un tuc-tuc o un rickshaw. Gli autisti sembra facciano fatica a comprendere che anche noi turisti siamo dotati di gambe e piedi e possiamo spostarci autonomamente. Il giorno seguente visitiamo New Delhi, ovvero la zona attorno a Connaught Square, il Rashtrapathi Bhavan, l’India Gate, il Gandhi Smriti, l’Indira Gandhi memorial. Tutti meritano la scarpinata che ci facciamo da Connaught Circle in giù…Tra autisti di tuc-tuc che strombettano per richiamare la nostra attenzione. Scopriamo anche dei buoni mercati, quello popolarissimo nella zona di Janpath, e il carinissimo negozietto “People Tree” che vende oggetti frutto di design indipendente e progetti sociali, in Regal Building B. Visto che il nostro zaino non può ingrossarsi più di così, ci ripromettiamo di tornare negli ultimi giorni. Il giorno seguente siamo in piena pioggia monsonica. Tutti i TG priettano LATEST BREAKING NEWS mostrando immagini delle vie di Delhi invase dalla tradizionale acqua densa e fangosa. Ci rifugiamo al Palika Bazar, che almeno è al coperto e tra un giro e l’altro arriva il tempo di partire per la stazione di Old Delhi.

La stazione di Old Delhi merita una nota: è affollatissima, rumorosa, sorvegliata, insomma è un ambiente molto stressante. Soprattutto se siete gli unici turisti evidentemente bianchi con uno zaino in spalla che cercano il numero di un treno per Jodhpur sul tabellone. Per fortuna avevamo prenotato tutti i viaggi sul sito delle ferrovie dello stato indiane, efficientissimo, che permette di stampare i biglietti anche da casa e ci siamo risparmiati una fila di ore in piedi tra la folla. In giro c’è qualche topo, ma niente di davvero pauroso, di solito sono abbastanza riservati e si tengono a distanza.

Il nostro treno ha attraversato tutta la zona nord-ovest di Delhi prima di dirigersi verso il Rajasthan. Circa un’ora di baraccopoli, canali pieni di rifiuti, gente che stende i panni lungo la ferrovia, bambini che corrono su e giù dal treno. E’ impossibile staccare gli occhi dal finestrino. Persino quando i vicini di treno fanno di tutto per distrarvi, come i nostri, una famiglia indiana con genitori e figli adolescenti che ci ha sottoposto a un’intervista di circa tre ore prima di lasciarci addormentare. Chiedendoci di tutto, ma proprio di tutto. Cose che noi, a dei conoscenti incontrati in treno, non chiederemmo mai. Senz’altro un’esperienza bellissima, comunque. Ai viaggiatori dei treni indiani, consigliamo la classi 3AC, 2AC e 1AC. Noi abbiamo viaggiato in 2AC, pulita e sicura, purtroppo l’aria condizionata al massimo non era molto salutare… Comunque al mattino ci siamo svegliati in una zona desertica, lontanissimi dalle piogge e dall’umidità di Delhi. A Jodhpur siamo rimasti 4 giorni. Dovevano essere tre, ma ci siamo innamorati e abbiamo deciso di prolungare per quanto possibile. Avevamo preso contatti con un’associazione locale “Sambhali Trust”, che si occupa di fornire educazione gratuita e formazione professionale alle ragazze “intoccabili”, cioè quelle considerate per casta impure, e che solitamente occupano gli ultimi gradini della società. Grazie all’associazione Sambhali una quindicina di ragazze tra i 13 e i 18 anni possono imparare a parlare inglese, a cucire, a tingere e ricamare i tessuti, ricevendo inoltre corsi di igiene personale, medicina di base, autostima, yoga. L’associazione è fondata dalla famiglia Rathore, che gestisce anche una guesthouse (Durag Niwas guesthouse) molto caratteristica, dove abbiamo soggiornato per tutta la permanenza a Jodhpur. La loro ospitalità ci ha profondamente commosso, ci hanno trattati come gente di famiglia, riempiendoci di attenzioni, ottimo cibo cucinato davanti ai nostri occhi, consigli sui posti meno commerciali da visitare e raccomandazioni contro le trappole per turisti, facendoci usare gratuitamente il collegamento a internet e offrendosi di trasportarci ovunque con la loro moto e il furgoncino di famiglia. La sistemazione, trattandosi di una pensione famigliare, era molto spartana ma accogliente, e nelle ore più calde o dopo cena è stato interessante sedersi nel cortile interno a veder scorrere la vita della casa. Particolarmente emozionante è stata la conoscenza con le ragazze di Sambhali Trust, che ci hanno mostrato la loro produzione di oggetti di artigianato e i materiali prodotti con le insegnanti volontarie di inglese, moda, igiene etc. Una cosa che non si dimentica. A parte questo Jodhpur è una città fantastica. Nei nostri quattro giorni di permanenza abbiamo visitato il forte, il Jaswant Thada, il Sardar Market, la città blu e con l’autobus da Raika Bagh abbiamo raggiunto i giardini di Mandore, a 8 km, per visitare i cenotafi e le fortificazioni. Abbiamo mangiato benissimo in famiglia, in particolare il tradizionale thali (vassoio) con riso, due tipi di verdure, chapati, dhal, persino yoghurt fatto in casa. E nonostante i nostri timori batterici non ne abbiamo risentito. E poi fantastici pakora e mango lassi al mattino. Potendo scegliere, ci saremmo trattenuti molto di più, ma avevamo una tabella di marcia non troppo elastica, e così dopo un commovente addio con la famiglia Rathore ci siamo diretti a nord. In treno ovviamente. Questa volta la permanenza in treno è stata abbastanza sfiancante, ben 15 ore. I treni indiani vanno prenotati con largo anticipo, soprattutto i più frequentati (e a quanto pare il Jammutawi express è uno di questi), quindi in internet non siamo riusciti a ottenere due posti vicini. Ma ecco che sul binario si avvicina il controllore e, lista dei passeggeri alla mano, di sua spontanea iniziativa risistema i posti, destinandoci due cuccette contigue. Inizialmente ci siamo stupiti, chiedendoci come avesse potuto riconoscerci tra la folla. Poi, in effetti, è bastata un’occhiata alla lista dei passeggeri e alle facce intorno a noi per renderci conto che eravamo abbastanza riconoscibili. Senza ombra di dubbio.

