Indian Masala

In giro per Delhi, il Rajasthan, Agra, Khajurao e Varanasi
Scritto da: Lyn
Partenza il: 02/09/2014
Ritorno il: 23/09/2014
Viaggiatori: viaggio di gruppo
Spesa: 3000 €

INFORMAZIONI PRATICHE

CAMBIO: A Settembre 2014 1 euro = 75 rupie indiane 1 euro = 120 rupie nepalesi

COSTI:

Per il tour 1800 euro a testa; viaggio di 19 giorni in India del Nord e Nepal, organizzato (non da noi) tramite un’agenzia locale per un gruppo di 13 persone; erano compresi nella quota il pernottamento in hotel 4 stelle, quasi tutti heritage, in trattamento di mezza pensione (colazione e cena), guida – accompagnatore locale parlante italiano, gli ingressi ai monumenti, bus privato per le visite e gli spostamenti, tre voli interni e un trasferimento in treno, diverse serate tipiche ed escursioni facoltative;

Per il volo intercontinentale 800 euro a persona a/r; data la necessità di muoverci tutti insieme, abbiamo prenotato anche noi il diretto Roma – Delhi (compagnia aerea China Airlines) ma scegliendo un volo con scalo si possono risparmiare anche 200 euro;

Per il visto indiano 92 euro a persona (visto fatto per tempo tramite un’agenzia specializzata);

Per il visto nepalese 25 dollari, pari a poco più di 22 euro (visto fatto direttamente in aeroporto, dietro presentazione del passaporto e di una fototessera);

Per l’assicurazione di viaggio 74 euro a persona (quota calcolatas u due viaggiatori);

Per le mance, in India calcolare 30 euro a persona, da dividere tra guida, autista e aiuto-autista, più 3 euro al giorno (raccolti dalla guida) per le piccole mance da dare a facchini, camerieri, ecc. e per una bottiglia d’acqua al giorno a testa; in Nepal 10 euro a testa per guida, autista e aiuto, e 5 euro a testa per le mance dei tre giorni;

Per il pranzo, calcolare una media di 5 euro a testa al giorno, un po’ di più in Nepal (noi abbiamo mangiato sempre in hotel e ristoranti turistici);

Per le bevande, il costo varia molto in base al luogo di acquisto: indicativamente, una bottiglia d’acqua naturale da mezzo litro costa tra 100 e 250 rupie, una birra tra 300 e 600 rupie, una cola o sprite tra 200 e 350 rupie;

Per foto e riprese, molti monumenti richiedono un supplemento: calcolate circa 100 rupie per la macchina fotografica e 200 per la cinepresa; tuttavia in molti siti consentono di fare foto e video con il cellulare gratuitamente;

La connessione internet, in quasi tutti gli hotel, è a pagamento: da 100 a 250 rupie l’ora in India, ben 600 rupie l’ora (cinque euro) nel nostro hotel nepalese.

PRECAUZIONI SANITARIE

Vaccinazioni

Noi abbiamo fatto: l’antitetano e l’antidifterite (gratuite), che si fanno insieme, e per chi è stato vaccinato da piccolo basta un richiamo; l’antitifo (costo 8 euro), tre pillole da prendere a giorni alterni almeno 15 gg. prima della partenza; l’antiepatite A e B: prima è necessario fare delle analisi specifiche per verificare se si hanno gli anticorpi (costo di circa 25 euro), se i risultati sono negativi bisogna vaccinarsi; il vaccino antiepatite B è gratuito, quello antiepatite A costa 15 euro, entrambi vanno fatti almeno un mese prima di partire; su suggerimento del medico della ASL non abbiamo fatto l’antimalarica, necessaria solo per soggiorni prolungati nell’India del Sud o in zone rurali.

Farmacia da viaggio

Antidiarroico (indispensabile), disinfettante e cerotti, medicine per il mal d’auto, collirio (soprattutto se si usano le lenti a contatto), repellente antizanzare, se si ha la pelle sensibile anche una pomata al cortisone da mettere sulle punture, per precauzione antibiotici, antidolorifici e antipiretici, più i medicinali di uso personale; sono utili le salviette umidificate e un gel disinfettante per le mani.

Non bere acqua non imbottigliata ed evitare le bevande con il ghiaccio; non mangiare verdure crude, frutta non sbucciata, carne o pesce poco cotte.

L’acqua degli hotel è filtrata, perciò può essere usata tranquillamente per fare la doccia e lavarsi i denti, l’importante è non ingerirla.

Nei templi induisti e giainisti e nella moschea di Delhi bisogna togliere le scarpe prima di entrare, spesso anche prima di accedere al cortile interno; i pavimenti sono abbastanza puliti, ed è sufficiente utilizzare delle salviette umidificate all’uscita: l’unica eccezione è il tempio di topi vicino a Bikaner, per il quale sono necessarie le buste di plastica; in molte parti controllano che non si abbia appresso gomme da masticare e fiammiferi o accendini: non sono controlli accurati, ma per non rischiare è meglio lasciare queste cose sul pullman.

Abbigliamento e varie

In settembre fa molto caldo e c’è molta umidità, perciò è meglio portare capi estivi in tessuti naturali; scarpe comode, meglio se chiuse per via della sporcizia; i tacchi sono immettibili fuori dagli hotel; da non dimenticare cappello e occhiali da sole, l’impermeabile se si va nella stagione dei monsoni, e un capo a maniche lunghe per il Nepal e per proteggersi dagli sbalzi di temperatura.

Non servono adattatori per le prese di corrente.

Portate una buona scorta di fazzolettini perché la carta igienica scarseggia, anche negli hotel.

L’India è un paese sicuro, basta prestare attenzione nei luoghi più affollati.

Ci si può vestire come si vuole, solo nei luoghi di culto è necessario un abbigliamento non troppo succinto.

Acquisti

A Jaisalmer gioielli in argento, artigianato in pelle e ossa di cammello, sciarpe di lana pashmina.

A Jodhpur tè, spezie e tessuti.

A Udaipur le miniature.

A Jaipur pietre preziose e abiti su misura.

Ad Agra il marmo intarsiato con pietre dure.

A Varanasi la seta.

In tutto il Rajasthan maschere, marionette, statue di legno e di ottone , oggetti di cartapesta.

In Nepal tè, mandala, campane, lavori in legno intagliato, sciarpe di lana pashmina, borse ricamate, collane etniche e bracciali di giada.

2 Settembre: partenza per l’India

L’“avventura” inizia alle dieci di sera davanti al cancello d’imbarco della compagnia aerea: siamo molto emozionati e anche un po’ nervosi, e non vediamo l’ora di arrivare a destinazione.

Appena saliamo a bordo mi arriva al naso l’odore inconfondibile di un ristorante cinese… “Cominciamo bene” penso, ma fortunatamente l’aereo è pulitissimo, e resterà tale anche dopo molte ore di volo. Le hostess sono bellissime e di una gentilezza estrema, il cibo (cucina cinese) è più che soddisfacente, e l’intrattenimento di bordo molto vario, anche se decisamente orientato verso i gusti della clientela asiatica. Purtroppo dormo poco e male, per via degli spazi ristretti e dell’aria condizionata al massimo, che mi fa gelare i piedi.

3 Settembre: arrivo a Delhi

Atterriamo a Delhi in perfetto orario, recuperiamo i bagagli, sbrighiamo le formalità doganali più velocemente del previsto e andiamo a cercare la nostra guida. L’aeroporto è enorme, ultramoderno e pieno di riferimenti alla cultura indiana, come le sculture che raffigurano delle mani nelle varie pose dei mantra.

Fuori lo scenario cambia radicalmente: fa molto caldo, il cielo è coperto e minaccia pioggia, e c’è un’umidità fortissima. Il tragitto verso l’hotel dura un’ora, e ci offre un primo, durissimo assaggio della realtà locale. Definire il traffico caotico è riduttivo: auto, bus, camion, tuk-tuk e motorini si contendono ogni metro libero, passano indifferentemente a destra e a sinistra, creando un gigantesco ingorgo, e suonano continuamente il clacson. Sui marciapiedi le persone, incuranti del trambusto, camminano, chiacchierano, siedono aspettando qualcuno o qualcosa, oppure mangiano presso chioschetti improvvisati cibi che noi non conosciamo; qualcuno addirittura dorme, sdraiato direttamente a terra senza neppure un cartone; molti uomini orinano contro il muro, e nessuno sembra farci caso. Ai semafori, bimbi piccolissimi chiedono l’elemosina infilandosi pericolosamente in mezzo ai veicoli. Sotto i cavalcavia sono allestite tendopoli improvvisate: tende fatte di plastica e bastoni, e vicino piccoli focolari attorno ai quali donne bellissime, avvolte nei loro sari colorati, preparano da mangiare in vecchie pentole. Sono immagini difficili da digerire, e ammetto di sentirmi sollevata quando giungiamo a destinazione.

L’accoglienza in hotel ci sorprende: collana di fiori, drink di benvenuto e salvietta bagnata per rinfrescarci (sarà così in tutti gli alberghi). La camera non è niente di che, vecchiotta, maleodorante, lenzuola e asciugamani puliti ma pieni di aloni (anche questa sarà una costante in tutti gli hotel) ma dopo quello che abbiamo visto venendo qui non è proprio il caso di lamentarsi.

Nel pomeriggio iniziamo la visita della città. Il cielo minaccia sempre pioggia e in un paio di occasioni ci fa tirare fuori l’impermeabile. Iniziamo da Connaught Place, la zona più elegante della città: ampi viali, verdi prati all’inglese pieni di scoiattoli ed edifici eleganti e ben tenuti, che ospitano il Governo, il Parlamento e i principali uffici amministrativi; facciamo una sosta davanti all’India Gate, monumentale arco di trionfo costruito in memoria dei soldati indiani caduti durante la Prima Guerra Mondiale.

Ci spostiamo nell’area archeologica del Qutb Minar, che ospita i resti di una moschea (da cui prende il nome) e di altri templi induisti e buddhisti. Il sito è molto bello e molto vasto, e lo visitiamo con calma. Particolarissima la colonna di ferro al centro del cortile che, sembra per la sua peculiare composizione chimica, non è mai arrugginita nonostante sia esposta alle intemperie da più di mille anni. Grazie al “consiglio interessato” di un guardiano facciamo anche una simpatica foto in cui sembriamo tenere il minareto per la punta. Appollaiati tra le rovine notiamo bellissimi pappagalli verdi, che contendono le nicchie sui muri agli onnipresenti scoiattoli.

4 Settembre: Delhi

La prima visita della giornata è la Old Delhi, la parte vecchia della città. Il contrasto con la parte nuova vista ieri è notevole: strade strette e sporche, edifici fatiscenti, un groviglio di cavi elettrici sopra le nostre teste, e scimmie che saltano da una casa all’altra aggrappandosi a questi cavi. La visita non si fa a piedi ma a bordo dei risciò, carrozzelle a due posti attaccate a una bicicletta; il giro dura circa un’ora, anche se procediamo quasi sempre a passo d’uomo; siamo nella zona del mercato, circondati da altri risciò, bici, motorini, poche macchine, carretti carichi all’inverosimile; i negozi sono divisi per settore (la strada dei tessuti, quella dei libri, ecc.) e lungo i marciapiedi c’è un gran viavai di passanti; non mancano i punti di ristoro, che spesso sono ridotti a un tavolo, un fornello e un pentolone. A metà percorso sostiamo per la visita della Moschea del Venerdì, la più grande dell’India, con uno scenografico cortile circondato da colonne, capace di ospitare 25000 persone.

Lasciamo la Vecchia Delhi e andiamo a vedere il moderno tempio Bahai, dalla caratteristica forma a fiore di loto, la cui architettura ricorda l’Opera House di Sydney. In accordo ai principi dei Bahai, che sostengono la sostanziale uguaglianza dei precetti alla base delle religioni più importanti, il tempio è del tutto aconfessionale: niente statue, fiori o simboli religiosi, solo un ambiente unico con molte panche, e al centro un tavolo con funzioni di altare e pulpito; all’interno vige la regola del silenzio, perciò nonostante il gran numero di visitatori vi regna la tranquillità più assoluta.

Vicino al tempio Bahai si trova l’Iskon Temple, dedicato a Krishna, il Dio dell’amore, e abbiamo la fortuna di visitarlo mentre è in corso una cerimonia. Qui l’atmosfera è completamente diversa; le raffigurazioni delle divinità sono molto lontane dalle nostre immagini sacre: le statue sono poco realistiche, spesso colorate, adorne di petali e collane di fiori, e i sacerdoti le cospargono d’incenso e le bagnano persino con del latte; nel frattempo i fedeli, disposti in file, agitano le mani, fanno inchini al Dio e intonano delle preghiere accompagnati da una musica cantilenante, suonata rigorosamente dal vivo; il tutto in un continuo viavai di persone, che non infastidisce i fedeli e non toglie nulla alla sacralità del rito. Anche noi, inizialmente frastornati, ci immergiamo nell’atmosfera e cerchiamo di imitare i loro gesti, e loro ci guardano con simpatia e provano a spiegarci cosa fare. Davanti all’ingresso assistiamo a un rito per propiziare la nascita di figli; al centro del cortile si trova la statua del Dio, mentre a terra è tracciato un ampio cerchio, lungo il quale sono disegnate delle stelle a intervalli regolari: le donne saltano da una stella all’altra recitando una preghiera, fino a compiere un giro completo.

Ultima visita il tempio Shri Laxmi Narayan, uno dei principali templi induisti di Delhi. Qui conosciamo le divinità principali di questa religione: la Triade formata da Brahma il Creatore, Vishnu il Protettore e Shiva il Distruttore; la Dea Parvati, moglie di Shiva, venerata anche come Durga e Kali; Ganesh, il Dio elefante figlio di Shiva e Parvati, portatore di fortuna e prosperità; e Hanuman, il Dio scimmia emblema della forza. Nonostante le dimensioni, il tempio si rivela molto tranquillo; anche qui incontriamo fedeli induisti in preghiera, che ancora una volta non si mostrano disturbati dalla nostra presenza e anzi ci sorridono e salutano. In questo tempio riceviamo la prima benedizione: ci avviciniamo alla statua di Vishnu, e un sacerdote intinge l’anulare in una polvere rossa e tocca la nostra fronte lasciandovi il tradizionale puntino rosso, chiamato “bindi”

5 Settembre: Delhi – Mandawa

Partiamo alla volta del Rajasthan, dove arriveremo domani. Questa sarà la giornata più difficile del viaggio. Piove anche oggi, la strada principale è interrotta perché alluvionata, e la deviazione che percorriamo attraversa piccoli paesi allagati; in alcuni punti la strada non è asfaltata, e le ruote del bus slittano nel fango; in altri la carreggiata è così stretta che, quando due veicoli si incrociano, uno è costretto a uscire fuori strada per far passare l’altro. Il viaggio si protrae molto più del previsto, e temiamo seriamente di non arrivare a destinazione in tempo. Gli Indiani, al contrario di noi, prendono tutto con molta calma, e camminano, mangiano, fanno la spesa e lavorano con l’acqua alle caviglie come se fosse la cosa più normale del mondo (del resto, devono esserci abituati). Notiamo tantissimi rifiuti in giro: non ci sono cassonetti, e tutto viene gettato a terra e forma dei cumuli dove gli animali vanno a pascolare; anche le persone sembrano indifferenti alla spazzatura, vi camminano sopra, vi mangiano persino accanto, e poi buttano per terra gli avanzi di cibo; non si tratta di una situazione strettamente legata alla povertà: persone di ogni estrazione sociale si comportano allo stesso modo, e la sporcizia si accumula indifferentemente davanti alle case più belle e a quelle più modeste, nonché davanti a scuole, uffici pubblici e stazioni di polizia. I centri abitati non hanno una vera pianificazione urbanistica, vi è semplicemente una strada principale, dove si trova la maggior parte delle attività commerciali, e tante stradine secondarie, spesso non asfaltate. La campagna, invece, è verdissima: molti campi, coltivati a cereali, sono lavorati da gruppi di donne, sempre vestite con il sari. Qua e là si vedono fornaci per la produzione di mattoni. Incrociamo diversi pastori, riconoscibili dal turbante rosso, che guidano mandrie di mucche, o greggi di pecore e capre; e famiglie di nomadi che si spostano su dei carretti con tutti i loro averi. Il traffico è meno caotico rispetto alla città, ma sempre indisciplinato: auto e camion suonano il clacson e sorpassano quasi senza guardare, i pedoni attraversano come se la strada fosse vuota, le mucche si piazzano in mezzo alla carreggiata a mò di spartitraffico, e l’unico modo per non investirle è scansarle, anche a costo di uscire fuori strada. Ma incredibilmente, né oggi né nei giorni successivi vedremo incidenti.

Arriviamo a Mandawa solo alle diciotto. Questo piccolo paesino, tappa intermedia nel lungo viaggio verso il Rajasthan, non offre nulla ad eccezione di alcune haveli, in gran parte abbandonate; entriamo in una delle poche ancora abitate, ma la visita non è granché interessante, se non per la possibilità di “sbirciare” nella vita quotidiana delle famiglie che la abitano; dal tetto dell’edificio si gode comunque di una bella veduta del paese e delle campagne circostanti. A Mandawa faccio anche il primo acquisto indiano, un paio di bellissime infradito in cuoio lavorate a mano, per appena 600 rupie (circa otto euro).

In hotel veniamo accolti addirittura dai tamburi, e facciamo una bella foto con i musicisti in costume tradizionale. La struttura, composta da una serie di bungalow, è molto bella e immersa nel verde, peccato solo per i molti insetti, i piccioni nella hall e le ranocchiette lungo i viali, ma l’India è anche questo. Dopo cena assistiamo a un gradevole spettacolo di marionette tradizionali: le battute sono in Hindi, ma capiamo comunque che racconta la storia di due principi che combattono per il cuore della loro dama, e per questo si sfidano a duello a dorso dei loro dromedari.

6 Settembre: Mandawa – tempio Karni Mata – Bikaner

Lasciamo Mandawa diretti in Rajasthan. Il tempo finalmente migliora, così come la strada. Incontriamo altri pastori con le loro mandrie, e notiamo piccole collane portafortuna legate alla base delle corna degli animali. A bordo strada vi sono grosse giare piene d’ acqua, messe a disposizione dei passanti dalla gente del posto. Ci colpiscono molto gli autobus locali: oltre ai passeggeri che viaggiano a bordo ci sono parecchi “clandestini” che, per non pagare il biglietto, si arrampicano sul tetto dei mezzi, nello spazio normalmente destinato ai bagagli; ovviamente la legge proibisce questo modo di viaggiare, ma molti continuano a farlo, e gli autisti fingono di non vedere.

Prima di giungere a Bikaner facciamo una deviazione per visitare il famoso tempio dei topi di Deshnoke. Entriamo dopo aver avvolto i piedi in buste di plastica. I roditori sono migliaia, scuri e grassottelli, molti malaticci, e scorrazzano liberamente dappertutto; fortunatamente non salgono sui piedi, ma è impressionante vederseli attorno. I fedeli, scalzi e incuranti di escrementi e residui di cibo, spargono zuccherini in giro e versano latte in grandi ciotole, nelle quali vanno a bere anche trenta topolino per volta; qualcuno bagna addirittura le dita in queste ciotole e succhia il latte come forma di benedizione. Sopra il cortile sono stese delle reti per impedire agli uccelli rapaci di cacciare le sacre bestioline: queste reti, però, non impediscono l’accesso ai piccioni, che approfittano del bendidio a disposizione dei roditori. Nella parte più interna percorriamo uno stretto corridoio delimitato da ringhiere, ai piedi delle quali molti topi dormono (ma forse qualcuno è morto…) e bisogna fare attenzione a non calpestarli; in fondo c’è una stanzetta con la statua della divinità, una ciotola piena di granaglie e dei sacerdoti a cui i fedeli porgono le offerte. Uscendo ci accorgiamo della miriade di insetti che svolazzano e saltellano in giro, e una volta fuori controlliamo accuratamente di non averne nessuno tra i capelli o nelle pieghe dei vestiti. La visita di questo tempio non è per tutti, ma merita perché aiuta a capire meglio l’India e gli Indiani.

Arriviamo a Bikaner in meno di un’ora e visitiamo subito il forte Junagarh, di un incredibile colore rosso. L’interno, che ospita un museo, è interessante e molto ben restaurato, pieno di angoli caratteristici: la struttura (comune a tutti i forti rajastani) ha diversi piani, con zone separate per uomini e donne, per il Maharaja, per gli ospiti, per la servitù, e ogni ala ha un proprio cortile, spesso con una vasca d’acqua al centro; le sale interne sono quasi vuote, ma pareti e soffitti risplendono di affreschi, specchi e maioliche colorate; fra tutti i forti visitati questo rimarrà il mio preferito. All’uscita incrociamo una scolaresca in visita, e ci intratteniamo un po’ con loro, cosa tutt’altro che difficile dato che gli Indiani sono molto socievoli e parlano un ottimo inglese.

L’hotel di stanotte è ospitato in un’ala del palazzo in cui risiede l’attuale Maharaja, e il trattamento che ci viene riservato è principesco: all’arrivo ci vengono offerti anche dolcetti e frutta secca; la nostra camera è praticamente un appartamento, due camere da letto, bagno, salotto e guardaroba; la cena è ottima, e per la prima volta troviamo carne di montone nel buffet; dopo cena visitiamo la struttura, costruita nello stesso stile del forte: ci colpisce soprattutto la sala del biliardo, letteralmente tappezzata di pelli di tigre, teste di cervo e altri trofei di caccia. Infine assistiamo a uno spettacolo di musica e ballo di primissimo livello, superiore persino a quello, previsto come extra, che vedremo a Jaipur; mi cimento anche in qualche passo di danza tradizionale, con scarsi risultati ma molto divertimento.

7 Settembre: Bikaner – Jaisalmer

Oggi affrontiamo il lunghissimo trasferimento verso Jaisalmer, attraverso il deserto del Thar. Fa sempre molto caldo, ma il clima è più secco. La verde campagna dei giorni scorsi lascia il posto a una brulla distesa di sterpaglie e pochi alberi. Incrociamo molti dromedari, che in questa zona sostituiscono i cavalli. Arriviamo a destinazione poco prima del tramonto. Ci fermiamo ai piedi del forte Sonar, e ammiriamo lo spettacolo del sole che tinge le mura di un bel colore dorato: per questo Jaisalmer viene chiamata la città d’oro.

8 Settembre: Jaisalmer e deserto del Thar

Partiamo presto per evitare le ore più calde della giornata. Visitiamo per primo il lago Gadi Sagar, un piccolo specchio d’acqua considerato sacro dove vivono moltissimi pesci-gatto: i locali non solo non li pescano, ma addirittura li nutrono, come forma di venerazione; appena si getta del pane in acqua, accorrono decine di esemplari, che lottano per accaparrarsi i bocconi sollevando molti schizzi d’acqua. Al centro del lago sorge un piccolo tempietto che dà un tocco romantico al panorama.

Il forte Sonar, dove andiamo subito dopo, sorge sulla cima di un’altura e somiglia più a un borgo fortificato. E’ l’unico forte rajastano ancora abitato, e questo crea non pochi problemi di stabilità: le infiltrazioni d’acqua hanno formato un’evidente traccia di umidità alla base della collina che ha già causato dei crolli, e la situazione non può che peggiorare; il Governo cerca di convincere la popolazione a trasferirsi altrove, ma l’alto numero di turisti che arriva ogni giorno e la conseguente prospettiva di guadagno rappresentano un forte incentivo a restare: per questo si chiede ai visitatori di non acquistare nulla all’interno delle mura. Saliamo a piedi la ripida rampa di accesso: sotto l’arco d’ingresso moltissimi pipistrelli dormono indisturbati. Una volta entrati, sembra di fare un viaggio all’indietro nel tempo: ci sono negozi di tutti i tipi, dal barbiere al fornaio al sarto, ma anche una rivendita di cellulari; giriamo tra le bancarelle del mercato, fotografando sia la merce esposta che i venditori nei loro abiti tradizionali; nei vicoli vediamo alcune donne intente a lavare i loro bambini all’aperto, gettando l’acqua in una canaletta di scolo ai margini della strada; molte mucche sono sedute al centro della strada e ostacolano il passaggio, ma a nessuno la cosa sembra dare fastidio; molti bambini e molti venditori di souvenir ci seguono, ma non sono troppo assillanti; sopra le nostre teste, le facciate dipinte e i balconi traforati delle moltissime haveli offrono uno spettacolo incredibile. Entriamo anche in due templi giainisti: a differenza di quelli induisti, questi luoghi di culto sono più raccolti, prevalentemente al chiuso, composti da più ambienti sorretti da colonne riccamente lavorate; dentro le nicchie, o allineate lungo le pareti, si trovano le statue dei Profeti, coloro che hanno insegnato al mondo la dottrina giainista: sono raffigurati come dei Buddha, ma con gli occhi aperti e un segno verticale in mezzo al petto. Prima di lasciare il forte assistiamo allo spettacolo di una giovanissima equilibrista che, aiutata dalla madre, cammina e salta su una corda tesa a due metri da terra, con una pila di vasi di terracotta sulla testa.

Ci spostiamo nella città nuova, e visitiamo due haveli convertite in negozi di souvenir: anche se si tratta di una visita molto turistica, è comunque piacevole visitare l’interno di queste antiche abitazioni, ed è meglio che siano utilizzate in questo modo che abbandonate come a Mandawa; in più, dai tetti si gode di una spettacolare vista sul forte.

Torniamo in hotel e sfruttiamo la pausa per un bagno in piscina.

Usciamo di nuovo verso le quattro, per il tramonto sulle dune. Arriviamo ai margini del deserto e facciamo una divertente cammellata di circa mezz’ora. La zona delle dune di sabbia è piuttosto ridotta, e c’è molta gente tra turisti, cammellieri e venditori vari, ma per me che non ero mai stata nel deserto questo luogo sembra magico, e riesco a godere pienamente di ogni momento.

9 Settembre: Jaisalmer – Jodhpur

Andando verso Jodhpur il paesaggio ritorna verdissimo e il clima si fa di nuovo umido. Arriviamo a destinazione nel primo pomeriggio. Notiamo sul fianco della montagna una lunghissima cinta muraria, vagamente somigliante alla Grande Muraglia cinese, che si arrampica quasi fino alla cima offrendo un bellissimo colpo d’occhio: pensiamo che si tratti del forte, ma in realtà sono i resti di una struttura più antica. Il forte Merangarh è di certo il più scenografico: è appollaiato a nido d’aquila su uno sperone roccioso, in posizione dominante sulla vallata circostante. Saliamo (con l’ascensore, per fortuna…) fino alla sommità, da cui si gode un bellissimo panorama sulla “città blu”, anche se le case di questo colore sono concentrate soprattutto nel quartiere più vicino al fiume, dipinte così per tenere lontane le zanzare. Sullo sfondo si staglia l’imponente residenza dell’attuale Maharaja. Quindi visitiamo l’interno del forte, meno interessante di quello di Bikaner: anche qui è ospitato un museo, il cui pezzo forte è la vasta collezione di portantine. Incontriamo ancora scolaresche e visitatori indiani, con i quali ci fermiamo a chiacchierare.

Vicinissimo al forte visitiamo un cenotafio, che oltre ad essere una bellissima costruzione è circondato da un giardino molto curato e incredibilmente pulito, frequentato anche dalle famiglie del posto. Su consiglio di un signore inglese, scendiamo sulle rive di un piccolo lago di origine monsonica appena fuori dal complesso: come in un documentario, siamo circondati da moltissimi uccelli di varie specie, che cercano cibo in acqua e sulla riva, e si comportano come se noi non ci fossimo.

Andiamo quindi in città nella zona del mercato, per acquistare spezie e tessuti, prodotti per i quali Jodhpur è famosa. Giriamo diversi negozi di tessuti che riforniscono le case di moda occidentali, dove è possibile acquistare stoffe, sciarpe e biancheria per la casa di ottima qualità e a prezzi vantaggiosi. Poi sostiamo in un negozio di spezie, consigliato da tutte le guide e i siti di viaggio, e acquistiamo vari tipi di curry, tè aromatizzati e oli essenziali.

10 Settembre: Jodhpur – Ranakpur – Udaipur

Partiamo per Udaipur, che si trova in una zona di montagna. Attraversiamo uno scenario completamente diverso da quelli visti finora, fatto di colline, corsi d’acqua, boschi e numerose colonie di scimmie.

Arriviamo al tempio giainista di Ranakpur verso mezzogiorno. Le regole per la visita sono molto rigide: abbigliamento decoroso, niente scarpe, né cinture e oggetti in cuoio, e accesso negato alle guide per rispetto al silenzio del luogo. Il tempio, in marmo bianco, è spettacolare, soprattutto le sue colonne scolpite, più di ottocento; un po’ inquietanti le statue dei Profeti, i cui occhi di vetro brillano sinistre all’interno delle celle buie in cui sono posizionate. Evitiamo con cura il santone che cerca di convincere i turisti a farsi benedire in cambio di una mancia.

Usciti dal tempio ci fermiamo a fotografare un gruppetto di scimmie sedute sotto un albero; a prima vista sembrano socievoli e si lasciano avvicinare facilmente, ma in un attimo posso diventare aggressive: una di loro, dopo aver preso tutto il cibo che una ragazza le stava dando, ha iniziato a ringhiare e le ha tirato una zampata sul viso, per fortuna senza conseguenze; sono anche molto dispettose, e cercano di strappare ciò che si ha in mano, perciò è bene fare attenzione.

Dopo il pranzo in un grazioso rifugio di stile alpino proseguiamo verso Udaipur, dove arriviamo in serata. L’hotel, fuori città, ha un’atmosfera tetra e verrà ribattezzato “l’albergo di Dracula”: le parti comuni sono piene di arredi pacchiani e oggetti bizzarri, al punto da sembrare le sale di un museo, mentre le camere sono vecchiotte, hanno mobili scuri, quasi neri, e sono piene di candele; sopra il letto c’è persino un pannello dipinto con figure che sembrano demoni… Ma non siamo superstiziosi e ci facciamo una bella risata.

11 Settembre: Udaipur

Udaipur è considerata la città più romantica dell’India, e molti personaggi famosi vengono a sposarsi qui. Rispetto alle altre località visitate finora, è pulita e abbastanza tranquilla.

Andiamo anzitutto al Lake Palace, una delle tre residenze del Maharaja, che sorge sulle rive del lago ed era abitata nel periodo invernale; la seconda, che si trova in mezzo al lago ed era abitata nel periodo estivo, ospita un hotel di lusso; la terza sorge in cima a una montagna, era abitata nel periodo dei monsoni per cercare riparo dalla forte umidità, e attualmente non è visitabile. Il Lake Palace somiglia a una reggia europea, per gli arredi lussuosi e i saloni adorni di specchi e dipinti, e anche i cortili interni sono molto belli. Pure qui è ospitato un museo, il cui tema è la storia della città: ci colpisce in particolare la storia di Chetah, il cavallo di un Maharaja, che scendeva in battaglia camuffato da elefante, con tanto di proboscide finta legata sul muso, per confondere i nemici; sono esposte anche molte miniature, tipiche di questa città: si tratta di dipinti complessi, ricchi di personaggi e di dettagli, che vengono realizzati con pennelli molto sottili, fatti anche con due peli soltanto. Dalle finestre del palazzo si gode una splendida vista del lago e della città, chiamata “la bianca” per il candore dei suoi edifici. Infine, visitiamo la parte dove vengono celebrati i matrimoni vip: l’area della cerimonia, quella per il ricevimento, e le sale dove sono esposti la carrozza e gli altri ornamenti d’argento usati in queste occasioni.

Usciti dal palazzo ci imbarchiamo per un giro di un’ora sul lago Pichola. Anche se fa piuttosto caldo la gita è piacevole, e permette di apprezzare i contrasti di questa città, fatta di splendidi edifici ma anche di ghat dove la gente del posto fa il bagno e lava i panni. A metà percorso scendiamo su un’isoletta e pranziamo nel bel cortile di un palazzo trasformato in bar.

Torniamo in hotel nel primo pomeriggio, e dato il tempo a disposizione né approfitto per fare un trattamento ayurvedico shirodara, cioè un massaggio al corpo con spezie e oli profumati, più un massaggio rilassante alla testa che viene effettuato facendo colare dell’olio al centro della fronte, per riattivare i centri energetici; il trattamento dura un’ora e costa appena 35 euro, la metà di ciò che avrei pagato in Italia.

Nel tardo pomeriggio usciamo per una passeggiata sul lungolago. Sostiamo in un laboratorio di miniature, dove ammiriamo la maestria di questi artisti. Ci spostiamo poi in un ristorante per la cena tipica, dove, con nostra grande gioia, ci viene servito anche del pesce. Chiudiamo la serata con una foto con lo sfondo del lago.

12 Settembre: Udaipur – Jaipur

La giornata di oggi è soprattutto di trasferimento. In mattinata attraversiamo ancora le montagne, e sul tardi ci fermiamo presso le rovine di un tempio comunemente chiamato “della suocera e della nuora” (in realtà questo appellativo deriva da un’errata trascrizione del suo vero nome). Il tempio è molto bello, in riva al fiume e circondato dai boschi, e soprattutto è poco turistico e possiamo visitarlo con calma; si compone di un edificio principale e di alcuni tempietti più piccoli; l’esterno è decorato con bassorilievi, mentre l’interno è buio e spoglio.

Nel pomeriggio torniamo in una zona pianeggiante, e ritroviamo i villaggi e i campi coltivati.

All’arrivo a Jaipur, una megalopoli con 8 milioni di abitanti, rimaniamo imbottigliati nel traffico, e ci mettiamo più di un’ora per raggiungere il nostro hotel, ospitato in un’haveli ristrutturata; le camere e gli ambienti comuni sono molto curati, e nella nostra stanza c’è addirittura un piccolo baldacchino.

Prima di cena ci rechiamo in una sartoria vicina, dove mi faccio confezionare un abito tradizionale indiano composto da casacca e pantaloni, scegliendo modello e tessuto, per soli 40 euro (il vestito verrà consegnato in albergo il giorno dopo). Noi femminucce né approfittiamo anche per provare il classico sari: si tratta di un’unica stoffa, lunga sei metri, che ci viene drappeggiata addosso con grande abilità, in due fogge differenti; le indiane lo portano sopra una gonna e una maglietta corta, noi lo proviamo sopra i vestiti. Una volta pronte posiamo per una bellissima foto ricordo.

13 Settembre: Jaipur

Oggi ci aspetta una giornata impegnativa.

Al mattino visitiamo il forte Amber, pochi chilometri fuori città. E’ un posto molto turistico, e non appena scendiamo dal bus veniamo circondati da una moltitudine di venditori che non ci dà tregua fino all’ingresso. Non appena si entra c’è la fila di elefanti in attesa di caricare i turisti: si sale su una piattaforma, l’elefante si avvicina e ci si siede in due su ogni animale, sopra una portantina, lateralmente e con le gambe penzoloni; poi un addetto abbassa la sbarra di sicurezza e si parte. Il giro dura un quarto d’ora, gli animali vanno piano e sono mansueti, ma non capisco perché sia consentito ai motorini di salire per questa strada e passarci in mezzo. Per la loro tutela e per la sicurezza dei turisti, ogni elefante può effettuare una sola salita al giorno, due nei mesi freddi, e solo al mattino. Durante il tragitto vengono scattate delle foto, che si possono acquistare all’uscita a un prezzo irrisorio. Il percorso è molto panoramico: si vedono il fiume, la città, le montagne sull’altra sponda, e dei giardini sull’acqua coltivati in modo tale da sembrare, visti dall’alto, dei mosaici a disegno geometrico. Per scendere, l’elefante si avvicina a una zona rialzata e delle persone ti aiutano a rimetterti in piedi.

Il forte è molto vasto e ricco di affreschi; dalle sue finestre si ammirano splendidi panorami della zona circostante; la parte più bella è la grande sala dedicata alla danza, che ha il soffitto e le pareti ricoperti di specchi piccoli e grandi che, riflettendo la luce delle candele, creavano uno sfondo d’effetto per i ballerini.

Prima di uscire ci fermiamo a osservare un incantatore di serpenti che si esibisce nel famoso numero del cobra che si alza dalla cesta seguendo l’ondeggiare del flauto.

All’uscita siamo di nuovo assaliti dai venditori, ma stavolta per poco, perché saliamo subito su delle jeep che in pochi minuti ci riportano al pullman.

Torniamo nel centro di Jaipur. Notiamo i molti palazzi color salmone, soprattutto lungo la via principale, che giustificano l’appellativo di “città rosa”. Su tutti spicca il Palazzo dei Venti, che in realtà è solo una facciata: si tratta di una parete traforata, che copre diversi balconi su più piani, costruita per consentire alle donne che vivevano nel Palazzo Reale di guardare all’esterno senza essere viste dalla strada; in molti forti del Rajasthan ci sono strutture simili, ma nessuna è paragonabile a questa per bellezza: peccato solo che si trovi in un punto molto trafficato dove non è possibile fermarsi, perciò siamo costretti a guardarla solo dal bus.

Il City Palace di Jaipur è la tappa successiva. Anche questa è l’ex residenza del Maharaja locale trasformata in museo. La sua architettura, in arenaria rosa, è piuttosto semplice e spoglia, soprattutto se confrontata con lo scenografico forte Amber. Anche il museo, che espone principalmente armi, non ci è sembrato molto interessante: i pezzi più importanti sono senza dubbio le due enormi giare in argento usate da un Maharaja per trasportare l’acqua del Gange (in cui faceva il bagno ogni giorno) in Inghilterra in occasione di una visita ufficiale; mi hanno colpito anche delle armi a forma di forbice, che venivano conficcate e poi aperte per squarciare le carni, con una terza lama che all’apertura era spinta in avanti e dava un ulteriore fendente; e poi delle carabine lunghe oltre cinque metri.

Vicino al City Palace si trova l’Osservatorio Astronomico: fu fatto costruire a fine ‘800 da un Maharaja appassionato di stelle, e ospita numerose costruzioni, scale collegate a scivoli, meridiani solari ed emisferi scavati nel terreno, in grado di calcolare l’ora con uno scarto di pochissimi secondi (noi stessi abbiamo potuto verificarlo), di determinare le fasi lunari e il movimento dei pianeti; ci sono persino dodici strutture, una per ogni segno zodiacale, usate lo studio delle costellazioni e gli oroscopi. La visita è interessantissima, ma sono le due del pomeriggio e siamo sotto un sole cocente, perciò né usciamo stremati.

Dopo qualche ora di riposo usciamo di nuovo per recarci in una gioielleria: Jaipur, infatti, è una delle capitali mondiali delle pietre preziose. Ovviamente la qualità costa, ma ci sono molti pezzi bellissimi in argento, smalti e pietre semipreziose, di ottima fattura e a prezzi accessibili.

Chiudiamo la serata in un’altra bella haveli del centro. Ceniamo, poi ci spostiamo in giardino per assistere a uno spettacolo di danze tradizionali: prima due ballerine danzano accompagnate da tamburi e strumenti a corda, poi una delle due si esibisce in prove di equilibrio con una pila di vasi di terracotta sempre più alta sulla testa, infine veniamo coinvolti anche noi, e accenniamo alcuni passi disposti in cerchio, per poi chiudere con un vero e proprio girotondo.

14 Settembre: Jaipur – Fathepur Sikhri – Agra

Partiamo di buon’ora perché ci attende un’altra giornata impegnativa. La strada per Agra attraversa una regione dove l’attività principale è l’estrazione del marmo e di altre pietre usate nell’edilizia, e lungo il percorso notiamo molte cave e molte attività commerciali che vendono materiale da costruzione. Purtroppo ci sono anche molti camion che trasportano lastre di marmo e blocchi di pietra in condizioni di assoluta precarietà, e poiché non sempre è possibile sorpassarli facciamo il viaggio a una velocità molto bassa tenendoci a debita distanza.

I camion indiani sono molto caratteristici: la maggior parte è dipinta a colori vivaci, spesso con motivi floreali o simboli geometrici, talvolta con vere e proprie scene di vita, e tutti hanno sul retro l’immancabile scritta “horn please”, oppure “blow horn”, che invita a suonare il clacson; le cabine sono piene di amuleti, spesso appesi anche agli specchietti laterali, e in alcuni casi si vedono veri e propri altarini con la statua della divinità e le offerte che le sono state fatte.

Arriviamo a Fathepur Sikhri nel primissimo pomeriggio. La città, in arenaria rossa e abbandonata pochi anni dopo la sua costruzione, è praticamente intatta, ma il gran caldo e il degrado del sito (il gran numero di cani randagi e l’odore insopportabile di urina negli ambienti chiusi) rendono la visita un po’ pesante.

Proseguiamo per Agra e sostiamo anzitutto al Forte Rosso, che ci sembra molto simile a Fathepur Sikhri; le parti più belle sono l’imponente bastione di accesso, e la “prigione” fatta costruire dal Maharaja per un figlio o fratello pretendente al suo stesso regno: un padiglione in marmo bianco, con vasca da bagno privata e vista impareggiabile sul fiume.

Il momento più atteso della vacanza arriva a fine giornata. Per visitare il Taj Mahal bisogna lasciare il pullman a parecchia distanza dal sito e raggiungere l’ingresso con un minibus elettrico (per limitare l’inquinamento e preservare il candore dell’edificio); al cancello veniamo perquisiti, e le borse controllate, per accertare che non abbiamo con noi accendini, fiammiferi, gomme e tabacco da masticare (molto usato dagli Indiani).

Una volta entrati, l’emozione è fortissima: il mausoleo è esattamente come appare sulle foto, di un bianco accecante e riflesso perfettamente nella vasca che ha davanti. Purtroppo ci sono migliaia di visitatori, ma è così ogni giorno a ogni ora. Dopo le (innumerevoli) foto di rito ci avviciniamo per visitare l’interno: è il tramonto, e le pareti diventano di un caldo color miele; in cielo volano decine di uccelli, noi credevamo che fossero piccioni ma in realtà sono uccelli rapaci (e lo zoom della fotocamera ce lo conferma). Prima di entrare indossiamo delle soprascarpe di plastica, che riconsegneremo all’uscita. Dentro è molto buio; le pareti interne sono intarsiate con pietre preziose e semipreziose di ogni colore, e le guide vi appoggiano contro delle piccole torce (gesto vietato ma, ahimè, ampiamente tollerato dai sorveglianti) per evidenziare la loro trasparenza; per via della penombra vediamo comunque molto poco, probabilmente una visita mattutina avrebbe reso più giustizia all’interno del monumento. Molto fastidioso è anche il rimbombo delle voci in un ambiente dal soffitto altissimo. Usciamo nella terrazza sul retro, e finalmente possiamo goderci il Taj Mahal con un po’ di tranquillità. Restiamo fin quando è possibile, e percorriamo la via del ritorno praticamente girati, per assaporare fino all’ultimo questo momento unico.

L’hotel di Agra risulterà il peggiore della vacanza, non per il livello della struttura, simile agli altri heritage, ma per il piccione che troviamo in camera, e per la mezz’ora persa da un cameriere nel tentativo (inutile) di farlo uscire, prima che si decidessero a cambiarci la stanza.

15 Settembre: Agra – Orchha

Lasciamo la citcità del Taj Mahal in treno: la nostra destinazione è la stazione di Jhansi, da cui proseguiremo per Orchha in bus.

Vedere una stazione indiana è un’altra esperienza da fare. I treni sono il mezzo di trasporto pubblico più usato in India, nonostante sia lento e perennemente in ritardo. Ogni treno ha almeno venti vagoni, e il costo del biglietto varia enormemente dalla prima alla terza classe, in modo da essere alla portata di tutti. Le stazioni sono frequentate da persone di ogni estrazione sociale, dai più benestanti che vestono in maniera impeccabile e sfoggiano gioielli e orologi costosi, ai poveri diavoli che dormono sui cartoni coperti dalle mosche. Fortunatamente non ci sono topi, “solo” scimmie e uccelli vari. Vedere i facchini che trasportano le nostre pesantissime valige in equilibrio sulla testa ci colpisce molto, ma è il loro modo di lavorare, se hanno scelto di fare così piuttosto che trascinarle avranno le loro ragioni…

Il treno non è nulla di speciale ma è pulito e confortevole, e compresa nel costo del biglietto c’è anche una tazza di tè. Il viaggio dura 4 ore e mezza, incredibilmente il ritardo è limitato a meno di un’ora. Un’altra ora di bus e raggiungiamo Orchha.

Nel pomeriggio visitiamo il Jehangir Palace, in realtà due diversi palazzi collegati tra loro. Il luogo, purtroppo, è in totale stato di abbandono e a serio rischio di crollo, un vero peccato sia per i bellissimi affreschi delle sale interne, sia per la splendida vista sul fiume e sui templi circostanti che si gode dall’ultimo piano. Il complesso è enorme, quasi labirintico, e si può girare in assoluta libertà.

Al termine facciamo una passeggiata nel centro di Orchha, solo un paesino, che però non ha molto da offrire.

16 Settembre: Orchha – Khajuraho

Giornata di trasferimento, quindi sveglia comoda e partenza nella tarda mattinata.

Raggiungiamo Khajuraho nel primo pomeriggio. L’hotel è in stile occidentale, e dopo giorni di lucchetti e chiavistelli, di mobili d’epoca e bagni vecchiotti, fa piacere entrare in una stanza dall’arredamento moderno, che si apre con la scheda e non con una pesante chiave di ferro.

Nel pomeriggio andiamo a piedi nel centro di Khajuraho. Per tutto il tragitto siamo “scortati” da autisti di tuk-tuk che cercano di convincerci a salire sui loro mezzi, e procacciatori di negozi di souvenir che vogliono portarci nelle loro attività: non saliamo e non compriamo nulla, ma facciamo amicizia con questi ragazzi, che parlano benissimo l’italiano e sono molto curiosi nei nostri confronti.

Anche Khajuraho non è molto grande, però è decisamente più turistica di Orchha: oltre a molti negozi, per turisti e per Indiani, ci sono tante bancarelle lungo la strada principale, che vendono, tra le altre cose, polveri colorate, usate con dei timbri per la decorazione dei tessuti (almeno, io ho capito questo…); braccialetti di vetro colorato, fragilissimi, che le Indiane portano a decine sui polsi; e formati vari della nostra pasta, anche in colori improbabili, che non so se vengano mangiati o usati come decorazioni. Su un lato della via principale si trova un lago in condizioni pietose, ricoperto di ninfee, pieno di rifiuti e con l’acqua melmosa, ma nonostante questo le persone vi si lavano e vi fanno il bucato.

Torniamo in hotel che è ormai buio, nonostante siano solo le diciannove, soli perché i nostri accompagnatori sono rimasti in paese. La strada non è pericolosa ma è completamente al buio, e siamo costretti a farci luce con i telefonini.

17 Settembre: Khajuraho – Varanasi

Partiamo presto sia per evitare il caldo che per non far tardi in aeroporto.

Iniziamo la visita dai Templi Occidentali, noti in tutto il mondo per i bassorilievi a sfondo erotico scolpiti sulle pareti esterne. Ci sono diversi edifici simili tra loro, che differiscono solo per le dimensioni; la parte più interessante è quella esterna, mentre gli interni, anche se lavorati, sono bui e spogli dato che i templi non sono più in funzione; le sculture sono moltissime e sono effettivamente molto esplicite, ma molte scene si ripetono e le 64 posizioni di cui parlano le guide ci sembrano esagerate. Il complesso è immerso in un giardino molto curato, e nonostante la calca si visita tranquillamente.

Il gruppo dei Templi Orientali, giainisti, situato a poca distanza, è decisamente più tranquillo; questi templi sono più semplici, e sono, almeno in parte, ancora aperti al pubblico: noi né visitiamo uno, famoso perché ospita una statua di granito di dimensioni imponenti, però non regge minimamente il confronto né con Ranakpur né con i templi di Jaisalmer, e in più il pavimento è disseminato di chicchi di riso che danno parecchio fastidio mentre si cammina.

Nel primo pomeriggio partiamo per Varanasi. L’aeroporto è piccolo e strapieno, e il check-in è piuttosto caotico. Per la paura di attentati terroristici di matrice pakistana, i controlli sono molto severi: veniamo perquisiti fisicamente da un poliziotto, che controlla anche il contenuto delle tasche; tutti i bagagli a mano vengono attentamente esaminati al metal detector, spesso anche aperti, e poi contrassegnati con un’etichetta che viene timbrata e ricontrollata al momento dell’imbarco. Il volo dura appena 40 minuti; voliamo con la compagnia nazionale di bandiera: l’aereo è certamente vecchiotto, ma non particolarmente sporco o maleodorante, e non c’è traccia degli scarafaggi di cui qualcuno aveva parlato sul web.

Dopo esserci sistemati in hotel, una struttura moderna nella parte nuova della città, usciamo per assistere alla puja (preghiera) serale. Varanasi merita di essere vista anche solo per il percorso di avvicinamento alla riva del fiume: a un certo punto scendiamo dal bus e saliamo su un risciò vecchio e malandato, e anche piuttosto stretto; la “pedalata” dura circa un’ora; il traffico, mano a mano che ci avviciniamo, si fa sempre più convulso: in alcuni punti procediamo a passo d’uomo, in altri l’autista, per recuperare tempo, pedala a più non posso, facendoci ballare sulle strade sconnesse e piene di buche; agli incroci siamo circondati da auto, tuk-tuk e motorini che cercano di infilarsi da ogni parte, stringendoci in modo talvolta pericoloso; e poi ci sono il rumore assordante e ininterrotto dei clacson, i mille colori dei negozi e delle bancarelle a bordo strada, la puzza dei gas di scarico… E’ inevitabile essere un po’ storditi quando si scende. L’ultimo tratto si percorre a piedi, in mezzo a una fiumana di pellegrini, turisti e venditori di souvenir, cercando di non perdere di vista il gruppo e al tempo stesso di non pestare qualcosa di indesiderato (ma questo è praticamente impossibile…) e non inciampare in qualche buca o gradino. Alla fine arriviamo sui ghat e saliamo sopra un terrazzino, da dove possiamo osservare la cerimonia al meglio.

Sotto di noi sono allestiti sette piccoli altari sormontati da un arco, e davanti a ogni altare c’è un sacerdote; tutti e sette compiono contemporaneamente gli stessi gesti: bruciano incensi, spargono polveri e petali di fiori, accendono candele su un supporto a forma di albero di natale e le agitano con movimento ondulatorio; ogni gesto viene compiuto in tutte le direzioni, e per questo i sacerdoti girano lentamente su sé stessi; infine si avvicinano all’acqua, che peraltro è piena di barche con sopra altri fedeli e turisti, e vi gettano petali e polveri colorate; il tutto è scandito dal ritmo di gong, campanelli e strumenti a fiato.

La cerimonia in sé non dura molto, ma non ha un orario d’inizio fisso ed è impossibile dire quanto tempo ci vuole per arrivare, per questo è meglio muoversi con anticipo, anche per trovare un buon punto di osservazione. Alla fine del rito tutta la gente si riversa per la strada, creando una calca ancora maggiore di quella presente al nostro arrivo. Fortunatamente il ritorno in risciò è più breve e più tranquillo perché, data l’ora, c’è meno traffico, e arriviamo presto a destinazione. Siamo tanchi e frastornati, ma soprattutto euforici, e non dimenticheremo mai questa serata.

18 Settembre: Varanasi

Levataccia e partenza alle cinque del mattino: ci attende il giro in barca sul Gange. La città è irriconoscibile rispetto alla sera prima: le strade sono deserte, le attività commerciali chiuse, sui marciapiedi qualcuno dorme e qualcun altro, già sveglio, aspetta che si faccia giorno; anche i risciò sono fermi, e i loro autisti addormentati. C’è povertà in giro, però meno di ciò che mi aspettavo: evidentemente il programma di aiuti governativi per i più indigenti, i cosiddetti “intoccabili”, di cui avevo letto tempo fa, ha prodotto qualche risultato positivo.

Sulla riva del fiume c’è più animazione. Vediamo delle nicchie votive che la sera prima ci erano sfuggite, dove i fedeli portano offerte e recitano preghiere. Molti Indiani si recano al fiume per le loro attività mattutine, e molti turisti fanno lo stesso per “spiare” queste attività.

Saliamo su un barcone a motore e iniziamo la navigazione: è l’alba, e il sole alle nostre spalle si alza lentamente in cielo; il Gange (che gli Indiani chiamano Ganga, al femminile) ha delle acque marroni e torbide, ben poco invitanti, nonostante il periodo post-monsonico sia quello migliore perché la corrente è più forte. Accostiamo (senza scendere) davanti al ghat delle cremazioni, proprio nel momento in cui stanno per accendere una pira; il morto è un uomo oppure una vedova (si capisce perché il cadavere è avvolto in un lenzuolo bianco); il corpo viene deposto sopra la catasta di legna, poi un uomo, secondo la tradizione il figlio maggiore quando muore il padre, il figlio minore quando muore la madre, compie sette giri intorno alla salma e accende il fuoco dal lato della testa; gli altri parenti (tutti maschi, perché solo agli uomini è consentito partecipare ai funerali) si tengono in disparte; tutti rimarranno lì fino a quando la legna non sarà completamente bruciata: a quel punto le ceneri vengono gettate nel fiume; capita che vengano messe in acqua parti incombuste del cadavere (quando il deceduto non ha soldi sufficienti per una buona quantità di legna) ma noi non abbiamo visto nulla di simile. Il posto è molto degradato, sembra quasi una discarica, e non mancano le mucche che brucano tra i resti; ci arriva l’odore della legna bruciata, e qualcuno crede di sentire anche quello della carne; assistiamo in silenzio a uno spettacolo che non dovrebbe essere tale, ed è un sollievo allontanarsi da lì.

Costeggiamo il fiume e osserviamo la gente del posto, ma anche qualche europeo incosciente, che si bagna nel fiume, prega, si lava i denti, si insapona, si cambia gli abiti; uomini e donne sono gli uni accanto agli altri. Verdiamo dei santoni seduti a meditare su piattaforme più isolate, nella posizione classica dello yoga. I sacerdoti salutano la Madre Ganga con offerte e preghiere, accompagnati dalla solita musica cantilenante. Ci fermiamo anche davanti ai cosiddetti ghat dei lavandai: ogni mattina, in ogni quartiere, persone che fanno questo lavoro raccolgono casa per casa indumenti e biancheria sporca; i panni vengono lavati nel Gange e poi stesi ad asciugare sull’erba (ma anche su terra battuta e pavimenti di pietra), con gli scoiattoli che ci camminano sopra e gli uccelli che possono lasciarvi i loro “ricordini”; una volta asciutti vengono stirati, e la sera riconsegnati ai legittimi proprietari. E questo accade ogni giorno non solo a Varanasi ma in tutte le città dell’India: adesso capiamo perché lenzuola e asciugamani, anche se puliti, hanno sempre degli aloni… Varanasi vista dall’acqua, però, mostra anche i suoi templi, che ai turisti sono interdetti, e le splendide case, oggi in rovina, fatte costruire in passato da anziani benestanti per trascorre nella città sacra i loro ultimi giorni.

Sbarchiamo e facciamo una passeggiata tra i vicoli della città vecchia, non più sporchi e malandati di quelli della Old Delhi, ma più tranquilli, forse per l’ora. Entriamo in un centro di assistenza ai poveri gestito dalle Suore Missionarie della Carità, l’ordine religioso fondato da Madre Teresa di Calcutta: non è un ospedale, e nemmeno un ospizio, ma una casa dove poveri e malati sono accolti, nutriti e curati, in un ambiente semplice e molto dignitoso.

Torniamo in hotel a metà mattina, riposiamo e nel primo pomeriggio usciamo nuovamente per visitare la città nuova. Come tra vecchia e nuova Delhi, anche tra vecchia e nuova Varanasi c’è un abisso: strade ampie, edifici moderni, parchi, e la sensazione di essere in un altro Stato. Entriamo anzitutto nel complesso dell’Università Induista, frequentata principalmente da studenti di questa fede e dedita allo studio, tra le altre materie, dei testi sacri induisti, i Veda, e del Sanscrito, la lingua in cui sono scritti. Entriamo nel tempio, dove il sacerdote impartisce le benedizioni, e poi osserviamo a rispettosa distanza una lezione di yoga che si svolge in uno dei padiglioni del giardino.

Ci spostiamo quindi nel sito archeologico di Sarnath. Del vasto complesso originario è rimasto soltanto uno stupa, costruito sul luogo dove il Buddha tenne la sua prima predica: ancora oggi, i fedeli vengono qui in pellegrinaggio e, nonostante sia vietato, appiccicano sottili foglie d’oro sulle sue mura; come tutti gli stupa, anche questo non è costruito per essere visitato ma come tomba per le reliquie del Buddha (presenti però soltanto negli edifici più sacri), perciò non vi entriamo ma vi giriamo intorno in senso orario. Oltre a questo, vi sono soltanto le basi circolari di altri due templi, e quelle quadrate o rettangolari degli edifici in cui vivevano i monaci.

Vicino al sito si trova il museo archeologico, piccolo ma molto interessante, che ospita soprattutto sculture e bassorilievi raffiguranti divinità induiste: il pezzo più significativo è un grosso capitello raffigurante i quattro leoni considerati l’emblema dell’India, che si trova esposto nella sala principale; a farci compagnia durante la visita ci sono anche diversi piccioni.

Sempre vicino allo stupa si trova un tempio buddhista in attività; il complesso si compone di due parti: lo stupa, molto piccolo rispetto a quello del sito, circondato dalle ruote di preghiera, e la sala dove si trova la statua del Buddha, che fa parte del monastero; i fedeli si recano allo stupa e girano attorno ad esso, facendo muovere le ruote in senso rigorosamente orario, poi entrano nella sala e si dedicano alla meditazione (ma c’è anche chi si riposa e chi fa uno spuntino). Anche noi non ci sottraiamo al giro intorno allo stupa, e poi entriamo nella sala, affrescata con scene che raccontano la vita del Buddha. La sua statua dorata, posta al centro della parete di fronte all’ingresso, ha gli occhi socchiusi e il lobo dell’orecchio sinistro allungato.

Ultima tappa della giornata è un laboratorio tradizionale per la lavorazione della seta: osserviamo i tessitori, tutti uomini, al lavoro sugli antichi telai di legno, che grazie a un sistema di cartoncini traforati riescono a separare e intrecciare i fili per formare i disegni; oltre ai classici foulard si possono acquistare anche tovaglie, arazzi, borse e biancheria per la casa, dai colori e disegni tipicamente indiani.

Torniamo in hotel e passiamo la serata a chiudere le valige: domani partiremo per il Nepal.

19 Settembre: Varanasi – Kathmandu

Ci muoviamo sul tardi, visto che il volo è nel primo pomeriggio. In più, il nostro aereo ha un ritardo di due ore, e dobbiamo rassegnarci a una lunga attesa. L’aeroporto non è piccolo come quello di Khajuraho ma offre comunque poco. I controlli di sicurezza sono sempre molto severi.

Continua nel Diario di viaggio Nepal, Kathmandu e la sua valle

*************

22 Settembre: Kathmandu – Delhi

… Il volo dura circa un’ora e mezza; voliamo con una low cost su un velivolo decisamente più nuovo e pulito di quelli della compagnia di bandiera. Arrivati in India siamo nuovamente avvolti da un caldo asfissiante.

Usciamo per la cena in un ristorante tipico situato in un parco popolato da cervi. La zona in cui il locale si trova mi è sembrata molto degradata; il parco di sera non si vede, perciò non posso giudicarlo; i cervi vivono in un recinto e vengono attirati dagli inservienti con del pane, sono comunque bellissimi e si vedono molto bene; il cibo è ottimo e vario. Piccola digressione sulla cucina indiana: non c’è un ordine in cui le pietanze vengono servite, tutti i cibi sono portati contemporaneamente e serviti nello stesso piatto; la scelta comprende carne di pollo (immancabile), a volte carne ovina e, più raramente, pesce, poi verdure, in particolare un piatto di spinaci e formaggio chiamato “pakoora”, e il “paneer”, un tipo di formaggio prodotto senza caglio e perciò adatto ai vegetariani, cucinato in umido; tutte le pietanze sono molto speziate e sugose, e per questo vengono accompagnate con del riso in bianco, che serve proprio a raccogliere queste salsine; talvolta viene preparato anche come riso saltato, che può essere “biryani” se cucinato con il pollo, “pulao” se vegetariano; immancabile è il “dhal”, la zuppa di lenticchie; il tipo di pane consumato varia nelle varie parti dell’India: noi abbiamo provato il “naan”, una specie di piadina cotta al forno, e una sottile sfoglia croccante fatta con farina di legumi e spezie chiamata “pappar”; piatti come le “samosa” sono un tipico cibo da strada, e si trovano talvolta nei buffet; i dolci non sono memorabili: molto buoni sono il kulfi, sorta di gelato speziato, e le “jalebi”, frittelle dolci coperte di miele; meno buoni (per i miei gusti) le “rasgulla”, palline di formaggio coperte di sciroppo dolce, l’ “halva”, una sorta di polenta dolce arricchita da frutta secca, e poi una vera e propria pastina dolce, cotta nel latte invece che nel brodo, di cui non ricordo il nome; le bevande tipiche sono il “chai”, te speziato e latte, e il “lassi”, yogurt diluito con acqua, zuccherato e arricchito con frutta.

23 Settembre: rientro in Italia

È il momento di ritornare… Viaggio tranquillo, volo interminabile nonostante l’ampia scelta di film e musica, la malinconia si impadronisce già di noi… È stato un viaggio incredibile, in un Paese realmente diverso dal nostro, dallo stile di vita occidentale e da quello simil-occidentale della maggior parte degli Stati (Nepal incluso); i monumenti sono bellissimi, ma passano in secondo piano davanti allo “spettacolo” della gente e della loro vita quotidiana; non credevo che un viaggio potesse cambiarmi così tanto ma è successo: ho imparato a essere più rilassata nella vita di ogni giorno, e a non dare per scontate tante piccole comodità. Non vedo l’ora di tornare in India per visitare anche gli stati del Sud.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche