Nepal, Kathmandu e la sua valle

Kathmandu, Patan, Bakhtapur, Boudhanath e Pashupatinath
Scritto da: Lyn
nepal, kathmandu e la sua valle
Partenza il: 19/09/2014
Ritorno il: 22/09/2014
Viaggiatori: viaggio di gruppo
Spesa: 3000 €
… continua dal diario “Indian masala

19 Settembre: Varanasi – Kathmandu

… Finalmente decolliamo. Il volo dura circa un’ora e balliamo un po’, ma atterriamo sani e salvi. Dal finestrino si vedono solo montagne, chissà se abbiamo sorvolato anche l’Everest… L’atterraggio è molto bello perché consente di vedere bene la valle di Kathmandu e le montagne che la circondano.

Le formalità doganali sono molto più seccanti di quelle indiane: il visto si fa in aeroporto e, dopo aver compilato i moduli, siamo costretti a fare una prima fila per ottenere il permesso, e poi una seconda per pagarlo (25 dollari, circa 23 euro). L’aeroporto è piccolo e caotico; c’è un ritardo nella consegna dei bagagli, e quando usciamo sono già le sei.

Il primo impatto con il Nepal non è dei migliori: il pullman è a dir poco sgangherato, il traffico è quello dell’ora di punta e si procede a passo d’uomo, le strade, appena ci si allontana dal centro, sono da paura: strette, sterrate, ripide, senza protezioni laterali nei tornanti (Kathmandu si trova a circa 1300 metri di altezza), le persone che in ogni momento provano ad attraversare… Non pensavamo potesse essere peggio dell’India eppure è così.

La nostra destinazione è Swayambhunath, il tempio delle scimmie. Quando arriviamo notiamo subito un piccolo stupa con gli occhi e il tetto dorato, e dal suo pinnacolo partono a raggiera i fili con appese le bandierine colorate, icona classica del Nepal. La scalinata per giungere in cima è impegnativa ma assolutamente fattibile. Man mano che si sale iniziano a spuntare le prime scimmie: rispetto a quelle di Ranakpur sono più piccole e più tranquille, meno propense ad avvicinarsi ai turisti; sono decine, ed è divertentissimo vederle dondolarsi sui fili o fare lo scivolo sulla cupola dello stupa principale; molte sono le mamme con i cuccioli in braccio, tenerissimi.

Arrivati in cima visitiamo (solo esternamente, perché in Nepal la maggior parte dei luoghi di culto è interdetta ai turisti) i tre edifici sacri: lo stupa, lo shikara (il tempio induista) e la pagoda (luogo di culto del buddhismo cinese): la presenza di questi tre edifici vicini è una costante di tutti i centri storici della valle di Kathmandu; attorno agli edifici principali ci sono templi e costruzioni più piccole, che fanno somigliare il luogo a una cittadella. Vediamo molti monaci che portano offerte al Buddha, soprattutto sciarpe e candele profumate; ci sono molti monaci in giro, sia uomini che donne, e di tutte le età, dai bambini di dieci anni alle persone anziane: questo perché tradizionalmente le famiglie mandano i propri figli (soprattutto i secondogeniti) in monastero per qualche anno, per consentire loro di avere un’istruzione e perché non sempre sono in grado di mantenerli; una volta adulti, la maggior parte di loro ritorna alla vita “laica”.

Mentre scendiamo ammiriamo lo splendido panorama della valle di Kathmandu dall’alto: il fondovalle è ormai un insieme ininterrotto di case, al punto da sembrare un’unica città; qua e là spiccano i tetti dorati degli edifici religiosi; i fianchi delle montagne sono invece verdissimi, per i boschi e per le risaie. Durante la discesa siamo assediati da venditori di souvenir particolarmente insistenti, e sarà così anche nei prossimi giorni. Siamo in alto e si è fatto buio e, per la prima volta dopo settimane, sentiamo freddo; ci affrettiamo verso il pullman sperando di scaldarci, ma dentro ci sono mille spifferi: mi copro con una leggerissima sciarpa indiana e stringo i denti per un’ora, il tempo che impieghiamo per arrivare in hotel. Anche qui il benvenuto è molto caloroso, l’unica differenza è che al posto della collana di fiori ci mettono al collo una sciarpa bianca (sporca, sfilacciata e tanto sintetica da sembrare plastica, ma è il pensiero che conta).

