Una corsa tra Città del Messico e Cancun

Era già diverso tempo che i miei amici mi chiedevano di organizzare un viaggio in Messico. Finalmente siamo riusciti a formare un gruppo con partecipanti da ogni parte d’Italia. Saremo in 37 e sappiano che ci attende una bella vacanza. La chiameremo: “paga Mario”. Il perché lo scoprirete leggendo il racconto del viaggio. 1° giorno:...
Scritto da: alexcolombaioni
una corsa tra città del messico e cancun
Partenza il: 11/02/2001
Ritorno il: 26/02/2001
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
Era già diverso tempo che i miei amici mi chiedevano di organizzare un viaggio in Messico. Finalmente siamo riusciti a formare un gruppo con partecipanti da ogni parte d’Italia. Saremo in 37 e sappiano che ci attende una bella vacanza. La chiameremo: “paga Mario”. Il perché lo scoprirete leggendo il racconto del viaggio.

1° giorno: Italia – Francoforte – Città del Messico.

I primi a partire sono i nostri amici del Piemonte dall’aeroporto di Torino Caselle con volo Lufthansa alle 7.00 del mattino per Francoforte. Aspetteranno più di tutti. I nostri amici della Toscana partono dall’aeroporto di Firenze Peretola alle 9.45. Mia moglie ed io con gli amici del centro, del sud d’Italia e dalle isole, partiamo dall’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma Fiumicino alle 10.05. I nostri amici del Veneto e dal Friuli Venezia Giulia, partono dall’aeroporto Marco Polo di Venezia alle 10,20. I nostri amici della Lombardia e dell’Emilia partono dall’aeroporto di Milano Malpensa alle 10.50. Arriviamo a Francoforte con voli Lufthansa allo stesso molo nel giro di mezz’ora quasi contemporaneamente intorno a mezzogiorno. Non abbiamo molto tempo perché alle 13.40 deve partire il volo per Città del Messico. Una volta verificato sul tabellone elettronico il gate di partenza, ci incamminiamo lungo i corridoi dell’aeroporto fino ad una discesa sotto il livello delle piste. Un nuovo e lungo collegamento interrato ci permette di arrivare più rapidamente al molo dei voli intercontinentali. Dopo il controllo dei passaporti incontriamo finalmente i nostri amici provenienti dai vari aeroporti. La più scossa è Roberta, una brillante pensionata fiorentina. Sarebbe dovuta partire da Firenze con Davide, un giovane trentenne del capoluogo toscano. Purtroppo, nonostante tutte le sollecitazioni a verificare la validità del passaporto, si è presentato con un documento scaduto. Purtroppo oggi è domenica e solo domani potrà andare in Questura a chiedere il favore di rinnovarglielo. Potrà partire solo martedì, giacché viene riprotetto su un volo della stessa compagnia tedesca. Roberta invece dopo il primo disorientamento per dover affrontare il volo da sola e altrettanto muoversi nell’aeroporto di Francoforte è felice di raccontare la sua impresa. Completato il giro di saluti non ci rimane molto tempo per aspettare la chiamata del volo. Entriamo su un Boieng 747 e alle 13,40 decolliamo per Città del Messico dove arriviamo alle 19.00 quando le tenebre stanno scendendo. Dopo il disbrigo delle pratiche doganali, il ritiro delle valigie e la consapevolezza che siamo a 2.200 metri sul livello del mare, ci troviamo all’esterno dell’aeroporto per incontrare Mario, la guida che ci accompagnerà lungo il nostro percorso. Il pullman scivola in mezzo alle vie della città. Dopo dodici ore di volo ininterrotto e la stanchezza di tutti gli spostamenti del giorno percepiamo il clima di una città triste che ogni giorno deve combattere contro il degrado o soprattutto per la sopravvivenza. Abbastanza assonnati non possiamo fare a meno di notare strade sporche piene di spazzatura, prostitute a molti angoli delle strade, traffico disordinato. Finalmente arriviamo all’Hotel Plaza Florencia nella lussuosa Zona Rosa che almeno rispetto ad altre zone, perché turistica e commerciale è curata nella pulizia. Pernottiamo serenamente fino alle luci dell’alba. 2° giorno: Città del Messico Per andare a consumare la prima colazione in una sala seminterrata dell’hotel dedicata a questo scopo, ci accorgiamo di un freddo insolito a cui ci dovremo abituare. Porto sempre con me durante i viaggi il termometro digitale che segna pochi gradi sopra lo zero. Siamo adesso pronti per la prima escursione messicana. Puntuale all’orario arriva Mario, la nostra guida insieme a Juan, l’autista del pullman. Ci trasferiamo al sito archeologico atzeco di Teotihuacan. Durante il tragitto Mario c’illustra le caratteristiche del Messico fino ad introdurre la spiegazione del sito che visiteremo nella mattinata. Dopo la visita del primo edificio con ricche rappresentazioni sul giaguaro, entriamo nella via cosiddetta Sacra da cui si osservano le protagoniste: le piramidi del Sole e della Luna e il tempio di Quetzalcoatl. All’ombra di uno degli edifici un abitante locale, vende ai turisti delle cartoline e spiega con dimostrazione pratica, come facevano gli antichi a colorare gli oggetti, compresi gli edifici. Ci dirigiamo verso la piramide del Sole. La via Sacra è larga tutta la larghezza della piramide. Arriviamo alla spicciolata alla base della piramide e iniziamo a salire. Dopo alcune alzate il battito cardiaco inizia a farsi sentire nel silenzio dell’altipiano. Dobbiamo rallentare il ritmo di salita se vogliamo raggiungere la cima. Mia moglie Alba, a metà rampa insieme a Matilde e Rosa fanno l’errore di voltarsi indietro. È ciò che chi soffre di vertigini non deve mai fare. Si rendono conto di quanto sono salite e si bloccano impaurite aggrappandosi al corrimano di sicurezza. Giuseppe ed io comunque continuiamo l’ascesa fino al primo gradone per dare un colpo d’occhio al paesaggio che già si rivela molto interessante. Sono anche interessanti le facce allibite degli altri membri del gruppo che vorrebbero continuare la salita, ma sono combattuti dalle paure dell’altezza e del fiatone che si ha, oltre 2.200 metri sul livello del mare. Continuiamo con Giuseppe l’ascesa fino al terzo gradone e poi fino alla parte sconnessa della sommità. Ci precede soltanto Gianna nella conquista della vetta, non solo perché ha qualche anno meno di noi ma soprattutto perché pesa la metà di noi. Da quassù si possono scattare delle foto a 360°. Si possono identificare chiaramente tutti gli edifici del sito, l’altipiano circostante e immaginare come poteva essere ai tempi del suo maggior splendore quando per accedere alla città era necessario attraversare i ponti che superava l’ampio lago nel mezzo del quale si trovava. Il tempo a nostra disposizione non ci permettere di salire sull’altra piramide o vedere gli altri edifici disposti lungo il lato opposto della Via Sacra, così ci dirigiamo con il pullman al vicino Visitor Center. Per invogliare l’acquisto di tequila offrono un assaggio tipico. Dispongono su un vassoio delle fette di limone che dovranno essere leggermente imbevute in un pizzico di sale. La fetta di limone deve essere morsa in modo che il succo rimanga nel palato dopo di che il mezzo bicchierino di tequila, passando dal palato porta via il sale e il limone che nel frattempo si erano amalgamati con la propria saliva. Il tutto deve arrivare in gola il più rapidamente possibile. Non mi lascio convincere e guardo divertito i visi dei miei amici cambiare di colore per contenere l’introduzione repentina di così tanto alcool, tutto in una volta nella propria gola. La nostra attenzione adesso è richiamata da un giovane messicano che con il suo itagnolo, in altre parole un italiano con molte espressioni spagnole, ci descrive comicamente le proprietà dell’agave. Tutti siamo meravigliati nell’ascoltare la simpatica considerazione di quante cose si possono fare dalla lavorazione di questa pianta. Poco distante assistiamo alla lavorazione dell’ossidiana. Inizialmente scolpiscono il soggetto richiesto, prevalentemente maschere, e poi in una seconda fare la lucidatura dà al nero il suo migliore splendore. La mattinata è passata e poco fuori del sito incontriamo Gaetano, un amico nostro e di altri del gruppo, che c’è venuto a prendere con la sua automobile per portarci tutti a casa sua per uno spuntino. Offrono un semplice pranzo a tutti e 39. Mentre Gaetano riprende la sua attività, ci spostiamo nella parte opposta della città. Passiamo mediante una tangenziale in mezzo allo smog della città. Una delle arterie di grande comunicazione della città ci mostra sulla nostra destra il famoso stadio “Azteca”. Chi era in vita e abbastanza grande da capire non può dimenticare la mitica finale di coppa Rimet di Calcio, (come si chiamava allora la coppa del mondo), terminata con la vittoria del Brasile di Pelè, per 4 a 1 contro l’Italia che in semifinale aveva battuto la Germania per 3 a 2. Un salto indietro di quasi trenta anni. La nostra mente che vaga nei ricordi, è interrotta da Mario che richiama la nostra attenzione perché stiamo varcando lo striscione che c’informa del nostro arrivo a Hochimilco. Mario ci dice che questa è per i messicani una zona speciale e che tra poco vivendone uno spaccato della loro vita ne potremo capire l’intensità. Una volta scesi dal pullman passiamo a piedi un ponticello e saliamo chi su Teresita, chi su Conchita. Stiamo parlando di particolari imbarcazioni con il fondo quasi piatto e con la poppa e la prua mozza perchè possano camminare insieme a mo’ di treno. La navigazione avviene in mezzo a tranquilli canali alberati, lontani dal caos della città. Il silenzio è interrotto dalla barca di alcune donne che vendono del cibo che possono cucinare al momento o dai mariachi che a richiesta e dietro compenso suonano dalla loro imbarcazione i brani richiesti. Qui vengono le famiglie se devono fare una festa, oppure se vogliono semplicemente uscire dal solito logorio della vita moderna. Passiamo sotto ad uno dei tanti ponti pedonali e sul parapetto di uno di questi è scritto: ”Trabajadores al servicio del turismo. Bienvenido a las tierras de las flores. Xochimilco“. Gli assetati affiancano la barca delle bibite e ne acquistano alcune, rigorosamente in vetro a restituire, come da noi in Italia decine di anni fa. I romantici si lasciano affiancare dai “Mariachi” e si fanno suonare la loro canzone preferita. Trascorriamo così in completa rilassatezza alcune ore a Città del Messico. Il gruppo è già salito sul pullman e Mario regala, accompagnato dalla sua galanteria una rosa a tutte le donne del gruppo.

Mentre il sole sta scendendo il pullman si dirige verso la piazza della Costituzione o lo “zocalo” perché qui nel 1813 dopo la dichiarazione di indipendenza fu proclamata la costituzione. Il traffico è ancora intenso e si procede a passo d’uomo. La grande piazza ha un aspetto austero e priva di ornamenti vegetazionali se non alcuni alberelli su vaso. Osserviamo il Palazzo Nazionale, e il Municipio ma l’edificio più incredibile è la cattedrale che a motivo del peso della struttura e del terreno che ha ceduto, si è piegata su un lato. Ormai è buio e la maggior parte del gruppo ha fame. Gli uffici di cambio sono già chiusi e così Mario, la nostra guida presta la moneta locale il peso a quasi tutti i componenti del gruppo, ovvero come dicono alcuni: paga Mario. Consumiamo una cena veloce e torniamo stanchi e assonnati al nostro albergo per una bella dormita.

3° giorno: Città del Messico – Oaxaca Dopo colazione carichiamo le nostre valigie sul pullman con il quale faremo tutte le tappe che ci condurranno fino a Cancun. La mattinata è fresca come ieri, intorno ai 7°. La prima necessità per tutto il gruppo è quello di cambiare i dollari nella moneta locale. Ci fermiamo nella vicina piazza dopo aver assaporato il caotico traffico del mattino. Mentre aspettiamo che tutti facciano questa doverosa operazione in una vicina banca, facciamo delle foto di gruppo davanti all’obelisco piazzato al centro della piazza. Mario ci spiega che inizialmente la quota della piazza era più alta ma che con il tempo il peso dei vecchi edifici li aveva fatti sprofondare alla quota dell’attuale strada. L’attuale quota della fontana, ci da un’idea di quanti metri i fabbricati siano scesi. Ripartiamo felici, mentre i palazzi della Zona Rosa scorrono davanti a noi. I km passano ma la città non finisce. Adesso gli edifici sono più moderni, più distanti fra loro ma abbastanza fatiscenti. Ora iniziamo a passare in mezzo all’essenza della fatiscenza e del degrado: chilometri e chilometri di baracche costruite con i materiali più impensabili da colori che trasmettono solo tristezza. Passando davanti a questa sconcertante situazione, Mario ci spiega che qui in Messico esiste una realtà sociale sconcertante. Quando un bambino o una bambina arrivano all’età feconda, 11, 12, 13 anni si mettono insieme e fanno il primo figlio. Per sistemarli uno dei padri costruisce attaccato alla sua baracca un’altra stanza dove la nuova coppia abiterà, o meglio dormirà e riporrà i pochi oggetti appartenenti alla famiglia. Spesso una costruzione sorge in una notte. È possibile che un gruppo di persone costruiscano in una notte una baracca nel terreno di un altro e se il legittimo proprietario non dimostra che è per lui d’assoluta necessità, il terreno è legalmente assegnato a chi se l’è preso, o per primo ci ha costruito qualcosa. Incredibile. È una vera giungla in tutti i sensi. Finalmente dopo alcune ore iniziamo a vedere la steppa. Saliamo alcune centinaia di metri per passare da un valico dove la vegetazione è più simile alle nostre Alpi per avvicinarci ai tremila metri di altitudine. Siamo però sulla Sierra Madre. Nessuno accusa disturbi e proseguiamo indisturbati la corsa osservando sulla sinistra il vulcano Popocatepek. Facciamo una sosta tecnica dopo 80 chilometri al confine tra il Distretto delle Stato federale di Città del Messico e lo stato di Puebla. Arriviamo all’ora di pranzo nella città di Puebla dopo aver percorso 140 km e ci fermiamo nel punto panoramico per percepirne la vastità della città. Non gli dedichiamo il tempo per la visita che desideriamo utilizzare in altro modo. In un supermercato acquistiamo gli alimenti necessari per il pranzo e una piccola scorta e ripartiamo ancora in direzione sud. La sosta successiva la facciamo al confine tra lo stato di Puebla e quello d’Oaxaca. Solo vedendo questi confini mi sono reso conto della realtà politica messicana. Si parla di Stati Uniti Messicani e in realtà al confine tra uno stato e l’altro esiste una vera e propria frontiera simile ad un casello autostradale. Il pullman ha rallentato e a discrezione delle guardie poteva essere anche fermato. Passati oltre ci siamo fermati per i soliti motivi tecnici. La tappa successiva l’abbiamo fatta all’interno di un parco naturale. L’autista ci ha ricordato di fare rumore per far scappare gli eventuali serpenti che si sono avvicinati alla strada. L’attrazione del luogo sono i saguari, cactus dai molteplici bracci alti circa 7 metri. Il pomeriggio passa e stiamo per arrivare nella periferia di Oaxaca. Voltiamo a destra per andare a visitare il sito archeologico zapoteco di Monte Alban. La nostra guida, Mario preferisce vedere i siti archeologici o la mattina presto o la sera prima del tramonto quando non solo fa meno caldo ma anche perché le ombre lunghe degli edifici creano un gradevole e apprezzabile chiaro scuro nelle forme. La prima cosa che visitiamo è il piccolo museo sulla destra del parcheggio. Poi saliamo sulla parte più alta della montagna che è stata spianata a due livelli differenti per accogliere Templi e Piramidi capaci di creare una suggestione molto particolare. Purtroppo dopo una giornata di lungo viaggio, la percezione di una notevole escursione termica che durante le ore calde supera i 30°, non ci permette di essere completamente recettivi alle spiegazioni storiche che la guida ci dispensa. Per svegliarci dall’effetto del fuso orario ci facciamo un po’ di foto l’uno verso l’altro. Dall’alto del sito bruciato dal sole si ha un bel colpo d’occhio verso la città di Oaxaca. Localizziamo in lontananza la zona dell’aeroporto e pensiamo a Davide che questa sera ci dovrebbe raggiungere in albergo. A Città del Messico acquisterà un biglietto aereo per raggiungerci e continuare il giro con noi. Camminiamo tra le varie piramidi e la zona dove praticavano il gioco della palla. Alla fine della nostra visita, ma prima di andare in albergo passiamo dal punto panoramico più ravvicinato della città. Appena scesi dal pullman, siamo accerchiati da una ragazzina con due piccoli bambini. Alcuni chiedono se sono i suoi fratellini, ma la risposta è una riprova della descrizione della situazione sociale che Mario aveva trattato al mattino. Stavamo vedendo una ragazza di sedici anni che mendicava accompagnata dai suoi due figli che già camminavano e mendicavano. Dopo questa pausa che ti lascia un vuoto nel cuore, ci dirigiamo finalmente verso l’albergo. La Casa Consatti ed è una vecchia fattoria ampliata e ristrutturata con piccoli cortili interni su cui affacciano le camere al piano terra e al primo piano. Il centro storico supera questi livelli solo nel caso delle chiese. Dopo una meritata doccia ci cambiamo e passeggiando verso il centro troviamo sullo zocalo o piazza centrale, un locale dove cenare. Il brusio delle conversazioni è interrotto dalle canzoni cantate dei mariachi che si spostano a richiesta da un locale all’altro. Stanchi ma contenti torniamo in albergo per una bella dormita in un’accogliente camera di hotel.

4° giorno: Oaxaca – Santo Domingo Tehuantepec La colazione è servita all’aperto in un caratteristico cortile dell’albergo vicino alla hall, contornato da portici. Gli spazi ombreggianti sono arricchiti da ampi ombrelloni. Finalmente possiamo salutare Davide che è arrivato ieri sera dopo che lunedì gli hanno rinnovato il passaporto a Firenze. L’aria è gradevolmente fresca ma non quanto a Città del Messico dal momento che siamo diverse centinaia di metri più bassi. Ci troviamo fuori dell’albergo per fare una visita al centro della città di giorno. Percorriamo poche centinaia di metri e sulla sinistra, una piazza accoglie un’importante chiesa, di Santo Domingo. All’interno possiamo apprezzare particolarmente il soffitto arricchito di stucchi in lamina d’oro. Appena usciti dalla chiesa, siamo attratti dai venditori di dipinti dell’artigianato locale che si trovano solo qui a così a buon prezzo. Dopo gli acquisti ci dirigiamo verso la piazza principale. Fotografiamo preziosi palazzi ornati che ci evocano i film di Zorro che da piccoli vedevamo in TV. Arriviamo nella piazza principale e Roberta richiama la nostra attenzione perché le hanno messo una mano nella borsa, meno male che le hanno rubato solo il biglietto aereo. Con una telefonata al tour operator si dispone per poter ricevere il sostituto, prima del nostro ritorno. Continuiamo a camminare per le vie del centro città fino al mercato coperto. È possibile acquistare ogni sorta d’artigianato locale: indumenti, cappelli, suppellettili di legno e metallo o le solite magliette con scritto, il nome della città. Torniamo allegramente all’albergo per ritirare le valigie e partire con il pullman. Usciamo dalla città, ma appena dopo quindici chilometri ci fermiamo a Santa Maria El Tule per vedere il famoso albero sabino che pare abbia più di 2000 anni; già dal parcheggio dei pullman, possiamo vedere da lontano la magnificenza, poi una volta entrati nell’area recintata, possiamo gustarne i particolari. Assomiglia ad una mangrovia, sembra l’insieme di tanti alberi accostati insieme per una circonferenza di 42 metri per un altezza di 40, produce un’ombra straordinaria a seguito della crescita bizzarra dei rami. Mentre torniamo al pullman possiamo apprezzare l’ingegno e la volontà delle donne locali che vendono ai margini della strada delle tortillas, dei tacos, della frutta o altri cibi tipici messicani. Per arrivare al prossimo luogo da visitare non dobbiamo fare meno di trenta chilometri. Arriviamo tranquillamente al sito archeologico di Mitla verso le 11 del mattino. Alcuni edifici del sito, che non è molto grande, sono conservati molto bene, e addirittura alcuni muri hanno ancora visibile la pittura sui muri. All’interno del palazzo principale o Palazzo delle Colonne, le colonne monolitiche destano l’attenzione e la meraviglia di tutti noi. Il livello di decorazione tuttora conservati nei muri sono ad un livello straordinario e ci viene da pensare che potrebbero essere spunto per un disegnatore di cravatte utilizzarle per qualche idea nel suo lavoro. Alla fine della visita risaliamo sul pullman, diretti alla destinazione finale del giorno. Percorriamo la Strada Panamericana, quella che unisce le Americhe da Nord a quelle del Sud. Durante il percorso leggiamo un grosso cartello che attraversa tutta la strada. C’è scritto: “Benvenuti a Santiago di Matatlan, Capitale mondiale del Mezcal”. È qui che producono questo famoso liquore con il verme. Visto che non abbiamo sete… passiamo avanti iniziando a salire sui dolci tornanti della Sierra Madre. Dopo circa due ore di slalom con i burroni sulla destra della strada, Mario decide che l’autista ha bisogno di riposare e tutto il gruppo di mangiare. Troviamo in mezzo alle montagne un modesto ristorante dove pollo e fagioli non mancano. Le condizioni igieniche non sono delle migliori. Alcuni cibi confezionati possono andare bene anche per i più difficili. Siamo a quasi 3.000 metri d’altitudine e la temperatura è di 34°. Dopo la partenza pomeridiana continua lo slalom tra le montagne della Sierra Madre nel più assoluto silenzio: un po’ perché dopo pranzo non è difficile addormentarsi, un po’ perché chi soffre di vertigini non ama guardare in basso, un po’ perché l’organismo non è abituato a tutte queste montagne. Dopo alcuni tratti in semi piano finalmente arriva la discesa, anche se curve non diminuiscono. È a questo punto che Mario deve farci una confessione. Sono venti anni che passa da questo luogo con gruppi di ogni sorta, tedeschi, inglesi, francesi e altri italiani, ma mai nessuno ha passato le montagne senza lamentarsi. Si il nostro è veramente un gruppo veramente tranquillo e affiatato.

La sosta successiva la facciamo a Jalapa del Marques dove possiamo dissetarci con una fresca noce di cocco tagliata nella testa con un machete e infilzata con una cannuccia. Sta per arrivare il tramonto e partiamo di nuovo per giungere alla destinazione: Santo Domingo Tehuantepec, poche centinaia di metri sul livello del mare. Dopo il lento attraversamento del paese, famoso per i suoi costumi folcloristici, appena fuori arriviamo all’hotel Calli, il migliore della zona. È una struttura in cemento armato degli anni ’70 dipinto d’arancione e con i balconi color lilla. Non abbiamo scelta che cenare nel ristorante dell’albergo, vista la lontananza del paese e l’impossibilità che l’autista del pullman di spostarsi a motivo della sua legittima stanchezza. A motivo della vicinanza con il mare, solo 10 chilometri da Salina Cruz sull’oceano Pacifico, cogliamo l’occasione per consumare una cena a base di pesce. Dopo cena una passeggiata nella struttura e tutti a letto.

5° giorno: Santo Domingo Tehuantepec – San Cristobal de las Casas Dopo la colazione in hotel, siamo pronti per un’altra avventura che ci riporterà nuovamente in montagna. Percorriamo ancora la Strada Panamericana in direzione sud verso Juchitan de Saragoza. Il nostro viaggio è interrotto da una lunga fila di automobili, inusuale per la zona. C’è anche della polizia che retrocedendo verso di noi ci dice che ci sono poche possibilità per il momento di passare. In queste zone la società e matriarcale, e sono le donne locali che hanno organizzato una manifestazione di protesta contro le compagnie petrolifere e contro il governo. La zona è ricca di petrolio, il Messico come altri paesi arabi potrebbero essere ricchi a motivo di questa risorsa, ma come ci dice Mario, la speculazione delle più importanti compagnie petrolifere del territorio locale non porta nessun beneficio agli abitanti ma solo il disagio degli impianti. Ecco le ragioni della protesta. Per impedire la circolazione hanno piazzato dei grossi massi dal peso di alcune decine di chilogrammi ciascuno sui “tope”, (quelli che noi in Europa chiamiamo dissuasori di velocità) che lì sono di cemento. Mentre stiamo ascoltando queste notizie, sentiamo una voce disperata e stridula dal fondo del pullman. “Mi sono dimenticata il passaporto in albergo”. “Mario replica: “Sei sicura?” “Si, l’ho lasciato sotto il cuscino insieme al portafogli!” Mario con molta decisione dice: “Vieni con la tua compagna di stanza, prendiamo un taxi e raggiungiamo subito l’hotel, intanto l’avviso con il cellulare”. Arriva subito la risposta: mentre la persona addetta alle pulizie stava riassettando la camera aveva trovato l’oggetto dimenticato, aveva avvisato la “Sicurezza” che lo aveva custodito in cassaforte. Intanto noi siamo rimasti sul pullman che in ogni caso non si sarebbe potuto muovere. Dopo circa 30 minuti siamo di nuovo a ranghi compatti e potremmo proseguire verso la meta se la strada fosse libera. Mario s’incammina a piedi verso il luogo della protesta. Dopo alcuni minuti torna indietro insieme con un ragazzo che si è offerto di darci una mano. Poi noi ne daremo una a lui. C’insegna una strada alternativa. Percorriamo una strada parallela completamente sterrata e piena di buche, che non consente una velocità superiore ai 10 chilometri orari. Guadiamo addirittura un piccolo fiume, ma la percorrenza di circa 10 chilometri ci fa perdere circa un’ora di tempo che sommata a quella persa in precedenza, colloca il nostro ritardo intorno alle due ore e siamo partiti da soli trenta chilometri. Non ci perdiamo d’animo, siamo in vacanza e gli imprevisti possono starci. Adesso il pullman può marciare più speditamente verso la meta, mentre sulla destra ogni tanto intravediamo l’Oceano Pacifico. Siamo ancora sulla Via Panamericana nello stato di Oaxaca. Regolarmente dobbiamo rallentare per i soliti “tope” ma oggi, all’ingresso della cittadina di Zanatepec, siamo fermati ad un posto di blocco. Ci pare di entrare in un film di guerra. All’ingresso del paese ci sono delle torrette d’osservazione in legno dove due militari con mitra in mano controllano il movimento. In basso, altri soldati sono sistemati all’interno di alcune trincee parallele alla strada, pronti a tirare sulla carreggiata dei tappeti di chiodi allorché le auto o altri mezzi non si fermino all’alt per un controllo. Noi veniamo dal nord e non dovremmo portare niente d’illegale, in realtà abbiamo con noi solo gli effetti personali, ma può succedere che le armi viaggino da nord verso sud e la droga dal sud verso il nord verso gli Stati Uniti d’America o il Canada. Un soldato armato sale sul nostro pullman e percorre metà del corridoio. Poi osservando le facce tranquille e sorridenti di chi non ha niente da nascondere, torna nella sua postazione di guardia. Mario finisce di parlare con il capo postazione per avere il permesso a ripartire. Ormai oggi è la giornata all’insegna del ritardo, peccato perché non possiamo arrivare ai luoghi prestabiliti con la luce che avremmo programmato. Oltrepassiamo il confine di stato ed entriamo nel Chiapas. Finalmente dopo circa trecento chilometri, sei ore di viaggio e digiuni alle due e mezzo del pomeriggio arriviamo a Tuxla Gutierrez. Non vogliamo perdere altro tempo per pranzare, ma allo stesso tempo dobbiamo mettere a tacere i morsi della fame. Ci fermiamo ad un supermercato e nel giro di mezz’ora compriamo velocemente del cibo che consumiamo, mentre ci sgranchiamo un po’ le gambe. Alle tre del pomeriggio siamo di nuovo in marcia, per arrivare dopo quindici chilometri a Chiapa de Corso. Appena passato il paese ci fermiamo all’”Imbarcadero” di un vicino fiume. Veniamo indirizzati verso un luogo dove ci sono provveduti dei salvagente a corpetto da indossare. Udiamo le risa nervose di chi commenta che oggi ci manca solo che la barca si rovesci e poi abbiamo fatto il pieno. Ci distribuiamo in 38 su due diverse motolancie. Partiamo elettrizzati solcando l’imponente bacino acqueo per passare sotto il ponte della Via Panamericana e intravedere dubito le prime pareti rocciose alte, una cinquantina di metri. Stiamo navigando in mezzo al Canyon di Sumidero, un luogo mitico che al tempo dei conquistatori spagnoli ha visto molte tragiche battaglie e fughe pericolose. Il primo tratto lo percorriamo velocemente, poi rallentiamo per osservare sulla destra, appollaiato su un tronco un airone. Il conducente del motoscafo viaggia su una postazione più elevata di circa un metro e mezzo permettendogli di osservare gli animali che si muovono nelle vicinanze, così dopo un breve tratto ci avviciniamo sempre sul lato destro, quello più soleggiato per osservare un alligatore. Improvvisamente il lato si fa meno ripido e lungo questo tratto restiamo meravigliati dall’osservazione di centinaia di avvoltoi. Qualcuno nel motoscafo lancia un altro grido nervoso mentre controlla la chiusura del proprio salvagente. La battuta arriva spontanea: Il Corriere della sera titolerà che 37 italiani e tre messicani sono stati mangiati dai coccodrilli e spolpati degli avvoltoi nel Canyon di Sumidero. Un’ampia risata ridà vigore a questa bella e istruttiva vacanza mentre il motoscafo accelera nuovamente per dirigersi in un tratto ombroso dove le pareti, simili ai fiordi norvegesi si innalzano per circa mille metri. Se fossimo arrivati come da programma due ore e mezzo prima, certamente avremmo apprezzato colori molto più intensi e su campi maggiori. I conducenti delle due motolancie ingaggiano una specie di gara tra loro e si sorpassano a vicenda dando un brivido dopo l’altro ai passeggeri mentre passiamo vicino alle rocce o agli alberi che affiorano da sotto l’acqua. Questi ultimi aspetti ci fanno meglio capire che in origine il fiume non avesse questo bacino, così ampio ma che il livello acqueo si è elevato a seguito della costruzione della diga di Chicoasen. Giungiamo in punto molto stretto della gola. Queste immense pareti rocciose incutono veramente timore. Ci accostiamo di nuovo per osservare un altro alligatore, ci spostiamo poi di alcune centinaia di metri attratti dalle urla stridule di alcuni scimpanzè che saltano da un tronco all’altro degli alberi arroccati lungo le irte pendici un po’ verdi e un po’ rocciose. Iniziamo dopo circa 15 chilometri di navigazione fluviale a tornare indietro e osservando una strana conformazione di piante che con la caduta regolare dell’acqua lungo le pareti rocciose hanno formato degli strani ombrelli verdi. Percorriamo il canale a tratti buio e a volte luminoso con il motoscafo a tutta velocità mentre ritorna al luogo della partenza. È stata un’escursione entusiasmante per tutto quello che abbiamo visto e per il modo divertente in cui l’abbiamo vissuta. Appena scendiamo dall’imbarcazione, dopo aver riposto i nostri salvagente, siamo attorniati da bambini del luogo che ci propongono l’acquisto di alcuni souvenir. Mario ci ha sempre detto di non comprare niente dai bambini perché se questi guadagnano qualcosa non vanno più a scuola pensando che sia così facile vivere per fare denaro. Se invece le loro vendite non hanno successo, ma tutti l’invitano a studiare, esiste maggiore possibilità che questi ragazzi si facciano almeno una minima istruzione. Risaliamo sul pullman e riprendiamo la Via Panamericana verso la destinazione finale per oggi. Inizia la salita che ci porterà a San Cristobal de las Casas a 2.150 metri sul livello del mare. Le nuvole coprono improvvisamente il cielo e un violento temporale di pioggia battente si abbatte sulla nostra strada, siamo così costretti a camminare molto lentamente, ritardando ulteriormente sulla nostra tabella di marcia. Impieghiamo più di due ore per percorrere meno di settanta chilometri, gli ultimi dei quali sotto queste piogge abbastanza tipiche nella zona. Non durano molto, anche meno di un’ora, ma quasi tutte le sere e di notevole intensità. Dopo questa spiegazione di Mario, capisco perché i marciapiedi della città sono alti dai venti ai quaranta centimetri. Durante le piogge, le strade della città tutte mattonate diventano dei veri e propri torrenti. Solo i marciapiedi molto alti consentono ai pedoni di camminare. Nessuno usa l’ombrello qui. Se piove si bagnano sapendo che poco dopo esce il sole e li asciuga di nuovo. Finalmente, quasi alle otto di sera, arriviamo davanti all’albergo. Appena scesi, ci rendiamo conto dello sbalzo termico che dobbiamo subire. L’altitudine dopo un’abbondante precipitazione si fa sentire. Entriamo nel “Rincón del Arc”, un palazzo coloniale a due livelli. Dalla reception siamo smistati nelle varie camere. La maggior parte del gruppo si sistema in un’area nuova sulla destra della struttura davanti ad un bel giardino, a me e mia moglie è assegnata una camera nel vecchio nucleo centrale. Ce n’accorgiamo subito dalla chiave, una di quelle lunghe più di venti centimetri che si usavano ai tempi dei nostri bisnonni. Posiamo le valigie e dopo una sciacquata al viso, siamo di nuovo nell’hall per cercare un luogo dove cenare. Purtroppo siamo arrivati con tre ore di ritardo. Dovevamo incontrarci con alcuni conoscenti per distribuire alcuni aiuti umanitari, vista, però l’ora, pensiamo di farglieli pervenire il materiale in altro modo. Abbastanza stanchi percorriamo alcune centinaia di metri accompagnati da Mario, ci sistemiamo in un modesto locale dove si suona anche della musica dal vivo e consumiamo un pasto di prodotti locali. Dopo cena, per meglio digerire facciamo una visitina allo zocalo e poi lentamente torniamo in albergo. La camera è abbastanza fredda e sembra che i calorifici non riescano a scaldare. Le luci sono fioche e lasciano vedere poco di un arredamento molto scuro che sembra appartenga al secolo scorso. Non ci rimane che infilarci sotto le coperte e dormire sonni tranquilli con un’aria pura come quella che a quest’altitudine, quasi in mezzo alla giungla si possa respirare. 6° giorno: San Cristobal de las Casas – Palenque La maggiore parte del gruppo si è alzata alle sei del mattino e dopo colazione, alle sette sono usciti per andare al mercato. È un mercato degli abitanti del luogo che vendono i prodotti locali utili per l’alimentazione. Arrivano i contadini dai paesi vicini che espongono i loro prodotti. Alcuni vendono i polli vivi, altri un tipo di verdura, altri dei cereali; spesso fra loro barattano i loro prodotti, è molto caratteristico vedere uno spaccato di vita messicana. Noi ci alziamo con maggiore calma e c’incontriamo con altre coppie in sala da pranzo per fare colazione. E’ un bel locale quello dove possiamo consumare la colazione. Mentre aspettiamo Mario e il resto del gruppo che ritornano dal mercato, il proprietario dell’albergo ci conduce su un ala dell’albergo dove ha organizzato un laboratorio artigianale per la produzione di tovaglie o coperte da mettere in commercio per l’artigianato locale. Vedere questi macchinari ci fa tornare indietro nel tempo. Alle nove usciamo per fare una piccola perlustrazione dell’area centrale di questa città coloniale di 90.000 abitanti. Le case sono quasi tutte monopiano e se dipinti di colori pastello, una diversa dall’altra. Alcune hanno il tetto spiovente a padiglione, con le tegole in cotto. Altri tetti sono piatti e senza aggetto. Ci dirigiamo verso la piazza centrale e la passeggiata ci serve per capire le caratteristiche principali e la conformazione urbanistica del nucleo centrale della città. Verso le dieci siamo di nuovo in albergo per salire sul pullman e ripartire alla volta delle prime due escursioni del giorno. Dopo pochi chilometri arriviamo a San Juan Chamula, un grande centro tzotzil abitato da 70.000 indios. All’ingresso del paese siamo attratti da un enorme cartellone che fa pubblicità alla Coca Cola. Mario ci spiega l’effetto della religione vudù e cattolica in una sorta di sincretismo sulla popolazione locale, secondo il concetto vudù interpretato localmente, tutto ciò che esala verso l’alto contribuisce alla fuoriuscita dello spirito negativo. I prodotti meglio adatti per raggiungere quest’obiettivo secondo loro sarebbe il regolare consumo di superalcolici. Visto però l’alto prezzo di questi e la bassa condizione economica della popolazione, la Coca cola è valida alternativa. Questa bibita durante il versamento produce schiuma e bollicine, se una persona avvicina la mano o il viso a questa reazione chimica, del prodotto a contatto dell’aria si accorge che diversi elementi si nebulizzano verso l’alto. Questo è il punto, se si nebulizzano verso l’alto vuol assicurare che può produrre un effetto ascensionale o verso l’alto e quindi elevare la propria anima verso Dio in una sorta di purificazione, non mediante i soliti mediatori che la Chiesa Cattolica usa, ma mediante la Coca Cola. Un mezzo senza dubbio migliore perché mentre con il primo si rischia l’ubriachezza, con il secondo al massimo il diabete e altre malattie gastrointestinali, a motivo dell’eccesso di zuccheri e gas. Mario termina la spiegazione, mentre arriviamo nella piazza principale del paese. Se il Chapas rispetto ad altri luoghi in precedenza visitati, ci dava un’impressione surreale, questo paese ce né da una ancora maggiore. Ci sembra d’essere nel set di un film dove ognuno ha il suo ruolo e si muove secondo un prestabilito copione. Appena scendiamo dal pullman, una bambina parla in italiano a mia moglie e le chiede come si chiama. Le mette al polso un braccialetto multicolore da lei stessa intrecciato, come segno d’ospitalità; le dice che ci saremmo riviste dopo. Il paese sarà antico, ma la tecnica commerciale è moderna. Con meraviglia ci spostiamo nel centro della piazza dove uomini vestiti di pelo nero controllano il movimento delle persone. Sono gli abiti tradizionali delle persone importanti. In questo luogo non si può fotografare in direzione delle persone e della chiesa, chi lo fa a proprio rischio e pericolo con la possibilità di un linciaggio o sequestro della prova fotografica. Il luogo è una riserva, è un luogo particolare dove l’accesso è libero, ma dove è obbligatorio l’osservanza di determinate regole. Qualche coraggioso, imprudente o trasgressivo esiste sempre in ogni gruppo. Ci dirigiamo a ranghi compatti seguendo Mario, verso la chiesa. Mario mostra al guardiano della chiesa il permesso federale per entrare insieme ai 37 partecipanti del gruppo. Il guardiano conta quanti entrano realmente dentro questo particolare luogo di culto. La chiesa è molto semplice a navata unica. Il buio è smorzato dalle candele cosparse in terra, qua e là. Alle pareti sono appoggiate statue di santi e crocefissi in legno. Molte zone del pavimento sono ricoperte di paglia. In una zona alcune persone pregano utilizzando uno scopino per togliere la paglia dal pavimento da sotto le gambe di una gallina e sorseggiano un superalcolico in una sorta di purificazione rituale. Dopo una veloce occhiata percepiamo un senso di disagio e imbarazzo in questa mistura vudù all’interno di una chiesa cattolica. Non vogliamo rischiare di dire o fare qualcosa di inadeguato in un luogo dove la parola tolleranza non esiste. Si narra che negli ultimi decenni, miglia d’abitanti del luogo abbiano cambiato religione, e che per continuare a vivere si sono dovute trasferire in un altro luogo perché lì sarebbero state severamente perseguitate e a volte uccise. Con mia moglie usciamo nella piazza pubblica percorrendone circa metà sulla sinistra, dove si osservano solo alti muri di cinta. Imbocchiamo sempre a sinistra una strada mattonata, larga circa otto metri e lunga circa duecento. I lati di questa stradina sono arricchiti di portici o negozi dell’artigianato locale. Mentre attendono i clienti continuano a lavorare chi il legno per statue dalle svariate dimensioni, chi i tessuti per tovaglie e tappeti, chi lavora la lana per maglie e cappelli, chi lavora il cotone per cucire camice con ornamenti dell’arte locale. Nessuno è con le mani in mano e offrono la merce a prezzi vantaggiosi. Mentre usciamo dalla strada per ritornare nella piazza principale dov’era il pullman, mia moglie si sente chiamare per nome da una voce non familiare. È la ragazzina che le aveva legato al polso il braccialetto in stoffa intrecciato che ora le proponeva in vendita in diverse fatture; oggetti simpatici da donare ai nostri nipoti o ai figli dei nostri amici. In vista delle diverse ore di viaggio che dovremmo fare, molti amici del gruppo stanno approfittando per camminare intorno alla piazza e carpire alcuni aspetti della vita locale. Una volta tutti radunati, ripartiamo con il pullman per la prossima meta. Percorriamo la strada all’inverso verso San Cristobal de las Casas, anche se ad un certo punto deviamo per San Lorenzo de Zinacatan. Pochi chilometri dividono questo paese da quello in precedenza visitato ma con l’enorme differenza di essere quasi disabitato, almeno durante le ore lavorative. Pur avendo la stessa mentalità etnica del precedente, vive con il lavoro svolto altrove. Vediamo correre solo alcuni bambini che c’indirizzano ad entrare in un cortile dove mezza dozzina di donne stanno tessendo al telaio. Producono tovaglie e tovaglioli di un’eccellente fattura a prezzi straordinariamente convenienti. Passeggiamo verso il sagrato della chiesa, in questo caso chiusa e verso la piazza principale. Di una cosa tutti rimaniamo colpiti: il prezzo per andare al bagno in questo paese è di un dollaro. Dalla delusione mi accorgo di non aver scattato nemmeno una foto, ma ormai siamo di nuovo ripartiti e non c’è più tempo. Ripassiamo alla periferia di San Cristobal de las Casas e ci dirigiamo verso Palenque. Il paesaggio è lussureggiante. Le copiose piogge serali e notturne rendono la vegetazione molto ricca. Qua e là, una modesta abitazione interrompe le brillanti tonalità del verde. Dopo circa settanta chilometri Mario decide che è meglio fermarsi a fare un breve spuntino in un bar. Si chiama Garibaldi e all’esterno un piccolo zoo d’animali quasi domestici attirano lo sguardo dei clienti dopo la consumazione. La strada è in discesa e in lontananza vediamo la cittadina d’Ocosingo. Mario ci dice che normalmente si ferma in questo paese ma che in questi giorni è conveniente non esporre i turisti a rischi inutili. Dopo che abbiamo ripreso il viaggio e passiamo nella strada che attraversa la cittadina, Mario ci dice che è qui che il rivoluzionario Marcus sta organizzando la marcia verso Città del Messico, così è meglio tirare dritto. Le curve continuano, continuiamo a scendere lievemente per altri sessanta chilometri fino ad un bivio a sinistra e imboccare una stradina che ci condurrà alle Cascate dell’Agua Azul. Prima di arrivare al parcheggio sulla sinistra possiamo notare il piccolo campo d’atterraggio dove arrivano piccoli aerei che giungono dagli aeroporti vicini. Siamo in mezzo al verde in un luogo incantevole. Il rumore artificiale del nostro pullman è sostituito dal gradevole frastuono che emettono i sette chilometri di cascate del Rio Chumula e Tulija. Risaliamo le cascate sul lato sinistro e lo spettacolo è incredibile. Le rocce articolate e ad altezze diverse fanno prendere all’acqua le direzione più imprevedibili in una scultura spumeggiante in movimento. Per comunicare con i nostri amici dobbiamo alzare la voce, anche se a momenti, spostandoci pochi metri verso l’interno, godiamo un pochino più d’apparente quiete. Qui la macchina fotografica stessa ti chiama perché vuole immortalare un luogo così vivo e stupendo. Ne scattiamo diverse risalendo in mezzo alla boscaglia prima con gruppo d’amici e poi con un altro. Ad un certo punto della nostra camminata siamo fermati da un cartello e da una coppia di militari che ci dicono che è meglio non proseguire a rischio della nostra incolumità. Qualcuno in mezzo alla giungla potrebbe anche rapirci, così di fronte a quest’evenienza, torniamo indietro. Mentre all’andata eravamo attratti dalle cascate che potevamo ammirare dal basso verso l’alto, adesso al ritorno si gustiamo anche dall’altro lato le bellezze della giungla. In questo luogo vivono ancora delle popolazioni indigene. Non possiamo fare a meno di osservare un piccolo villaggio dove gli abitanti vivono quasi completamente nudi. Sono quasi le quattro del pomeriggio e il gruppo è veramente affamato. Anche se il ristorante sarebbe chiuso fino alla cena, quando vede un gruppo di 49 persone decide che potrebbe essere più conveniente riaprire e cucinare un po’ di pesce accompagnato da riso e tortillas. Dopo circa un’ora i rumori degli stomaci e degli intestini si sono placati così che gli unici rumori che sentiamo sono quelli delle cascate. Prima di ripartire non ci rimane che dare un’altra fugace occhiata a quella bellezza che senza dubbio ci lascerà un ricordo indelebile nel cuore. Mentre il sole scompare dietro le montagne ritorniamo sulla statale in direzione dell’albergo. Gli ultimi trenta chilometri speriamo di percorrerli in meno di un ora in mezzo alla giungla sempre più buia. Con la puntualità che ieri non abbiamo potuto rispettare entriamo nel parcheggio imbrecciato dell’hotel Chan-Kah. Non crediamo ai nostri occhi. Siamo in mezzo alla giungla. I bordi del parcheggio sono adornati da altissime canne di bamboo che avranno un diametro che si aggira intorno ai dieci centimetri. Ritiriamo le nostre chiavi e dalla mappa che ci consegnano in allegato scopriamo che la struttura non si sviluppa in un solo edificio multipiano, ma è distribuita da tante villette mono o bifamiliari. Camminiamo sulla pavimentazione esterna trascinando le nostre valigie fino all’alloggio: una villetta unifamiliare. Entriamo con la curiosità di sapere come sia stato pensato una simile alloggio. Il portone è in legno, e l’esterno è in muratura. Il pavimento è in pietra. Sulla destra a confine con il muro esterno c’è l’angolo cottura che in alto ha una piccola finestra. Nella parte opposta un ampio e lungo ripiano rialzato può ospitare due valigie aperte, protetto da una quinta in muratura con rifinitura lignea a due metri d’altezza. In fondo il bagno con la doccia è tutto piastrellato con pietre di fiume. Il tetto è tutto di legno. Di là dalla quinta, per tutta l’ampiezza del fabbricato, si apre un locale di circa 5 metri per sette. Due poltrone in un angolo e uno scrittoio nell’altro con un telefono sopra, non istallano in un luogo così romantico un televisore per non rovinare la pace che il luogo ispira. I due letti matrimoniali si affacciano davanti ad una grande portafinestra che divide la parte chiusa da un grande portico profondo tre metri e largo tutta l’ampiezza dell’edificio su cui trovano posto solo due sedie a dondolo, un ottimo luogo per meditare e parlare sottovoce per non perdere i suoni della giungla. Un luogo veramente incantato. Camminare su questo pavimento scalzi è come fare un massaggio sul percorso termale giapponese, così dopo la solita doccia ci ritroviamo nell’area della ristorazione per la cena. Condividiamo le sensazioni con i nostri amici e dopo la cena e una passeggiata intorno ai vialetti del comprensorio, prendiamo la via del riposo.

7° giorno: Palenque – Villahermosa L’appuntamento con i nostri amici per la colazione è nella stessa area dove ieri sera abbiamo consumato la cena. È un locale all’aperto coperto da una tettoia molto alta che protegge in caso di pioggia e ai lati ricca di vegetazione, specialmente canne di bamboo. Nonostante sia mattina, la temperatura è gradevole perché siamo quasi a livello del mare. Siamo tutti pronti per la prima escursione del giorno. Una volta saliti sul pullman, nel giro di pochi minuti ci troviamo all’ingresso del sito archeologico di Palenque. Ci fermiamo davanti all’ingresso principale dove Mario ci spiega che per la prima volta le rovine furono scoperte nel XVI secolo da Pedro Lorenzo de La Nada in una zona abitata dal popolo Ch’ol che chiamava la zona Otolum. Traducendolo in spagnolo uscì la parola Palenque che significava fortezza. La città attualmente abitata è sorta sulle rovine più a valle. Dopo questa breve introduzione entriamo finalmente nel sito per rimanere subito meravigliati. Una visione prospettica spettacolare colloca sulla destra il Tempio delle Iscrizioni e sullo sfondo il Tempio della Croce, incorniciato con il Palacio. Il Tempio delle Iscrizioni è il monumento funerario al Re Pacal, nato nel VI secolo. Purtroppo l’edificio è transennato e non si può visitare. La sua scalinata rimane per noi un oggetto impressionante. Così ci viene spontaneo salire sulle gradinate del primo edificio davanti a noi, il Palazzo con la Torre di Guardia. Dal culmine della scalinata Mario continua la spiegazione storica. Viviamo il Palazzo camminando il perimetro delle sue stanze e del portico interno per poi imboccare un tunnel che ci fa scendere di nuovo al piano di campagna su un verde prato. Voltiamo a sinistra e attraversiamo con un ponte di legno il canale abbastanza asciutto dell’acquedotto. Sulla destra osserviamo un altro gruppo di tre templi. Il primo su cui saliamo è quello a destra chiamato Tempio del Sole. Mario sale con noi per dare la spiegazione. Ma purtroppo alla maggioranza interessa di più fare le foto da queste angolazioni e altezze differenti verso gli antistanti Tempio della Croce e della Croce fogliata. Giriamo intorno per gustare dal lato opposto l’estensione della vallata e per immortalare con alcune foto da un’angolazione differente gli edifici precedentemente visitati. Scendiamo con cautela per risalire in quello di sinistra, il Tempio della Croce, ma stavolta Mario ci lascia andare da soli, per darci il gusto della scalata o per darci la possibilità di dire: io ci sono salito. Coloro che non hanno visitato il secondo di questi tempi sono già saliti con Mario nel terzo, ovvero il Tempio della Croce fogliata. Dopo averne visto l’interno, tutto il gruppo scende da un sentiero laterale per poi risalire in un nuovo impianto mussale dove gli archeologi stanno lavorando per ridare il lustro naturale ad un altro tempio non ancora ben identificato. Mario ci spiega che il sito di Palenque è in continua espansione e che in realtà non sappiamo ancora fin dove la ricerca potrà arrivare. Mentre dice questo ritorniamo in basso per costeggiare l’acquedotto e andare verso valle. Passiamo attraverso luoghi già visti altrove come l’area del gioco della palla. Lasciamo la parte soleggiata per apprezzare il fresco della giungla lungo le rive del Rio Otolum. Mentre scendiamo un sentiero con gradoni di terra e sassi molto ripidi, udiamo lo scroscio di una cascata alla nostra sinistra. Alcuni temerari di una nazione non identificata si bagnano tranquillamente nelle sue fresche acque destando la nostra attenzione. Qualcuno del nostro gruppo si limita a bagnarsi i piedi nell’acqua del fiume, pensando che ci attende la piscina dell’albergo. Continuiamo la discesa lungo il sentiero per arrivare in un altro punto dove il fiume ci costringe ad attraversarlo. Lo facciamo soddisfatti su un ponte sospeso in cavi d’acciaio e pavimentazione in grosse traverse di legno, alto solo alcuni metri dal greto del fiume ma abbastanza largo da consentire una foto di gruppo. Al di là del fiume, nel parcheggio ci attende il pullman che ci riporterà in albergo. Rientriamo nel nostro alloggio per indossare il costume da bagno e portarci ai bordi della piscina. L’ambiente è rilassante. Non possiamo sentire rumori. Siamo in mezzo alla giungla. In queste ore calde gli animali saranno sicuramente assopiti. Le due piscine contigue sono rivestite in pietra e disegnano forme sinuose contornate da camminamenti a larghezza variabile che ci permettono di sedere su appositi ripiani contornati da palme e altra vegetazione tipica della giungla del Chiapas. Dopo questo giro perlustrativi intorno alla piscina, il calore del sole e i nostri amici, che sono già in acqua c’incoraggiano a raggiungerli. Hanno ragione perché si sta veramente bene. Mentre il resto del gruppo scherza al bordo della piscina, ci accorgiamo che è l’ora di prepararci per il pranzo. Ci troviamo nello stesso locale dove abbiamo consumato la colazione, in mezzo alle palme e alle canne di bamboo. Alle due del pomeriggio siamo pronti sul pullman per partire alla volta di Villahermosa. Prima di inoltrarci nel viaggio, facciamo un rapido passaggio per osservare il centro della città di Palenque. Osserviamo vecchie case non finite alte non più di 10 metri in mezzo al quale spiccano alberghi economici privi d’elementi distintivi. Stiamo per percorrere il trasferimento più corto del viaggio, solo centoquaranta chilometri attraverso un paesaggio abbastanza anonimo. Dopo circa due ore arriviamo a destinazione. Mario dice che qui non c’è niente da vedere ma che vicino all’albergo ci sono due centri commerciali dove potremo fare alcuni acquisti. Quando scegliemmo il percorso del viaggio non avevamo incluso questa città, volendo arrivare a Campeche. Quando abbiamo saputo di questa modifica d’itinerario questo fosse stato fatto per farci visitare a Villahermosa nello stato del Tabasco il parco archeologico de La Venta dove si osservano teste alte alcuni metri. Non facciamo nemmeno un giro perlustrativo della città e andiamo direttamente all’hotel Cencali. Le camere accessibili da un balcone esterno sono confortevoli. Dopo poco ci ritroviamo nella hall per fare una passeggiata. Mario è sparito, forse doveva fare qualcosa lui, qui… Il primo centro commerciale che troviamo è in realtà un normale supermercato di prodotti alimentari che ha anche alcuni oggetti d’artigianato. Ci indicano che l’altro, anche se un po’ più lontano è ricco di negozi che fanno al caso nostro. Dopo circa un chilometro di cammino ci rendiamo conto di entrare in un altro mondo, tipico occidentale. Dopo che ci siamo dati l’appuntamento per ritornare insieme all’albergo, ci sparpagliamo tra i banchi. Passano solo alcuni minuti e mi sento chiamare da alcuni del gruppo che mi avvisano che una coppia di ragazzi locali mi stanno cercando. Sono amici dei nostri amici di Città del Messico. Sono stati messi al corrente del nostro passaggio e sono venuti per conoscerci. Siamo felici di fare la loro conoscenza per condividere interessanti esperienze comuni. Anche coloro che non parlano spagnolo sono in grado di trasmettere il senso di alcuni pensieri. Gli raccontiamo le nostre esperienze di viaggio e specialmente dell’inconveniente che non ci ha permesso di lasciare gli aiuti umanitari a San Cristobal de Las Casas. Certi della loro fidatezza e sapendo che a breve si sarebbero incontrati con loro amici del Chiapas siamo stati ben felici di lasciargli i doni che avevamo portato per loro. Dopo aver consumato una veloce cenetta, riprendiamo la via dell’albergo insieme a loro. Nella hall dell’albergo continuiamo le ultime chiacchierate prima di andare a letto.

8° giorno: Villahermosa – Uxmal Il nostro albergo ha la zona per la colazione che affaccia sulla laguna. All’ora stabilita c’incontriamo per ristorarci mentre vengono a salutarci gli amici di ieri sera. Ci sarebbe ancora da parlare, ma la tabella di marcia c’impone oggi la tratta più lunga del nostro percorso. Dovremo percorrere quasi cinquecento chilometri lungo la costa brulla che affaccia sul golfo del Messico. Dopo centoventi chilometri ci fermiamo al confine tra lo stato del Tabasco e quello ci Campeche. La necessità c’impone la fermata, ma parlare di servizi igienici ci sembra di fare un’offesa alla parola “igienici”. Purtroppo questo è ciò di cui ci dobbiamo accontentare. In certe occasioni ti chiedi sempre perché non puoi usare mai il bagno del pullman, forse è solo dell’autista? Oppure ha paura che qualcuno lo sporchi? Visto che la parentesi di Villahermosa non ci è piaciuta e che ancora dobbiamo ritornare nell’itinerario da noi stabilito, ci accontentiamo del presente. Durante il percorso attraversiamo alcuni nuovi ponti che separano la Laguna de Terminos dal mare. Il gruppo ha fame e dopo trecentoventi chilometri arriviamo a Campeche. In un supermercato troviamo quello che ci serve per sfamarci e lo andiamo a consumare in una piazza adiacente al mare. Purtroppo c’è molto vento e non possiamo gustarci il panorama più di tanto. Il mare è agitato e possiamo dargli solo le spalle per evitare che il vento ci faccia cadere le carte che proteggono il cibo che stiamo consumando. La piazza è degna di una foto almeno per le persone che si stanno sfamando: i nostri amici. È quasi sera e dopo molte ore di viaggio arriviamo finalmente ad Uxmal. Abbiamo percorso circa 500 chilometri e abbiamo il piacere di mettere finalmente i piedi per terra. Ci fermiamo davanti all’hotel Hacienda Uxmal. Il tetto del portico antistante l’ingresso è altissimo e non ci aiuta a capire cosa ci possa essere oltre. Una scomoda e ripida scalinata ci costringe all’ultimo sforzo per trasportarci le valigie. Appena entrati nell’albergo il paesaggio cambia. Una hall a doppia altezza con balconate e ringhiere in ferro battuto, teche con oggetti dell’artigianato locale fanno da cornice all’accoglienza riservataci dai mariachi che ci suonano il benvenuto mentre i camerieri ci offrono un aperitivo. L’accoglienza che da stile a questo luogo molto rilassante. Le camere sono accessibili da un ampio portico interno che affaccia su un giardino al centro del quale è una piscina. Finalmente siamo nella nostra camera molto ampia con mattonelle in ceramiche simili a quelle di Vietri. Dopo esserci rinfrescati e cambiati ci ritroviamo vicino all’ingresso adiacente al quale è il ristorante. Ci sediamo e consumiamo un tipico piatto locale. La maggiore gioia comunque è quella di ascoltare i mariachi che stanno intrattenendo i commensali e successivamente le danzatrici e i danzatori vestiti con abiti del tempo coloniale per scandire il loro ritmo. Un clima di vera allegria. La serata termina con una passeggiata lungo i portici che si antepongono tutte le camere. Ci aspetta una bella dormita in questo che sarà il nostro penultimo hotel durante il viaggio. 9° giorno: Uxmal – Cancun Ci ritroviamo di buon mattino nello stesso ristorante di ieri sera per la colazione. Lasciamo le valigie ancora nella stanza e ci ritroviamo tutti sul pullman che ci sta portando al sito archeologico di Kabah. Percorriamo soltanto una quindicina di chilometri per entrare in questo sito costituito da una grande piazza. Rimaniamo colpiti dal livello di decorazione dei palazzi. Le facciate sono composte di speciali mattoni. Questi mattoni di dimensioni superiori a quelli che normalmente vediamo nel nostro paese sono montati in verticale di circa 40 centimetri di larghezza per 60 d’altezza. Osservandoli sotto la guida di Mario ci accorgiamo che in un mattone un disegno ci ricorda un occhio, accanto ci ricorda un naso, accanto ancora un altro occhio. Sotto al naso, naturalmente non possiamo fare a meno di riconoscere la bocca. Questo motivo, alternativamente e con ritmo costante si osserva, secondo il grado di conservazione su tutte le facciate. Questa è la particolare caratteristica di questo sito. La visita non dura molto, riprendiamo il pullman per tornare ad Uxmal. Ci fermiamo davanti al sito archeologico che esercita sotto la cura del “Instituto Nacional de Antropología e Historia.” La prima cosa che possiamo osservare è un edificio moderno con ampi cornicioni bianchi alti circa tre metri, sostenuto da colonne circolari dipinte di verde chiaro. Percorriamo pochi metri per entrare nel piccolo museo dove sono conservati alcuni bassorilievi. Siamo di nuovo all’aria aperta per iniziare la visita del sito. Il primo e imponente edificio che ci si presenta è la Piramide dell’Indovino. È alta circa 35 metri, o come un palazzo di 12 piani. La scalinata per accedere al luogo di adorazione della sommità è di una ripidità impressionante, al di fuori di ogni norma di sicurezza. Per questa ragione la salita è interdetta ai visitatori che si possono limitare ad osservarla dal basso. Non soffrono di questa limitazione alcuni iguana che ammirano il movimento della folla. Non c’è da aver paura, sono erbivori. Giriamo intorno alla piramide dai tre lati osservabili per giungere in un’area adiacente adornata da un fresco portico. Da qua possiamo vedere la piramide da una prospettiva che ci fa apprezzare ancora di più la ripidità della scalinata. Il portico ha i pilastri circolari da un lato e un muro dall’altro. La copertura interna a spinta eliminata da una chiave di volta centrale che forma così un triangolo. Uscendo dal portico su un’apertura nel muro ci dirigiamo verso il Palazzo del Governatore che offre dei mosaici in pietra d’eccezionale bellezza. Fra tutti i palazzi che fino ad ora abbiamo osservato in Messico, nessuno è così ben tenuto, grazia anche all’attento restauro delle maestranze locali per la gioia dei visitatori. Uscendo da una porta percorriamo un’area verde che ci accorgiamo essere la zona dove veniva praticato il gioco della palla. Non ci soffermiamo all’osservazione d’ogni edificio, perchè passeggiando possiamo gustare la sapiente saggezza del progettista che ha saputo coniugare alla funzionalità, la bellezza in una matematica armonia. Saliamo finalmente la prima scalinata importante ad Uxmal, un luogo abbastanza alto dal quale si ha un bel colpo d’occhio sulla vastità del sito. Abbiamo trovato il luogo ideale per scattare la classica foto di gruppo in questo luogo perché sullo sfondo si può vedere la Piramide dell’indovino. Il tempo a disposizione non ci permette di fermarci ulteriormente. Scendiamo la scalinata quanto basta per udire un grido di mia moglie che ha appena preso una storta in una di questi gradini rotti dalle intemperie e dal tempo. Ci dirigiamo verso l’ingresso e di nuovo sul pullman. Percorriamo la tratta più breve di tutto il viaggio. Attraversiamo solo la strada per arrivare all’ingresso dell’albergo, circa 200 metri che potevamo fare anche a piedi. Ritiriamo le nostre valigie e di nuovo sul pullman ci dirigiamo verso Merida. Percorriamo 80 chilometri lungo le strade dello Yucatan per arrivare nella sua capitale, Merida. Ci fermiamo lungo i giardini dello zocalo o piazza principale, che in questo caso è molto ampia. La città coloniale è stata fondata nella metà del sedicesimo secolo e ha un’impronta tipicamente spagnola. Utilizziamo il tempo a disposizione per visitare il palazzo municipale. Un androne ci conduce su un ampio chiostro a due livelli, cinque archi doppi per lato. Il palazzo è tenuto molto bene con pavimenti di marmo, pareti finemente decorate e soffitti di legno. Il vano scala, le pareti dei portici e di alcune sale finemente dipinte con temi di storia messicana. L’impronta decisa della pennellata e dei suoi contorni lasciano trasparire quanto cruente devono essere state, le lotte passate di questi popoli. Usciti da questo palazzo ritorniamo nei giardini della piazza. In una traversa troviamo un locale che ci permette di nutrirci velocemente per essere in grado d’affrontare l’ultima parte del viaggio. Il nostro pullman riparte imboccando la statale 180 in direzione di Cancun. Percorriamo sessantasei chilometri dopo di che voltiamo a sinistra per visitare con Mario l’ultimo luogo caratteristico del paese. Dopo altri diciotto chilometri giungiamo nel paese di Izamal. Sin dall’ingresso del paesino ci accorgiamo di qualcosa d’inconsueto per un paese, specialmente in luogo come questo. Ricordiamo con tristezza le migliaia e migliaia d’abitazioni costruite con lamiere o mattoni d’ogni sorta abbinati tra loro, adesso siamo davanti ad un villaggio dove tutte le case sono intonacate e dipinte di un giallo coloniale con le cornici delle finestre e dei portici in bianco. Incredibilmente, tutte le costruzioni sono così! Purtroppo a mia moglie sta aumentando il dolore della storta presa alcune ore prima. Cosa fare in questi casi. Un dottore dove trovarlo, specialmente nell’ora della siesta? Cosa può fare oltre che mandarci all’ospedale per una radiografia? È meglio rimandare il tutto a questa sera, quando arriveremo a Cancun. Nel frattempo ci fermiamo per vedere il portico più grande dell’ America centrale, è abbinato ad una chiesa. Mentre il gruppo inizia la visita, trovo un distributore automatico di bibite in lattine, fredde. Per il momento ne facciamo un uso differente dal solito. Mia moglie è rimasta sul pullman e così le appoggio sulla parte dolorante la lattina gelata sperando di neutralizzarle il dolore. Niente è gonfio e ciò ci tranquillizza. Riesco a vedere l’area del portico e scattare alcune foto per osservare dodici archi per ogni lato, i colori sono gli stessi visti nel paese, i pilastri sono in pietra scolpita. Il gruppo risale e ripartiamo questa volta realmente per Cancun. Dobbiamo percorrere quasi duecentottanta chilometri per arrivare all’albergo. Dopo avere imboccato l’autostrada, Mario ci dice che non ci accompagnerà all’albergo ma che passeremo dall’aeroporto perché lui tornerà a Città del Messico quella sera stessa. Siamo un po’ dispiaciuti e gli siamo riconoscenti per le premure che ci ha mostrato e delle buone spiegazioni che hanno accompagnato la visita ad ogni luogo. Questa volta non “paga più Mario” ma siamo noi che gli regaliamo collettivamente in una busta la dovuta mancia. Ormai è buio quando arriviamo all’aeroporto di Cancun, Mario ci saluta commosso sperando di rincontrarci ma soprattutto di lavorare spesso con gruppi speciali come è stato il nostro. L’autista invece rimane perché deve ancora portarci all’albergo. Dormirà e domani ripartirà per riportare il pullman vuoto a Città del Messico. Attraversiamo la parte più “vecchia” di Cancun. Quando dico la parte vecchia di Cancun, mi viene quasi da sorridere. In questo luogo nel 1970 esisteva soltanto un piccolo villaggio di pescatori. Il governo messicano fece uno studio per capire dove far nascere una località turistica per alleggerire la ormai congestionata Acapulco. L’obiettivo era di trovare un luogo sul mare, dove costruire senza difficoltà. Fu scelto questo luogo per convergere miglia di messicani in cerca di lavoro. Oggi Cancun è un fenomeno invidiabile a qualsiasi nazione dove tutto l’anno si può godere un bel clima. Il pullman si ferma finalmente davanti all’hotel Caribbean Princess Cancun. Passiamo dalla ricezione per la felice punzonatura. Quel braccialetto che ci hanno messo con scritto il nome dell’albergo di colore grigio chiaro ci ricorda, ma soprattutto ai camerieri che avremo il trattamento di mezza pensione, escluso il pranzo. Passiamo dalle camere per lasciare il bagaglio e ci dirigiamo verso il ristorante per la cena. Siamo veramente tutti molto affamati. Tutte le sere potremo vedere uno spettacolo musicale rappresentato su un palco. Siamo abbastanza stanchi e anche se domani riposeremo, andiamo volentieri a farci una bella dormita. 10° giorno: Cancun La tranquillità del mattina ci sorprende. Apriamo le tende della vetrata della nostra camera per vedere la posizione della nostra camera rispetto al resto della struttura. L’albergo ha la forma di un ferro di cavallo la nostra camera è ad una delle estremità, quella libera perché nella parte opposta c’è il ristorante con accesso esterno. Le punte del ferro di cavallo affacciano sulla laguna. In mezzo alla sua apertura c’è la struttura della ricreazione con la piscina e il palco degli spettacoli serali. La nostra camera ha una parete completamente vetrata di fronte alla piscina. Una volta usciti dalla nostra stanza, solo una decina di metri più avanti possiamo di entrare nell’acqua della piscina. Invece a sinistra, una piccola piscina per l’idromassaggio può ospitare fino a sei persone. Il clima è veramente sereno e i clienti della struttura che rimangono all’interno ben si distribuiscono nello spazio a disposizione. Andiamo a fare colazione nel ristorante. Il cibo è ricco e lo spettacolo è unico perché un lato del ristorante è completamente vetrato e affaccia sulla laguna che ha di fronte, circa trenta metri oltre, un bosco di mangrovie. Dopo dieci giorni stiamo veramente iniziando a respirare l’aria della vacanza. Dopo aver macinato così tanti chilometri è arrivata la “vacanza” della vacanza. Abbiamo voluto lasciare questi cinque giorni così, senza impegni affinché ogni membro del gruppo la potesse vivere a suo piacimento. Mia moglie ed io siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo già visto, adesso il relax è quello che più desideriamo. Il primo giorno tutti decidono di rilassarci e gustarci il mare o la laguna. Per il pranzo ci accontentiamo di un po’ di frutta e biscotti che avevamo ancora con noi. Quel pomeriggio andiamo con l’autobus a vedere la parte continentale di Cancun. Ci fermiamo tra l’altro ad un mercatino dove troviamo oggetti dell’artigianato locale. Non posso fare a meno di farmi fotografare con il tipico poncho e il sombrero in testa. Torniamo a tempo in hotel per la cena e lo spettacolo serale.

11° giorno: Cancun Un gruppetto guidato da Serena prende un pullman di linea per Playa del Carmen, circa 70 chilometri a sud da dove s’imbarcano per visitare la Isla de Cozumel o Isola delle Femmine. Fanno un giro di quest’isola piatta, ma al loro ritorno ci dichiarano beati perché non ci siamo stancati come loro. Noi stiamo tranquillamente a riposare sfruttando le attività offerte dall’albergo. Particolarmente utile si rivela la sessione d’acqua gym. Un tavolo da ping pong ci permettere di eliminare un po’ di tossine e divertirci l’un l’altro in un mini torneo caraibico. Quando il sole è meno “caliente” prendiamo una canoa ciascuno per fare un giro in mezzo alla laguna. Prima del giro, l’osservazione di una tabella ci avverte di prestare attenzione ai piraña, ai barracuda e ai coccodrilli. Facciamo finta di non leggere quel cartello e con due canoe insieme a Giuseppe ci facciamo un ampio giro in mezzo alla vegetazione. È uno spettacolo mai vissuto prima proprio mentre tra una pagaiata e l’altra ci sembra di intravedere uno di quei pesci precedentemente menzionati. Facciamo finta di niente e torniamo all’albergo. Durante la cena serale i nostri amici c’invitano ad andare con loro nella giornata successiva. 12° giorno: Cancun Quasi tutti i componenti del gruppo hanno affittato un pullman per visitare il sito archeologico di Tulum, 130 chilometri a sud di Cancun. È unico nel suo genere, una roccaforte Maya costruita praticamente sulla spiaggia in una incantevole cornice vegetazionale. Certamente un luogo molto suggestivo anche per fare il bagno. Nel pomeriggio si fermano a Xcaret per entrare nel parco acquatico, ma quando si rendono conto del prezzo del biglietto proporzionato alle ore a loro disposizione, decidono di fare una passeggiata tra le affollate e piene di negozi stradine di Playa del Carmen. Noi quattro rimasti pigramente in albergo nel pomeriggio abbiamo optato per una passeggiata nei dintorni dell’albergo per vedere che cosa c’era intorno a noi, più che legittimo dopo tre giorni di permanenza in questo luogo. 13° giorno: Cancun Un altro giorno in cinque amici hanno affittato un’automobile e sono andati a visitare il centro archeologico di Chichén Itzá. Sono andati quelli che noi chiamiamo gli irriducibili. Affermano che non torneranno un’altra volta in questo luogo e che quindi non vogliono perdere quest’opportunità. È un viaggio di circa 400 chilometri complessivi, ma osservando le loro espressioni facciali al ritorno, capisco che ne valeva la pena. Noi in ogni modo siamo stati bene qui a Cancun all’interno della struttura alberghiera. 14° giorno: Cancun Oggi è l’ultimo giorno insieme nel villaggio. Tutto il gruppo si riposa, gioca e si diverte insieme. Nel pomeriggio decidiamo di fare insieme una passeggiata nel vicino centro commerciale di Caracol per acquistare gli ultimi souvenir da portare ai nostri parenti e amici. La serata termina con la solita cena e lo spettacolo musicale dal vivo. Ci tratteniamo un po’ più del solito essendo l’ultima sera prima della partenza. 15° giorno: Cancun – Città del Messico – Volo verso l’Europa Appena svegli facciamo come al solito la prima colazione. Una volta tornati in camera completiamo la preparazione delle valigie e ci ritroviamo vestiti di nuovo da viaggiatori per tornare a casa. Dopo due settimane insieme siamo un po’ melanconici per il fatto di tornare alla quotidianità. Nella hall scattiamo alcune foto per immortalare la nostra modesta abbronzatura con l’uno o l’altro amico. Verso mezzogiorno arriva davanti all’hotel il pullman che ci porterà all’aeroporto. Arriviamo all’aeroporto in meno di mezz’ora e ci accalchiamo in una sala abbastanza piccola per tutto il traffico aereo che questa aerostazione è abituata sopportare. Giunto il turno della nostra partenza usciamo dall’edificio aeroportuale per dirigerci a piedi all’aeroplano. Saliamo la scaletta e ci sediamo come la carta d’imbarco ci ha assegnato in prima fila in questo volo dell’aerolinea Mexicana. L’aero si alza rapidamente in volo, mentre possiamo ammirare in un colpo solo tutto il complesso alberghiero di Cancun che si sviluppa su questo lembo di sabbia a forma di L, unito alla terra ferma da due ponti. L’ultimo sospiro accompagna la testa dall’altra parte, archiviando questo bel luogo tra i nostri ricordi. Il volo fino a Città del Messico è breve, circa un’ora, ma la cosa che più ci lascia perplessi è vedere l’estensione della città. Circa mezz’ora prima dell’atterraggio siamo già sul perimetro della città, un nucleo urbano dalle dimensioni enormi. Distinguiamo dall’alto l’evolversi delle costruzioni: le baraccopoli diventano case incomplete, i condomini poveri, palazzi e ville di pregio man mano che ci avviciniamo al centro. Atterriamo all’aeroporto Benito Juárez e scendiamo nello stesso terminal dove arrivammo due settimane fa. Cerchiamo subito un posto dove riposare dal momento che dovremo aspettare quasi sei ore per il volo intercontinentale. Mettendoci le mani in tasca ci rendiamo conto di avere ancora in tasca un po’ di moneta locale. Una volta valutato il quantitativo economico disponibile e i turni di guardia del bagaglio a mano che non vogliamo lasciare incustodito, iniziamo un giro fra i negozietti nella zona franca dell’aerostazione. Compriamo due bicchierini adatti alle bevute di liquori come la tequila, di vetro molto spesso e con i bordi colorati. Finita l’agognata attesa tra una chiacchiera e l’altra, tra un sonnellino su una scomoda sedia e una passeggiatina, ci mettiamo in fila alla chiamata del volo che finalmente ci riporterà in Europa. Saliamo sul solito Boieng 747 che ci aveva portato all’andata, ci sistemiamo, decolliamo, ceniamo e ci addormentiamo poco dopo che spengono le luci.

15° giorno: Volo verso l’Europa – Francoforte – Italia Le prime luci dell’alba europea che filtrano attraverso alcuni oblò aperti da passeggeri assonnati, ci fanno capire di aver concluso la traversata atlantica. La rotta è vicina ai poli e dopo il passaggio sopra alla Groenlandia e l’Islanda stiamo per avvistare le terre a nord della Gran Bretagna, poi il mare del Nord ed infine in fare di atterraggio le terre tedesche. Dopo quindici giorni, alle 14,35 atterriamo all’aeroporto di Francoforte. Siamo tutti un po’ intontiti dalla notte passata tra il dormiveglia, un film o una lettura, ma soprattutto tristi perché le nostre strade si dividono e chissà se ci rincontreremo in un prossimo viaggio. I nostri amici della Lombardia e dell’Emilia hanno un volo alle 16.05; noi del centro e del sud alle 16.15. I nostri amici della Toscana non hanno più il volo per Firenze e dovranno volare su Bologna alle 16, 45; alle 16.50 partono i nostri amici del Veneto e del Friuli e alle 16,55 quelli di Torino. Mentre i cinque aerei partono e si separano verso diverse destinazioni formando una traiettoria come quello di un fuoco d’artificio, la nostra mente e il nostro cuore e la nostra mente s’illumina dei meravigliosi ricordi che abbiamo passato insieme. Siamo sicuri che a distanza di anni non potremo dimenticare questo fantastico viaggio.



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