Uzbekistan: il paese delle cupole turchesi

Percorrendo l'antica Via della Seta tra atmosfere da fiaba e nuove realtà
Scritto da: airada
uzbekistan: il paese delle cupole turchesi
Partenza il: 08/08/2017
Ritorno il: 15/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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UZBEKISTAN 8-15 AGOSTO 2017

L’Uzbekistan è un paese che consiglio di visitare: un viaggio tranquillo, non eccessivamente faticoso (tranne qualche lungo trasferimento) e ancora ricco di atmosfere che richiamano l’antica via della seta. Sono sempre stata affascinata dai luminosi colori turchesi delle cupole e delle maioliche azzurre e blu che rivestono i monumenti. Anni fa ho avuto la fortuna di visitare l’Iran, che ha notevoli affinità architettoniche con questo paese: non amo i paragoni, ma devo ammettere che l’antica Persia è nel complesso più varia e intrigante dell’Uzbekistan, ma anche quest’ultimo merita sicuramente di essere visto, soprattutto per la cordialità e il calore della popolazione, nonché per la sua antica storia.

INFORMAZIONI GENERALI:

Prese elettriche: come l’Italia

Clima: ad agosto caldo intenso ma secco, qualche sera anche più fresco

Valuta: sum (1 euro 4500 sum)

Documenti: passaporto + visto. Importante compilare bene i moduli d’ingresso, che vengono distribuiti in aereo, indicando esattamente le valute e i beni preziosi introdotti nel paese (anche il proprio cell, pc ecc., specificando di seconda mano). All’uscita idem: chiaramente la somma di denaro sarà di meno per le spese fatte.

Volo: Uzbekistan Airways da Roma Fiumicino a Tashkent, circa 5 ore e mezzo. Il mio volo era in ritardo, ma la coincidenza per Urgench (circa 2 ore di viaggio) ha aspettato.

Strade: in alcune zone è possibile imbattersi in tombini aperti e scanalature vuote dei marciapiedi, abbastanza larghe, davvero pericolose.

ITINERARIO DI VIAGGIO: Khiva-Bukhara-Shakhrisabz-Samarcanda-Tashkent

HOTEL: Sono andata in Uzbekistan con un Tour Operator che ha prenotato gli alberghi.

A Khiva ho soggiornato nell’hotel Euro Asia (3 stelle), situato in pieno centro storico. E’ abbastanza strano, con un grande atrio nelle cui pareti, oltre al banco della reception, spiccano le porte di alcune camere. Le altre sono al secondo piano, affacciate su uno stretto corridoio, aperto verso la sala sottostante. Anche l’arredamento interno delle stanze ha un che di tipico, assolutamente diverso dagli standard internazionali: lenzuola a righe colorate imitazione Chanel.

A Bukhara: hotel Heritage Devon Begi (4 stelle), in centro, con tende e copriletti che spiccano per lucidi tessuti dorati, di gusto orientale.

A Samarcanda: hotel Emir Han (4 stelle), in periferia, nelle cui stanze le testate dei letti sono di stoffe bluette, decisamente vistose,m e i bagni hanno mattonelle dorate che fanno pendant con i rubinetti di ottone. Purtroppo le docce sono quasi sempre nelle vasche, con odiose tendine di plastica. Anche l’arredamento della hall è esagerato e pacchiano, con abbondanti dorature e sedie fucsia e oro, in stile barocco, nei corridoi.

A Tashkent: hotel City Palce (4 stelle), molto moderno in stile internazionale.

RISTORANTI – Una raccomandazione: consiglio le solite precauzioni del viaggiatore nel bere acqua e bibite in bottiglia, niente ghiaccio e cibi cotti.

A Khiva ho pranzato in un ristorante vicino all’albergo (in pieno centro storico), l’Orient Star, un bel locale che probabilmente viene utilizzato anche per spettacoli poiché ha un grande spazio al centro e i tavoli disposti da un lato. Un menù tipico è costituito da un antipasto di assaggini offerti in piccole ciotole (legumi, barbabietole, rotolini di melanzane), accompagnati da spicchi di focaccia bianca. Segue poi una gradevole zuppa di verdure, con carne e pasta di piccolo formato e per finire patatine fritte, un rotolino di crêpe ripiena di carne e tè verde.

Per la cena invece è stato scelto un ristorante situato su una terrazza, con pietanze servite con le stesse modalità.

Durante il trasferimento da Khiva a Bukhara, dopo parecchie ore di attraversamento di un’arida zona desertica, ho consumato un “sacco al pranzo” (come scherzosamente ha detto la guida) in una specie di costruzione dotata di bagni (si fa per dire) e di una parte esterna coperta, dove era apparecchiato un lungo tavolo. Accolta da una ventata di aria bollente e secca, ho gustato un cestino contenente un panino di carne e formaggio, due rustici, un dolce e una banana, completati da un pomodoro e un cetriolo.

A Bukhara il ristorante scelto per la cena era l’Old Bukhara, situato su una terrazza: misto di carne arrosto con verdure, servito dopo la solita zuppetta preceduta da antipastini. Per finire un ottimo strudel con gelato.

A pranzo del secondo giorno mi sono fermata nel ristorante Bella Italia, che del nostro paese ha solo il nome perché il cibo è sempre uzbeko, con antipasti, zuppa di zucca e carne con patate fritte. Per finire un buon dolcetto a forma di cigno ripieno di panna. Per cena invece sono andata in una casa privata adibita a ristorante. Questo fenomeno è molto diffuso perché non credo ci sia una grande quantità e offerta di ristoranti. In un ampio cortile erano apparecchiati degli allegri tavoli sui quali erano sistemate piccole ciotole con i soliti antipasti di verdure cotte e crude (che è meglio evitare perché alcuni del gruppo sono stati male), frutta, pomodori, cetrioli e pane-pizza. I padroni di casa hanno servito a tavola insieme ai figli e la cena è stata molto gradevole. Il piatto forte era una piccola tajine molto gustosa, con patate, pomodori e carne, preparata spesso in occasione del “navruz”, il capodanno zoroastriano.

Il pranzo lungo il trasferimento da Bukhara a Samarcanda è stato nuovamente consumato in una specie di agriturismo famigliare, dove mi hanno offerto per antipasto delle buone pizzette fritte e una zuppa.

A Samarcanda sono andata a cena in un enorme ristorante che si chiama Sherazade: l’ingresso è molto pomposo, pieno di dorature. A pian terreno c’era una grande festa con musica ad alto volume e tanta gente che ballava. Io invece sono stata sistemata al primo piano, pronta per assaggiare il famoso riso plov, con cipolle, carne e spezie, abbastanza buono.

A Tashkent il pranzo era prenotato al ristorante Piligrim, dove ho mangiato un piatto strano e tipico che sembra una zuppa di semolino. A cena infine al ristorante Al Aziz per gustare dei pezzetti di carne infilzati su uno spiedo di metallo e accompagnati da patatine fritte.

ACQUISTI: Le numerose bancarelle e botteghe esponevano soprattutto bellissime ceramiche colorate (che hanno sia disegni più tradizionali, che decori particolari), borsette e borse fatte a mano in tessuti ricamati, colbacchi di pelliccia, scialli in lana di cammello o cachemire, sciarpe di seta o cotone e oggetti di legno.

È quasi comico il modo compulsivo di fare acquisti dei turisti italiani in vacanza: diventano l’incubo di tutte le guide, le cui spiegazioni vengono spesso disertate se nei paraggi sbuca una bancarella. La merce può anche essere di pessima qualità, inutile, inutilizzabile in Italia e destinata a rimanere il più delle volte sepolta in un angolo nascosto o nei cassetti, ma noi imperterriti continuiamo a comprare. Regali, regalini, ricordi: in fondo è un modo per memorizzare il viaggio e per mettere un sigillo all’esperienza vissuta.

Bukhara è una città famosa per le fabbriche di tappeti.

ABBIGLIAMENTO UZBEKO: Per quanto riguarda l’abbigliamento usuale in Uzbekistan, generalmente le donne indossano abiti lunghi o pantaloni completati da belle tunichette in cotone, stampato con i disegni geometrici tipici di questo paese, che mi piacciono molto. Gli uomini vestono all’occidentale, come iniziano a fare le donne nelle grandi città.

Quando si entra nelle moschee, a parte togliersi le scarpe, non ho dovuto coprire le spalle come mi avevano detto: io generalmente ero in mezze maniche, ma anche chi era più scollato non ha dovuto farlo.

POPOLAZIONE UZBEKA: Devo sottolineare l’educazione e la gentilezza di tutte le persone incontrate. Sempre sorridenti e cortesi salutano per le strade, mai venditori invadenti, disponibili ad imparare e capire l’italiano. I bambini, ben vestiti, non mi hanno mai fermato per chiedere nulla e si sono rivelati sempre molto pronti e svelti nel fare i calcoli dei cambi. Solo una volta una graziosa ragazzina in bicicletta mi ha fermato per chiedermi una caramella, che purtroppo non avevo. Un giorno una venditrice mi ha chiesto un cambio in euro, con una delicatezza che mi ha sorpreso: era una pittrice che doveva recarsi in Francia per una mostra e voleva viaggiare con banconote di taglio più grande, meno ingombranti. L’ha aiutata una mia amica e lei l’ha ringraziata con un tale entusiasmo che mi ha stupito.

STORIA: L’Uzbekistan era diviso in Khanati: il più antico era quello di Khiva (dal 1512), con capitale prima a Urgench e poi a Khiva e situato nella parte ovest del paese.

Il Khanato di Bukhara (dal 1599) invece era al centro e alla fine del Settecento diventa Emirato.

Il terzo Khanato di Kokand, nella parte orientale verso la Cina, nasce alla fine del 1700. Pietro il Grande (1700) cerca accordi commerciali con i Khan, che non li accettano e riescono a sconfiggere l’esercito mandato dallo zar.

Dopo circa 100 anni i russi, per proteggersi dagli inglesi che verso il 1800 avevano conquistato l’India, minacciano i khan e gli emiri, e arrivano alla trattativa di lasciare sul posto i governanti uzbeki, liberi nelle questioni interne, ma con un protettorato russo. In questo modo pagano meno sulle carovane, specialmente di cotone, produzione incrementata a sfavore dell’allevamento tradizionale, politica che suscita conflitti con la popolazione locale. Aumentano l’irrigazione nei campi di cotone e investono nella ferrovia per trasportare meglio questo prodotto, la frutta secca e la lana. Un’altra importante risorsa esportata è il gas. Viene invece importata la ceramica dalla Russia in Asia Centrale. Scelgono come capitale Tashkent, situata in posizione centrale, cambiano usi di vestiario nelle principali città e naturalmente diffondono la lingua russa nei territori conquistati. Nel 1917 scoppia la rivoluzione russa. I bolscevichi sobillano gli uzbeki contro i khan. Quelli di Kokand e Khiva vengono spodestati. Bukhara resiste per due anni, grazie all’aiuto degli inglesi, fino alla formazione della Repubblica bolscevica di Bukhara (1912-1925), nome dell’Uzbekistan in questo periodo, prima di entrare a far parte dell’Unione Sovietica. Nel 1991 viene proclamata l’indipendenza.

Le città visitate

KHIVA

Secondo me è la città più affascinante e ricca di antica atmosfera di tutto l’Uzbekistan.

Storia Secondo la leggenda, è stata fondata da Sem, il figlio di Noè. Nata come piccola fortezza e centro commerciale sulla via della seta, nel 1592 diventa capitale del Khanato di Khiva, nella regione asiatica di Corasmia, e per molto tempo è nota per il mercato degli schiavi. Verso la metà del 1700 è distrutta dai persiani e ricostruita solo alla fine del secolo. Nel 1876 è conquistata dai russi, diventando vassalla dello zar fino al 1924 quando è inglobata nello stato dell’Uzbekistan.

LUOGHI DI INTERESSE: Il centro storico Itchan Khala (fortezza interna) è situato dentro le magnifiche mura in argilla, con quattro porte di accesso ed enormi torri semicircolari, e contiene oltre 50 monumenti storici e antiche abitazioni, risalenti per lo più al XVIII e XIX secolo. L’architettura è simile a quella dell’Iran, con torri, palazzi e moschee ricoperti di piastrelle in tutte le tonalità dell’azzurro. Gli edifici invece e le antiche mura hanno quel classico color mattone rosato delle costruzioni in argilla.

In una grande piazza si erge la statua di uno dei maggiori rappresentanti di Khiva: Muhammad Ibn Muso Al Xorazmiy (783-850), il padre dell’algebra. Dal suo nome deriva la parola “algoritmo”.

Segnalo un posto stupendo, la Moschea del venerdì, Juma, edificata nel X secolo e poi ricostruita alla fine del 1700. La sua particolarità sono le numerose splendide colonne di legno intagliato (112 originali), disposte in un’ampia sala ipostila (uno spazio il cui tetto è sostenuto da colonne). Anche il basamento e i capitelli (quelli a tulipano caratterizzano le colonne più antiche) sono realizzati nello stesso materiale. È veramente un effetto spettacolare e unico, che non avevo mai visto.

BUKHARA

Da Khiva a Bukhara c’è un lungo percorso attraverso il Deserto Rosso, nell’antica regione della Corasmia. Mi hanno raccontato che circa 10 anni fa questo percorso era veramente duro poiché la strada, lunga 460 chilometri, aveva un pessimo e disastrato manto stradale, pieno di buche che rendevano il viaggio molto faticoso. Oggi hanno fatto dei lavori che lo hanno reso migliore, tranne l’ultimo tratto. Dopo una prima zona verdeggiante, si attraversa il fiume Amu Darya. Sulla riva destra ci sono moltissime coltivazioni di meloni rinomati per la loro dolcezza e venduti lungo la strada.

Si incontrano anche coltivazioni di cotone, importante produzione del paese.

Alla prima impressione Bukhara è molto diversa da Khiva perché, pur soggiornando nel centro storico, non si tratta di una zona semi-disabitata e fiabesca come la precedente città. Qui ci sono molte persone in giro e le automobili e il traffico di una città più moderna. Gli edifici mantengono le antiche caratteristiche di mattoni di argilla beige, ma molti sono stati ricostruiti dopo le distruzioni operate dai mongoli verso il 1200 e dai bolscevichi, che demolirono innumerevoli monumenti religiosi.

Storia: Intorno al 1200 Gengis Khan (l’unificatore di tutte le tribù mongole) vuole intraprendere rapporti commerciali con la Corasmia e a tal scopo invia una carovana di 500 uomini. Il governatore della città di Otrar però accusa i membri della spedizione di essere delle spie e li fa arrestare. Il Khan allora invia tre ambasciatori direttamente allo Sha della Corasmia, Ala al-Din Muhammad, per chiedere giustizia: in risposta un ambasciatore e tutti i membri della carovana vengono giustiziati. Questo fatto scatena la reazione del Khan che inizia l’occupazione di tutta la regione: la maggior parte delle città vengono conquistate, saccheggiate e distrutte mentre la popolazione massacrata o schiavizzata.

LUOGHI DI INTERESSE: La grande piazza chiamata Lyab-i-Hauz, che circonda uno dei pochi stagni (howz) sopravvissuti nella città. Prima del periodo sovietico ce n’erano molte di queste vasche, che erano la fonte principale d’acqua, ma erano note per la diffusione delle malattie e sono state in gran parte riempite dal 1920 al 1930. Questa zona però è rimasta integra, insieme ai monumenti che la circondano, perché è sede di un magnifico complesso architettonico costruito tra il 1500 e il 1600.

Ho ammirato la Nadir Divan-Beghi Madrasa, splendida per le ormai familiari piastrelle colorate in tutti i toni del blu. Il termine Madrasa in arabo significava semplice scuola, ma dopo l’arrivo dei Turchi Selgiuchidi (intorno al XI sec. ) diventa la sede per gli studi superiori, che completano quelli base della moschea. Prima del colonialismo europeo venivano insegnate solo dottrine teologiche islamiche, per comprendere le quali era necessario apprendere la lingua araba. Da notare una particolarità della decorazione di questo edificio, inizialmente eretto come caravanserraglio: sulla parte superiore della facciata principale ci sono delle rappresentazioni animali (ufficialmente vietate dall’Islam). Spiccano, bellissimi, due uccelli mitici, i “simurg”, che secondo la mitologia persiana vivevano sull’albero dei semi che generano tutte le piante. Sotto agli splendidi volatili, con il corpo di piastrelle azzurre e le ali bianche, appaiono due agnelli e in alto un sole con il volto umano. Con il calar della sera l’edificio si illumina di rosa e offre un bell’effetto. Nel cortile interno vengono allestiti spettacoli folcloristici con balli, musica e sfilate di abiti uzbeki. Lo spazio è ampio con tanti tavolini intorno e piccole botteghe sistemate lungo tutto il perimetro della piazza. Queste espongono la merce sia su banchetti esterni che all’interno di piccoli negozi, nei quali bisogna entrare attraverso minuscole porte, costruite così basse per costringere le persone ad inchinarsi entrando nei luoghi sacri.

Lì accanto c’è ad una grande statua in bronzo che rappresenta un uomo che cavalca un asino con le grandi orecchie: si tratta di Nasriddin Afandi, un personaggio favolistico del XIII secolo, presente in storielle e aneddoti di molte nazioni arabe, turche e medio-orientali. Un altro importante monumento della piazza Lyab-i Hauz è il Khanqa (1620), un edificio utilizzato da una confraternita sufi. Il sufismo è la corrente di ricerca mistica dell’islam. Il suo interno è adibito a museo, infatti vi sono conservati dei bellissimi manoscritti del corano, con disegni dorati e carta lucida. Ho scoperto che ci sono 25 tipi di scrittura araba, con differenti caratteri.

Superata la piazza c’è una moschea chiusa, che ora è sede di un museo dei tappeti, il “Gilamlar Muzeyi”: come la maggior parte degli edifici di Bukhara è in mattoni di argilla sistemati in modo molto elaborato, creando geometrie e disegni ricercati. Ogni tanto sono arricchiti da intarsi di maioliche azzurre. Ai lati ci sono semi-colonne, affiancate a coppie.

Questi edifici sono stati eretti intorno al 1121, ma poi incendiati da Gengis Khan, durante l’assedio di Bukhara, che aveva scambiato la grande moschea per il palazzo del Khan, date le sue imponenti dimensioni. L’unica struttura risparmiata dal fuoco è stato il Minareto Kalyan, noto anche come Torre della Morte, perché i criminali venivano gettati dalla sua cima. E’ un pilastro verticale più alto rispetto ai classici minareti, che vengono usati dai muezzin per richiamare i fedeli alla preghiera (anche se all’inizio era sufficiente salire sui tetti delle moschee). Il Kalyan ha anche una funzione ornamentale, essendo bellissimo nelle sue decorazioni in mattoni, con la base più larga che si restringe salendo e che culmina con una rotonda ad archi sulla cima. Sono stata attratta dallo smagliante colore turchese delle cupole della Moschea e della Madrasa, che si ergono ai lati della piazza.

Sono entrata nell’enorme cortile interno della Moschea Kalyan, completata intorno al 1514. al centro del quale spicca un isolato albero. Sul fondo si erge un elemento tipico dell’architettura islamica: l’”iwan”, che immette nella zona di preghiera o funge da ingresso dell’edificio. È un’ambiente rettangolare coperto, chiuso solo da tre lati, preceduto da un portale (pishtaq) che sporge dalla parete esterna. Proprio di fronte alla Moschea si apre l’ingresso della Madrasa Mir-i Arab, costruita intorno al 1535 e finanziata con i soldi della vendita degli schiavi persiani, catturati durante una guerra. Purtroppo qui stavano facendo dei lavori e mi sono fermata soltanto davanti alle grate oltre l’ingresso. Mi hanno colpito le enormi torri circolari, che si restringono verso l’alto, che delimitano gli angoli del complesso. Si accede alla fortezza percorrendo un ponte e attraversando un portale bianco delimitato da due alte torri del XVIII secolo, collegate tra loro. L’origine leggendaria di questo luogo è simile alla fondazione di Cartagine e alla storia di Didone. Un eroe epico si era innamorato della figlia del governatore locale che, per impedire il matrimonio, gli impose un compito impossibile: costruire un palazzo in uno spazio delimitato dalla pelle di un toro. Il nostro paladino allora tagliò la pelle in tante striscioline legate tra loro e disegnò un ampio perimetro che permetteva di erigere la costruzione della cittadella. L’Ark risale al 500 d.C., ma è stata distrutta e ricostruita più volte: conteneva anche una famosa e molto ricca biblioteca. Nell’interno ci sono molti Museiche espongono preziosi dipinti, monete, reperti archeologici, ma io ho visitato solo la Moschea del venerdì, che contiene splendidi manoscritti dipinti del Corano e pregiati leggii in legno intarsiato, la cui lavorazione avevo già ammirato nei laboratori di Khiva. Sono potuta entrare solo perché non è più un luogo di preghiera, altrimenti, essendo oggi venerdì, sarebbe vietato l’accesso ai turisti. C’è anche un bel soffitto di legno colorato, con colonne e capitelli elaborati. Sono entrata poi nel palazzo d’inverno dell’emiro che è stato distrutto, ma del quale rimane la sala del trono.

Lasciata la Cittadella, ho attraversato la strada per andare a vedere dall’esterno (essendo venerdì) la più grande moschea di Bukara, Bolo Howz (che significa “vicino al laghetto” in quanto è situata accanto a uno stagno). Costruita nel 1712, ha due sale di preghiera: una interna ed una esterna. Quest’ultima è stata ricavata nel 1917 aggiungendo davanti all’Iwan, alto 12 metri, 20 colonne di legno intagliato e verniciato, con la base di calcestruzzo, che sorreggono un tetto. Ormai mi ero abituata a questi elementi architettonici, comuni a moltissimi monumenti di questo paese. Tutti gli uomini pregano seduti in terra all’esterno, mentre alle donne non è permesso l’ingresso. Addirittura qualcuno protesta se delle turiste si avvicinano troppo per fotografare.

Questo monumento mi ha colpito molto per la sua architettura particolare: infatti è considerato uno dei lavori più apprezzati dell’Asia Centrale, nonché il più antico. È stato costruito nel 905 come Mausoleo per Ismail Samani, un potente emiro della dinastia persiana Samanide, che ha governato in questo paese nel IX e X secolo. Nell’edificio sono anche conservati i resti di altri componenti della famiglia. Il fatto che la legge religiosa ortodossa sunnita proibisca la costruzione di mausolei su luoghi di sepoltura sottolinea l’importanza di questa famiglia. Al momento dell’invasione di Gengis Khan, il santuario era sepolto dal fango delle inondazioni e quindi fu risparmiato dalla distruzione. Nel 1934 il sito è stato riscoperto da archeologi sovietici e lo scavo è durato due anni. Ho ammirato questo edificio a forma di cubo sia all’esterno che all’interno. È completamente rivestito da mattoncini di argilla, ma la spettacolarità sta nella loro disposizione: sono sistemati in modo da ottenere un intricato sistema decorativo che alterna motivi dell’arte zoroastriana, prevalente in Iran, (elementi circolari che ricordano il sole) con elementi locali (pesanti contrafforti angolari). Il santuario è alto circa 35 piedi, con quattro facciate identiche che degradano dolcemente verso l’interno con l’aumentare dell’altezza. La forma cubica, con tetto a cupola, viene amplificata internamente da archi a sesto acuto che la trasformano in ottagono, dentro i quali sono inserite altre due lunette, che la raddoppiano ulteriormente, e piccole finestre che permettono la ventilazione. Parlando di un emiro persiano è giusto accennare alla relazione tra la Persia e l’Uzbekistan.

Storia: Ciro II il grande è un re persiano del VI sec. a.C. Dopo aver unificato la Persia, sottomesso Babilonia e la Siria, vuole conquistare l’Egitto, ma ha paura dei confini nord, dove abita la tribù dei Massageti, Crea quindi delle basi militari sul fiume Amu Darya, ma poi, per stare più sicuro, decide di espandersi nel territorio. Tomiri, la regina dei Massageti, inizia delle trattative diplomatiche, per evitare massacri, tramite il figlio che invece viene ammazzato da Ciro che non accetta i negoziati. Per vendetta la regina tende un agguato al re persiano in una gola e ordina di catturarlo vivo e poi decapitarlo, nel 529 a.C.. La testa è messa in una borsa di cuoio piena del suo sangue e rispedita in Persia. Attualmente Ciro è sepolto a Pasargade, non lontano da Persepoli. Dopo di lui il nipoteDario I prosegue l’invasione dell’Uzbekistan e le sue gesta sono commemorate nelle famose iscrizioni di Behistun (la roccia del paradiso o luogo degli dei). Nel 327 a.C. l’Uzbekistan viene conquistato da Alessandro Magno che sconfigge l’ultimo re di Persia Dario III.

Il quartiere ebraico è situato dietro la piazza con il laghetto. Qui ho visitato una casa dove vive e lavora un importante artigiano di marionette in cartapesta, pluri-premiato, che espone le sue creazioni anche a Londra. Il quartiere ebraico è abbastanza brutto: bisogna pensare che i bolscevichi hanno distrutto buona parte della città e solo dopo l’indipendenza del 1991 gli uzbeki hanno iniziato una lenta opera di restauro dei monumenti e ricostruzione delle abitazioni. È molto frequente infatti vedere dovunque cantieri e operai che lavorano con i famosi mattoni di argilla, usati insieme alla paglia per innalzare muri dotati di intercapedini. Ho attraversato dei vicoli spogli dove predomina il colore beige. Numerose sono le insegne di piccoli hotel che denotano la crescita del turismo. Non c’è niente da vedere, nemmeno negozi particolari. Mi sono fermata però in una bellissima abitazione nella quale sono entrata per ammirare il cortile esterno, da dove si evidenzia la zona estiva, con i soffitti alti per far disperdere il calore, e quella invernale, con i soffitti bassi per trattenere il caldo. Il salone della casa è molto ampio e sontuoso, con tappeti sul pavimento, un enorme lampadario in cristallo, grate alle finestre e pareti riccamente decorate con stucchi dorati e dipinti. Mi ha colpito una gigantesca nicchia, divisa in tante cellette che contenevano preziose porcellane russe. La padrona di casa ha presentato bellissimi manufatti tessili ricamati a mano: runner, copriletti e arazzi, che erano in vendita. Il Char Minor è l’ultimo monumento che ho visitato, quello che su un plastico era rappresentato esageratamente grande. Ha quattro minareti con la cupola azzurra e come la maggior parte dei monumenti dell’Uzbekistan era stato distrutto e ora stanno cercando di ricostruirlo. Era circondato da celle simili a quelle di un monastero, che prossimamente dovranno essere nuovamente innalzate. Come sempre accade, non mancano bancarelle nelle vicinanze che, oltre alle solite borse e sciarpe, vendono frutta secca che è una importante merce di esportazione.

SHAKHRISABZ

È una delle principali e più antiche città dell’Asia Centrale e si trova a circa 80 km a sud di Samarcanda.

LUOGHI DI INTERESSE Usando un comodo trenino mi sono avvicinata ai resti del “Palazzo Bianco”, detto Aq Saray, la dimora estiva di Tamerlano, iniziato nel 1380. Purtroppo rimane solo un gigantesco portale di accesso con tracce delle sue due torri, alte 65 metri, ancora in parte rivestite di mosaici in ceramica azzurra.

Oltre queste imponenti rovine si estende un ampio e curato spazio verde, con costruzioni laterali occupate da negozi. Mi sono fermata davanti a una grandiosa statua di Amir Timur.

Storia: Amir Timur, (“lo zoppo” a causa di una ferita), nasce nel 1336 in questa località. Il nome Tamerlano deriva da una degenerazione del suo soprannome. E’ un condottiero turco-mongolo e fondatore dell’impero timuride dal 1370 al 1405. Alla sua morte il suo impero è immenso, da Mosca e dalle attuali Turchia e Siria fino ai confini della Cina, includendo tutta l’Asia centrale e l’India. Diversamente da Gengis Khan non è soltanto uno spietato distruttore delle civiltà che gli si oppongono, ma anche un raffinato protettore di letterati, uomini di scienza e artisti, e il costruttore di splendidi edifici. come testimoniano i palazzi di Samarcanda, che proclama capitale e nella quale è sepolto.

Più avanti si estende un altro gruppo memoriale, il Dorut Tilavat. Qui ho ammirato la Moschea Kok Gumbaz (il cui nome significa cupola blu e costruita nel 1437 da Ulugh Beg, nipote del Tamerlano), che si differenzia per l’interno chiaro di stucco dipinto. Dovunque mi giravo, vedevo cupole turchesi, bellissime da fotografare anche attraverso le grate. In questo complesso si trova anche il Mausoleo di Shams ud-Din Kulai, influente saggio dell’epoca e padre spirituale di Turghai, genitore del Tamerlano, anch’egli sepolto qui.

SAMARCANDA

È una bella città ricca di storia, ma purtroppo ha subito devastanti distruzioni. Successivamente è stata ricostruita e offre all’attuale turista l’immagine di una città molto verde con ampi viali fiancheggiati da edifici, generalmente di due piani, che le conferiscono una specifica caratteristica.

Storia: Un tempo Samarcanda era la città più ricca dell’Asia Centrale. Fondata tra il VII e il V secolo a.C., per la maggior parte della sua storia fa parte dell’Impero persiano. Nel 329 a.C. è conquistata da Alessandro Magno, dagli arabi (che introducono il loro alfabeto e la religione islamica) e dai turchi, fino al saccheggio del 1220 da parte dei mongoli. Nel 1370 Tamerlano decide di rendere Samarcanda capitale del suo impero e per 35 anni la città è ricostruita ed è piena di cantieri. Alla sua morte il nipote Ulugh Beg governa il paese e la sua capitale per 40 anni. Crea varie scuole attente allo studio delle scienze e della matematica. Ordina anche la costruzione di un grande osservatorio, di cui restano imponenti tracce. Quando nel XVI secolo gli Uzbeki spostano la capitale a Bukhara, Samarcanda inizia un lento declino.

LUOGHI DI INTERESSE Il Mausoleo del Tamerlano mi appare subito diverso per la meravigliosa cupola della moschea (15 metri di diametro e 12,5 di altezza) che è a stretti costoloni di maioliche azzurre, con disegni a rombi bluette. Passato il classico arco a sesto acuto, inserito nella parete rettangolare (decorata con mattoni incisi a mosaici) dell’”iwan”, mi sono ritrovata in un cortile circondato da porticine meravigliosamente intagliate.

Mi sono divertita a farmi fotografare davanti a queste aperture, per mettere in evidenza il rapporto tra la mia altezza e le dimensioni ridotte delle porte. L’interno della moschea mi ha lasciato a bocca aperta per la ricchezza delle decorazioni dorate, soprattutto nella cupola che mi ha avvolto luccicante con un piccolo riquadro blu. Sul pavimento sono posati i sarcofagi del Tamerlano (nero), dei suoi figli e dei nipoti, tra cui quello prediletto ( Muhammad Sultan), per il quale inizialmente era stato costruito il monumento nel 1403. Tamerlano aveva realizzato per sé una tomba di minori dimensioni a Shakhrisabz, ma quando morì tutti i passi di montagna erano inagibili per la neve, e il condottiero dovette esser seppellito qui.

Percorrendo un ampio viale fiancheggiato da numerosi negozi, sono arrivata alla scenografica Moschea di Bibi-Khanym, la moglie favorita del Tamerlano, costruita tra il XIV è il XV secolo, usando la ricchezza saccheggiata durante la conquista dell’India. E’ stata una delle più grandi e più belle moschee del mondo islamico. Dall’inizio della costruzione si rivelarono problemi di staticità della struttura che portarono in seguito al suo crollo. Nel XX secolo è iniziata la complessa ricostruzione della moschea, che ha tre cupole a costoloni come il mausoleo già visitato: le sue tre sale, le gallerie coperte e il cortile aperto erano destinate a raccogliere l’intera popolazione maschile della città di Samarcanda, per le preghiere comuni del venerdì. Ho sostato nel cortile dove c’è un grande leggio in pietra per giganteschi corani. Mi hanno raccontato un’affascinante storia-leggenda che narra l’amore dell’architetto che ha progettato questo bellissimo complesso verso la sua regina. Dopo un pressante corteggiamento culminato con un bacio indelebile, l’innamorato sale in un’alta torre per sfuggire all’ira del Khan che lo aveva scoperto e evita la morte volando via dalla finestra.

Poco distante c’è un mercato, ricchissimo di banchi di frutta secca, che con quella fresca costituisce una delle maggiori ricchezze del paese e dell’esportazione.

Il clou di Samarcanda è la grande piazza Registan. Purtroppo durante la mia visita la visuale era rovinata, nella parte anteriore, da una antiestetica pedana, allestita per il festival internazionale di canti e balli che si teneva proprio in quei giorni. Per entrare nella piazza si passa attraverso il metal detector. Il Registan era una piazza pubblica, cuore dell’antica città, dove venivano annunciati i proclami reali ed eseguite le esecuzioni pubbliche. Il complesso è monumentale e scenografico, anche se le architetture e i colori sono sempre gli stessi, con qualche piccola differenza negli interni o nella collocazione. Una famiglia uzbeka mi ha chiesto di scattare una foto insieme a loro e io volentieri ho ricambiato. Continuavo a notare durante tutto il viaggio la cortesia ed educazione della popolazione di questo paese. Il grande spiazzo è circondato su tre lati da altrettante Madrase. Io sono entrata in quella situata di fronte: Tilya Kori (1646-1660) che ha un interno ancora più brillante e dorato del mausoleo di Tamerlano. Qui le decorazioni sono più intense e le bordature violette creano un bellissimo contrasto. Ai suoi lati spiccano, ugualmente scintillanti di maioliche nei toni del turchese, le altre due Madrase. Sher Dor (1619-1636) è situata a destra ed è caratterizzata da mosaici di tigri sul portale d’ingresso, che contravvengono al divieto dell’islam di raffigurare soggetti viventi su edifici religiosi. A sinistra invece c’è quella di Ulugh Beg (1417-1420), da lui costruita (importante centro di studi astronomici), con due alti minareti e decorazioni geometriche sopra l’arco dell’”iwan”.

Ho visitato poi i resti dell’osservatorio astronomico di Ulugh Beg, nipote di Tamerlano. Questo studioso delle stelle aveva costruito nel 1429 un potente astrolabio, situato su un binario arcuato a 90 gradi, la cui parte iniziale (l’unica oggi visibile dopo la distruzione del 1449 ad opera di fanatici religiosi) è interrata a causa dei terremoti frequenti in zona. Nel 1690 l’olandese Jan Geveliy (1611-1687) ha pubblicato, nel suo Prodromus astronomiae, il lavoro dell’astronomo uzbeko, insieme alle scoperte di altri importanti scienziati dell’epoca, per confrontarli tra loro. Da questo piazzale rialzato si ha una bella visuale sulla città e sui monumenti già visitati.

Notevole è l’importante e monumentale complesso funerario di Shah-i.Zinda. Non me lo aspettavo così bello: costeggiando il cimitero mi sono trovata davanti a una scalinata, al termine della quale inizia una stretta strada, affiancata da mastodontici mausolei di maioliche verde smeraldo e turchese, che culmina con la tomba di Kusam Ibn Abbas (cugino del profeta Maometto) e di alcuni famigliari del Tamerlano. L’effetto è molto scenografico e i colori appaiono ancora più intensi. Il complesso di Shah-i-Zinda si è formato in circa nove secoli (dal XI al XIX) e ora include più di venti edifici.

LA SERA: con il buio sono molto scenografici i monumenti illuminati, come il minareto Kalyan. Ma l’emozione più intensa l’ho provata davanti alla piazza Registan: di notte mi appariva poco vistosa, non essendo illuminata. Ma mentre facevo queste considerazioni è arrivata la sorpresa della mia guida che all’improvviso ha dato un segnale a qualcuno e di colpo tutto si è illuminato. La piazza è diventata rosa, azzurra, gialla, fucsia e i colori rimbalzavano lampeggianti sulle Madrase. A bocca aperta ho filmato il bellissimo spettacolo: Samarcanda mi ha salutato in modo grandioso lasciandomi negli occhi le sue immagini migliori.

TASHKENT

Questa città mi ha subito sorpreso con i suoi 3 milioni di abitanti, 25 università e tantissime zone verdi. Anche qui, come a Samarcanda, le abitazioni lungo le strade sono a due o tre piani, conferendo alla città un aspetto piacevole ed elegante. Fondata dagli arabi nel 750, dominata dai cinesi, viene poi distrutta da Gengis Khan nel 1219, ricostruita e annessa al Khanato di Kokand nel 1809, prima di passare all’Impero russo.

LUOGHI DI INTERESSE Il Teatro Nazionale dell’Opera Navoi, che ha davanti un grande spiazzo con un fontana zampillante, è stato costruito dall’importante architetto russo Alekséi Shchùsev tra il 1942 e il 1947 e negli ultimi anni molti prigionieri di guerra giapponesi hanno contribuito con lavori forzati. È dedicato a Alisher Navai (1441-1501) famoso poeta turco, scrittore, politico, linguista, mistico e pittore. Fu il più grande rappresentante della letteratura Chagatai, antico linguaggio turco predecessore della lingua uzbeka.

Il centro della città permette passeggiate lungo strade piene di caffè e negozi, dove si possono trovare anche le marche europee di lusso, mi hanno detto con prezzi molto alti. Ho sostato in un parco dove vendevano moltissimi oggetti e quadri a olio, sistemati in terra lungo viali pedonali: ai crocevia alcuni pittori facevano ritratti ai passanti.

Poco oltre, in una grande piazza spicca un imponente monumento di Tamerlano in una bella posa a cavallo. Sullo sfondo si innalza il grande hotel Uzbekistan e lì vicino si trova la discesa della metro, dove mi sono avviata per ammirare qualche bellissima stazione. Purtroppo è vietato fare foto e ho dovuto solo imprimermi nella memoria le immagini di maioliche e lampadari di grande effetto, sistemati tra un treno e un altro. Ha delle similitudini con le metropolitane di Mosca e San Pietroburgo, ma quelle sono ancora più lussuose.

Il grande complesso di Hazrati Imam è una enorme piazza, situata nella parte vecchia della capitale, che contiene importanti edifici religiosi.

Io sono entrata nella Madrasa Barak Chan, eretta nel XVI secolo da un omonimo governatore di Tashkent. L’edificio che ho visitato però è una ricostruzione, poiché l’originale è stato distrutto dal terremoto del 1868. Nel cortile della Madrasa ci sono moltissime botteghe.

Sono entrata poi nella Moschea Hazroti Imam, costruita nel 2007, con due minareti di 54 metri e il cortile caratterizzato dalle note colonne in legno scolpito.

Non mancano importanti musei, tra cui mi ha colpito (dall’esterno) quello di Amir Temur, con una cupola azzurra e una terrazza merlata, che sembra un tipico copricapo mongolo. Ho notato anche una chiesa russa-ortodossa, la Cattedrale dell’Assunzione della Vergine, azzurra e bianca, con le caratteristiche cupole a cipolla, dorate.



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