20 Settembre: Durbar Square – Patan – Pashupatinath

La prima visita della giornata è Durbar Square, la piazza principale di Kathmandu (e di tutto il Nepal). Lasciamo il bus a una certa distanza e saliamo a piedi . La zona è il cuore commerciale della città, e vi si affacciano negozi di tutti i tipi; le merci vendute e la quantità di attività commerciali contrastano però moltissimo con l’evidente povertà della popolazione: molti, anche se vestiti all’occidentale, sono sporchi e malmessi, e sbirciando nei vicoli vediamo fango e tetti in lamiera come in una baraccopoli. Ci sono tantissimi cani randagi, per fortuna inoffensivi. Molti Nepalesi hanno l’abitudine di sputare e ruttare in pubblico senza farsi problemi: anche in India capitava di assistere a questi comportamenti, ma , almeno davanti a noi turisti, le persone erano più discrete. Nonostante l’ora, il traffico è già intenso e c’è molto smog, e tanti Nepalesi portano la mascherina. E’ mattina e fa ancora piuttosto freddo, ma quando il sole si alza si sta bene anche a maniche corte.

Durbar Square è molto caotica, e avanziamo a fatica tra turisti, gente del posto, venditori assillanti, cani e veicoli vari. Entriamo anzitutto nel cortile interno del Palazzo Reale, dove finalmente troviamo un po’ di calma. L’edificio è stato ricostruito in stile coloniale inglese, e risulta un pugno in un occhio tra gli altri palazzi di stile orientale che lo circondano.

Sostiamo in un padiglione all’aperto sotto un edificio, che ospita un altare induista, dove il solito sacerdote riceve le offerte e impartisce le benedizioni. Davanti al padiglione, delle donne intrecciano collane di fiori, piccoli garofani arancioni, con sorprendente rapidità.

Arriviamo al palazzo della Kumari, la Dea bambina. La Kumari viene scelta tra bambine di religione buddhista e appartenenti alla casta degli orafi; deve essere bella e virtuosa, e deve dare prova del suo coraggio; trascorre diversi anni chiusa in questo palazzo (ma amici e familiari possono venire a trovarla), uscendo solo una volta al mese, in occasione di alcune cerimonie religiose; conduce questa vita fino alla comparsa delle mestruazioni, quando viene “sostituita” da un’altra Dea bambina, e può tornare dalla sua famiglia; in passato le ex Dee bambine erano destinate a restare zitelle, perché si credeva che chi si sposava con loro sarebbe morto prematuramente, ma oggi questa superstizione è superata. Il palazzo è molto bello, soprattutto le intelaiature delle finestre che sono di legno splendidamente intagliato. Entriamo nel cortile pieno di gente: siamo fortunati, la Kumari sta per affacciarsi e potremo vederla; passano circa 20 minuti, poi la finestra si apre e lei si fa vedere: ha circa dieci anni, ed è truccata e vestita come una divinità, con un abito di seta rossa e un copricapo d’oro; si ferma solo pochi secondi a guardare la folla, poi va via senza dire una parola né fare un cenno, ma i fedeli sembrano ugualmente soddisfatti.

Prima di lasciare Durbar Square ci fermiamo davanti al bassorilievo che raffigura la Dea Kali. Già la statua, che ha sembianze demoniache e brandisce un machete, mette soggezione: in più, le polveri rosse che vengono sparse come offerta la fanno sembrare sporca di sangue, dandole un aspetto ancora più feroce, perciò i fedeli le si avvicinano con deferenza.

