Self-made India

Tra le pagine della guida Lonely Planet si trova un concetto che ha rappresentato la chiave di volta di questo nostro viaggio: l’India ricompensa chi si sa adattare... Fedeli a tale spirito siamo partiti e il timore di incovenienti si è dissolto tra un chai e una chiacchera. I colori del Rajasthan, la frenesia delle città dell’Uttar...
Scritto da: Chiara Z.
self-made india
Partenza il: 25/12/2008
Ritorno il: 11/01/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Ascolta i podcast
 
Tra le pagine della guida Lonely Planet si trova un concetto che ha rappresentato la chiave di volta di questo nostro viaggio: l’India ricompensa chi si sa adattare… Fedeli a tale spirito siamo partiti e il timore di incovenienti si è dissolto tra un chai e una chiacchera. I colori del Rajasthan, la frenesia delle città dell’Uttar Pradesh e la calma atavica del Madhya Pradesh hanno impreziosito i ricordi di un’esperienza per noi indescrivibile. Di giorno le gambe camminavano instancabili e di sera la mente spaziava tra considerazioni intime e pensieri densi. Abbiamo scelto consapevolmente l’India, paese ricco di storia e povero di mezzi e ogni giorno la felicità di essere in viaggio si scontrava con la mera osservazione di situazioni di estrema indigenza e degrado, crudi scenari che si amplificano proporzionalmente al crescere del numero degli abitanti delle città visitate. Non abbiamo il dono di esprimere a parole ciò che i nostri occhi hanno visto. Descriviamo comunque i nostri spostamenti in terra indiana, sperando che traspaia un pizzico dell’entusiasmo che avevamo nell’essere lì di persona “quel senso di libertà che prende nell’arrivare in posti dove non si conosce nessuno, di cui si è solo letto nei libri altrui, quell’impareggiabile piacere nel cercare di conoscere in prima persona e di capire” T. Terzani.

Itinerario del viaggio (25 dicembre 2008 – 11 gennaio 2009): Delhi, Jodhpur, Jaisalmer, Jaipur, Agra, Orchha, Khajuraho, Varanasi, Delhi. A nostro parere, le guesthouse dove abbiamo soggiornato sono tutte in una buona posizione, pulite, con il bagno privato e l’acqua calda. La colazione, dal costo irrisorio, generalmente non era inclusa. Abbiamo prenotato da casa tre guesthouse mentre le altre sono state trovate al momento o telefonando il giorno prima per sondare le disponibilità. C’è una vasta offerta di alloggi economici, noi abbiamo scelto stanze da 10 a 20 euro la doppia circa, ma si trovano già a partire da 2 euro! Il nostro insolito Natale, orfano di cappelletti in brodo, lasagne e arrosto, trascorre tra aeroporti e aerei. Arriviamo a Delhi con la compagnia Swiss Air (€ 750 a testa A/R) e velocemente sbrighiamo le formalità doganali, curiosi di vedere la capitale di notte. L’autista della guesthouse Yatri (60 euro la doppia: l’eccezione al nostro budget) attende all’uscita e, posandoci una corona di fiori al collo, ci introduce nell’atmosfera densa e nebbiosa di Delhi. Ci addormentiamo quasi subito e, a causa del fuso orario, non siamo operativi prima di mezzogiorno. Lasciata la stanza prendiamo il comodo e sfacciatamente economico metro, per andare a visitare il Red Fort. Scendiamo a Chandni Chowk e ci muoviamo nel caos di Old Delhi, tra risciò senza freni e bancarelle provvisorie. Appena giunti all’interno del Forte si inaugura un piacevole rito che accompagnerà tutto il viaggio: veniamo avvicinati da più d’una famiglia con la richiesta di essere immortalati nelle loro foto! Ci fa così piacere questo loro interesse nei nostri confronti. Grazie alla chiusura delle scuole, il Forte di Delhi è affollato di indiani che passeggiano, si riposano e fanno pic-nic. La metropolitana ci riporta a Connaught Place dove gironzoliamo fino alle 18. Recuperariamo gli zaini in guesthouse per poi raggiungere la stazione ferroviaria di Old Delhi, da dove prenderemo il treno per Jodhpur. I biglietti per le tratte notturne in treno sono stati acquistati attraverso il sito delle ferrovie www.Irctc.Co.In pagando con carta di credito. Troviamo subito il binario e fuori dalla carrozza di prima classe leggiamo i nostri nomi “occidentali” stampati su un foglio, chiamato “chart”. Si parte alle 20.45 