Slow tour partecipativo sulle tracce dell’acqua
Iniziamo da Alessandra, mitica “guida per caso” di Sacile, che mi ha accompagnato alla scoperta del territorio di confine in cui abita, da Polcenigo a Sacile, seguendo percorsi fatti d’acqua. Io e Domenico, mia dolce e paziente metà, partiamo in treno da Milano e arriviamo venerdì sera nella stazione di Sacile, dove ci attendono appunto Alessandra e il marito Roberto. Il tempo di fare un giro panoramico di Sacile in auto e poi ci fermiamo in Piazza Duomo per un brindisi di benvenuto con vista sul Duomo di San Nicolò, patrono della città e Santo della navigazione fluviale. Dovete sapere, infatti, che la storia, la cultura e addirittura il nome di questa cittadina (che deriva dal latino saccus che significa insenatura) sono legati a un fiume: il Livenza, intorno al quale sorge il centro storico di Sacile. Chiamata anche “Giardino della Serenissima”, per via dei suoi palazzi nobiliari che risalgono al periodo veneziano, Sacile rappresenta un vero gioiellino al confine con il Veneto, da cui è influenzata sia dal punto di vista architettonico e sia culturale. Volete un esempio? Qui il dialetto è molto più simile al veneto più che al friulano.
Ma si è fatto tardi e domani ci aspetta una bella giornata impegnativa, quindi Alessandra ci accompagna nell’agriturismo dove pernotteremo: Le Favole, anche cantina, collocato strategicamente lungo la strada per Polcenigo, una delle tappe del nostro itinerario. La nostra sveglia suona presto… Diamo una sbirciata dalla finestra della nostra camera per vedere com’è il tempo: nuvoloni e pioggia! Peccato! Ok che il nostro è un percorso che “insegue” l’acqua in ogni sua forma, ma non volevamo essere inseguiti noi dall’acqua! Facciamo una colazione rapida e poi, accompagnati sempre da Alessandra e suo marito, partiamo alla volta di Polcenigo, dove incontriamo Barbara Quaia, la presidente della proloco. Qui conosciamo anche Oscar Riet, presidente del Gruppo Archeologico di Polcenigo (G.R.A.P.O), che ci guiderà alla scoperta del vicino sito palafitticolo di Palù di Livenza, che risale al neolitico e che dal 2011 fa parte dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO. Pioviggina ancora e io e le mie scarpe in tela non siamo pronte per affrontare il fango del sito archeologico, ma per fortuna Alessandra è organizzatissima e mi porge un paio di sacchetti di plastica da indossare con eleganza! Ora sì che può iniziare l’esplorazione! I villaggi palafitticoli preistorici dell’arco alpino rappresentano un fenomeno di straordinaria importanza storico-scientifica perché, data la loro posizione in terreni saturi d’acqua, i resti che vi si ritrovano sono perfettamente conservati, fornendo un quadro dettagliato della cultura e della vita quotidiana del passato. Oscar Riet, il presidente del Gruppo Archeologico di Polcenigo, ci spiega che l’area umida di Palù di Livenza si estende in un bacino naturale ricco d’acqua grazie alla presenza di tre sorgenti del fiume Livenza. Qui è stato ritrovato un villaggio palafitticolo di età neolitica che si è sviluppato su isolotti e bassure e che ha conservato molte testimonianza archeologiche: piatti, scodelle e ciotole in ceramica ma anche lame e punte di freccia in pietra e strumenti in legno come un secchio e cunei e spatole. Insomma si tratta di un vero e proprio archivio archeologico e paleoambientale unico nel suo genere. Attraversiamo un sentiero che ci porta nei pressi delle sorgenti del Livenza, che hanno una caratteristica precisa: pur affiorando a poche decine di metri sul livello del mare danno origine a un corso d’acqua di notevole portata, navigabile fin dalla sorgente. Una leggenda narra che in questi luoghi apparve la Santissima Trinità a un abitante della zona e per questo motivo fu eretta la chiesa della Santissima, edificio di origini antiche che ora si presenta in forme cinquecentesche. A breve distanza dalla Chiesa sorge un’edicola dedicata alla “Madonna Immacolata”, ai piedi della quale scaturisce una piccola sorgente la cui acqua era ritenuta miracolosa per proteggere la vista e per propiziare la fecondità umana. Naturalmente andiamo a bagnarci gli occhi… Non si sa mai!
Lasciamo il sito palafitticolo di Palù di Livenza e ci dirigiamo verso le sorgenti del Gorgazzo (affluente del Livenza): questo è un luogo magico che si presenta come un’ampia e profonda pozza, nascosta fra alberi e rocce, alimentata da acque limpide e gelide che assumono un colore stupendo: azzurro intenso con innumerevoli riflessi che vanno dal verde smeraldo al turchese. Si tratta di una sorgente carsica “di trabocco” o “a sifone” alimentata dalle piogge e dalla neve che cadono in montagna, sull’altipiano del Consiglio. È stata esplorata fino a -212 metri di profondità dallo speleosub Luigi Casati che detiene il record mondiale.
Ma il tempo stringe e noi abbiamo ancora una gita in barca da fare… Quindi salutiamo e ringraziamo Oscar e Barbara e ritorniamo verso Sacile, dove incontreremo il signor Mario Modolo che ci accompagnerà con la sua “barcarola” lungo i canali del centro storico. Per fortuna ha smesso di piovere anche se il cielo è ancora grigio. Durante la nostra mini crociera incrociamo a bordo della sua canoa, Andrea, allenatrice del Canoa Club di Sacile e ne approfittiamo così per scambiare qualche chiacchiera con lei, che ci racconta come viene vissuto il Livenza dal punto di vista sportivo. Il signor Mario ci mostra il Palazzo Ragazzoni Flangini Billia, uno dei palazzi più importanti che si affaccia sul Livenza, costruito nel 1750 per volere di Giacomo Ragazzoni, apparteneva a una famiglia di ricchi armatori e banchieri veneziani. Dopo il giro suggestivo lungo i canali che attraversano il centro storico di Sacile e che ci hanno riportato al periodo veneziano, rientriamo sulla terraferma e visitiamo la “grotta delle meraviglie”, un luogo magico, il retrobottega dell’attività del signor Mario, dove sono conservati tanti oggetti restituiti dal fiume Livenza all’uomo. Fra questi mi lasciano senza parole le “murrine” gioielli in vetro la cui materia prima proveniva dal vicino Veneto e che venivano lavorati e finiti poi a Sacile. Ascoltiamo interessatissimi uno scambio in dialetto tra il padre di Alessandra e il signor Mario e poi andiamo a pranzo nell’Osteria 30 cent, appena inaugurata in Piazza Duomo. Qui, in compagnia di Alessandra, il marito Roberto e una coppia di amici assaggiamo i piatti tipici di una volta. Iniziamo con radici e fasioi piatto povero per eccellenza in cui la carne veniva sostituita dai legumi, abbinati poi a erbette condite con olio e aceto. Proseguiamo con un secondo “leggerissimo”: muset, una specie di cotechino tipico della zona, chiamato così perché contiene anche il muso del maiale. Di contorno mangiamo cavolo cappuccio rosso. È tutto davvero molto semplice ma gustoso e poi abbinato a un cabernet della zona è la morte sua!
Ma si è fatto davvero tardi e Alessandra ci accompagna in stazione perché abbiamo un appuntamento con l’Asia nella vicina Udine… Eh sì perché con il nostro “blog tour per caso” abbiamo intercettato anche il Far East Film Festival (Festival internazionale del cinema asiatico), in occasione del quale avranno luogo le #invasionidigitali: bellissima iniziativa organizzata da singole persone o gruppi che liberano la cultura “invadendo” i luoghi di interesse storico-culturale e condividendo sui social ciò che vedono e fanno! Appena scesi dal treno ci rendiamo conto dell’atmosfera internazionale che si respira nella città di Udine… Ci dirigiamo spediti verso Palazzo Morpurgo, uno dei punti nevralgici della cultura di Udine e luogo da cui partirà la nostra #invasionedigitale. Qui incontriamo alcuni amici blogger e instagramers fra i quali Alberto, altro blogger per caso in Friuli Venezia Giulia, ma anche Cristina del Web Marketing del Friuli Venezia Giulia Turismo. Ecco, ci siamo tutti allora e siamo pronti a invadere Udine e a scoprire come la sua cultura possa fondersi con quella asiatica!
Iniziamo con una lezione di Haiku nel giardino interno loggiato del Palazzo Morpurgo. Per chi non lo sapesse l’Haiku è un componimento poetico caratterizzato dalla peculiare struttura in 3 versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe. Alberto mi fa subito notare come quest’arte possa essere assimilata a un moderno tweet dove la difficoltà sta appunto nell’esprimere un concetto o un’emozione in un numero limitato di caratteri. Armata di smartphone fotografo, twitto, interagisco e condivido sulla pagina di Turisti per Caso mentre Domenico mi aiuta scattando foto con la macchina fotografica! Poi ci spostiamo verso i vicini Giardini del Torso per assistere alla cerimonia del tè, rituale sociale e spirituale praticato in Giappone, dal fascino indiscutibile. Infine terminiamo la nostra invasione nella Galleria Tina Modotti, edificio in stile liberty, sede antica del mercato del pesce e luogo dove si tiene l’inaugurazione di “Indastria”, mostra fotografica a cura di Demis Albertacci che ci racconta il cosplay (dai termini inglesi “costume “ e “player”, è una categoria di appassionati di fumetti, videogiochi, film d’animazione ma non solo, che si calano nelle vesti dei loro beniamini, realizzando e indossando gli abiti e i vari accessori caratterizzanti il loro personaggio) attraverso le sue belle immagini! Molto bella la mostra e affascinante il contrasto fra passato e futuro che vi si respira all’interno ma anche lo scontro-incontro di cultura come la nostra e quella asiatica (anche se il fenomeno del cosplay ha preso piede anche in Italia). La nostra invasione si può dire conclusa e dopo un aperitivo in compagnia di amici con un calice di Tocai Friulano in uno dei locali della movida di Udine (città particolarmente viva nel weekend), ritorniamo in stazione perché ci aspetta un treno con destinazione Gemona del Friuli.
Tra l’altro vorrei sottolineare una cosa: altro che “slow” tour, io e Domenico abbiamo corso parecchio per prendere quel treno ma alla fine ce l’abbiamo fatta! In circa venti minuti siamo arrivati in stazione e il nostro albergo (Hotel Si-Si, che ci è stato consigliato scoprirete poi da chi) dista pochi minuti a piedi. Lo raggiungiamo e il tempo di darci una rinfrescata e usciamo di nuovo per visitare Gemona alta… Eh già perché noi ci troviamo nella parte bassa e tra noi e il centro storico c’è una bella salita! Ma mossi dalla fame (ormai è ora di cena!) ci arrampichiamo su una stradina che ci porta dritti dritti nel cuore di questa bella cittadina, simbolo di rinascita del Friuli Venezia Giulia dopo il terribile sisma del 1976. Intanto chiedo consigli su dove mangiare via Twitter e ricevo una dritta dal profilo dell’Ecomuseo delle acque del Gemonese, dove andremo domani e il cui responsabile mi aveva indicato anche il piccolo albergo dove alloggiamo. Seguendo il loro consiglio, ceniamo nel Ristorante Duomo con vista appunto sul Duomo di Santa Maria Assunta, ricostruito per anastilosi (mediante la ricomposizione con i pezzi originali delle antiche strutture) in seguito al terremoto che sconvolse la regione. Il Duomo illuminato con faretti violacei è molto suggestivo e conferisce un’atmosfera davvero romantica all’intera piazza e alla nostra “frugale” cena a base di: gnocchetti di spinaci con burro nocciola, semi di papavero e scuete fumade (ricotta affumicata della Carnia), frico morbido e polentina bianca (a detta di Domenico “uno dei migliori mai assaggiati in Friuli) e per finire la saporitissima trota di Sauris servita sempre con polenta bianca e patate: tutto ottimo… davvero! Complimenti alla cucina! Finito di cenare, facciamo una bella passeggiata lungo la suggestiva Via Bini per ammirare i palazzi restaurati rispettando l’aspetto originario. Tra questi, molto bello è Palazzo Elti, sede del Museo Civico.
È tardi e domani dobbiamo continuare il nostro percorso sulle tracce dell’acqua del gemonese, rientriamo così in albergo per riposarci dopo una giornata piacevolissima ma abbastanza impegnativa…
(continua…)