Ci spostiamo a Patan, la città dei metalli. Rispetto al centro di Kathmandu c’è meno traffico, e l’atmosfera è quella di un paese: ci sono sempre molti negozi per turisti, ma anche banchetti di cibo da strada (riconosciamo i ravioli al vapore cinesi, che qui chiamano “momo”), laboratori per la macinatura delle spezie, e un frantoio che produce l’olio di senape. Anche qui ci sono lo stupa, lo shikara e la pagoda, più altri splendidi edifici con porte, finestre e travi di legno intagliato. Il monumento più importante è però il Tempio d’Oro, di cui visitiamo il cortile interno. Entriamo infine un negozio che vende le originali campane tibetane: queste hanno la forma di una zuppiera, un diametro minimo di 20 – 25 cm., e sono realizzate con una lega particolare di sette metalli; nella medicina tradizionale sono usate per scopi terapeutici, secondo il principio degli ultrasuoni: si posiziona la campana sulla parte dolorante (ci vengono date dimostrazioni su testa, schiena e ginocchio) e si assestano dei colpi decisi in due punti opposti; le vibrazioni così create dovrebbero avere effetti curativi; un’altra tecnica consiste nel riempire la campana d’acqua e poi far girare il batacchio lungo il bordo: in questo modo l’acqua inizia a ribollire e solleva schizzi, che sembra siano benefici per la vista. Sono un po’ scettica sull’efficacia di questo metodo di cura, e poi le campane sono pesanti e ingombranti, perciò rinuncio all’acquisto.

Ultima tappa della giornata è Pashupatinath, il luogo di cremazione di buddhisti e induisti. La scelta è dovuta al fatto che questo fiume è un affluente del Gange. Rispetto a Varanasi c’è molta tranquillità. I riti funebri si svolgono sulla riva occidentale, e noi turisti osserviamo la scena dal lato opposto. Si stanno svolgendo due cremazioni, con lo stesso procedimento già visto in India. Facciamo un giro nell’adiacente complesso di templi, che a me ricordano le cappelle di un cimitero, e fotografiamo un gruppo di santoni evidentemente in posa per i turisti ma molto folkloristico.

Andiamo a cena in un ristorante tradizionale. Il cibo nepalese è una versione semplificata di quello indiano, con meno ingredienti e meno spezie, ma con la presenza anche della carne bovina ( non di quella suina). Assistiamo a canti e danze tradizionali, e restiamo colpiti dalla loro varietà: alcuni sono balli contadini, danzati con abiti semplici e accompagnati da una musica ritmata; altre sono danze cerimoniali, con ballerini che portano maschere demoniache e danzano al ritmo di campane e tamburi; altri ancora sono balli sensuali, interpretati da donne bellissime in abiti splendidamente ricamati, con un accompagnamento di strumenti a corda.

21 Settembre: Amarapura – Goganath – Bakhtapur – Bodhnath

Oggi ultimo giorno pieno di viaggio. Al mattino visitiamo due villaggi tradizionali. il primo, Amarapura, è piuttosto turistico, e l’attività principale dei suoi abitanti è l’intaglio del legno. Molti abitanti, soprattutto bambini, si avvicinano curiosi, ci chiedono le caramelle, si fanno fotografare e vogliono vedere la loro immagine sulle digitali. Le mamme mostrano orgogliose i loro neonati che, secondo la tradizione, hanno gli occhi truccati, contro il malocchio. Il secondo villaggio, Goganath (ma non sono sicura del nome) sembra invece più autentico. E’ abitato da una diversa etnia, ed ha usanze differenti: ad esempio non mangiano carne di pollo e per questo allevano anatre; il risultato è la presenza di un numero elevatissimo di questi pennuti che gira liberamente per le sue stradine. Le persone sono molto meno interessate a noi, e qualche anziano ci guarda con diffidenza. Le condizioni in cui vivono sono, per noi occidentali, inconcepibili: una delle occupazioni principali è la preparazione di un impasto rossastro a base di sterco che viene spalmato davanti all’ingresso delle case; a bordo strada scorre la canaletto delle acque reflue, nella quale gli animali si abbeverano; per strada molte donne si lavano, chine su dei catini, le più anziane sono a seno nudo; vediamo delle “macellerie” all’aperto e rimpiangiamo di aver mangiato carne nei giorni scorsi…. In mezzo a questo degrado spiccano numerose moto (che qui in Nepal sono usate più delle auto) di grossa cilindrata e di marche da noi sconosciute. Dopo pranzo visitiamo Bakhtapur, l’unica delle tre città storiche che è stata pedonalizzata. Questo sito è stato scelto come location del film “Il piccolo Buddha” di Bernardo Bertolucci, è stato restaurato in quell’occasione e successivamente trasformato in museo all’aperto. Il luogo è molto bello e finalmente possiamo passeggiare e scattare foto senza il timore di essere investiti. Merita una visita il Palazzo Reale, con il portale in legno scolpito e dorato, e la fontana al suo interno con i bocchettoni che hanno le sembianze di cobra. Bakhtapur è anche la città della ceramica, e nelle sue strade si vedono molti vasai al lavoro sui loro torni; tutto il vasellame prodotto viene lasciato asciugare in una delle piazze principali, che appare come una distesa ininterrotta di ciotole di ogni forma e dimensione. Ultima tappa è lo stupefacente stupa di Bodhnat. Si tratta di uno dei simboli del Nepal, che si vede in ogni guida, sito e documentario su questo paese; le sue dimensioni sono gigantesche, e fare il giro intorno ad esso facendo muovere le ruote di preghiera porta via parecchi minuti. Vicino allo stupa si trova un monastero, dove è in corso una cerimonia buddhista: entrando c’è anzitutto un’enorme ruota di preghiera attorno alla quale bisogna girare. La sala è pienissima e molti fedeli, soprattutto donne anziane, sono in preghiera nell’atrio: sono tutti seduti a terra, su dei cuscini, scalzi, e ripetono i mantra seguendo le parole dei monaci, stringendo tra le mani il rosario buddhista o facendo roteare delle piccole ruote di preghiera. Dentro la sala, lunga e stretta con affreschi che hanno come soggetto il Buddha, non c’è un altare: i monaci sono seduti ai lati, dietro alcuni banchi, e da lì guidano le preghiere. Il clima è molto raccolto ma anche rilassato. Saliamo sulla terrazza: da qui si ha una veduta mozzafiato sulla cupola dello stupa e sulla piazza circostante, con le migliaia di bandierine al vento e la moltitudine di persone che compie il giro. C’è anche un’altra sala per la preghiera, meno affollata, così possiamo sederci per qualche minuto e assistere al rito. Vicino allo stupa visitiamo un laboratorio di pittura dove realizzano mandala. I mandala sono disegni tradizionali buddhisti, originariamente eseguiti dai monaci come forma di preghiera. Hanno un soggetto geometrico astratto, e sono pieni di dettagli: più c’è ne sono e più prezioso è il dipinto. Vediamo anche alcuni artisti all’opera, che utilizzano pennelli estremamente sottili. Altri soggetti tradizionali sono il cerchio della vita e le immagini del Buddha. Un ultimo giro tra i negozietti di souvenir e poi di nuovo in hotel.

22 Settembre: Kathmandu – Delhi

Ripartiamo per Delhi nella tarda mattinata. L’aeroporto ci sembra ancora più deprimente di quando siamo arrivati, soprattutto la zona imbarchi, compost5a da due sole sale d’aspetto e una specie di bar; i controlli per la sicurezza sono sempre più severi: stavolta veniamo perquisiti ben tre volte, l’ultima davanti alla scaletta dell’aereo.

*************

Continua in “Indian masala”



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche