Sulle strade della Spagna

Quello che segue è il racconto dei miei otto giorni in giro per la Spagna del Sud (ma non solo) assieme al mio amico Luca. Sono state giornate intense e magnifiche, vibranti e indimenticabili, stancanti, ma appaganti nell’animo e nello spirito, tanto che ancora oggi non riesco ancora a togliermene il sapore di dosso. E’ il 5 agosto. Ci...
Scritto da: gio1977
sulle strade della spagna
Partenza il: 05/08/2006
Ritorno il: 12/08/2006
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Quello che segue è il racconto dei miei otto giorni in giro per la Spagna del Sud (ma non solo) assieme al mio amico Luca. Sono state giornate intense e magnifiche, vibranti e indimenticabili, stancanti, ma appaganti nell’animo e nello spirito, tanto che ancora oggi non riesco ancora a togliermene il sapore di dosso.

E’ il 5 agosto. Ci siamo, sto per partire. Mi trovo alla stazione Termini ed è ancora molto presto, ma, come sempre, la paura di giungere in ritardo mi porta ad arrivare con largo anticipo ai miei appuntamenti. Quella di oggi sarà una lunghissima giornata ed è appena all’inizio. Alle 9.30 parte il treno (Leonardo Express) alla volta dell’Aeroporto di Fiumicino (costo: Euro 9.50). Dopo circa trenta minuti di viaggio arrivo all’Aeroporto, quando ancora manca un’ora e un quarto al volo. Mentre spero che Luca non mi faccia aspettare troppo, mi accorgo che lui è già a fare la fila al banco check-in della Vueling. Abbiamo acquistato i biglietti per il viaggio sul sito della compagnia low-cost spagnola da circa un mese: circa 220 Euro cadauno per andata e ritorno Roma Fiumicino- Madrid Barajas. Saliamo sull’aereo che decolla puntualmente e dopo circa 1 ora e 50 minuti di volo arriviamo a Madrid. L’aeroporto si rivela una vera “oasi nel deserto”: tutt’intorno scorgo infatti solo distese di terra incolta e il sole che picchia rende ancora più vasto e desolato l’ambiente, mentre lo scalo madrileno è una struttura evidentemente nuova e dalle linee architettoniche ardite, ma al contempo sobrie e funzionali. Scendiamo al piano inferiore a recuperare i bagagli che arrivano quasi immediatamente e poi ancora più giù a ritirare la macchina che, anch’essa, abbiamo in anticipo noleggiato tramite internet sul sito Argurcarhire.Com (un broker britannico attraverso il quale abbiamo prenotato un auto Europcar; costo: Euro 200 per un auto classe economy). Arriviamo al bancone dove Luca prende a parlare con un’addetta, la quale, per la verità, non appare troppo sveglia ed efficiente; supponiamo che sia il suo primo giorno di lavoro, cerchiamo dunque di essere comprensivi e aspettiamo con molta pazienza che sbrighi tutte le pratiche del caso. A questo punto andiamo in garage e scopriamo che un po’ di italianità ci accompagnerà per tutto il viaggio perché la macchina assegnataci è una Fiat Punto (nuovo modello), a cinque porte. Con mio sommo disappunto verifico che l’auto è provvista di lettore cd e non di mangianastri, come invece indicatoci all’atto della prenotazione. Non ho cd con me, ma solo musicassette e mi riprometto di acquistare cd al più presto dato che senza musica in auto non riesco a guidare: sino ad allora mi accontenterò delle stazioni radio spagnole. Carichiamo le valigie in macchina e mi metto subito al posto di guida. Usciti dall’aeroporto Luca si affetta a studiare l’itinerario verso Toledo, prima meta del nostro viaggio. Per ogni tappa di questo tour ho stampato degli itinerari dal sito della Michelin, ho inoltre con me lo stradario dell’Andalusia (sempre della Michelin); quanto a guide, sia io che Luca abbiamo la nostra bella copia della Lonely Planet sull’Andalusia e io dispongo anche della guida della Spagna della National Geographic. Sono emozionantissimo e nonostante la circonvallazione di Madrid sia pressoché vuota commetto un paio di errori di guida, tanta è la suggestione di trovarsi a guidare un auto in un posto sconosciuto. A destra si scorgono i grattacieli di Madrid e ci doliamo entrambi del fatto che la capitale spagnola non sia inclusa nel nostra giro. Purtroppo, complice la suddetta emozione, manchiamo l’uscita per Toledo e questo ci costringe a percorrere due volte la circonvallacion. Dopo circa mezz’ora ritorniamo all’aeroporto e la superiamo, trascorrono altri dieci minuti e questa volta, ben vigili, imbecchiamo lo svincolo giusto e ci dirigiamo alla volta di Toledo, che dista 88 kilometri, quindi il viaggio dovrebbe essere piuttosto breve. Siamo assaliti dalla fame, ma ci rendiamo conto che non ci sono autogrill nei paragi; trascorrono i kilometri, ma nulla. Ogni tanto incontriamo dei segnali stradali che parrebbero indicare pompe di benzina e punti di ristoro, ma non riusciamo a scorgere niente al di là della strada. Intuiamo più tardi che in Spagna le aree di servizio si trovano anche distanti dalla strada principale: occorre cioè uscire e percorrere qualche centinaio di metri per incontrarle. Dopo un po’ di vana attesa, decidiamo di saltare il pranzo e fare tutta una tirata sino a Toledo che dovrebbe essere vicina: infatti ben presto la scorgiamo davanti a noi. Inutile nasconderlo, siamo entrambi molto molto emozionati. Luca inizia le riprese col suo telefonino/videocamera/fotocamera. Io non riesco a distogliere lo sguardo dallo skyline di Toledo, da cui si erge, maestoso, l’Alcazar a dominare una sarabanda di bastioni, porte e torri campanarie. La città, a lungo capitale della Spagna, si trova arroccata su una collina, protetta interamente dal fiume Tajo e da una lunga cinta muraria. Cerchiamo il nostro albergo, che sappiamo non trovarsi in centro. Dopo lunghi giri e una improvvisata conversazione in spagnolo con un ragazzo del posto il cui cane, niente affatto amichevole, quasi assale Luca nel tentativo di entrare in auto, infine lo troviamo: hotel Abaceria, Ponezuelas 8 *** (prenotato in anticipo attraverso il sito bookings.Com). L’hotel si trova in effetti su una collina adiacente a Toledo e di qui si gode di una vista fantastica: l’Alcazar e la Cattedrale si stagliano davanti a noi in tutto il loro splendore. Il caldo è forte, ma secco e sopportabile. D’altronde l’emozione è tale da farci dimenticare la stanchezza di una giornata sinora molto intensa e che promette di esserlo altrettanto. Saliamo in camera, graziosa e pulita e con una vista spettacolare sull’antica capitale. Tutto intorno un grande silenzio e solo le cicale a farsi sentire. Ci diamo una veloce rinfrescata e usciamo subito, molto ansiosi, alla volta di Toledo. Le prime foto e poi superato il fiume ci inerpichiamo in quel dedalo di strette viuzze che è il centro della città. Non abbiamo molto tempo e quindi decidiamo di seguire l’itinerario consigliato dalla guida: partiamo dunque dalla Cattedrale, che sorge in Plaza del Ayuntamento e percorriamo il centro in lungo e in largo per circa tre ore. Poi stanchi e affamati ci sediamo in un piccolo locale situato in una graziosa piazzetta, qui ordino la mia prima cerveza e intanto riprendo a scrivere il mio diario. Dopo un po’ ci spostiamo in un’altra taverna; quindi altra cerveza, ma resto un po’ deluso dal cibo scelto, del pollo al curry pieno di cipolle, che io detesto. Mi riprometto di non commettere lo stesso errore per i prossimi pasti. Rientriamo verso le 23,00 in stanza, appagati da una giornata fra le più dense della nostra vita, ma in realtà un po’ delusi da una Toledo, che, pur meravigliosa se ammirata dall’esterno, non ci ha regolato altre grosse emozioni. E’ il 6 agosto. Il primo sole che sorge per me in Spagna. Mi affaccio alla finestra e l’immagine di Toledo che si sveglia, sommersa dal sole e incastonata fra le rocce, mi travolge. Mangio 4 fette biscottate con la marmellata (tutto portato da casa) e si parte con l’intenzione di attraversare la regione de La Mancha. Percorriamo quindi una strada secondaria verso Ciudad Real, kilometri e kilometri incontrando pochissime macchine e ancor meno centri abitati. Ci sono pianure sconfinate e deserte cui si alternano improvvise alture sulle quali si stagliano le sagome dei mulini resi celebri da Miguel de Cervantes. Non mancano le gigantesche pale per la produzione di energia eolica (Luca, col suo solito fare da ingegnere, le chiama i “nuovi mulini”), immortalate di recente da Pedro Almodovar nel film Volver, ambientato per l’appunto ne La Mancha, regione natia del bravissimo regista. Stanchi per via di un paesaggio che non tarda a divenire monotono, rientriamo sulla strada principale (autovia) all’altezza di Valdepenas. Da qui, superato il massiccio roccioso del parco naturale Despenaperros, entriamo in Andalusia, più precisamente nella provincia di Jaen. La guida ci dice che Jaen è il regno dell’aceituna (olio d’oliva) e non impieghiamo molto a rendercene conto. Il paesaggio è in effetti completamente cambiato e siamo ora circondati da morbide colline coperte da olivos (alberi d’olivo). Si avvicina l’ora di pranzo, la tabella di marcia non prevederebbe soste intermedie sino a Granada, ma il bello di essere in due e avere una macchina a propria totale disposizione è proprio l’improvvisazione. Prendo in mano la Lonely e accantono per un attimo lo stradario, mentre Luca mi ha ormai dato il cambio alla guida. Pare che nelle vicinanze ci siano i due gioielli dell’architettura rinascimentale della provincia di Jaen: Ubeda e Baeza. Decidiamo di recarci nella prima. In città è l’ora della siesta, in più è domenica e in giro non c’è davvero nessuno, salvo alcuni turisti, nemmeno poi tanti. Decidiamo di mangiare subito e poi fare un giro. Scegliamo un ristorante suggerito dalla Lonely: il Navarro, in Plaza del Ayuntamiento. Entriamo e ci accoglie una nuvola di fumo e l’indifferenza di un nutrito gruppo di spagnoli tutti intenti a fare il tifo per Alonso nel gran premio di formula 1. Ci sediamo e mentre Luca ordina dell’ottima carne di cervo, io mi getto su un pasticcio di uova con prosciutto e patate, davvero molto buono. Soddisfatti per via della pancia satolla, ma per questo un po’ pigri, cominciamo dunque la nostra visita di Ubeda, soffermandoci sulle tre piazze principali: Plaza Vasquez de Molina, Plaza del Ayuntamiento e Plaza del 1 de Mayo. La prima in particolare è davvero molto bella e decidiamo di scattare alcune foto. Verso le 15,00 torniamo alla macchina, lasciata in un garage a pagamento in Plaza de Andalucia. Si parte alla volta di Granada, dove arriviamo dopo un paio di ore. Mentre percorriamo la circonvallation (anche qui) scorgiamo l’Alhambra, che pare quasi finto tanto è bello. In centro, la prima preoccupazione è trovare un posto auto. Per fortuna ci riusciamo presto, sembra un posto tranquillo e sicuro, non è a pagamento ed è piuttosto vicino all’albergo. Si trova in un strada nei pressi di Plaza del Triumpho. Nel cammino che ci separa dall’hotel mi colpisce una scritta su un muro, fatta con i graffiti: Grazie Italia! Mi viene in mente che Granada è una delle principali città universitarie della Spagna, meta prediletta degli studenti Erasmus e penso che magari è stato proprio qualche studentello a lasciare quella scritta, ebbro di gioia (e non solo) per la recente vittoria mondiale (o forse più semplicemente è stato un qualunque turista italiano e qui, come altrove del resto, ve ne sono davvero molti). Compiaciuti all’idea del rosicamento dei francesi qui di passaggio e per questo costretti a leggere quella scritta, ci dirigiamo verso l’albergo: hotel Atenas, Gran Via de Colon 38 ** (anch’esso prenotato in anticipo attraverso il sito bookings.Com). La camera è piuttosto rude e spartana, ma ci consoliamo pensando che il centro è davvero a due passi. Un breve riposo e vero le 20,00 usciamo indirizzandoci verso l’ Albayzin, l’antico quartiere arabo di Granada. Luca sembra preoccupato perché la guida sconsiglia di allontanarsi dalle vie principali del suddetto quartiere dopo il tramonto. Non so se è serio o fa finta. In ogni caso il sole è ben lungi dal tramontare nonostante siano quasi le 21,00. Ci addentriamo nel quartiere salendo sino alla cima. L’ Albayzin è in effetti bellissimo e suggestivo, con le sue case tutte bianche, le stradine strette e in pendenza, e il Sacromonte, la montagna sacra dei gitani, a farne da misterioso e seducente fondale. Ci fermiamo qualche minuto a Plaza de San Nicolas, da dove si gode di una vista eccezionale dell’Alhambra. Ci sono zingari che cantano e luca li riprende con la videocamera. Io resto rapito dallo scenario che mi si fa innanzi. Entriamo in un bel locale che però a me pare un po’ troppo turistico. Mangiamo la nostra prima racion di tapas, una di salumi e una di pesce. Molto buono, nulla da dire. Luca beve del vino tinto ed io l’ennesima cerveza. Un’ultima passeggiata in centro e poi a nanna, domani promette di essere (ancora) una giornata vibrante.

E’ il 7 agosto. Ci svegliamo con comodo stamattina, la stanchezza è tanta. La visita all’Alhambra è prenotata in anticipo e fissata per le ore 12.30 (Euro 10.50 sul sito Alhambratickets.Com). Anche in questo albergo la colazione non è inclusa ed io rimedio con le solite fette biscottate mentre mi procuro un (orrendo) caffè al distributore automatico collocato accanto alla reception. Percorriamo la Gran Via de Colon e, superata Plaza Nueva, imbocchiamo la ripida salita che conduce all’ingresso dell’Alhambra. E’ già metà mattinata, fa caldo, ma un tenue venticello rende il tutto molto sopportabile e a tratti piacevole. Giungiamo alla biglietteria dove troviamo lunghe file di turisti. Scopriamo che un po’ tutti hanno acquistato il biglietto su internet e quindi la fila deve comunque essere fatta per ritirare il biglietto, ma si tratta di una fila molto scorrevole. Arrivati alla biglietteria ci viene detto che il numero trascritto sul foglio che ho con me non può corrispondere ad un numero di prenotazione, così non possiamo entrare e una delle visite più attese rischia di saltare. Con sommo sgomento, nei pochi minuti che ci separano dalla fatidica ed inderogabile soglia delle 12.30, Luca scende nei bagni dove si trova una cabina e telefona all’agenzia del Banco di Bilbao che cura le prenotazioni, mentre io l’aspetto in biglietteria per evitare di dover rifare la fila. Luca riesce a riavere il (corretto) numero di prenotazione e per il rotto della cuffia entriamo nell’Alhambra all’orario prefissato. Dall’alto della collina, l’Alhambra domina la città in tutta la sua magnificenza. Decidiamo di suddividere così la nostra visita: prima il palazzo dei Nasridi (massimo esempio di architettura moresca per il quale l’orario di visita ci è già stato assegnato sul biglietto); Alcazaba (la fortezza da cui fu fatta sventolare la bandiera della Reconquista), il palazzo di Carlo V (dove assistiamo ad un’improvvisata esibizione di una cantante lirica russa) e infine il Generalife e i suoi splendidi giardini. Il luogo è effettivamente una delle meraviglie del mondo. I giardini e i cortili paiono usciti da Le Mille e una Notte e non puoi fare a meno di sentirti catapultato in un’altra epoca, ma soprattutto in una civiltà sconosciuta. Questi posti scuotono corde dell’animo sinora assopite.

Usciamo colmi di bellezza e percorriamo in un silenzio meditabondo la strada che ci riporta in albergo. Un breve riposo e poi di nuovo in strada A questo punto ci dividiamo ed io vado in esplorazione del quartiere più commerciale che circonda Plaza Bib-Rambla. Per giungere a tale piazza, percorro l’Albaceria (antico mercato arabo della seta), davvero magico nel suo intrecciarsi di vicoli e viuzze tutte percorse da piccoli negozi dove si vende merce arabeggiante (se vogliamo un po’ troppo sfacciatamente a uso e consumo del turista). Individuo una taverna che sembra fare al caso nostro per la sera: il Patio del Toro, che in realtà si rivela una grande delusione per la qualità scadente del cibo e del servizio. Ci spostiamo quindi in un altro locale sulla Carrera del Darro, la strada che costeggia il fiume (Rio Darro), proprio sotto l’Alhambra. Prendo delle tapas con jamon e l’ennesima cerveza. Non male e poi la vista dell’Alhambra illuminato vale da solo il costo della cena (piuttosto salato). Un’ultima passeggiata nel Realejo, e poi a nanna.

E’ l’8 agosto. Un’ultima visita alla Cattedrale e alla Capilla Real e poi in marcia verso Siviglia percorrendo la A4. Anche in questo caso decidiamo di fare un deviazione e svoltiamo verso Ronda. L’ultima parte di strada è piuttosto stretta e non incontriamo quasi nessuno. Pare di trovarsi in un film di Sergio Leone, tale è l’ambiente circostante. Giungiamo a Ronda. In città si procede a passo d’uomo, c’è un traffico pazzesco e tutti i parcheggi sono pieni. Ci allontaniamo dal centro e infine troviamo un parcheggio libero. E’ ora di pranzo e, raggiunto il centro, dopo un rapido sguardo a dei locali consigliati dalla Lonely nei pressi della Plaza de Toros (un po’ troppo costosi per vero) ne scegliamo uno più economico che si trova in una piazza lì vicino. Prendo una pietanza dal nome strano che però è nella sezione carne del menù, quindi dovrei andare sul sicuro. Infatti si tratta di un ottimo petto di pollo con uovo fritto sopra accompagnato dalle (immancabili) patate. Luca prende anche una (presunta) crema catalana, che a me in realtà pare un normale budino da supermercato. Inizia la visita. Ci dirigiamo verso il Puente Nuevo, che sovrasta la gola strettissima de El Tajo separando la Ciudad dalla parte nuova di Ronda. La gola è davvero profondissima e strettissima, impressionante e quasi spaventosa, fortuna che non soffro di vertigini. Ci incamminiamo verso la Ciudad sino al Barrio di San Francisco e poi risaliamo verso Plaza de Toros dal Puente Vejo. Entriamo nella Plaza de Toros (una delle più antiche e soprattutto quella col diametro più lungo di tutta la Spagna, dice la guida) e scattiamo alcune foto simpatiche. Peccato non assistere ad una corrida, ma doversi limitare ad una rapida visita turistica. Verso le 16,00 riprendiamo la strada verso Siviglia e arriviamo dopo un paio d’ore. Lasciamo l’auto in un parcheggio a pagamento nei pressi del Puente de Triana. Il nostro albergo (Hotel Murillo, Calle Lope De Rueda **) si trova proprio nel Barrio de Santa Cruz, il quartiere caratteristico a Est della Cattedrale e dell’Alcazar, e percorriamo la strada che ci separa da esso a piedi. L’albergo si rivela molto ma molto carino, il personale inoltre è cortese e affabile e la colazione è compresa nel prezzo, il che non guasta affatto. Lasciate le valigie io e Luca ci separiamo, lui si dirige in un internet point, mentre io (che non voglio vedere un computer sino alla fine delle mie ferie) inizio il mio vagabondaggio alla scoperta di Siviglia. Mi rendo subito conto che fra tutti, questo è il luogo in grado di scatenarmi le maggiori emozioni. Trascorro le restanti due ore quasi in uno stato di delirio, totalmente rapito dalla città e in piena simbiosi con essa (non prendetemi per pazzo!), incapace di smettere di camminare e di esplorare i diversi anfratti. Risalgo a nord sino alla Plaza de Toros, poi percorro il lungo fiume (Rio Guadalquivir) ammirando il sole che tramonta dietro il quartiere di Triana. Intanto un gruppo di ragazzetti si tuffa nel fiume che pare abbastanza pulito e molta gente corre o va in bicicletta. Scendendo verso sud lungo il Paseo de Cristobal Colon, mi dirigo verso Plaza de Espana. Intanto il sole si cela ad ovet e le luci che si accendono donano alla città un’atmosfera mistica e sognante. Mi ritrovo con Luca e andiamo a cena alla Cervezeria Giralda, consigliata dalla Lonely. Chiediamo al cameriere, su suggerimento di una coppia milanese seduta accanto a noi, di portarci 4 tapas a sua scelta. Innaffiamo il tutto con molte, molte cervezas. Il locale si rivela davvero ottimo ed è a due passi dalla cattedrale, nella piazza antistante la Giralda. A questo punto Luca vuole andare a dormire, complice l’ennesima giornata vissuta a mille. Io resto solo in piazza, seduto dinnanzi alla Giralda a scrivere il mio diario di viaggio e a godere di questa fantastica città. Conosco, tanto per cambiare, degli italiani incuriositi dal fatto che stia, tutto solo, scrivendo sul mio taccuino, e verso le 2 rientro in albergo.

E’ il 9 agosto. Oggi alla scoperta delle meraviglie di Siviglia. In mattinata visitiamo la cattedrale e l’Alcazar. Ci dirigiamo poi verso l’Isla de la Cartuja e, su mia insistente richiesta, ci avviamo verso la zona dell’Expo, che dalla cartina sembrerebbe più vicina di quanto poi si dimostra essere. Sono le 13,00 e il termometro segna 38 gradi (sappiamo ormai per esperienza che la temperatura più alta arriverà a metà pomeriggio). L’area dell’Expo si rivela una mezza delusione. Non c’è anima viva in giro e gran parte dei padiglioni sono abbandonati e ormai in rovina. Per tornare indietro Luca decide saggiamente di prendere l’autobus, molto bello e pulito. Il biglietto può essere chiesto direttamente all’autista e costa 1 euro. Scendiamo all’altezza del Puente del Generalissimo e ci dirigiamo verso Plaza de Espana. A questo punto ci sono più di 40 gradi e resistere sotto il sole è pressoché impossibile. Verso le 17,00 rientriamo in albero e dopo un breve riposino ci dedichiamo ad un nuovo giretto attraverso il Barrio de Santa Cruz, un dedalo di viuzze dove si dischiudono inattese graziose piazzette ricolme di alberi d’arancio. Per la cena decidiamo di sederci proprio in uno dei ristoranti che si trovano in una di queste piazzette. Mangio una frittura di pesce. Intanto Luca non si sente troppo bene, forse per il caldo e la grande fatica. Mangia qualcosa, prende un’aspirina e va a letto. Io lo seguo a ruota… E’ il 10 agosto, giorno della visita a Gibilterra. Ci svegliamo molto presto. Luca si sente meglio, ma è molto stanco. Torniamo a prendere la macchina e ci rendiamo conto di quanto sia distante dall’albergo. Ci ripromettiamo quindi di trovare un parcheggio più vicino quando saremo tornati in serata. Imbocchiamo l’autovia verso Cadiz e svoltiamo subito dopo Jerez de la Frontera. Dopo circa due ore giungiamo a Gibilterra. Lasciamo la macchina sul lungomare de La Linea de la Conception, come suggerito dalla Lonely e ci incamminiamo verso la dogana. Subito dopo la dogana (dove c’è una lunga fila di macchine, il suggerimento della guida era dunque correttissimo) incontriamo l’aeroporto, che attraversa proprio la strada principale, la quale, scopriamo, viene chiusa al transito, ogni qual volta un aereo è in fase di atterraggio o decollo. La cosa ci stupisce ed entusiasma al contempo. Purtroppo un aereo della flotta reale è appena decollato e ce lo siamo persi. Ancora un po’ meravigliati ci inoltriamo nel centro di Gibilterra (Main Street). Io e Luca ci separiamo all’ingresso della funicolare. Ho infatti deciso di salire sulla vetta della Rocca a piedi, se possibile percorrendo il Sentiero del Mediterraneo di cui parla la Lonely. Giungo a piedi all’ingresso della Riserva dell’Upper Rock. Non fa caldissimo, ma qui è molto umido. Mi tolgo la camicia che è già madida di sudore. Tento di scorgere l’Africa, ma purtroppo oggi c’è foschia e quindi non si vede nulla. Pago 1 euro per l’ingresso e chiedo di confermarmi che è possibile salire a piedi. Mi dicono di sì, ma forse non hanno capito che intendo percorrere il sentiero che ha scatenato le mie fantasie sin dalla prima lettura della Lonely. Il suddetto sentiero si rivela in realtà davvero improbo. Si vede che non viene molto utilizzato, perché è davvero stretto, ricoperto da sterpaglie; inoltre, ci sono spine che mi graffiano il petto e le gambe e il mio cammino è accompagnato da suoni non proprio rassicuranti…Mi ritrovo d’un tratto dall’altra parte della Rocca su una scogliera altissima e a 10 cm da me il vuoto. Mi sento molto Indiana Jones e mi viene in mentre mia madre. Se avesse idea di dove mi trovo non credo il cuore resisterebbe…A un certo punto vedo in alto la strada principale e decido prudentemente di abbandonare il percorso “avventuroso” per una più sicura scalata nella strade già percorse dalla civiltà. La strada è comunque lunga e in notevole pendenza. Saltano fuori le prime scimmie all’altezza della St. Michael Cave. Salgo ancora e dopo quasi due ore di cammino in solitario giungo alla stazione superiore della Funicolare, dove trovo Luca ad attendermi. Il posto è letteralmente colmo di scimmie, quasi stento a crederci…Luca è quasi commosso, tanta è la meraviglia che prova davanti a cotanti primati. Ha scoperto di amare la natura alla follia. D’ora in poi, dice, serberà gelosamente un’immagine di Licia Colò in portafoglio e tenterà di essere reclutato per la nuova serie di Superquark. Uno sguardo dal belvedere e assistiamo al decollo di due caccia della flotta reale. Io e Luca ripensiamo alla coppia di milanesi della sera prima che ci avevano detto che Gibilterra era un “pacco”. Per noi non è evidentemente così. Fosse solo per l’idea di trovarsi alla fine del mondo un tempo conosciuto, Gibilterra si rivela un posto magico, surreale nel suo atteggiarsi a luogo di Frontiera. La Rocca spazzata dal vento, le scimmie, la dogana, l’aeroporto letteralmente in mezzo alla strada, i caccia che sfrecciano, i negozi Duty Free, la mescolanza della cultura spagnola, inglese e africana. Tutto contribuisce a rendere questo posto unico e, a nostro parere, assolutamente da visitare.

Luca e io ci separiamo di nuovo ed io riprendo infaticabile il mio cammino, mentre lui ritrova la “sua” funicolare. Impiego 40 minuti a scendere e, una volta incontratici, sprofondiamo nelle sedie, per vero un po’ scomode, di un pub very very british (uno dei tanti qui in Main street). Mangio una delle specialità del luogo: Sheperd’s Pie with Chips, Veg and Gravy (altrimenti detto Pastel de carne y gravy del horno). Luca un classico Fish and Chips. Io gradisco molto, soprattutto la mega birrozza che ingurgito, tutto soddisfatto e orgoglioso per l’impresa appena portata a termine. Un pò affaticati riprendiamo la macchina verso le 16,00 e, mentre Luca dorme, infrango per la prima volta i limiti di velocità spagnoli, riportandoci in albergo dopo poco più di un’ora e mezza (strada pressoché deserta come sempre). La sera andiamo alla ricerca di nuovi bar di tapas da saccheggiare. Purtroppo il Riconcillo, straconsigliato dalla Lonely e amici vari, è chiuso; ci dirigiamo proprio lì accanto a La Giganta. Mangio Atùn y salmorejo (tonno alla piastra con salsa di salmone); affogo il tutto in due cervezas. Intanto il pensiero di abbandonare Siviglia comincia rapidamente a opprimermi. In preda ai fumi dell’alcol prendo a dire a Luca che la città mi parla e non vuole che me ne vada. Luca non mi presta molte attenzione, essendo in piena fase di innamoramento, la sua mente sovente abbandona il corpo per dirigersi verso altri lidi. Mi trovo dunque a parlare a un simulacro vuoto, mentre Siviglia mi tiene stretto a sé e non vorrebbe lasciarmi.

E’ l’11 agosto. Nulla da fare, mia amata Siviglia. Debbo andar via, ma tornerò molto presto, te lo prometto. Ci dirigiamo verso Cordoba. Non è molto lontana e dovremmo arrivare in un paio d’ore. Fedeli alla linea “una sosta intermedia per ogni grosso spostamento” riflettiamo su quale ameno luogo possa essere visitato. Il portiere dell’hotel ci ha suggerito Carmona, ma è davvero troppo vicina a Siviglia. A metà strada ci sarebbe Ecija, che la guida descrive come la città più calda di Spagna. Non impieghiamo molto a scartare anche questa idea. Luca pensa allora alla Medina Azahara, una sorta di palazzo-città che, recita la guida, Abd ar Rahman III fece costruire per la moglie nostalgica della Siria. Il fisico del sottoscritto a questo punto inizia a migrare verso lidi ignoti. Il termometro segna 40 gradi e il posto effettivamente non riesce a emozionare tanto da coprire la stanchezza. Luca concorda e andiamo presto via (per fortuna la visita è gratuita). Arriviamo a Cordoba appena dopo l’ora di pranzo. Anche qui grandi giri per trovare un posto. Non paiono esserci molti parcheggi sotterranei come a Siviglia. Lasciamo la macchina in una grossa via alberata ai limiti del centro e ci incamminiamo verso l’albergo (Hotel Plateros, Plaza de Seneca 4 *). Notiamo, non molto felici, che ci è stata assegnata una camera con letto matrimoniale e per di più il letto dispone di un solo unico lungo cuscino. La cosa ci richiama simpaticamente alla mente lo slogan trovato sul sito dell’albergo: “Gay friendly”…, ma è il pensiero di un momento. Luca oggi è di nuovo attivo, mentre io sto lentamente crollando, provo a riposare un po’ e mangio qualcosa. Alle 17,00, pur stanchissimo, decido di uscire, ripetendomi che siamo quasi alla fine e non posso né voglio perdere tempo prezioso. Ci sarà tempo e modo, a breve, di riposare. Visitiamo la Mezquita, l’antica moschea al cui interno si trova una cattedrale cristiana. Luca è esterrefatto. L’Alcazar è purtroppo chiuso e decidiamo di trascorrere in resto della serata trascinandoci nei numerosi bar di tapas del centro. Dopo 3 locali e, per quanto mi riguarda, 6 cervezas, rientriamo in albergo. Luca intanto ha un’illuminazione: e se domani ci svegliassimo presto e andassimo a Madrid? La proposta mi desta dal torpore in cui ero caduto sin dal primo pomeriggio ed è approvata all’istante.

E’ il 12 agosto. Ci svegliamo alle 6. Percorriamo le strade di Cordoba quando è ancora buio e non c’è davvero nessuno in giro. Anche i bar sono chiusi e quindi niente colazione. Si parte e, dandoci il cambio alla guida, giungiamo alle 11,30 a Madrid. Mi sento di nuovo pieno di energie. Sono tutto eccitato mentre guido attraverso i grandi viali della capitale spagnola. Parcheggiamo in pieno centro e ci dirigiamo verso Plaza Mayor, poi visita al Palazzo Reale. Madrid ha indubbiamente la maestosità propria di una capitale, ma non ha il magnetismo degli altri posti sin qui visitati. Le vibrazioni di Siviglia qui non le sento. La città non mi parla, potrei dire sotto l’effetto di nuove, ma sempre gradite, cervezas. Si vede che il cuore della Spagna non è qui, ma altrove. Mi riprometto comunque di tornare, una città come questa non si visita certo in poche ore. E’ ora di pranzo e Luca ha un’altra improvvisa illuminazione. Solo due parole: Santiago Bernabeu. E quasi svengo…I miei occhi che si illuminano sono un segno di assenso sin troppo esplicito. Chiediamo ad un ufficio informazioni dove si trova il mitico stadio del Real Madrid. Un ragazzo molto simpatico ce lo indica sulla cartina, non è molto distante, si va, ma non c’erano dubbi (intanto mi chiedo come ho fatto a non pensarci io, bravo Luca). Ci precipitiamo verso la macchina, temendo che il tempo ci venga a mancare sul più bello. Per fortuna la strada è sgombra e arriviamo molto presto allo stadio. Ci accorgiamo che è possibile la visita al suo interno (al gate 42). Parcheggiamo e ci dirigiamo in biglietteria (costo: 9 Euro). Saliamo in curva, poi in tribuna autorità, sul campo, in panchina, negli spogliatoi. E’ il tempio del calcio e noi, da buoni appassionati, ci sentiamo tanto dei fedeli umilmente in preghiera. Scattiamo alcune foto. Luca tenta di imitare Galliani in poltroncina e Trapattoni in panchina. Usciamo dopo un’oretta di visita con appendice nella gigantesca sala trofei del Real. Mangiamo qualcosa lì accanto. Beviamo pure (qualcuno ha detto Cerveza???). Quindi in aeroporto. Restituiamo l’auto. Il volo parte puntuale alle 18.10. Alle 9.30 sono sul divano di casa mia, con gli occhi sgranati al cielo e la mente che vaga altrove, verso ovest…



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