Repubblica Dominicana, un paese da scoprire

Non fermatevi sulla spiaggia: questa è una terra da scoprire!
Scritto da: balzax
repubblica dominicana, un paese da scoprire
Partenza il: 05/10/2013
Ritorno il: 13/10/2013
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €

Diario di viaggio in due tappe

Questo diario è una sintesi di due diversi viaggi nella Repubblica Dominicana, uno in febbraio 2012 e uno in ottobre 2013. In entrambi i viaggi l’idea è stata quella di conoscere il paese attraverso le persone, le loro abitudini e le loro tradizioni. Per questo il diario non si sofferma solo sulla capitale Santo Domingo e sui luoghi di vacanza più tipici e noti, di cui si parla nelle prime pagine. La maggior parte del racconto è dedicata alla descrizione delle province meno conosciute, che sono ricchissime di luoghi e spunti interessanti, anche se magari vengono sottovalutate o trascurate nei programmi turistici standard.

Gli itinerari attraverso il paese si possono organizzare fai-da-te senza problemi. In qualche caso è meglio appoggiarsi a agenzie locali (es. percorso a cavallo al Salto del Limòn, visite in barca di parchi e lagune, whale-watching). Ci sono alloggi dovunque e per tutte le tasche. Gli alberghi sono puliti e le camere confortevoli, con una spesa che non dovrebbe superare i 1500-2000 pesos (30-40 €) per una notte in doppia.

Una vacanza-tipo nella Repubblica Dominicana

La vacanza-tipo nella Repubblica Dominicana consiste nel soggiorno in uno dei bellissimi resort della costa sudovest del paese. Praticamente tutto il tratto di costa che va da Santo Domingo a La Romana (e poi più su nella zona di Punta Cana, Samanà e Puerto Plata) è un susseguirsi di stupendi villaggi turistici costruiti lungo spiagge di sabbia fine e dorata. In questi resort l’ospite è accudito, riverito e coccolato da personale cordiale e disponibile, dall’alba al tramonto. Gli appartamenti sono immersi in giardini rigurgitanti di palme e cocotier, rallegrati da vivaci bougainvilles rosse e viola e dalle campanelle di stramonio dai colori più delicati. La caratteristica del soggiorno è il trattamento all-inclusive, che comprende pranzi e cene a buffet libero con dovizia di tutto, accesso alla spiaggia con lettino e ombrellone, uso delle piscine (ce ne sono almeno 3 in ogni resort), sauna e idromassaggio, free internet, tutto in un’atmosfera idilliaca sdraiati sulla spiaggia all’ombra delle palme, o sorseggiando un delizioso cocktail ghiacciato di frutta sul bordo della piscina.

Qualche fastidio può venire solo dal continuo viavai di venditori di mercanzia di ogni tipo che ti tampinano appena lasci l’area del villaggio e ti piazzi sulla sdraio in spiaggia. I venditori sono abitanti dei villaggi della zona consorziati tra loro. Non riuscirete a levarveli di torno senza prima cedere a qualche acquisto, ma se comprate qualcosa dopo si passano la voce e si fanno meno insistenti.

Il costo del soggiorno in uno di questi villaggi va da 70 a 100 € al giorno, quindi non si spende neanche tanto. Alcuni sono dei veri e propri paradisi. Io sono stato al Barcelò Capella Beach Resort di Juan Doliò, dopo Boca Chica, (si vede nelle foto), ma ce ne sono tanti altri. Una settimana in uno di questi villaggi è indubbiamente un’ottima opzione per chi desidera farsi un periodo di relax assoluto al sole del Caribe. Solo che rimanendo lì nel villaggio ci si perde il resto del paese, che invece merita assolutamente di essere visitato.

Santo Domingo – la capitale

Santo Domingo de Guzman è la capitale del paese, con cui spesso si identifica l’intero stato. Capita spesso di dire o sentir dire “Vado a fare una vacanza a Santo Domingo” intendendo “nella Repubblica Dominicana”.

La capitale è una megalopoli convulsa di quasi 3 milioni di abitanti, cioè il 30% circa del totale dei dominicani. Il traffico è caotico a qualunque ora, con frequenti ingorghi che qui chiamano “tapones”, parola che rende bene l’idea. Due linee della metropolitana con 30 stazioni in totale, una che corre in direzione nord-sud (in funzione dal 2009) e l’altra in direzione est-ovest (inaugurata in giugno 2013), hanno consentito di fluidificare un po’ la circolazione, ma il prezzo del biglietto resta alto per i dominicani (25 pesos, cioè poco meno di 0.50 €) e quindi i treni non viaggiano sempre completi. Il risultato è che il trasporto pubblico urbano è ancora affidato in gran parte agli innumerevoli sgangheratissimi carro-conchos (taxi per lo più abusivi) e moto-conchos (moto-taxi).

Dal punto di vista turistico, la parte più interessante di Santo Domingo è la zona colonial, che si estende per 5 kmq sulla sponda occidentale del rio Ozama che attraversa la città. Oltre alla zona coloniale, che davvero non si può perdere, suggerisco due idee un po’ fuori dai circuiti soliti: il Mercado Modelo e la Ancienne Sucrérie di Boca de Nigua.

La zona colonial

La Zona Colonial corrisponde al centro storico di Santo Domingo. Questa area è un’emozione da girare a piedi. Qui si trovano gli edifici storici, i monumenti, la chiesa principale, i musei più interessanti, le boutique e i negozi eleganti. I monumenti sono concentrati tra calle de Las Damas, calle Isabela La Catolica e calle Padre Billini. Per lo shopping invece è meglio dirigersi verso Calle del Conde, che è un po’ la via Montenapoleone locale.

Le cose da vedere sono davvero tante. Tutte le guide turistiche ne parlano diffusamente, per cui descrivo solo quelle che secondo me meritano di più:

  • la cinquecentesca Fortaleza de Ozama, a cui si accede attraverso un colossale portale di pietra da Calle de Las Damas, è il monumento più imponente della città storica. Le mura si affacciano a strapiombo sul Rio Ozama, nel punto dove esso confluisce nel Mar dei Caraibi, dove non è raro vedere attraccati al molo vascelli e navi da crociera. Tra le merlature della fortezza sono collocate file di antichi cannoni, sui quali sarà dura impedire ai vostri bambini di salire a cavalcioni (ma occhio agli inservienti!). Dalla torre della fortezza hanno sventolato le bandiere degli occupanti che si sono susseguiti nel corso della storia dominicana: Spagna, Francia, Inghilterra, Haiti, Stati Uniti e oggi la bandiera dominicana.
  • l’Alcazar de Colòn, bellissimo palazzo medioevale che in passato ha subito l’onta di essere usato come magazzino, prigione e persino come discarica abusiva. Oggi ospita un museo che espone soprammobili, chincaglieria e oggetti domestici che sarebbero appartenuti alla famiglia Colombo.
  • il Pantheon Nacional. Edificio severo in stile neoclassico, realizzato con enormi blocchi di pietra calcarea. Ospita le spoglie delle personalità dominicane più illustri (inclusi parecchi oppositori fatti uccidere dal dittatore Trujillo), che riposano in sepolcri di marmo. Poco visitato, cercate di andarci verso sera quando c’è la cerimonia dell’ammainabandiera.
  • il museo Mundo de Ambar. Tra i tanti musei della zona coloniale vale la pena di visitare questo museo (ingresso gratuito), dove si trova una collezione impressionante di campioni di ambra provenienti da tutto il mondo. Chiare spiegazioni in inglese e in spagnolo descrivono la formazione dell’ambra, le sue origini, l’estrazione e l’utilizzo nel corso dei secoli, il suo valore attuale nella scienza e nell’arte. La parte più interessante è quella dei gioielli e reperti in ambra contenenti curiose concrezioni di insetti e fossili. Senz’altro vi verranno in mente le zanzare intrappolate nell’ambra del film Jurassic Park: le zanzare, secondo una audace ipotesi pseudoscientifica, avendo succhiato il sangue dei dinosauri velociraptor ne avrebbero consentito la decifrazione del DNA a distanza di decine di migliaia d’anni. Al primo piano del museo c’è un negozio che vende stupendi (e cari) gioielli in ambra, larimar (una pietra dura turchese) e altre pietre lavorate.
  • Calle de Las Damas. E’ la strada più antica di Santo Domingo, costruita a partire dal 1502. The street runs from the Fortaleza Ozama to the Alcazar de Colon. La strada, che attraversa il cuore del centro storico andando dalla Fortaleza Ozama all’Alcazar de Colon, deve Its first name was the Calle de la Forteleza, or Street of the Fort.il suo nome alle dame della corte che qui erano solite transitare per recarsi alla messa oppure semplicemente passeggiavano su e giù nel loro tempo libero. It was for this reason that the street then became known as “Calle de las Damas.” In particolare le memorie storiche si dilungano (non si sa bene perché) sulle numerose uscite della passeggiatrice Maria de Toledo, vice regina della colonia, nipote del re di Spagna e sposa di Diego Colombo, il figlio dell’illustre navigatore.
  • gli atelier dei pittori naïf. Nella zona coloniale (ma anche in altri quartieri della capitale) ci sono molti laboratori di pittori naïf, dominicani e più spesso haitiani. La pittura è una componente dello stile di vita dei dominicani. Tutte le case, dalle residenze borghesi alle capanne più modeste, sono decorate con quadri dai colori vivaci, con raffigurazioni che spesso traggono ispirazione dalla cultura degli indios tainos.

Nelle gallerie della capitale si trovano tele di ottima qualità. L’unico problema è il prezzo, che qui è molto più alto di quello che si può negoziare con i pittori di spiaggia, o anche nel vicino Mercado Modelo. Non è raro sentirsi sparare richieste di 7-800 Euro per un dipinto firmato. Anche contrattando si riesce a scendere di poco. Chiaro che qui la qualità è alta, ma se andate alla ricerca solo di un souvenir da esporre alle pareti di casa, è meglio cercare altrove il vostro quadro naïf. Nei mercati, sulle spiagge e nelle gallerie di provincia (famosa quella di Las Terrenas nella penisola di Samanà), dovreste riuscire a fare un buon acquisto spendendo non più di 100-150 Euro.

il mercado modelo

La capitale Santo Domingo, è anche un luogo per fare shopping. Il luogo più adatto è il “Mercado Modelo”, inaugurato nel 1942 dal dittatore Trujillo, nel viale Mella a nord della zona coloniale. Nel cuore di un quartiere cosmopolita, questo mercato coperto offre una concentrazione impressionante di ogni tipo di artigianato dominicano: quadri caraibici (dominicani e haitiani), piccoli oggetti creoli, rhum e sigari, gioielli d’ambra o di larimar (attenzione alle imitazioni) riempiono le bancarelle. I negozietti, incollati gli uni agli altri in stretti passaggi, offrono una vasta scelta di oggetti di fabbricazione locale. Si può contrattare, ma difficilmente si riuscirà a ottenere uno sconto superiore a un terzo del prezzo esposto. Si trovano inoltre CD di merengue e bachata. Li vendono anche per strada in versione taroccata, ma è consigliabile comprare qui al mercato gli originali, che sono venduti quasi allo stesso prezzo delle copie pirata di qualità inferiore. Al piano terra si trovano bancarelle di frutta, carne e pesce.

Purtroppo il mercato pullula di “acchiappa-turisti” che si propongono come accompagnatori turistici esibendo dubbie attestazioni di pseudo-istituti ministeriali. Con una buona guida (Lonely Planet o equivalente, magari l’ottima introvabile guida Moizzi) il centro storico di Santo Domingo potete girarlo anche da soli. Meglio quindi attraversare il mercato rapidamente e uscire dall’altro lato, dove c’è il mercato popolare di strada per immergersi nella realtà della vita dominicana con le sue numerose bancarelle ricche di frutti tropicali: un festival di colori e di odori.

Al Mercado Modelo e anche per le strade troverete veditori che offrono la mamajuana, un liquore tipicamente dominicano fatto con rhum, vino rosso, miele, erbe aromatiche e radici messe a macerare in bottiglia. Il colore è rossastro e il gusto fortemente alcoolico, dolciastro e con un notevole retrogusto di erbe aromatiche. Nella tradizione locale il preparato è considerato una sorta di medicinale afrodisiaco, ottimo per stimolare il desiderio sessuale delle donne e le performance sessuali dell’uomo (Viagra Dominicano) ma anche a curare i piccoli malanni della vita quotidiana (una sorta di panacea buona per ogni indisposizione).

Oltre che nella capitale Santo Domingo, un altro Mercado Modelo ben fornito si trova a Santiago, la capitale del Cibao, in calle del Sol.

La Antigua Azucareria (Ancienne Sucrérie) di Nigua

A una quindicina di km da Santo Domingo, prendendo una deviazione all’altezza di San Cristobal lungo la strada verso Barahona, si trovano le rovine dell’antico zuccherificio di Boca de Nigua, un complesso ingiustamente trascurato dagli operatori turistici che invece vale la pena di visitare.

Lo zuccherificio conobbe il suo apogeo nel XVIII secolo, quando apparteneva al marchese De Aranda, un nobile spagnolo. Successivamente fu gestito dal negriero Juan Bautista Ollarazaba, che fece arrivare forze fresche dal Venezuela, dove il commercio degli schiavi era ancora lecito, per lavorare nello stabilimento. Gli schiavi però si ribellarono di nuovo nel 1884, incendiarono l’insediamento e le piantagioni di canna da zucchero, dopodiché lo zuccherificio fu abbandonato.

Le mura di mattoni dell’impianto raccontano, attraverso una serie di splendidi affreschi come quelli che si vedono in una delle foto, alcuni episodi delle rivolte degli schiavi negri.

Questo sito viene incluso nel Patrimonio Mondiale dei siti che hanno “valore universale eccezionale” per il mondo.

Muoversi nella Repubblica Dominicana

È venuto il momento di lasciare una capitale e muoversi all’interno del paese. Il modo migliore per farlo è noleggiare una macchina, cosa che si può fare in uno qualunque degli aeroporti principali, oppure presso le agenzie di noleggio di Santo Domingo, Santiago e altre città. Il costo di un’auto media non dovrebbe scostarsi dai 40-50 € al giorno, con sconti per noleggi di una settimana. All’aeroporto di Santiago con Drive Rent a Car ho pagato 1750 pesos al giorno (35 €) per una Honda rossa a forma di cubo per niente aerodinamica ma molto spaziosa e facile da guidare.

Però per guidare nella Repubblica Dominicana bisogna armarsi di santa pazienza e avere molta elasticità di giudizio. Dimenticate subito concetti come precedenza, stop, semaforo rosso, striscia continua. Introducete nelle vostre logiche altri principi, come “il primo che arriva passa”, “i camion sono più grossi della mia auto”, “se c’è un gallina in mezzo alla strada, si sposterà prima che io la investa”, e via discorrendo. Dopo un po’ ci si fa l’abitudine.

Le strade sono generalmente in buono stato, manutenzionate e spesso asfaltate di recente (con qualche eccezione come la Carretera Turistica verso Puerto Plata). Il traffico fuori dalle città non è mai intenso, ma è caotico e sregolato nei centri urbani. Guidare nelle città dominicane è assolutamente sconsigliabile, oltre che propedeutico alle crisi di nervi. Nelle città, e in tutti i posti dove c’è molto traffico, è meglio parcheggiare l’auto e affidarsi ai terribili ma efficienti “moto-conchos”, cioè i mototaxi che per 25-30 pesos vi portano dovunque, se volete persino in tre o quattro (o anche di più per le abitudini del dominicano medio) tutti sulla stessa moto. Fate però molta attenzione al tubo di scappamento, che raggiunge presto i 6-700 °C: se non state attenti rischiate ustioni di terzo grado alle gambe.

Santiago e il Cibao

Capitale della regione del Cibao, 800 mila abitanti, Santiago de Los Caballeros è la seconda città dominicana per importanza. Situata 150 km a nord-ovest di santo Domingo, è collegata alla capitale con la buona autostrada A1 a 4 corsie, detta “Autopista Juan Pablo Duarte”. Il concetto di autostrada va tarato secondo i canoni dominicani: lungo i 150 km ci sono una dozzina di semafori e nei tratti vicino ai centri abitati è normale incontrare carretti trainati da animali, uomini a cavallo, bambini che attraversano la strada. Lungo gli svincoli e la carreggiata c’è una miriade di negozi che vendono di tutto: artigianato in legno, cibarie varie, tappeti, mobili, animali da cortile e da stalla, vasi e ceramiche. Ciò fa sì che per fare i suddetti 150 km ci vogliono almeno 2 ore – 2 ore e mezza.

Città ordinata e operosa, Santiago è molto meno dotata di vestigia storiche e monumenti rispetto alla capitale, ma in compenso è centro agricolo, industriale e universitario di primaria importanza. Si trova proprio al centro della regione “tabaquera”: la città è completamente circondata da estese piantagioni di tabacco. Per inciso, i sigari dominicani sono ottimi e i migliori per qualità e consistenza non hanno nulla da invidiare a quelli cubani. Se avete tempo, visitate una delle numerose tabacaleras (fabbriche di sigari) della città. Ad esempio, la Tabacalera Real o La Aurora, nel cuore di Santiago.

Oltre le coltivazioni di tabacco, nelle zone attorno al Rio Mapocho e al Rio Yasica ci sono allevamenti suini e bovini, e nelle zone più ricche di acqua si coltiva estensivamente il riso.

A Santiago si respira un’aria di provincia che ricorda un po’ la vita quotidiana degli anni ’60 e ’70 da noi. Per le strade passano venditori di frutta e verdura con carriole e carretti, urlando i prezzi per attirare fuori le donne di casa. Rigattieri e arrotini richiamano i clienti con il vecchio classico megafono sul tetto della camionetta, quello che adesso si usa solo durante le manifestazioni studentesche, o forse nemmeno più in quelle. Benché ci siano i supermercati come da noi (Carrefour e Ikea, per esempio), le donne fanno ancora la spesa nei “colmados”, negozietti aperti anche di notte dove a dispetto dello spazio ridottissimo si vende e si trova di tutto: pane e frutta, sapone e detersivi, acqua e birra, fino al nastro adesivo e ai chiodi per una riparazione urgente in casa. I bambini giocano a baseball per la strada: è curioso vedere come le auto in arrivo si fermano quando i giocatori stanno correndo cercando di guadagnare la base perché c’è stata una battuta valida. Finita la corsa, i ragazzi si fanno da parte e le auto ripartono tranquillamente. Evidentemente, essendo il baseball lo sport nazionale, i conducenti sanno bene quando ci sono le fasi più importanti del gioco e le rispettano.

Ma non bisogna dimenticare che la Repubblica Dominicana è un paese povero. Come in molte città del Centroamerica, anche qui molte famiglie vivono in baraccopoli di latta e cartone, generalmente poste lungo i corsi d’acqua perché l’acqua corrente in casa non ce l’hanno. Quando piove molto e i fiumi si ingrossano le case vengono allagate e invase dal fango, cosa che viene vissuta e accettata come un evento normale e ineluttabile. In una foto si vedono le conseguenze dello straripamento del Rio Mapocho a seguito delle piogge di autunno.

Santiago è anche città universitaria: le facoltà di medicina e ingegneria sono le più importanti del paese. Ospitano un consistente numero di studenti provenienti dalla vicina Haiti: circa 1/3 dei laureati sono haitiani.

Per finire, in un palazzetto dello sport da 8000 posti che non ha niente da invidiare al Forum di Assago giocano i Metros (pallacanestro) e le ragazze della pallavolo. Oppure, recatevi all’Estadio del Cibao a vedere le partite di baseball (“beisbol”) delle “Aguilas Cibaeñas”, la squadra locale che partecipa al campionato dominicano.

Santiago si trova in posizione centrale: un ottimo punto di partenza per diversi interessanti percorsi nel centro-nord del paese:

  • A nord verso Puerto Plata

  • poi da Puerto Plata verso Ovest (Montecristi e Haiti) oppure verso Est (Cabarete e Rio San Juan)
  • a est verso la penisola di Samanà
  • a sud verso La Vega
  • a sud-ovest verso Jarabacoa e Constanza

La Vega e gli allegri diavoli dei carnevali dominicani

Nel mese di febbraio la Repubblica Dominicana mostra la sua faccia più allegra e pittoresca con le celebrazioni del carnevale. Il carnevale dominicano si caratterizza per la presenza nelle sfilate di personaggi caratteristici, che accompagnandosi con musiche e danze fanno ricordare ai presenti l’origine e la storia del popolo dominicano. La mescolanza degli elementi carnevaleschi nasce dalle tradizioni africane portate qui dagli schiavi del Senegambia, che si combinano con i costumi e gli abiti europei dei padroni e colonizzatori francesi e ispanici. I principali personaggi che caratterizzano il carnevale dominicano sono i diablos cojuelos (diavoli zoppi), il robalagallina (figura femminile interpretata da un uomo dotata di tettone e culone enormi), i platanuses (personaggi tipici del carnevale di Cotuì), i lechones (letteralmente “suinetti”), Nicolas Den Den (un orso che procede ballando e facendo ridere i bambini), los travestis (i travestiti, personaggi comunissimi in tutti i carnevali).

Chi fa una vacanza nella repubblica Dominicana in febbraio non può mancare di assistere a una sfilata del carnevale più vicino al luogo di villeggiatura dove si trova. Il carnevale più famoso è quello di La Vega, cittadina a 30 km da Santiago, ma spettacolari sono anche i carnevali che si svolgono nella stessa Santiago, a Montecristi (confine con Haiti), a Cotuì (80 km a nordest di Santo Domingo), a San Juan de la Maguana nel sudovest. Negli ultimi tempi vengono organizzate sfilate di carnevale anche nella capitale Santo Domingo, a La Romana, Samanà e Punta Cana, località meno dotate di tradizione carnevalesca genuina ma sicuramente più turistiche. Di seguito una breve descrizione di tre carnevali che si svolgono in località di provincia, ma che sono i più caldi e ruspanti del paese.

Carnevale di La Vega: la sfilata del Carnaval de La Vega è uno spettacolo eccezionale. Ogni domenica di febbraio, nelle prime ore del pomeriggio, i famosi Diablos Cojuelos di La Vega escono per le strade della città armati di vesciche di toro gonfiate, con cui colpiscono gli spettatori che per fare fotografie o solamente per vederli da vicino si azzardano a scendere in strada mescolandosi alla sfilata. I colpi sono più che altro simbolici: i diablos colpiscono solo i glutei e le gambe degli spettatori più incauti o dei fotografi più coraggiosi. Avendone presi un paio sul sedere, posso testimoniare che non fanno male. Il centro dell’attività è nella calle Padre Adolfo, da qui il corteo prosegue verso il Parque de las Flores dove i figuranti si radunano alla fine della sfilata.

I costumi dei diablos di La Vega sono estremamente curati. Vorrebbero rappresentare un diavolo medioevale, antropomorfo e mefistofelico, con orecchie grandi, bocca aperta e lunghi denti aguzzi esposti all’aria.

Carnevale di Montecristi: Montecristi, nel nordovest del paese al confine con Haiti, ha una grande tradizione carnevalesca. La sfilata consiste in un vero e proprio duello tra i “toros” che hanno una maschera di suino e sono vestiti con costumi colorati, e i “civiles” che invece devono indossare pantaloni corti o jeans e vestiti normali. Le due parti si sfidano a colpi di frusta. Gli spettatori devono stare molto attenti se decidono di avvicinarsi alla scena, perché qui le fruste sono vere fruste da mandriano. Il rischio di una prendersi dai contendenti una frustata involontaria è alto. Per questa ragione il Carnaval de Montecristi viene considerato il più violento tra quelli dominicani.

Carnevale di Cotuì: piccola cittadina della provincia di Sanchez Ramirez, circa a metà strada tra Santo Domingo e Santiago dove c’è una miniera d’oro ormai quasi esaurita, Cotuì ospita un carnevale di antica tradizione popolare. Le maschere si coprono di rivestimenti vegetali e animali: foglie di banano secche, zucche svuotate tipo halloween e alveari di termiti e vespe. Oppure le figure si tingono la faccia di colori vivacissimi. Qui rischi per gli spettatori non ce ne sono.

La “Carretera turistica” verso Puerto Plata

Santiago de Los Caballeros e Puerto Plata distano una sessantina di kilometri. La strada più veloce per andare a Puerto Plata è la RN 5, che nel primo tratto, fino a Bisonò, è a 4 corsie, essendo un prolungamento dell’autopista A1. Comunque anche dopo la strada rimane larga e scorrevole. Tuttavia, il viaggiatore in auto dovrebbe assolutamente privilegiare per questo tratto un’altra strada, la “carretera turistica”, o RN 25. Perché turistica? Semplice, perché nessun dominicano la percorrerebbe mai, se non per necessità. Quindi, la fanno solo i turisti. La strada è stretta, tortuosa e piena di buche, ma in compenso attraversa i rilievi e le vallate della Cordillera Septentrional, offrendo splendidi paesaggi di verdi colline ammantate di palme e banani e macchiata qua e là da rosse bougainvilles e flamboyant in fiore.

Si attraversano piccoli villaggi dove la gente vi sorride e saluta. Lungo il percorso si trovano chioschi e venditori di strada che offrono frutta dei loro terreni. Eccellenti le banane rosse come quelle offerte dalla bambina che si vede in una foto. Oppure, compratevi un pezzo di canna da zucchero da succhiare durante il viaggio. Sulla strada ci sono anche due “viveros” (giardini di florovivaisti), uno quasi subito dopo avere lasciato Santiago, l’altro proprio in mezzo alle montagne. I fioristi espongono sulla strada fiori tropicali stupendi: strelitzie grandi il triplo di quelle che vediamo qui, carnosi “torch flowers” rossi e rosa e i bellissimi fiori del ginger, lo zenzero, che possono essere di ogni tonalità di rosso, ma anche (più rari) azzurri e blu

Arrivati a Puerto Plata, se come penso siete partiti al mattino, avrete un certo languorino: consiglio vivamente il Ristorante Maimòn, all’uscita ovest della città in direzione di Luperòn. Qui il pesce ve lo scegliete da soli: l’offerta comprende sempre meros (cernie) e loros (gli ottimi pesci pappagallo), ma non è raro trovare anche i lenguados (sogliole), il lambì (lo strombo, mollusco tipico del mare dei Caraibi), oltre a pulpo, calamares e camarones che non c’è bisogno di tradurre. Scegliete voi il modo come volete che vi cucinino il pesce (asado, a la plancha, frito) e pagate a peso. Se non vi abbuffate, dovreste spendere attorno ai 10-12 € a testa, birra compresa.

A Puerto Plata potete fare un giro sulla funivia che offre una bella vista della città. Se avete tempo andate a visitare la distilleria del Brugal, il ron (rhum) dominicano più famoso, che si trova uscendo dalla città in direzione Est. Dentro non vi permettono di fotografare (ma forse allungando un paio di biglietti da 100 pesos si ammorbidiscono), mentre le foto sono permesse all’esterno, dove c’è un museo che mostra l’evoluzione tecnologica nella produzione del rhum. In tema di musei, a Puerto Plata c’è l’eccellente Museo del Ambar, il migliore di tutta l’isola, meglio ancora di quello della capitale, per conoscere l’ambra, la sua origine, il suo valore per la spiegazione dei fenomeni evolutivi grazie ai numerosi reperti contenti larve e insetti fossilizzati.

Poco dopo la fabbrica del Brugal, lì vicino c’è la bella Playa Dorada, e più avanti c’è la popolare spiaggia di Sosua, così risolvete anche il problema del bagno nell’oceano.

Cabarete e la laguna Gri Gri

Da Puerto Plata in direzione est si susseguono una serie di spiagge battute dal vento, che crea le condizioni ideali per gli appassionati di windsurf e kitesurf. Il centro più famoso per questi sport è Cabarete.

Un’attrazione imperdibile se vi trovate da queste parti è la visita della Laguna Gri-Gri, un ecosistema di mangrovie e paludi che si raggiunge con gite in lancia da Rio San Juan, circa 120 km a est di Puerto Plata. Il nome della laguna è dovuto ad un particolare tipo di mangrovia molto diffuso nella zona. Ci sono gite organizzate a orari fissi, oppure ci si può accordare con i pescatori locali: il costo di una gita di due ore è di 1200 pesos (circa 25 €) a persona, ma diminuiscono parecchio se riuscite a formare un gruppo di più di 6 componenti, perché il costo aggiuntivo è di soli 200 pesos a testa. Alcune barche hanno il fondo trasparente. In ogni caso, è bene contrattare.

I canali ridondano di mangrovie secolari, tra cui ogni tanto spunta qualche casa di pescatori, tanto nascosta da sembrare quasi soffocata dalle radici delle mangrovie.

Samanà e Los Haitises

Proseguendo verso Est dopo Rio San Juan, si raggiunge Nagua (altro centro per amanti del kitesurf) e quindi la penisola di Samanà, che offre molte attrattive. Chi proviene da Santo Domingo può sfruttare la recente autostrada del Nordest, o autostrada Giovanni Paolo II, che permette di spostarsi tra le due città in due ore o poco più.

Nella penisola, una lingua di terra lunga una quarantina di kilometri, ci sono due centri abitati principali: Las Terrenas e Samanà. La prima è più dotata di strutture turistiche (villaggi, residence, ristoranti, negozi di souvenir) e ha un carattere più vivace, la seconda è più tranquilla e da villeggianti., ma è un’ottima base per raggiungere facilmente le spiagge e le località più interessanti della penisola. Alberghi se ne trovano a iosa qui e nelle altre località principali, con ampia scelta di prezzi.

Las Terrenas e le gallerie d’arte: Las Terrenas si trova sulla costa Nord della penisola, circondata da colline assolate, costellate di palme e attorniata da spiagge poco frequentate e praticamente ancora vergini. Tutto qui è fatto sulla strada: un concertino improvvisato, la preparazione dei sigari, il taglio della carne dal macellaio, il pranzo. Tra musica, colori e profumi vari le bancarelle vendono coloratissime tele haitiane. Vale la pena di fare un giro per la cittadina e visitare le vie dove i numerosi pittori naïf espongono all’aperto le loro opere. Non abbiate timore a entrare in qualche galleria d’arte: quasi sicuramente qui troverete la tela che vi piacerà portare in Italia come ricordo di viaggio, pagandola molto meno che negli atelier delle grandi città.

L’avvistamento delle balene: ogni anno, tra gennaio e febbraio, migliaia di megattere lasciano le fredde acque dell’Artico e vengono da queste parti per amoreggiare e procreare. Il corteggiamento delle balene è uno spettacolo eccezionale, se si ha la fortuna di vederle fare balzi, sollevamenti di coda e tonfi in ricaduta tra mille spruzzi d’acqua come dovrebbero fare stando alle immagini esposte fuori dalle agenzie e ai video proiettati negli alberghi. Di tutto ciò la guida continuava a parlarci, ma abbiamo potuto solo credergli sulla parola perché il giorno della mia visita le balene erano svogliate o poco eccitate, chissà. Sta di fatto che a malapena si è potuto vedere qualche esemplare evoluire a pelo d’acqua, sparare getti dallo sfiatatoio e reimmergersi quasi subito. Questa era la terza volta che vedevo le balene, la prima è stata in Canada nel San Lorenzo e la seconda in Islanda a Husavik, e devo dire che lo spettacolo offerto qui è stato inferiore agli altri due.

Il Salto del Limòn è la più bella cascata della Repubblica Dominicana. E’ nell’interno della penisola, lungo la strada che congiunge Samanà e Las Terrenas. Ci si arriva a cavallo, accordandosi con uno dei tanti maneggi posti lungo la strada che più o meno fanno lo stesso prezzo, circa 8-10 € a persona. Comunque confrontare due o tre prezzi non guasta. Lungo il percorso bisogna guadare un paio di torrenti di montagna. Già da lontano si sente il rumore della cascata, poi si cominciano a vedere le nuvole formate dagli spruzzi di acqua nebulizzata che salgono al cielo attraverso la foresta. Il salto è suggestivo: da un’altezza di 55 metri l’acqua si getta in una bellissima piscina naturale in cui si può fare il bagno, magari cercando di imitare i ragazzini del posto che si tuffano dalle rocce alte una decina di metri. Intanto uccelli dei tropici sorvolano bassi il laghetto e guardando bene tra le piante acquatiche si riescono a trovare i nidi di minuscoli bellissimi colibrì dal piumaggio verde smeraldo.

Parque Nacional Los Haitises: dall’altra parte della penisola di Samanà, in una zona abitata solo da qualche sparuto villaggio di pescatori, si estende uno dei parchi più belli della Repubblica Dominicana. Gli “haitises” sono scogli alti al massimo 15-20 metri, a forma di fungo o cupola, che emergono dalla laguna turchese, coperti da un cappuccio di fitta vegetazione tropicale. Ci sono diversi punti di sbarco da cui si accede a una serie di grotte naturali, in alcune delle quali ci sono dei graffiti che testimoniamo la presenza di esseri umani anche in tempi antichissimi. La fama del parco è cresciuta moltissimo da quando hanno cominciato a girare il reality show “L’isola dei famosi”, di cui si sono svolte qui le prime tre edizioni, fino al 2007. E’ curioso come le guide, piuttosto digiune di nozioni sulle scritture rupestri delle caverne, dimostrino invece di sapere tutto sul posizionamento delle telecamere e dei microfoni, sul nome dei principali personaggi concorrenti e su vincitori e sconfitti del reality.

Nel parco ci sono ottime opportunità di birdwatching: qui vivono colonie di ibis, garzette, cormorani e pellicani. E’ più facile avvistarli attorno alle barche dei pescatori, pronti ad agguantare qualche pesce che si slama prima di essere imbarcato.

In fondo alla penisola c’è la cittadina di Las Galeras. La strada che porta da Samanà a Las Galeras (quasi 30 chilometri) merita da sola il viaggio: si costeggiano spiagge e scogliere, si attraversano piccoli nuclei abitati senza tempo, ci si perde in un mare di colline ricoperte di palme. Lungo la strada si possono fare acquisti nei “colmados” o nei banchi improvvisati di frutta, birra e noci di cocco. Qui c’è l’incantevole e isolata Playa Rincòn, una delle più belle dei Caraibi, che si raggiunge in barca o anche in auto attraverso un percorso piuttosto accidentato (40-45 minuti per fare 13 km). La spiaggia, una lingua di sabbia bianca finissima, si trova in una piccola baia protetta, senza hotel e case in vista. Non ci sono radio, venditori di cibo, cabine. Vicino c’è una laguna di acqua dolce perfetta per risciacquarsi dopo avere fatto il bagno in mare.

Montecristi, Dajabòn e il confine con Haiti

Il tratto di costa atlantica che va da Puerto Plata fino a Montecristi in direzione Ovest è poco abitato e a un certo punto non c’è più nemmeno la strada. La litoranea arriva fino a Luperòn, centro balneare pieno di villaggi esclusivi frequentati dagli americani, come il faraonico complesso di appartamenti “Ciudad marina”. Le spiagge dei resort sono accessibili a tutti, basta chiedere il permesso. E’ molto meglio fare il bagno qui, perché il fondale davanti alle spiagge libere pullula di enormi ricci di mare sui quali si rischia di fare la fine del puntaspilli.

Da Luperòn a Montecristi ci sono un’ottantina di km abbastanza anonimi. La stessa Montecristi è una località sostanzialmente priva di interesse turistico, che si anima solo nei giorni del carnevale. C’è una bianca cattedrale neoclassica (nella foto) e soprattutto un parco marino con barriera corallina, che essendo poco frequentato risulta comprendere il tratto di barriera più ricco di pesci e coralli del paese.

Ma l’obiettivo vero del lungo cammino fatto per arrivare fino a qui è la cittadina di Dajabòn, al confine con Haiti. Da Montecristi si prende la RN 45, praticamente un lungo rettilineo di 35 km di strada non sempre asfaltata, che attraversa una zona agricola e paludosa quasi disabitata.

Al lunedì e al venerdì i venditori haitiani confluiscono a Dajabòn con tutti i mezzi di trasporto possibili e immaginabili, dagli autobus ai muli e persino portando la mercanzia in testa, e danno vita ad un coloratissimo mercato haitiano di grande suggestione. Le merci vengono accumulate in maniera alquanto disordinata sotto teli di rafia blu, che dovrebbero servire a riparare mercanti e mercanzia dal sole e dalla pioggia eventuale.

Nel mercato la confusione regna sovrana. Teoricamente ci dovrebbero essere delle zone dedicate (una per gli alimenti, una per gli indumenti, una per gli utensili), ma la mercanzia in vendita è sparsa un po’ dappertutto senza una regola precisa. La maggior parte delle merci esposte sono cianfrusaglie e paccottiglia di bassissima qualità per noi occidentali. Per i dominicani che giungono fin qui, invece, questa è una opportunità per comprare a prezzo di saldo abiti, pentolame, frutta e verdura, zainetti e borse, scarpe da tennis di rigorosa produzione coreana o cinese e l’ottimo rhum Barbancourt di produzione haitiana. Per noi l’interesse è puramente turistico e chiaramente ci sono eccezionali possibilità fotografiche. Volendo proprio fissarsi sulla mercanzia esposta, è anche possibile trovare un colino o un apribottiglie di foggia interessante, o magari qualche borsa di cuoio… comunque contrattare qui è un obbligo inderogabile. La lingua sarebbe il patois haitiano, ma anche se parlate in italiano vi capiscono benissimo. Se non fate voi la prima offerta, sarà lo stesso venditore haitiano a sollecitarvi perché proponiate un prezzo. Scendere di oltre il 50% non sarà un problema, ma scordatevi bilance elettroniche, scontrini e registratori di cassa. Qui la vecchia stadera e i conti fatti a penna sono tuttora in vigore.

Il mercato è proprio attaccato alla frontiera. Le guardie dominicane mettono in guardia chi vuole passare il confine: mentre in territorio dominicano siete sicuri, dall’altra parte i rischi per la sicurezza sono decuplicati. Vi lasciano attraversare liberamente il posto di confine percorrendo il ponte sul rio Massacre, ma solo fino alla fine del ponte perché dopo si entra in Haiti. Anzi, giusto alla fine del ponte c’è la stazione degli autobus che portano a Cap Haitien. Questo è l’ultimo punto che riesce a raggiungere a piedi, prima di essere fermati dalla polizia di frontiera di Ouanaminthe, la prima cittadina haitiana. E’ consentito scattare foto verso Haiti, al mercato parallelo che si allestisce subito lì: mano a mano che la gente compra roba a Dajabòn in territorio dominicano, torna indietro e cerca di rivenderla a prezzo maggiorato a quelli che per una ragione o per l’altra non sono riusciti ad attraversare il confine.

Sul ponte c’è una ressa impressionante di gente che va e viene. Ci sono gli haitiani che vanno verso Dajabòn per vendere, e quelli che hanno comprato enormi sacchi di farina, riso, sale e li portano indietro con ogni mezzo possibile. Le donne riescono a mettersi in testa sacchi di farina da 50 kg e a trasportarli senza farli cadere, contemporaneamente tenendo in mano confezioni e scatolette di altre cose. Quello che non riescono a portare lungo il ponte, lo trasportano attraversando il fiume sottostante. Gli uomini trainano a braccia carretti sovraccarichi di sacchi enormi e scatoloni di cartone. La gente spinge per farsi largo, con la speranza di riuscire a fare più viaggi andata-ritorno prima che il confine chiuda. Le foto del diario dovrebbero rendere l’idea.

Una giornata al mercato di Dajabòn è un’esperienza da non perdere per chi viene da queste parti. A parte l’interesse turistico dell’evento, ci si rende conto di cosa voglia dire vivere la povertà, l’incertezza del pane quotidiano e dei beni di consumo basilari per la persona. In alternativa, altri mercati haitiani ci sono a Jimanì e a Pedernales, nel sud del paese.

Il massacro del prezzemolo

Il massacro del prezzemolo, noto nella Repubblica Dominicana come El Corte (let. “il taglio”) e ad Haiti come Kouto-a (let. “coltello”), è il nome con cui si definisce la pulizia etnica attuata dal regime populista dominicano di Rafael Leonidas Trujillo Molina nell’ottobre 1937 nei confronti della popolazione haitiana residente nel territorio della Repubblica Dominicana. L’ordine di esecuzione provocò la morte di un numero imprecisato di haitiani, si stima dai 20.000 ai 30.000, e durò solamente cinque giorni. Dal giorno successivo all’ordine la polizia dominicana iniziò a perlustrare fattorie e villaggi dove c’era più probabilità di trovare migranti haitiani. Dopo una identificazione sommaria, i poliziotti li radunarono in luoghi lontani dai centri abitati e diedero inizio a una vera e propria carneficina usando pistole, fucili, machete, coltelli e asce, senza discriminazione tra uomini, donne, bambini e anziani.

L’esecuzione prese questo nome dal fatto che il presidente Trujillo attuò un metodo quantomeno discutibile nell’identificazione degli haitiani: ovvero sfruttando il fatto che la maggior parte degli haitiani non è in grado di pronunciare fluentemente le parole in lingua spagnola. Ai soldati fu ordinato di portare un rametto di “perejil” (spagnolo per prezzemolo) e chiedere cosa fosse alla gente incontrata: chi non fosse riuscito a esclamare la parola perfettamente sarebbe stato molto probabilmente una persona origine haitiana e quindi da eliminare.

I cadaveri si ammassarono nel Rio Dajabòn, il fiume che segna una parte del confine Nord-Ovest tra Repubblica Dominicana e Haiti, che da allora si chiama Rio Massacre.

Jarabacoa e Constanza – la Svizzera dei Caraibi

La zona centrale del paese è occupata dalla Cordillera Central, che lo attraversa da Nord-ovest a Sud-est. Qui si trovano le vette più alte del paese, che culminano nel Pico Duarte (3180 metri). Nella regione ci sono due città interessanti: Jarabacoa e Constanza, immerse in boschi di latifoglie e pinete. Quando la boscaglia si apre, appaiono verdi colline con mandrie intente a brucare l’erba e giunge chiaro il suono dei campanacci. Strada facendo si incontrano numerosi chalet copiati in tutto e per tutto da quelli svizzeri: sono di proprietà di ricchi dominicani che vengono qui nei mesi estivi per sottrarsi alla calura delle città e della costa. La temperatura infatti qui non supera mai i 23-24 °C.

Sulla strada ci sono chioschi dove le massaie locali vendono l’ottima torta di mais preparata in casa. E se lo stomaco reclama, provate a fermarvi al “Sagrado Corazòn de Jesùs” (Sacro Cuore di Gesù), che non è un santuario, ma un ristorante rustico che offre eccellenti costine di maiale e carne alla brace. Si trova proprio su un tornante a U, quindi è quasi impossibile non notarlo.

Constanza si trova a 1283 metri di altitudine. è la capitale dominicana degli ortaggi e del caffè, le cui piantagioni si possono visitare. Si coltivano anche mele, fragole e uva. Nel complesso è uno dei centri più ricchi del paese. Ma non dimenticatevi il maglione: qui di sera fa decisamente fresco. Anche nelle sere d’estate la temperatura scende fino a 7-8 °C, e in alcuni inverni si è raggiunta la temperatura di – 5°C.

Azua, Barahona e Pedernales: le regioni del Sud

Le regioni del Sudovest sono le più brulle e primitive dell’isola, ma proprio qui sta il loro fascino. Venire qui significa conoscere la vita e le abitudini locali così come erano una volta. Qui il cemento è raro, almeno fuori dalle città: si attraversano paesini fatti di casette di legno basse colorate in tinte pastello, una infinita teoria di bananeti a perdita d’occhio, intervallati qua e là da papaieti e coltivazioni di canna da zucchero, piscine naturali di acqua dolce formate dai torrenti che scendono dalla sierra de Bahoruco.

Le strade in questa zona sono sorprendentemente buone, oltre che poco trafficate. Ma attenzione ai cordoli! Quando si attraversano i paesini ce ne sono a bizzeffe, quasi mai segnalati, soprattutto in prossimità delle scuole o di qualche agglomerato di caso. Con notevole senso dell’umorismo i dominicani li chiamano “policìa acostado”, cioè “poliziotto sdraiato”. In effetti, siccome sono alti anche 20 cm e non sempre smussati, sono efficaci come e più di un polizotto per far rallentare la velocità, altrimenti si corre il rischio di lasciarci le sospensioni dell’auto o la coppa dell’olio.

Fuori dalle città ci può essere qualche problema a trovare la benzina, per cui è bene non scendere sotto il livello di metà serbatoio. Per esempio, da Barahona a Pedernales (144 km) non ci sono distributori… almeno in apparenza. Se rimanete in riserva non disperate e guardate bene ai lati della strada: sul ciglio vedrete spesso dei tavolini con sopra bottiglie di birra o di plastica contenenti un liquido giallo. Sono i distributori improvvisati che fanno al caso vostro.

Banì, 65 km da santo Domingo, è la prima città di una certa dimensione che si incontra. E’ indiscutibilmente la “capital del mango”, di cui qui ne coltivano 21 varietà differenti! La varietà più dolce si chiama “Gota de oro”, nome che è già un programma.

Dopo Banì si attraversa una pianura abbastanza monotona fino a arrivare a Azua, 100.000 abitanti e capitale dell’omonima provincia. Si dice che qui sia sepolto il ribelle indio Enriquillo, a cui è dedicata una statua in bronzo che di notte si illumina di colori mutevoli. Qui c’è l’Universidad Tecnològica del Sur, con una importante facoltà di agronomia frequentata sia da studenti dominicani che haitiani.

Dopo Azua c’è un lungo tratto che attraversa infinite piantagioni di banani e palme da cocco, fino a Barahona, la città più grande della regione. Qui c’è anche un aeroporto, che dovrebbe servire per il futuro sviluppo turistico dell’area. Lungo la strada innumerevoli banchetti offrono i prodotti dell’agricoltura, della pesca e dell’artigianato locale: frutta e verdura, fiori, granchi e gamberi, dolci e formaggi fatti in casa, utensili in legno e mobili per la casa. Vendono persino…capelli umani, di cui grandi cartelli fanno una pubblicità che è impossibile non notare.

Barahona ha una buona offerta di alloggi per tutte le tasche e può essere presa come base per due bellissimi itinerari: uno verso il Lago Enriquillo a ovest, l’altro verso la penisola di Pedernales a sud.

Lago Enriquillo

Poco prima di Barahona, all’altezza di Mana, inizia la RN 48 che conduce al lago Enriquillo, distante 100 km tondi. Il lago si trova in una fossa tettonica a 40 metri sotto il livello del mare. E’ alimentato da numerosi immissari, che scendono dalla Sierra de Neiba da Nord e dalla Sierra de Bahoruco da Sud, ma non ha emissari. Di conseguenza il livello del lago è in continuo aumento. Questa particolare condizione idrogeologica, unita al progressivo discioglimento delle rocce calcaree delle rive e del fondale, fa sì che la salinità del lago sia in continuo aumento, al punto che oggi si può considerare a tutti gli effetti un lago salato.

Il lago è il più grande dei Caraibi: è lungo 25 km e largo 10, anche se non molto profondo, max. 5-6 metri. Ospita una colonia di coccodrilli che si va riducendo sempre più di numero. Oggi si stima che siano 150-200. I coccodrilli sono di una specie piccola, non raggiungendo più di 2.5-3 metri di lunghezza. Sono del tipo di acqua dolce e quindi cercano disperatamente di concentrarsi vicino al punto dove i torrenti che scendono dalle montagne si immettono nel lago, anche perché in questi punti c’è più cibo, dal momento che anche i pesci del lago di cui i coccodrilli si nutrono non gradiscono l’acqua salata. Vedere i coccodrilli è facile, ma sono molto schivi e si immergono appena percepiscono un pericolo.

La salinità del lago sta progressivamente distruggendo la vegetazione delle rive circostanti, perché mano a mano che il livello dell’acqua cresce il sale brucia le radici. Così, pochissime delle palme che abbondavano lungo le sponde oggi sopravvivono. Durante la gita in barca si attraversano distese di piante ridotte a moncherini senza foglie che danno al tutto un’immagine di desolazione.

Al centro del lago c’è la grande Isla Cabritos, cha fa parco nazionale da sola. Sull’isola c’è una consistente popolazione di grosse iguane, che appena scendete dalla barca si precipita a farvi festa, nella speranza di ricevere biscotti o caramelle o qualunque altra cosa commestibile abbiate portato con voi. In mancanza dei biscotti, le iguane si gettano senza alcun ritegno su tutte le cose colorate che vedono. Quindi, state attenti agli asciugamani e, come si vede nella foto qui accanto, persino alle perline di plastica colorata delle ciabatte dei bambini. Le iguane sono anche nella zona dell’imbarcadero dove partono le lance per il tour del lago. Le più furbe hanno preso casa nello spiazzo dove ci sono i tavolini per il picnic dei visitatori, e non disdegnano di seguirvi fino a quando salite sulle macchine. Guardate bene nella jeep prima di ripartire, perché non c’è da stupirsi se nel frattempo qualcuna è riuscita a entrare dentro per rubacchiare qualcosa.

Le iguane sono di due tipi: l’iguana rinoceronte o cornuta, quella più diffusa, e la rara iguana di Ricord che si riconosce per gli occhi rossastri.

Verso Oviedo e l’estremo Sud

Percorrere la strada costiera che da Barahona porta all’estremo sud della Repubblica Dominicana è un piacere assoluto. Dal punto di vista paesaggistico, è la più bella del paese, assieme a quella che va a Las Galeras nella penisola di Samanà. La strada è in condizioni decenti anche se bisogna stare attenti a percorrerla dopo un temporale, quando si verificano degli smottamenti.

Il percorso attraversa decine di piccoli villaggi fatti di casette di legno di pescatori e allevatori della zona. Le case sono disposte lungo la strada, dove si svolge anche la vita delle famiglie che ci vivono. Così vedrete donne che fanno da mangiare o cuciono, polli e maialini che scorrazzano in libertà, bambini intenti all’immancabile partita di baseball, venditori di galline vive che girano con i poveri animali penzolanti da un bastone, ragazze che si asciugano i capelli con i bigodini in testa, come quella che si vede in una foto. Lungo la strada si trovano delle stupende e poco note spiagge di acciottolato (sabbia poca, purtroppo) che si affacciano su baie di acqua turchese: Playa Las Cienegas, Playa Los Patos, Playa San Rafael, Playa Paraìso e proprio in fondo l’isolatissima Bahia de Aguilas, un posto fuori dal mondo raggiungibile solo accordandosi per un passaggio in barca con i pescatori del luogo.

A San Rafael c’è una delle ultime miniere di larimar della Repubblica Dominicana. Il larimar è una rara varietà blu di pectolite, un silicato idrato acido di calcio e sodio. Questo colore azzurro-turchese, diverso da quello di altri minerali simili, è il risultato della sostituzione del rame (blu) con il calcio (bianco) nel reticolo cristallino del minerale. Con la pietra si fanno gioielli e monili.

Se non volete fare il bagno nell’oceano, lungo la strada trovate numerosi balnearios, piscine naturali di acqua dolce, formate dai torrenti che scendono dalla Sierra de Bahoruco verso il mare. L’acqua è fredda ma cristallina. I dominicani preferiscono fare il bagno in queste pozze piuttosto che nel mare. Le spiagge sono riservate ai giochi dei bambini, rigorosamente nudi, e ai venditori di pesce appena pescato che vanno in cerca dei possibili compratori adagiati sotto le fronde delle piante tropicali.

Nella zona attorno a Paraiso hanno da poco posizionato decine di pale eoliche, che compongono il Parque Eolico de Bahoruco. Anche se il paesaggio ne risulta alquanto deturpato, le pale producono energia elettrica per tutta la zona e per il resto dell’isola, e danno lavoro alla gente che vive qui. La cosa si nota subito, perché attraversando i villaggi si percepisce un senso di prosperità e tranquillità che non si trova in altre parti del paese. Basta guardare il gran numero di parabole sui tetti delle case e i pick-up quasi tutti nuovi parcheggiati nei garage a lato dei patios delle casette di legno.

Il clou della visita in questa zona è la gita in barca nella notevole laguna di Oviedo, quasi sulla punta della penisola di Pedernales. La visita guidata della laguna, che si trova nel Parque Natural de Jaragua, costa sui 3000 pesos (60 €) a barca e dura 2-3 ore. Gli appassionati di birdwatching qui andranno in brodo di giuggiole. Si avvistano garzette bianche e nere, spatole bianche e rosate, falchi, aquile pescatrici e rapaci vari e soprattutto numerosi gruppi di fenicotteri rosa che si lasciano avvicinare parecchio, per la felicità dei fotografi come me. Poi, quando il primo fenicottero si muove, a poco a poco tutto il gruppo lo segue e si assiste a un vero e proprio decollo dello stormo. Gli uccelli fanno un largo giro sopra la vostra testa, poi si abbassano e ammarano nelle acque basse della laguna. Così avete seguito tutte le fasi dell’evoluzione aerea: decollo – volo – atterraggio.

Le grandi passioni dei dominicani: il baseball e la lotta dei galli

Potrà mancare la farmacia, potrà mancare il distributore di benzina, potrà mancare la biblioteca.… ma due cose non mancano mai nemmeno nel più sperduto villaggio dominicano: il diamante per il baseball e la “gallera”.

Baseball: orgoglio e passione dominicana

Nella Repubblica Dominicana il baseball, o meglio bèisbol nella versione spagnolizzata, o ancora più semplicemente pelota, cioè “palla”, qui è lo sport in assoluto. Tutti gli altri vengono dopo. Le partite di baseball si giocano dappertutto: per le strade, nelle piazze, sulla spiaggia, nei prati. Ogni paesino ha almeno un diamante, che è il nome del campo da gioco, così detto per la forma a diamante, sempre intasato di ragazzini e ragazzine che battono e rincorrono la pallina di cuoio e corda. Se non giocano il baseball vero e proprio, praticano la versione light, che si chiama softball e si gioca con una palla più grande e quindi più facile da colpire. Questo è praticato soprattutto dalle ragazze.

Il campionato dominicano, detto “Liga de invierno” è corto. Si gioca solo da fine ottobre a gennaio-febbraio. Le squadre di professionisti che partecipano sono 6:

  • Tigres del Licey (Santo Domingo)

  • Leones del Escogido (Santo Domingo)
  • Aguilas Cibaeñas (Santiago)
  • Gigantes del Cibao (San Francisco de Macoris)
  • Estrellas orientales (San Pedro de Macoris)
  • Toros Azucareros del Este (La Romana)

Il calendario della stagione è programmato in modo da non sovrapporsi a quello statunitense. Così i migliori giocatori possono continuare l’attività nelle squadre della Major League USA, che si gioca da aprile a ottobre, che permette ai migliori giocatori di strappare contratti molto remunerativi, a volte da veri nababbi. Ma il livello tecnico del campionato dominicano rimane altissimo: le migliori squadre della Liga non sfigurerebbero affatto nella Major League.

A conferma di ciò, la squadra nazionale dominicana è campione del mondo in carica. Ha vinto l’ultimo campionato del mondo, battendo in finale Portorico per 4-1 nella finale di San Francisco in California e per giunta finendo imbattuta (c’era anche l’Italia che non ha sfigurato arrivando ottava). La vittoria ha suscitato un enorme entusiasmo nel paese e ha dato un ulteriore impulso a questo sport. Ma c’è un lato negativo: oggi molti giovani dominicani abbandonano la scuola prima di ottenere un diploma, per iscriversi a una delle tante scuole di baseball con la speranza della “firma”, cioè di ottenere un contratto con una squadra professionistica. Quello che guadagna un giocatore di baseball di buon livello, qui non se lo sognano nemmeno gli ingegneri e i chirurghi.

Il tempio del baseball dominicano è l’Estadio Quisqueya di Santo Domingo, l’equivalente del Meazza di Milano o dell’Olimpico di Roma. Se capitate qui nel periodo del campionato, cercate di non perdere la partita del giorno. Lo stadio non è grande, ci stanno solo 15000 spettatori, per cui se c’è una partita importante (p. es. il derby della capitale, o lo scontro con le Aguilas di Santiago) e meglio procurarsi il biglietto in anticipo. Oltre allo spettacolo sul campo, vi colpirà quello sugli spalti, dove la gente urla, canta e balla il merengue come se fosse a una festa, ingozzandosi di pollo al carbòn mentre birra e ron scorrono a fiumi. In più, udrete gli schiamazzi assordanti degli allibratori: le scommesse sono un’altra grande passione a cui i dominicani non sanno resistere.

Lotta dei galli: scommesse, tradizione e vudù

Per i dominicani la lotta dei galli è l’equivalente della corrida per gli spagnoli, cioè una tradizione nazionalpopolare radicata da secoli. Non c’è alcun centro abitato sprovvisto di una “gallera”, cioè l’arena dove avvengono i combattimenti (“peleas”). Mentre i galli si azzuffano con un impeto incredibile, gli spettatori delle prime file scommettono sul vincitore. Le somme in gioco possono essere ingenti. Talvolta lo scommettitore si rovina.

La vita del gallo da combattimento è dura e spartana. Fin da piccolo gli tolgono le piume delle cosce, affinché la pelle si rinforzi, poi quando comincia a cantare, segno che è diventato adulto, gli tolgono anche le piume sotto le ali e sulla testa. Poi ogni mattina all’alba il padrone lo cosparge di una mistura di tabacco, chiodi di garofano, alcool e limone che dovrebbe servire a rinforzare la pelle. Dopodiché il gallo viene messo immobile al sole fino a mezzogiorno. A questo punto gli danno da mangiare (solo mais), mentre possono bere in abbondanza. Questo trattamento da incubo dura 4 mesi, durante i quali il gallo è anche sottoposto a un duro allenamento fatto di simulazioni di lotta contro un gallo “bolso” (innocuo), trattenuto dall’allenatore in modo da permettere al vero gallo combattente di imparare e affinare le mosse del combattimento. A questo punto il gallo può scendere nell’arena.

Se vince, il padrone lo tiene 2-3 mesi a riposo-premio e finalmente gli concede le galline migliori del pollaio. Stanti queste premesse, è perfettamente comprensibile come il gallo da combattimento sia tremendamente infuriato quando viene gettato nell’arena.

Il combattimento dei galli è di solito all’ultimo sangue. Entro un tempo massimo di 15 minuti uno dei due contendenti deve uccidere il collega pennuto. Per far ciò i galli sono provvisti di affilati speroni di acciaio, che cercano di conficcare con veemenza nel corpo o nel collo dell’avversario. Se al termine dei 15 minuti entrambi i galli sono ancora vivi, il combattimento viene interrotto e considerato pari.

Un buon gallo riesce a sostenere 3-4 combattimenti l’anno e a raggiungere i 3 anni di gladiatoria attività nell’arena, dopodiché finalmente viene messo in pensione e usato come riproduttore. Famose qui le performance del gallo “El Exterminador” del gallero Tony García che vinse 8 incontri consecutivi durante le stagioni 2012-2013, prima di essere ritirato imbattuto dall’allenatore e finalmente e meritatamente messo in pollaio per la riproduzione.

Ma il destino più probabile del gallo da combattimento è quello di finire presto in rosticceria.

L’arena più importante del paese è il Coliseo Gallistico Alberto Bonetti Burgos di Santo Domingo. I combattimenti dei galli si tengono nei fine settimana al pomeriggio e alla sera. L’ingresso nelle galleras è a pagamento, ma costa solo 15-20 pesos. Si possono scattare fotografie, ma se vi azzardate a usare il flash (che disturberebbe il combattimento) verrete immediatamente espulsi dall’arena tra mugugni di disapprovazione dei presenti.

La lotta dei galli è un altro spettacolo a cui vale la pena di assistere. Li organizzano anche a Boca Chica, Punta Cana e nei luoghi più frequentati dal turismo di massa.

Musica del Caribe… e italiana

Siamo nei Caraibi, zona di balli tradizionali un po’ dovunque. Nella Repubblica Dominicana i balli popolari sono due: il merengue e la bachata. Sono anche più facili da ballare rispetto alla salsa cubana, ma se avete paura di fare brutta figura in pista (come me), potete andare in uno dei tanti locali dove suonano dal vivo concerti di merengue, oppure assistere le esibizioni dei gruppi che suonano dal vivo. Ce ne sono ovunque. Non dimenticate di portare in Italia qualche CD di merengue e bachata, possibilmente originale. I santoni di questa musica sono il solista Juan Luis Guerra e il gruppo Los Hermanos Rosario, ma ci sono tanti altri validi interpreti dominicani e di altri paesi dell’area caraibica.

Qui vanno fortissimo anche i cantanti italiani. Laura Pausini, Eros Ramazzotti e Tiziano Ferro sono degli idoli per giovani e meno giovani, ma resterete sorpresi sentendo per le strade anche la voce di Nicola Di Bari, Riccardo Cocciante e i Ricchi e Poveri, nella versione spagnola di canzoni che da noi erano in voga 30 o 40 anni fa.

Le cose da non perdere per chi viaggia nella Repubblica Dominicana

Riassumendo, queste sono le cose che il viaggiatore che attraversa la Repubblica Dominicana non dovrebbe assolutamente mancare:

  • Qualche giorno in un resort tra Boca Chica e Punta Cana

  • la “zona colonial” di Santo Domingo
  • assistere a una sfilata del carnevale di La Vega (o Cotuì, o Montecristi)
  • giro della penisola di Samanà
  • mercato haitiano di Dajabòn
  • il sudovest, e soprattutto la laguna di Oviedo
  • vedere una partita di baseball, meglio se nello stadio Quisqueya di Santo Domingo
  • una serata di merengue e bachata
  • mescolarsi ai dominicani in una “gallera” e assistere alla lotta dei galli

Grazie per avere letto questo diario.

Luigi

luigi.balzarini@tin.it



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