Dopo una notte e una mattina di viaggio, e dopo aver attraversato il deserto del That e tutto il Punjab allagato dalle piogge monsoniche, tanto che a tratti il treno procedeva a rilento nel fango, abbiamo raggiunto Pathankot, una sorta di presidio indiano, l’ultima fermata prima di entrare nel Jammu & Kashmir, che per inciso, in quel periodo viveva un momento di gravi scontri. Per questo Pathankot si è rivelata essere una cittadina completamente militarizzata, con filo spinato, accademie di fanteria, esercito ovunque. Abbiamo trovato un buonissimo ristorante, il Green restaurant e un albergo pulcioso, lo stesso Green appunto (che sconsigliamo caldamente).

Il mattino dopo ci dirigiamo alla stazione dei treni per prendere la linea a scartamento ridotto che ci porterà attraverso l’Himachal Pradesh, in particolare fino a Kangra. Dopo qualche incomprensione con gli addetti della ferrovia, riusciamo a capire che c’è un problema… la linea è saltata (probabilmente franata per troppa pioggia)…Ci indicano la fermata degli autobus, dove potremo prenderne uno per McLeod Ganj. Siamo per un po’ incerti se abbandonare l’idea di vedere le pendici dell’Himalaya, impensieriti dall’idea di frane che potrebbero magari bloccarci al ritorno. Ma le 15 ore in treno e la notte nell’albergo pulcioso ci convincono a tentare la sorte comunque.

Non senza altre incomprensioni linguistiche (dovute alla mancanza di una lingua comune tra noi e gli autisti della corriera – l’inglese non è diffuso come pensavamo) riusciamo a partire su un autobus affollatissimo verso le montagne. Attraversiamo zone verdissime, folte di vegetazione e pian piano iniziamo a salire…Dopo qualche ora ci fermiamo in un piazzale con altre decine di mezzi (autobus e autocarri), senza riuscire a capire cosa accade. Di nuovo ci accorgiamo che è difficile comunicare, ma alla fine capiamo che un buon tratto della valle è davvero inaccessibile a causa della frana e si procede a senso alternato lungo la carrettiera. Dopo quasi 5 ore raggiungiamo Dharamsala e da lì con un taxi McLeod Ganj, al nostro hotel India House. L’atmosfera è decisamente diversa da quella cui siamo abituati. Per la prima volta abbiamo l’impressione di non essere gli unici turisti in giro, anzi la cittadina si dimostra abbastanza commerciale. Nonostante ciò riusciamo a prenderla per il verso giusto. Cioè fregandocene degli israeliani in anno sabbatico e dei buddhisti statunitensi che cercano l’illuminazione tra un internet cafè e una scuola di yoga, ci godiamo qualche giorno a una temperatura decente (fresco e umido, come sulle Alpi), mangiando divinamente vari tipi di momo e shaptak nei ristoranti tibetani, vistando il tempio, osservando da vicino le scimmie e facendo piccole escursioni. Non è stagione per lunghi trekking, il tempo è sempre incerto, spesso nuvoloso e piovoso, la terra è intrisa d’acqua e frana facilmente; così ci accontentiamo di laghi sacri e cascate, non senza stupirci per la mancanza di rispetto dell’ambiente che impera ovunque, con cartacce per terra in una quantità per noi inconcepibile. I turisti sono molti, come i souvenir del resto, ma notiamo che parecchi tra loro sono indiani, come in altri luoghi che abbiamo visitato, in particolare in un periodo in cui si sommano pellegrinaggi induisti e il giorno dell’Indipendenza nazionale.

Rieccoci alla fermata delle corriere, per scendere a valle. Il viaggio attraversa luoghi incontaminati ma anche basi militari, torrenti in piena, villaggi colorati, campi di canapa. Arriviamo a Pathankot, ma senza fermarci questa volta… in breve risaliamo sul treno per Amritsar, dove arriviamo verso le 19. Non abbiamo prenotato, quindi scegliamo in fretta l’hotel Grand, davanti alla stazione. Molto comodo e pulito, con un buon ristorante. Ad Amritsar visitiamo il Tempio d’Oro, dove torniamo più d’una volta per cogliere i riflessi di luce sull’acqua alle diverse ore della giornata, e il bel giardino di Jalliwalla Bagh, luogo storico dell’indipendenza dal colonialismo britannico, meta di un grande flusso di turisti locali. Tra i ristoranti, ci è piaciuto il Neelam’s, proprio fuori dal complesso del tempio, dove ci siamo rifugiato per sopportare il caldo bruciante dopo una passeggiata tra i vicoli e il mercato.

Infine, prendiamo l’ultimo dei nostri treni e torniamo a New Delhi. Anche quest’ultimo viaggio è stato interessante per la conoscenza con l’unica categoria ancora mancante al nostro carnet, vale a dire i NRI, Indiani non residenti, nella fattispecie un manager dell’upper class punjabi che vive ad Atlanta negli USA con la moglie e ci ha fornito molte interessanti informazioni sullo stato e sull’India in generale, mostrandoci le particolarità del paesaggio che scorreva oltre il finestrino.

Al nostro arrivo a New Delhi ci sembrava quasi di essere a casa… una sensazione molto diversa da quella che avevamo ricevuto all’inizio…Insomma ci sembrava di padroneggiare completamente il caos della metropoli. Durante gli ultimi giorni abbiamo visitato la maestosa tomba di Humayun’s, immersa in un bellissimo giardino geometrico, i mercati popolari della zona di Connaught Circus e il Dilli Haat, mercato statale di artigianato a prezzo fisso (incredibile dopo 20 giorni di sfiancanti contrattazioni) dove è possibile gustare le cucine di tutti gli stati indiani e in particolare dove si trova il mitico banchetto n.18 di Vandana Shiva, con i prodotti biologici ed equosolidali dell’associazione Navdanya. Tra i ristoranti di Delhi consigliamo quelli di Dilli Haat di giorno, di sera siamo andati al Banana Leaf, piuttosto buono anche perché non avevamo ancora potuto assaggiare la cucina del sud; gli altri ce li siamo dimenticati, segno che erano passabili ma non memorabili.

Un viaggio che ha risposto in pieno alle nostre aspettative, soprattutto per i contatti umani che abbiamo avuto, e la possibilità di conoscenza con realtà che neppure sognavamo…E ora ecco qui con la nostalgia e la voglia di tornarci al più presto! S & G



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