e la notte trascorre bene. Arriviamo a Jodhpur alle 9.30 e ci facciamo accompagnare alla coloratissima guesthouse Durag Niwas dove prendiamo possesso della camera più ampia. A mezzogiorno partiamo alla scoperta del Forte di Meherangarh, affascinati dall’imponenza della struttura e dai racconti dell’audioguida, che ci immergono nel mondo dei Maharaja. Il Sandar Market è la tappa successiva e, ben consigliati, ci fermiamo a bere un gustoso lassi alla banana seduti su precarie seggioline di plastica, immersi in un contesto frenetico, tra risciò frettolosi e mucche inamovibili, gente vociante e mosche a noi affezionate. La doccia serale ci dà la carica per affrontare una sostanziosa cena nel giardino sapientemente illuminato del ristorante On the Rocks. La temperatura è piacevole e noi ci sentiamo a nostro agio, una diffusa sensazione di contentezza ci pervade: è il viaggio giusto al momento giusto. Il mattino successivo su suggerimento del proprietario della guest house ci rechiamo alla stazione “Bombay Motors”, dove ci accomodiamo sulla carretta della speranza che in cinque ore e mezza ci conduce a Jaisalmer (scherzo, non era per niente male il bus! Ed è da apprezzare l’economicità: 4,60 euro i due biglietti). E’ la vista il primo senso solleticato dalla splendida cittadina di Jaisalmer, con i suoi colori caldi. Si può girare quasi sempre a piedi, ed è proprio passeggiando che si raccolgono le impressioni più belle, dentro e fuori il forte, tra templi jainisti, haveli, stradine strette e amabili incontri. Dormiamo alla Jeet Mahal guesthouse, poche camere gestite con esuberanza da due fratelli, con una invidiabile terrazzina con vista. La cucina indiana ci appassiona e ci lanciamo in ordinazioni di piatti di cui non conosciamo gli ingredienti con il frequente risultato di mangiare tanto e bene (la nostra fortuna è grande o – ipotesi più plausibile – il nostro appetito insaziabile). Non abbassiamo mai la guardia sulla piccantezza dei cibi: ogni boccone può essere un’esperienza, diciamo, inaspettatamente focosa! Un luogo indicato per sperimentare si chiama Chandan Shree e scegliendo il thali arriva ogni pochi minuti l’ometto con “pignatta” in mano a riempire il piatto o a distribuire chapati, “piadina” indiana indispensabile per tirare su gli intingoli (costo della cena 3 – 4 euro in due compresi i bis- tris – ecc.). Anche se particolare, un’esperienza che personalmente non rifarei è la cammellata per vedere il tramonto. I punti a favore sono la gustosa cena preparata sulla sabbia con il cammelliere e il cielo stellato. I punti a sfavore sono il cammello (è pasciuto ma mi fa pena e con me non sente un gran feeling), il paesaggio tipo “grave del Piave” finché non si raggiungono delle morbide e tonde dune, il tramonto con all’orizzonte i tralicci dell’enel indiana. Il 30 dicembre salutiamo Jaisalmer per prendere il treno che ci condurrà a Jaipur. Anche qui i nostri nomi compaiono scritti nel foglio di carta appeso su una delle numerose carrozze. Ci dicono che il treno ogni giorno matura un ritardo di circa 2 ore già alla partenza, perciò si parte alle 18 e si arriva a destinazione alle 6 e mezzo del mattino. La seconda classe si rivela un’esperienza che mai dimenticheremo poiché abbiamo fatto conoscenza con una famiglia di Delhi che ci ha “adottato”, lasciandoci in dono qualcosa che vale molto più della semplice conversazione o del cibo offerto, cioè l’emozione di un’accoglienza incondizionata. Il clima di seconda classe è tipo quello delle scampagnate: cibo, musica, carte da scala quaranta (com’è piccolo il mondo!), bambini che si lanciano o cadono dalle cuccette, gente che dorme “rumorosamente”… cosicché nella caciara generale ci si dimentica dell’aspetto vetusto delle carrozze. Nel corso di queste due settimane avremo modo di accorgerci che gli indiani sono gente curiosa e il sincero interessamento a volte è suggellato dal quel particolare modo di dondolare la testa in segno di approvazione, meraviglioso! … In treno pian piano si spengono le luci e si comincia a dormire; nel buio, ad un certo punto, una famiglia si mobilita in massa e così capiamo che siamo vicini alla stazione di Jaipur.

L’ospitalità a Jaipur è ottima: siamo soddisfatti della scelta della guest house Sunder Palace. Apprezziamo la tranquillità dell’alloggio perché Jaipur è dannatamente caotica e i venditori nei pressi del Palazzo dei Venti sono petulanti più di una suocera. Per raggiungere il centro abbiamo bisogno del motorisciò e conosciamo così il simpatico Rafik che ci farà da cicerone e ci terrà a battesimo per quanto riguarda l’approvvigionamento di samosa e kachori, due delizie che si vedono cucinate ad ogni angolo di strada. A lui, infatti, chiediamo consiglio su dove acquistarle, ma in seguito sarà il nostro occhio clinico ad individuare abilmente dove fare gli spuntini. Visitiamo il City Palace, il Jantar Mahal, i cenotafi reali e il Palazzo dei Venti. A Jaipur è l’ultimo giorno dell’anno e non prenotiamo in nessun ristorante, com’era in programma. La stanchezza della giornata si fa sentire, quindi ci concediamo un lauta cena in terrazzo annaffiata dai bottiglioni di birra Kingfisher acquistati da Alberto in una rivendita di alcool. A mezzanotte si sentono i botti, la festa continua in città ma non per noi che andiamo a dormire prima delle galline.

Così a metà mattinata siamo pronti per visitare l’Amber Fort. La giornata è luminosa, calda e la visita del Forte è un appassionante viaggio nel passato, grazie alla scoperta delle stanze, dei saloni e dei meravigliosi appartamenti del Maharaja. Mi è parsa carica di grazia l’idea che appendessero agli archi tessuti umidi e profumati che con il vento caldo inebriavano i momenti di riposo della corte. Incredibile il sistema di discese e salite per far scorrere dei carrelli con sopra le donne agghindate con vestiti troppo pesanti per muoversi autonomamente. A Jaipur facciamo un po’ di acquisti, gradendo particolarmente il negoziante che al posto del chai ci offre piccantissimi samosa, avendo saputo quanto ne siamo ghiotti. Nel pomeriggio rimaniamo bloccati all’uscita da una stradina con il nostro motorisciò. Un’auto parcheggiata male impedisce il passaggio. Entra in gioco l’operosità del popolo indiano: si assiste ad una rapida consultazione tra Rafik e i presenti e poi tutti s’industriano ad alzare di peso l’auto, spostandola di quel poco che ci serve per transitare! Per cominciare bene l’anno, di rientro dall’intensa giornata, ci concediamo un delizioso massaggio ayurvedico. L’indomani, quando ancora fuori è buio, ci rechiamo in stazione del RSTC con i biglietti del bus Silverline per Agra (6,5 euro in due), procurati dal ragazzo della guest house. In cinque ore e mezza giungiamo a destinazione e il bus ci scarica in una strada trafficata. Brr… Agra è avvolta da una nebbiolina umida e deprimente. Andiamo all’ingresso est del Taj Mahal dove scegliamo una stanza all’Hotel Sheela. Pranziamo e poi subito a visitare il Forte, gremito di gente in visita. Ad Agra, la fauna si arricchisce ed oltre alle solite mucche, capre, maiali e scoiattoli vediamo frequentemente scimmie e pappagallini verdi. Consiglio di fare come il prode Alberto e avvicinare una scimmietta sorridendo amabilmente… I ratti, invece, sono una rarità: ne avvistiamo solo due in tutto il viaggio. Ci rimaniamo quasi male: in una passeggiata a Venezia ne vedo di più! Grazie al comodo motorisciò, ci rechiamo in visita al Itimad-Ud-Daulah, stupendo mausoleo illuminato dai caldi raggi del sole pomeridiano che è riuscito a farsi largo nella nebbiolina, … e lì vicino, percorrendo una stradina tra casupole, galline e bimbi si ha una bella veduta del Taj Mahal, dal lato del fiume Yamuna. Alla sera commettiamo un errore strategico: acquistiamo i biglietti del treno per raggiungere Jhansi l’indomani (4,30 euro 2 biglietti). Poco dopo andiamo a cena in un ristorante chiamato Only: fuori sono parcheggiate belle auto bianche e noi arriviamo col solito mezzo scassato. Il conto è salato (rispetto alla spesa media di 3 – 4 euro) ma la pancia è piena! La notte ad Agra fa un freddo becco. Il mattino, alle sette meno un quarto siamo di fronte all’ingresso del tanto sognato Taj Mahal e da quanta nebbia c’è non vediamo neppure dove camminiamo! Ci aggiriamo infreddoliti come fantasmi in questa atmosfera lattiginosa. Siamo bardati come la befana, con la sciarpa a mo’ di berretto poiché l’umidità è feroce. Col senno di poi, potevamo ritardare la visita alle due di pomeriggio, rimandando il viaggio in treno al giorno dopo. Siccome siamo zucconi, alle 10 andiamo in stazione, pronti ad affrontare le 5 ore di ritardo del treno, causa nebbia, ovviamente. Due piccioni indiani rincarano la dose e decidono di fare la cacca sia su di me che su Alberto… l’abbiamo presa per una benedizione, dicono che porta bene! Giungiamo a Jhansi che ormai è buio. Una lobby di tassisti non ci permette di trattare al ribasso come al solito e accettiamo un passaggio in auto a costo maggiorato per ungere gli ingranaggi dei loro reciproci contatti. Arriviamo al Bundelkhand Riverside a Orchha, un hotel ricavato in una residenza di caccia dei raja, stanza calda e ristorante con cameriere personale che vedendoci deperiti (?) ci riempie di cibo fino a scoppiare. Cena ottima. L’indomani, esaurita l’esperienza in hotel, andiamo in cerca di una guest house più idonea al nostro range di spesa. Ecco che Orchha ci appare come quel piccolo e meraviglioso paesino agreste che ci darà tanta soddisfazione poiché ci piace camminare e qui, proprio andando a spasso, si scoprono piccoli scorci di fiume, natura arruffata, rovine decadenti e un bel mix di culture, tra turisti e fedeli induisti in visita ai templi. Alloggiamo nel tranquillo e informale Shri Mahant, a pochi passi dal centro del paesino. A mio parere, il forte “Jehangir Mahal” è spet-ta-co-la-re ed è in completo abbandono. Nel retro non c’è anima viva e sembra di essere visitatori di un mondo perduto.

A piedi si raggiungono anche i cenotafi dimenticati, vicini agli hotel più belli. A Orchha si cena in piccoli localini che a Treviso verrebbero definiti “onti”, tra cui ricordo il Ram Raja per l’invitante thali. La corrente manca per tutta la domenica e lunedì la giornata comincia con calma, con la corrente che va e che viene. Per raggiungere Khajuraho ci concediamo un piccolo lusso grazie alle economie realizzate in Rajasthan: l’affitto di un’auto con driver (20 euro in due). In quattro ore siamo a destinazione compresa la sosta a metà viaggio per uno spuntino. Procedendo verso sud, i campi coltivati sono di un verde brillante, alternati ad appezzamenti con fiori gialli (colza?). Giunti a Khajuraho, l’autista non ci porta alla guesthouse che abbiamo scelto, consigliandoci di dormire allo Zen. Andiamo a vedere e accettiamo la proposta del titolare, che ci lascerà un ricordo simpatico nonostante le nostre personali perplessità, come il cibo caro, le stanze finestrate, il letto tipo tavola di legno, i muri sottili, il servizio lavanderia esoso, le tasse extra. Il proprietario detto “il Barba”, infatti, ci offre chai, dolci alla carota, patate cotte sotto la cenere, una cena vegetariana, rum indiano, di cui evidentemente è ghiotto visto i perigliosi barcollamenti. Khajuraho è un paesino piccolo e questo ci consente di fare una camminata anche quando cala il buio, ignorando i venditori assillanti (tra di noi proviamo a parlare in dialetto “trevisan” e ci chiedono più di una volta se siamo polacchi… polacchi?!?). L’indomani con una lentezza da vacanzieri caraibici, facciamo una colazione abbondantissima e ci rechiamo a piedi al gruppo dei templi occidentali. Al contrario di Orchha, il sito è ben tenuto, con gli incantevoli templi circondati da prati e alberi oggetto di una puntuale manutenzione. La visita dura due ore buone; poi prendiamo le bici della guesthouse e cominciamo a pedalare verso l’uscita del paese. Non abbiamo cartine ma andiamo a tentativi, facendo deviazioni tipo “va dove ti porta il cuore”. Troviamo anche il gruppo di templi gianisti, evviva! Li visitiamo e poi filiamo a cavalcioni delle nostre bici: l’ambiente quieto e l’osservazione della vita fuori dal paese ci piacciono troppo! Guardiamo i bimbi a scuola, seduti in cortile attorno alla maestra e altri bambini ci rincorrono vocianti. Il lungo tour in bici termina in riva al laghetto vicino ai templi a sgranocchiare pistacchi ritrovati sul fondo dello zainetto. Alla sette di sera, proviamo l’esperienza che ci mancava: saliamo in tre in moto e andiamo a vedere uno spettacolo di danze presso il teatro Kandariya (10 euro i due biglietti). Nonostante le voci di cancellazioni dei voli aerei causa nebbia, l’indomani partiamo con due orette di ritardo alla volta di Varanasi. Sono così emozionata… L’arrivo nella città sacra si annuncia in due modi: il traffico congestionato e i mille piccoli aquiloni che si rincorrono nel cielo sbiadito. Scesi dal taxi, raggiungiamo a piedi la Rashmi guesthouse che si trova in una zona a traffico limitato, chiedendoci quanta miseria si può concentrare in pochi passi, dentro quei cubicoli in cui si riconosce un pentolino e una coperta, le uniche cose che accompagnano gli emaciati inquilini. La guesthouse, già pagata dall’Italia, ha una bella lobby, camere semplici e un buon ristorante in terrazzo con vista sul Gange. Ma la cosa che ci riempie di gioia è la sua posizione pazzesca. A pochi metri dal Dasaswamedh Ghat, pittoresco, vivace e sede della suggestiva cerimonia serale chiamata ganga aarti (dalle 18 alle 19). Siamo comodi per partire in spedizione attraverso le stradine che si annidano tortuose alle spalle dei ghat. Al mattino l’umidità di Varanasi inizialmente ci spiazza e scivoliamo infastiditi nel fango. Ci pare veramente impossibile passare più di un paio d’ore qui … poi, probabilmente scatta lo spirito di adattamento: cominciamo a sguazzare nella fanghiglia e ci perdiamo per ore tra discese ai ghat e risalite nelle stradine. Alberto, innamorato di Varanasi decreta l’annullamento definitivo del mio programmino, cioè la visita a Sarnath. Non protesto, incantata a guardare i bambini che giocano a cricket. Nel corso del viaggio abbiamo eliminato anche le tappe di Gwalior e Fatehpur Sikri, in questi casi per esigenze logistiche.

Il giorno successivo, mentre Alberto compra barattoli su barattoli di semini colorati che si mettono in bocca a fine pasto (con un bell’effetto “refresh!”) io porto a casa quintali di braccialetti, collane, foulard, sciarpe, vestiti in cotone, scatole in legno laccato colorato che i locali usano per le polverine (e io riadatterò alla mia cucina), e così passa la mattina … Battiato dice “ed è in certi sguardi che si vede l’infinito”: è vero, non possiamo dimenticare i profondi occhi neri e il sorriso aperto del ragazzo che ci ha portati in barca lungo il Gange. Un’ora e mezza tra il Manikarnika Ghat e l’Harishchandra Ghat, lì dove la curiosità era schiacciata dal nostro imbarazzo nel vedere la morte, il giovane anfitrione di Varanasi ci spiegava la quotidianità di quelle movenze, il percorso di accompagnamento del corpo verso la pira funebre. Una barca ci passa a fianco con un fagotto di candidi teli, coperto di fiori: è un corpo che viene fatto scivolare giù nel Gange. Probabilmente è un “uomo santo”, che aveva abbandonato la sua vita e la famiglia per dedicarsi alle preghiere. Il ritorno a Delhi avviene con un treno che è lussuoso rispetto ai precedenti con un’ampia cabina doppia, pulita, con cestino rifiuti, poco rumorosa e, volendo, servizio cena a pagamento. Si parte alle 19.30 e si arriva alle 11 del mattino! L’ultima giornata nella capitale la passiamo nella guest house K11, di proprietà di Sanjay (quello della Yatri), posizionata in una zona residenziale tra Jangpura e Defence Colony. Con un motorisciò cerchiamo un cambiavalute per gli ultimi spiccioli e così vediamo l’India Gate, i vialoni, gli alberghi monumentali, il Secretariat … questa parte di Delhi è proprio agli antipodi rispetto al marasma di Old Delhi. Decidiamo di andare a visitare il Gandhi Smriti, il luogo dove il padre della non-violenza trascorse gli ultimi giorni della sua vita prima di essere assassinato. Davanti ai suoi occhialetti tondi e al suo bastone mi sono commossa. Al ritorno abbiamo l’ottima intuizione di cenare in guesthouse e il ragazzo ci prepara una cena indimenticabile. E così arriva l’ora dell’arrivederci a questa terra. Ora che siamo tornati, le emozioni del viaggio si sono tramutate in ricordi che scorrono dolci nelle nostre vene come le candele seguono quiete il corso del Gange.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche