Namibia: paese che non smette di stupire
PARTENZA IL 14 /06 /06 VENEZIA – FRANCOFORTE – JOHANNESBURG – WINDHOEK Compagnia aerea : LUFTHANSA- SOUTH AFRICA AIR LINE 2° GIORNO giovedì 15 giugno WINDHOEK Sbarchiamo a Johannesburg dopo 10 ore circa di volo tranquillo e abbastanza confortevole: l’aereo era quasi vuoto e ogni passeggero aveva a disposizione 3 posti trasformati ben presto in un comodo letto. Dobbiamo aspettare alcune ore in aeroporto prima di ripartire per Windhoek.
Tutto si svolge in perfetto orario.
Ad attenderci c’è un driver alla guida di una LAND ROVER dal quale,dopo aver scambiato poche parole, veniamo a conoscenza che quella jeep sarà il nostro importantissimo mezzo di trasporto durante la permanenza in Africa.
Il cielo è sereno con un sole splendente, ma non fa caldo: spira un leggero vento che rinfresca l’aria, ci siamo dimenticati che, pur trovandoci al Tropico del Capricorno, siamo in pieno inverno.
Arriviamo, dopo una mezz’ora di tragitto, nel centro della città e precisamente all’agenzia per la consegna dell’auto. Una impiegata italiana del tour Operatour al quale ci siamo affidati ci consegna i documenti di viaggio e ci illustra l’itinerario, fornendoci alcune pratiche informazioni per muoverci senza difficoltà in un paese a noi sconosciuto. Qui perdiamo parecchio tempo per la consegna dell’auto: chiediamo nel contratto chilometraggio illimitato, la copertura completa dell’assicurazione ( collision damage waiver – theft loss waiver in caso di danni al veicolo e di furto), la fornitura di due ruote di scorta ; inoltre, controlliamo attentamente lo stato “di salute” della carrozzeria. L’auto ci viene consegnata in riserva di carburante, con nostro stupore che subito nei primi giorni si rivelerà fondato, nonostante le apparentemente convincenti giustificazioni del responsabile dell’agenzia.
Finalmente si parte per raggiungere la pensione Steiner, dove trascorriamo la nostra prima notte in Africa. L a pensione è ubicata in un posto tranquillo in pieno centro della città; all’interno c’è un parcheggio custodito anche di notte da un guardiano e un giardino dove si elevano rigogliose alcune acacie e crescono numerose piante grasse.
Ormai è pomeriggio inoltrato, decidiamo di fare un rapido giro in centro a piedi. La città, situata a 1650 m di altitudine, appare molto ordinata, più europea che africana con moderni edifici che sovrastano sui tetti delle case ancora in stile bavarese. Siamo senza dollari namibiani perché le banche riaprono l’indomani e abbiamo poca benzina nel serbatoio. Alla sera – si fa per dire perché alle 5,30 p.M. Tramonta il sole e poco dopo è buio – andiamo alla ricerca di un locale tipico segnalato da diverse guide, Joe’s Beerhouse . E’ abbastanza facile girare in città, perché il traffico è limitato e le vie sono bene indicate; lo troviamo subito. Si tratta di un locale imperdibile con suppellettile in stile etnico: la grande sala presenta lunghi tavoli di legno scuro dove trovano sistemazione più avventori ed è adornata con trofei di caccia, a ricordo della Namibia coloniale. Mangiamo dell’ottima carne alla griglia.
3° GIORNO venerdì 16 giugno da WINDHOEK a KEETMANSHOOP 500 km Ci alziamo alle 7 per fare colazione, in realtà sono le 6 locali: ci siamo confusi con l’ora e dobbiamo aspettare in giardino che venga aperta la sala. La banca è ancora chiusa, nel frattempo facciamo provvista di acqua e di frutta in un fornitissimo supermarket di frutta e verdura.
Finalmente si parte in direzione Sud sulla B1 fino a Keetmanshoop, dove arriviamo all’imbrunire.
Dopo un centinaio di km, a metà strada tra Mariental e Windhoek, ci imbattiamo in un cartello che segnala il Tropico del Capricorno: è impossibile resistere alla tentazione di scattare una foto con la nostra jeep.
Il paesaggio che ci accompagna ai lati della strada è tipico del predeserto: erba secca e arbusti spinosi interrotti ogni tanto da qualche coraggiosa acacia africana. All’orizzonte, di quando in quando, appare il profilo di alture di forma compatta erose dagli agenti atmosferici.
Si respira un’ atmosfera d’Africa fortemente coinvolgente, lo sguardo spazia senza ostacoli a tutto tondo dandoci una forte sensazione di infinito. Durante il tragitto incrociamo 3 auto di numero con nostra fortuna perché la B1 è di terra battuta, come la maggior parte delle strade namibiane . Prima di entrare in città, abbandoniamo la B1 per immetterci sulla C 17 e raggiungere la foresta dei kokerboom nella proprietà Gariganus. Il kokerboom appartiene alla famiglia delle aloe e cresce solitario in luoghi aridi e rocciosi soprattutto nella Namibia meridionale e solo in questa area si trova una “foresta”. I kokerboom sono conosciuti come alberi–faretra, dal termine inglese quivertree, perché i Boscimani utilizzavano i loro rami leggeri, svuotati della fibra interna, come faretra per le frecce.
Il momento del tramonto sottolinea i contorni di questa aloe dai rami a ventaglio rivolti verso l’alto, esaltati dalla petraia circostante priva di vegetazione.
Prima che il buio scenda, raggiungiamo il Canyon Hotel dove pernottiamo: si tratta di un albergo informale, ma abbastanza confortevole situato nel centro della città, piccola e anonima con qualche edificio a ricordo del suo trascorso storico. Consumiamo la cena in uno strano locale: alle pareti pannelli rossi si intervallano a tende nere, creando una atmosfera da horror fugata subito dalla cortesia quasi servile di una cameriera di colore.
4° GIORNO sabato 17 giugno da KEETMANSHOOP a CANYON LODGE 220 km Sveglia alle 6 e colazione alle 6 e 30.
PARTENZA per FISH RIVER CANYON seguendo la B4 per Seeheim, da Seeheim si segue la C 12 fino a Haloog. Da Haloog si prende la C 37. Lungo strada ci accompagna un paesaggio predesertico ora più arido ora punteggiato da cespugli aghiformi che si alterna con una savana soleggiata, interrotta da aloe solitarie e da cespi di euforbia rigogliosa che interrompono la monotonia del paesaggio. Deviando per la D545, raggiungiamo la diga HARDAP: il lago artificiale, creato dallo sbarramento del corso settentrionale del fiume Fish, costituisce un polo di attrazione per numerosi uccelli.
Non abbiamo molto tempo a disposizione, valutiamo che ha senso pagare il biglietto solo se si resta per una intera giornata, tuttavia prima di girare l’auto, facciamo un tentativo con il guardiano che presenta una faccia paciosa. Con una mancia ci autorizza a fare un rapido giro all’interno. Il luogo si presenta piuttosto scenografico: attraversiamo a piedi la sommità della diga. Il panorama intorno si presenta in forte contrasto con l’aridità della savana circostante, il grande specchio di acqua dolce è ricco di uccelli per la gioia dei birdwatchers. Riprendiamo la nostra corsa verso il Fish River Canyon, dopo questa pausa rilassante soprattutto per gli occhi. A destra e a sinistra si staglia sullo sfondo il profilo di alture dalla forma di tavolati : sembra che l’appiattimento della sommità sia opera dell’uomo, tanto è rigoroso e perfetto.
Lungo strada facciamo sosta in una stazione di servizio con annesso posto di ristoro.
Si ha l’impressione che le categorie spazio- tempo qui abbiano acquisito una dimensione diversa da quella in cui siamo abitualmente calati. Non abbiamo trovato nel tratto di strada percorso anima viva. Siamo felici: finalmente ci siamo riappropriati della gestione del nostro tempo, l’Africa offre anche l’opportunità di ridare un livello umano alla vita.
All’aperto sotto gli alberi e piante grasse assai carnose consumiamo un frugale lunch .
Nel primo pomeriggio arriviamo al Parco privato del Gondwana Canyon Lodge. Dopo poche centinaia di metri un incontro inatteso: un cobra nero ci attraversa la strada. All’improvviso si erge impettito fulminandoci con uno sguardo circospetto perché abbiamo osato entrare nella privacy del suo territorio. A proposito, ma non ci avevano raccontato che i rettili in questo periodo dell’anno sono in letargo? Arriviamo al Canyon Lodge: la posizione è incantevole. Si tratta di mirabile esempio di struttura costruita in consonanza con l’ambiente circostante, l’impatto ambientale è ridotto al minimo, solo in vicinanza del lodge si riesce a distinguerlo dalle rocce circostanti. Come altri lodges, consiste in un corpo centrale, dove si consumano i pasti e in bungalows isolati costruiti tra enormi graniti che costituiscono le pareti interne; i tetti sono di paglia. L’atmosfera è accogliente e molto gradevole.
Ci liberiamo dei bagagli e iniziamo la visita dei dintorni. In questo ambiente arido e inospitale vivono piante che si sono adattate come l’aloe dichotoma e l’euforbia. Il panorama si offre ai nostri occhi in tutta la sua grandezza spettacolare, una faglia profonda incide l’altopiano estremamente arido, dando luogo a formazioni di superba bellezza, nella gola sottostante scorre un corso d’ acqua la cui portata varia a seconda delle stagioni. Il Fish River Canyon è formato da due spaccature di origine diversa, la più antica e ampia si è formata molti milioni di anni fa in seguito a movimenti tettonici; la seconda ha origine dall’opera di erosione del fiume dopo la glaciazione di circa due milioni di anni fa. Raggiungiamo in auto i vari punti di osservazione consigliati dalle nostre guide: Sulphur Spring View Point e South Eagle’s Rock Point, da qui si può spaziare con lo sguardo nella spaccatura sottostante del canyon.
Una antica leggenda del luogo narra che un enorme serpente infestava anticamente queste zone, divorando il bestiame. I contadini, stanchi di subire le angherie da parte dell’animale, decisero di dargli la caccia. Il serpente, sentendosi braccato, cominciò a strisciare come impazzito per mettersi in salvo: nel suo tentativo di fuga scavò il canyon interno.
Verso le 5 p.M. Il tramonto; visto dal sunset point il Canyon appare a 180° nella imponente maestosità: la luce de tramonto conferisce a questi luoghi una atmosfera surreale, le pareti di roccia che abbracciano ad anfiteatro l’apertura della gola si accendono di rosso dai toni caldi che tende a smorzarsi via via che la sfera del sole si allontana alla nostra vista.
Lungo il corso del fiume si snoda un percorso di trekking di circa 80 km che si copre mediamente in 5 giorni : si tratta, comunque, di un’esperienza faticosa che va affrontata con una guida esperta e con molta prudenza. In una zona senza punti di approvvigionamento viene offerta ai trekkers la possibilità di calarsi in un ambiente selvaggio, portando con sè tutto il necessario.
Di sera, la temperatura si abbassa di parecchi gradi dopo una giornata calda. Consumiamo la cena in una atmosfera da fiaba, scegliendo una sistemazione vicina al camino che si innalza al centro della stanza. 5° GIORNO domenica 18 giugno FISH RIVER CANYON e AI-AIS Tempo bello come al solito, ma l’aria è pizzichevole sulla pelle. Percorriamo all’interno del parco la strada in direzione sud verso l’estremità meridionale del canyon e raggiungiamo la stazione termale di Ai-Ais che si apre fra le montagne. Una sorgente di acqua calda che fuoriesce dal sottosuolo, nota alle popolazioni locali già dall’età della pietra, è sfruttata a fini turistici; la strada finisce in un modesto complesso residenziale con piscina termale, un campeggio e un albergo: nulla di eccezionale , insomma.
Si riparte: lungo il percorso di strada sterrata, un predeserto che varia continuamente, ora si presenta a striature rosse ora gialle, a seconda della povera flora che vi cresce, sfruttando l’umidità della notte. All’orizzonte si staglia nitido il profilo di alture rocciose o di sabbia. Arriviamo al confine con il Sudafrica segnato dal fiume Orange. Vicino al posto di frontiera , lungo la riva del fiume appartenente alla Namibia, facciamo sosta presso un campeggio: è abitato solo da un solitario turista sudafricano con la sua tenda e che in quel momento della giornata sta facendo bucato e stendendo i panni al sole.
Le acque del fiume sono limacciose , ai suoi bordi crescono canneti e altre piante palustri; sull’altra riva, già in territorio sudafricano, formazioni montuose erose dagli agenti atmosferici.
Ritorno prima del tramonto al nostro lodge per non perdere la vista del sole che si tuffa nel canyon; da quando abbiamo messo i piedi in territorio africano non manchiamo all’appuntamento con il tramonto: ognuno ha un fascino diverso e la capacità di suggerire sensazioni nuove a seconda dello stato d’animo del momento. Quando arriviamo al lodge, è già buio e fa parecchio freddo, si ha la sensazione che la temperatura all’interno del bungalow non sia differente da quella esterna, tanti sono gli spifferi che entrano da tutte le parti. La cena a buffet si svolge in un’atmosfera calda, fortunatamente il caminetto scoppiettante intiepidisce l’ambiente e noi prendiamo posto ancora una volta in modo da avere il fuoco di fronte durante la consumazione del pasto. Prima di affrontare l’ultima notte al canyon, buttiamo lo sguardo verso l’alto: la scarsità dell’illuminazione intorno ci permette di godere della vista di un cielo che noi non conosciamo. In un blu “ notte” risplendono un numero infinito di punti luminosi, tra i quali si distingue chiaramente la Via Lattea. 6° GIORNO lunedì 19 giugno FISH RIVER CANYON – LUDERITZ 421 km Partiamo alle 7 e 30, riprendiamo la B4 e proseguiamo verso ovest per Luderitz. Passiamo attraverso distese di savana con erbe gialle che ondeggiano al vento, da lontano sembrano campi di spighe pronte per la mietitura. La zona si mostra ricca di animali, avvistiamo soprattutto antilopi in gruppi numerosi. Non incontriamo anima viva, solo qualche cartello segnaletico è indice della presenza anche umana.
Ci fermiamo ad Aus a fare benzina: la piccola città, oggi punto di rifornimento per chi prosegue verso Luderitz , ha dietro di sè un certo passato di storia legato alla prima guerra mondiale, quando i Sudafricani vi installarono un campo di concentramento per soldati tedeschi.
Nel primo pomeriggio arriviamo a Luderitz, isolata alla fine della strada, quasi un enclave all’interno della zona diamantifera, la Sperrgebiet, proibita ai viaggiatori e ci dirigiamo subito al nostro Nest Hotel, che si affaccia sull’oceano. Dalle stanze che ci vengono assegnate si gode una vista di apertura sul mare, punteggiato da numerosi pescherecci pronti a ripartire per la pesca notturna. Il viaggio ci ha stancati, tuttavia, dopo aver ripreso fiato, partiamo alla scoperta della città.
La città è caratteristica e richiama un passato tedesco: le case con i tetti a punta presentano la tipica architettura tedesca di un paese su un porto del Baltico, il profilo della Felsenkirche, la vecchia chiesa luterana e le insegne con scritte in tedesco fanno pensare ad una località della Germania perduta tra il deserto del Namib e le coste dell’Atlantico.
La striscia di terra su cui sorge la ridente cittadina fu acquistata nel1883 da un mercante di Brema, Franz Adolf Luderitz, attirato dalla pescosità dell’oceano e dal guano depositato da alcuni uccelli marini su isolotti. Le cose non andarono bene come il mercante aveva sperato, dopo pochi anni lui scomparve in un viaggio verso Sud e la colonia continuò a sopravvivere. In seguito, la scoperta dei diamanti segnò la fortuna e la maledizione della città: qui si assistette ad una folle corsa alla ricerca della ricca pietra preziosa. I diamanti che venivano raccolti di notte perché brillavano alla luce della luna attirarono avventurieri da ogni parte, fino a quando l’Amministrazione coloniale tedesca concesse ad alcune società i diritti di estrazione, costituendo la Sperrgebiet, zona diamantifera impenetrabile, dove si trovano i più grandi giacimenti mondiali di diamanti.
Facciamo un giro verso la costa a sud, con la speranza di avvistare i fenicotteri rosa; purtroppo la strada è invasa dall’acqua e non è percorribile Con l’aiuto di alcuni locali riusciamo a trovare una strada alternativa non molto agevole, che corre in mezzo al deserto . Non è facile orientarsi perché il tracciato della strada sparisce, le indicazioni si riducono a qualche cippo risalente ad epoca non definita, inoltre l’ora del tramonto si sta avvicinando. Si torna indietro con il proposito di rifare il percorso l’indomani.
Ceniamo a base di ottimo pesce in un ristorantino con terrazza sull’oceano.
7° GIORNO martedì 20 giugno Luderitz e dintorni Partenza alle 7 e 30 per visitare le baie intorno a Luderitz. Arriviamo a Agata Beach, una lunga spiaggia interrotta da dune, dove si trovano tanti ciotoli colorati. La solitudine del luogo invita a fare una passeggiata sulla striscia di sabbia granulosa, piena di conchiglie. A pochi metri da noi avvistiamo un cucciolo di foca , alla nostra presenza si ferma per un po’, quasi per lasciarci il tempo di scattare alcune foto di rito, poi strisciando goffamente sul bagnasciuga, raggiunge il mare e il gruppo dal quale si è allontanato. Di fronte ad Agata Beach si trova l’isola di Seal Island, segnalata dalle mappe locali con l’immagine della foca, da cui le deriva il nome.
Raggiungiamo l’altra parte della baia, punteggiata da piccole insenature: Griffith Bay, Sturmvogel Bucht. La strada costeggia le lagune dove numerose varietà di uccelli d’acqua si danno appuntamento .
Ai nostri occhi si presenta un paesaggio lunare, da una parte il mare che si infrange rumorosamente sulla costa e sullo sfondo il deserto a striature più o meno rossastre a seconda del colore della sabbia. Fa caldo, il sole comincia a scottar, l’acqua del mare è gelida a causa della corrente fredda del Benguela: non si può arrivare sin qui senza provare il piacere di immergere piedi e gambe in quel liquido trasparente. Non riusciamo a raggiungere il Diaz Point perché l’acqua ha invaso la strada per parecchi metri , sul promontorio dove approdò Bartolomeo Diaz nel Natale del 1488 , ora si trova una copia della croce originale .
Si torna in albergo. Dal terrazzo della stanza si gode un panorama di quelli da ricordare nelle malinconie delle nostre uggiose giornate di autunno inoltrato. Il sole ancora alto nel cielo sfrangia la sua luce nel mare dando l’impressione di scaglie lucide in movimento sulla sua superficie, mentre alcuni pescherecci sono ormeggiati nella baia in attesa della partenza notturna.
Consumiamo il pasto serale nel ristorantino della sera precedente: il posto è delizioso e si è mangiato troppo bene per aver voglia di cambiare; per tutti questi motivi più che validi si decide all’unanimità di non tentare la sorte. 8° GIORNO mercoledì 21 giugno LUDERITZ – SESSRIEM 480 km Da Luderitz si ritorna sulla B4 fino ad Aus, poi si prosegue sulla C13 fino a Helmringhousen e da qui sulla C27 fino a Sessriem. Durata dello spostamento : 8 h.
Quando da Ais giriamo a sinistra in direzione nord sulla C13, da una parte e dall’altra si apre una distesa di predeserto che si alterna a savana, abbracciata da un anfiteatro di alture dalle forme più svariate. Lo stesso vento che da una parte addolcisce i contorni, dall’altra li rende più scavati.
Il paesaggio varia: quando iniziamo a costeggiare il Namib Naukluft Park:, un parco di 5 milioni di ettari, la più grande riserva naturale d’Africa, massicci montuosi dai contorni marcati lasciano spazio ora a distese desertiche ora a dune molto alte.
A metà pomeriggio arriviamo al Kulala desert lodge. Anche in questa splendida struttura viene ripresa la tipologia del lodge. Piccole casette perfettamente inserite nel contesto naturale da diventare parte integrante del paesaggio, con tetto di paglia sono sparpagliate sul terreno di una farm privata, poggiano su un impiantito di legno elevato dal terreno e hanno le pareti in parte in muratura in parte tende. Prima del tramonto raggiungiamo Sessriem per ritirare all’entrata del parco i permessi per l’indomani. Sessriem, segnato anche sulle carte geografiche, consiste in 2 o 3 edifici di dimensioni modeste, un ufficio per l’entrata al parco, un market di alimentari e una pompa di benzina.
In Namibia i parchi aprono i cancelli all’alba e chiudono al tramonto: anche noi ci siamo adattati senza difficoltà alla scansione del tempo seguendo i ritmi offerti dalla natura, ci si alza alle 6 circa , ci si mette in attività durante il periodo di luce solare, si consuma il pasto serale verso le 6e 30 quando è già buio e si va a riposare verso le 8e 30.
Ritorniamo al Kulala quando ormai il sole sta per terminare la sua parabola discendente : la vista che ci viene offerta dal momento del giorno fa ammutolire. Le dune si tingono di svariate sfumature di rossi. La cena si consuma in una atmosfera calda e accogliente: incontriamo un gruppo di toscani abbastanza rumorosi, accompagnati da una guida nei vari spostamenti .
Anche l’interno del lodge è curato nei particolari e all’ospite viene riservata una attenzione continua. 9° GIORNO giovedì 22 giugno NAMIB DESERT SOSSUSVLEI Ci alziamo presto per vedere l’alba, prima di partire ci accorgiamo che il serbatoio della nostra jeep perde benzina abbondantemente. Un po’ preoccupati, raggiungiamo in fretta il parco del Namib, entrando a Sessriem.
Il Namib viene considerato uno dei più antichi deserti del mondo e ha un’estensione pari al territorio del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta.
Percorriamo la parte centro-meridionale del parco, seguendo l’unica strada tracciata che , purtroppo, è asfaltata. Ai lati dune di sabbia interrotte da rare depressioni, alla luce mattutina il naturale colore rosso delle dune dovuto alla presenza di ossido di ferro che riveste i granelli di sabbia, si accende in una colorazione che va dall’albicocca al rosso. Sembra di entrare in una atmosfera di magie: la strada segue l’antico tracciato del fiume che un tempo scorreva verso l’Atlantico; ai lati le dune costituiscono delle muraglie naturali con strane geometrie che accompagnano i crinali .
Richiamano alla mente le ardite costruzioni dell’ architetto americano Gehry nel Guggenheim di Bilbao; non è possibile che nella progettazione del museo non si sia ispirato in qualche modo alle geometrie intriganti di queste creste.
Ci fermiamo alla duna 45, così chiamata perché si trova a 45 km dalla capitale, per bearci della bellezza ancora immacolata di questi luoghi, in un momento della giornata in cui i colori della sabbia si presentano saturi di luce. Ci arrampichiamo sulla duna fin sulla cima, camminando per un buon tratto sul crinale. Fa caldo, ma una leggera brezza rende più agevole il cammino ripido.
Un mare di dune si estende a perdita d’occhio: avverto la piccolezza dell’uomo di fronte alla natura.
Risaliti in macchina, arriviamo al parcheggio per i veicoli a due ruote motrici, noi con la nostra jeep possiamo proseguire. Gli ultimi 4 km fino a Sossusvlei sono impegnativi: la strada è invasa dalla sabbia e la nostra 4 x 4 avanza senza grosse difficoltà solo grazie all’abilità di Emilio, il nostro driver. Da qui a piedi seguendo un sentiero, ci avventuriamo attraverso le dune verso una zona chiamata Dead Vlei. Si tratta di una parte del Pan che presenta un affossamento biancastro in cui il terreno argilloso e asciutto presenta crepe che lo trasformano in un mosaico di tessere dalle forme geometriche più disparate. Difficile non pensare alla suggestione dei cretti di Burri. Solo qualche albero secco interrompe lo scenario lunare.
Fa molto caldo, il cielo è terso e l’aria è priva di umidità. Facciamo sosta sotto la frescura degli alberi del parcheggio per consumare un frugale packet-lunch preparatoci presso il nostro lodge. Si riparte per una passeggiata di qualche km . Siamo fortunati e nonostante siamo in inverno il lago è pieno d’acqua, segno che la stagione delle piogge è stata intensa. Ci sentiamo viaggiatori e non turisti, siamo completamente soli. Attorno allo specchio d’acqua, sulla cui superficie si rispecchiano le dune circostanti, cresce della vegetazione che si è adattata alla severità dell’ambiente, solo in una parte del lago si aprono ad ombrello coraggiose acacie africane e altri arbusti. Certamente il bacino deve attirare all’alba e al tramonto parecchi animali ad abbeverarsi: intorno nella parte limacciosa si scorgono parecchie tracce lasciate da animali di dimensioni diverse.
Dopo la giornata intensa, ritorniamo al nostro lodge: da lontano le casette, parte tende, parte in muratura, creano un ambiente ricco di atmosfera anche grazie ai materiali impiegati.
Durante la notte una forte tempesta di sabbia colpisce Sessriem e dintorni, un vento sferzante entra facilmente nei bungalows portando sabbia e aria fredda, in alcuni momenti si ha la sensazione che abbia la forza di strappare le casette dal basamento su cui poggiano. Fortunatamente verso mattina, la furia di Eolo si placa .
10° GIORNO venerdì 23 giugno SESSRIEM – SWAKOPMUND 426 KM Lasciamo il lodge verso le 7 proseguendo in direzione nord sulla C 19 fino a Solitarie, dove ci fermiamo per il pieno di benzina .Ci accorgiamo che se non riempiamo al limite il serbatoio non restano tracce di carburante sul terreno: abbiamo individuato il motivo per cui ci era stata consegnata l’auto completamente in riserva. Continuiamo il viaggio sulla C14 in direzione nord. Passiamo il Gaub Pass e il Kuiseb Canyon, prima di entrare nella regione del Namib-Naukluft Park.
I passi che abbiamo superato sono completamente diversi dai nostri passi di montagna, si sale lungo una strada con poca pendenza per passare al di là di alcune colline. In prossimità del fiume Kuiseb le dune di sabbia lasciano spazio a distese di pietra interrotte da strane forme di roccia erosa. Il letto del fiume, ora asciutto, si presenta molto largo e ospita alberi e massi erratici: si comprende che la piena del fiume, quando avviene, è di una tale potenza da trasportare ammassi di sabbia e pietre fino al mare. Proseguendo, il paesaggio appare a tratti lunare, si è quasi intimiditi da un ambiente non ospitale per l’uomo, che costringe a prendere coscienza delle distese sconfinate, degli orizzonti che si confondono a perdita d’occhio. Dimenticavo che attraversando il Naukluft Park abbiamo incontrato molti animali: antilopi, zebre, facoceri, struzzi e faraone.
Nel pomeriggio arriviamo a Swakopmund e prima di addentrarci nel cuore della cittadina balneare, depositiamo i bagagli alla Sea Breeze Guest House dove abbiamo prenotato per due notti. Il bed and breakfast è situato in una zona tranquilla e dà direttamente sulla spiaggia, il quartiere pullula di villette di vacanza, ora chiuse e dotate di sistemi di allarme ben visibili dall’esterno. Entriamo nel centro della città seguendo la strada lungo la spiaggia, ciò che impressiona è la sua posizione fra l’oceano da una parte e le dune di sabbia del deserto . Swakopmund è una piacevole cittadina balneare che appare all’improvviso dopo chilometri di deserto .Le sue case in stile jugendstil con i tetti a punta, edifici con scritte a caratteri gotici ricordano il periodo coloniale. Entriamo in un negozio di antiquariato dove si vendono manufatti di artigianato locale e oggetti vari d’inizio secolo fino alla seconda guerra mondiale. I proprietari sono due tedeschi, padre e figlio, che fra loro parlano in tedesco, mentre con i clienti stranieri si rivolgono in inglese. Restano stupiti quando avvio una conversazione in tedesco, traendo lo spunto dagli oggetti esposti raccolti direttamente dalle tribù locali nel corso degli anni. L’intenzione iniziale di dare un’occhiata all’interno, attirati dall’esposizione in vetrina, si è tramutata ben presto in un abbondante shopping. Alcuni quartieri presentano un’architettura marcatamente tedesca, quasi la fotocopia di una cittadina in Germania., e in ogni caso anche le insegne dei negozi o qualche scritta sopravvissuta sui muri esterni degli edifici testimoniano un retaggio del passato.
Ceniamo presso una pizzeria-ristorante, Lighthouse, affollato dalla più svariata umanità, per fortuna che abbiamo prenotato un tavolo, altrimenti non avremmo trovato posto a sedere.
Quello che ci colpisce subito è la ampiezza del locale, dove un gran numero di camerieri si danno un gran daffare a servire i piatti di ordinazione passando con abilità e maestria tra la gente che entra ed esce di continuo con bambini di tutti le età. Mangiamo abbastanza bene, come del resto in qualsiasi posto in Namibia ( soprattutto se si considera il rapporto qualità / prezzo), ma prendiamo subito la decisione unanime di cambiare locale la sera seguente.
11° GIORNO sabato 24 giugno WALVIS BAY Mattinata spesa in gran parte in città per cambiare euro con dollari namibiani e per ritirare il permesso per entrare nelle lagune di Walvis Bay ( presso le lagune non abbiamo trovato nessuno a chiederci il ticket ) .
Arriviamo a Walvis Bay a una decina di km da Swakopmund, cittadina balneare non particolarmente amena, la tipologia delle case e la loro densità fanno pensare ad un luogo di vacanza abbastanza popolare. La strada continua costeggiando la costa: ci fermiamo, attirati dalla parte delle dune da una colonia di pellicani che infastiditi dalla nostra presenza si involano, con la gioia di Anna, la fotografa professionista del gruppo. Dall’altra parte verso il mare, il cielo si anima all’improvviso di voli e di richiami di fenicotteri rosa che nidificano in vicinanza delle lagune su isolotti artificiali costruiti per la raccolta del guano. Raggiungiamo, non senza difficoltà per mancanza di indicazioni, le lagune seguendo una strada sterrata che costeggia le saline. A destra e a sinistra ci sono vasche naturali dove viene raccolto il sale quando l’acqua del mare evapora. La colorazione si presenta più o meno rosata per un processo chimico. Dopo alcuni km arriviamo alla spiaggia, una distesa sconfinata di sabbia a perdita d’occhio dove le onde dell’oceano interrompono la loro corsa fragorosamente. Le uniche presenze umane siamo noi e un gruppo di locali che sta facendo il braai, parola africaans che significa sia griglia che grigliare . In attesa che le braci siano pronte per la cottura della carne, alcuni ragazzi del gruppo hanno improvvisato una partita di rugby .
Abbiamo appreso che il braai consiste in un metodo di cottura che si perde nella notte della preistoria, quando l’uomo scoprì il fuoco; inoltre, esso viene considerato, oltre che un momento conviviale collettivo, un evento sociale, prerogativa dei maschi: quando ad un ragazzo viene concesso di occuparsi della “grigliata”, significa che è passato dallo stadio della pubertà a quello di adulto. Avvistiamo sulla spiaggia alcune foche sul bagnasciuga e altre che nuotano tranquillamente in mare. Lo spettacolo è intenso: oggi abbiamo fatto veramente una full immersion nella fauna del luogo.
Cena molto presto, come al solito, per le nostre consuetudini boreali, al Tug: si tratta di un vecchio bastimento che si è incagliato sulla sabbia, ora adibito a ristorante. Non è cosa insolita incontrare lungo le coste della Namibia imbarcazioni di qualsiasi genere ormai in parte insabbiate e immerse nella corrente fredda del Benguela che proviene da sud e in vicinanza dell’Angola devia il proprio corso verso ovest e influenzando l’Atlantico nella fascia subsahariana con effetti fino alle nostre latitudini. Essa è la responsabile delle nebbie che causarono tanti naufragi, create dall’incontro dei venti freddi antartici e l’aria calda proveniente dall’Africa continentale.
Mentre prendiamo l’aperitivo sulla terrazza, godendoci uno spettacolare tramonto, due “ragazzi” si avvicinano a noi, cogliendo l’affinità della lingua . Si tratta di due italiani, esperti di energia eolica venuti in Namibia per lavoro. Un pescatore di fronte a noi, che ha già accumulato un lauto bottino, fa l’ultimo colpo fortunato prima di andarsene: un grosso pesce abbocca all’amo. L’uomo, un locale, si apre in un sorriso mostrando dei denti bianchi e perfetti da pubblicità di dentifricio e si lascia fotografare con l’ultima preda. Qui il mare è particolarmente pescoso, la corrente del Benguela maledetta e benedetta insieme trasporta con sè una considerevole quantità di plancton, che diventa cibo per altri pesci, dando l’avvio ad una catena alimentare.
12° GIORNO domenica 25 giugno SWAKOPMUND- CAPE CROSS – TWYFELFONTEIN COUNTRY LODGE 360 km Ci allontaniamo da Swakopmund in direzione nord, viaggiando sulla C34. La novità della giornata è che si percorre una “salt road”, una strada di sale, simile in apparenza ad una strada asfaltata, ma scivolosa. Passiamo ai margini della Skeleton Coast Park, tristemente famosa per i relitti di navi che punteggiano la costa, ora semisommerse dalla sabbia del deserto.
L’ambiente lungo la strada si presenta desolato e piatto: la linea costiera si confonde con la distesa di sabbia del deserto che si estende a perdita d’occhio.
A Cape Cross, sul promontorio roccioso, una croce ricorda lo sbarco del portoghese Diego Cao, primo segno lasciato da un europeo in Africa australe. Incontriamo parecchi sciacalli dall’aspetto sinistro che si allontanano alla nostra presenza, alla ricerca di prede da catturare, vittime della selezione naturale. Qui abita una colonia di otarie: sono in numero sterminato e meno puzzolenti di quando scrivono le guide. Sono distese sulla sabbia e sulle rocce, molti cuccioli allattano ancora, attaccati alle mammelle della madre; altre affrontano tranquillamente le acque fredde dell’Atlantico grazie allo spesso strato di grasso del corpo rivestito di pelliccia per nutrirsi. Sicuramente questo tratto di mare è assai pescoso perché il pasto quotidiano di una otaria è pari ad 1/8 del proprio peso. Ripartiamo per Twyfelfontein ( che significa “ fontana dubbiosa” ) passando attraverso il Damaraland, che deriva il proprio nome dai Damara, abitanti della zona circostante.
Da Henties Bay si prosegue sulla C35 fino a Uis, da qui si continua per circa 70 km, successivamente si prende la D2612 e la D3214 per arrivare al Twyfelfontein lodge.
La regione si trova tra la Skeleton Coast e l’altopiano centrale dei tavolati rossastri, una zona desertica costeggiata da montagne brulle e scoscese. Ogni tanto, come per miracolo, si accende la vita: piccoli cespugli, licheni di un verde brillante o arancio, che devono la loro esistenza alle nebbie dell’Atlantico, colorano la monotonia del paesaggio. Altrove qualche albero si erge faticosamente in mezzo a ciuffi d’erba che in questo periodo sono gialli e fluttuano al vento come un campo di spighe: è una zona di grandi silenzi e di grandi spazi.
Nel pomeriggio arriviamo a Twyfelfontein, segnata sulle carte come area, non come località, perché non esiste alcun insediamento umano al di fuori del lodge.
Il corpo centrale del lodge è seminascosto da grossi massi di granito, attraverso i quali dobbiamo passare, su questi ci sono incisioni rupestri o petroglifi. Si tratta di una espressione di arte rupestre piuttosto antica lasciata dagli antenati dei Boscimani provenienti dalla costa e in spostamento verso l’interno seguendo gli animali da cacciare.
Sulle rocce di ingresso sono scolpiti animali: giraffe, struzzi, zebre, elefanti che allora popolavano la zona, come anche ora. Il complesso, che sorge alla base di un anfiteatro di graniti rossastri, è un mirabile esempio di integrazione di un’opera costruita dall’uomo nell’ambiente circostante.
Un applauso meritato al progettista. Nella club- house il soggiorno al piano superiore si articola in due parti: nella prima, salendo dalle scale, sono sistemati divani e poltrone ricoperti da simpatici tessuti etnici e un bancone-bar; la parte più ampia della sala è adibita a zona pranzo con vari tavoli. Numerosi sono i dipendenti che lavorano nella struttura che fa parte della Wilderness Safari, organizzazione impegnata nell’ecoturismo che gestisce lodge e partecipa a progetti di conservazione del territorio e di difesa della natura, offrendo possibilità di lavoro a locali.
Al momento della cena, ci accorgiamo che la struttura è al culmine della sue capacità recettive, numerosi ospiti sono soprattutto sudafricani.
13° Giorno lunedì 26 giugno VISITA delle Pitture Rupestri, Canne d’Organo e Montagna bruciata nei dintorni di Twyfelfontein.
da TWIFELFONTEIN a KHORIXAS 100 km Il sito dei petroglifi si trova in una valle chiusa da pareti di roccia. Seguendo due percorsi si può accedere alle Rock Engravings Paintings. La guida che ci viene necessariamente assegnata all’ingresso dell’area protetta, ci racconta che le più antiche risalgono a 6.000 anni fa: si tratta di rappresentazioni di animali ( struzzi, elefanti, leoni, gazzelle, rinoceronti e impronte umane) realizzate da uomini primitivi che migravano dal Kalahari verso il nord. Alcune immagini presentano un senso artistico molto spiccato.
Nei dintorni visitiamo due ambienti geologici che interrompono la monotonia del paesaggio del Damaraland: le colline basaltiche delle Organ Pipes e la catena montuosa delle Burnt Mountains. Sul greto di un fiume, sulle rive, formando un piccolo canyon, cubetti di basalto si presentano secondo linee geometriche precise dando luogo a delle colonne verticali, da cui deriva il nome della zona. Le Burnt Mountains consistono in una serie di colline che si estendono per una vasta area e presentano nella parte superiore una roccia scura che all’alba e al tramonto prende colorazioni diverse. Il fenomeno si deve al fatto che un centinaio di milioni di anni fa l’intera zona fu investita dall’eruzione di un vulcano che le ricoprì di lava. Fortunatamente, la visita richiede poco tempo perché le “ attrazioni” della zona sono di scarso rilievo.
In una breve passeggiata tra le rocce incontriamo la welvitschia mirabilis. Questa pianta che deve il suo nome al botanico austriaco Welvitsch è considerata un fossile vivente e può raggiungere una longevità di ben 2.000 anni. Nonostante abbiamo appreso molto su questa strana specie vegetale, la sua vista non è emozionante.
Proseguiamo verso Khorixas sulla C39, lungo strada ci fermiamo alla Foresta Pietrificata.
La visita è consentita solo con guida che ci viene assegnata dopo aver pagato il biglietto di ingresso.
Tronchi di alberi vissuti circa 250 milioni di anni fa si trovano adagiati su un terreno roccioso, dove crescono parecchi esemplari di welvitschia. I tronchi si presentano in ottimo stato di conservazione e duri al tatto perché hanno assorbito vari minerali dal terreno. Si tratta di tronchi arrivati in quell’area a causa di una forte alluvione.
Prima di arrivare a Khorixas, facciamo un incontro interessante di carattere etnografico: una giovane donna Himba su un lato della strada, vicino ad una capanna , costruita come attrazione per turisti. Anche gli Himba, considerati “i buoni selvaggi”, nella lotta per la sopravvivenza non hanno saputo resistere alla seduzione della società occidentale e si fanno ritrarre con turisti di passaggio. Quello che ci colpisce è la bellezza di questa creatura nel fiore degli anni il cui corpo è interamente ricoperto di ocra rossa e grasso per proteggersi dalle punture di insetti e per mantenere la pelle morbida. Indossa solo una gonnellina di pelle di capra e dei monili di metallo e di cuoio attorno al collo; i capelli, anch’essi spalmati di ocra e burro, scendono fino alle spalle: segno che si tratta di donna sposata. Arriviamo a Khorixas alla fine della mattinata. La cittadina appare molto modesta: attorno alla chiesa protestante evangelica si raccolgono poche case in muratura, una stazione di servizio, un pub e una banca, dove ci fermiamo per cambiare un po’ di denaro. Ai bordi del paese tante capanne costruite con materiali di riporto.
Depositiamo i bagagli presso il Gowati Lodge, in centro del paese, dove passeremo la notte.
Rispetto ai precedenti lodge, perfettamente in armonia nel contesto naturale e immersi nella natura, questo presenta caratteristiche diverse solo per il fatto di essere ubicato all’interno di un centro abitato. Comunque, anche qui le stanze hanno il caratteristico tetto in paglia e sono fornite di un arredamento che rispetta nei colori e nei materiali la tradizione locale. E’ gestito da una flemmatica sudafricana che al nostro arrivo continua imperterrita il suo lunch, in compagnia di scimmiette che le saltellano intorno. Ci facciamo preparare qualcosa da mangiare, siamo un po’ stanchi per il viaggio e fa caldo. Nel pomeriggio, nella visita che dedichiamo al paese, ci fermiamo al Kraft Center locale, una capanna-bottega dove donne locali hanno organizzato la vendita di manufatti realizzati dai bambini di scuola, il cui ricavato viene devoluto per le necessità primarie della scuola locale. Compriamo qualche simpatico souvenir: le due venditrici non appaiono abituate a maneggiare denaro perché evidenziano grosse difficoltà a darci il resto.
Alla sera, mangiamo al lodge, dove la nostra diffidenza iniziale viene concordemente smentita dalla bontà della cena a base di carne di mucca cotta sui ferri.
14° GIORNO martedì 27 giugno da KHORIXAS al PARCO ETOSHA 260 KM Da Khorixas si prende la C39 fino a Outjo, da qui si segue la C38 fino all’entrata del Parco.
Arriviamo ad Okaukuejo passando attraverso l’ Andersson’s Gate prima di mezzogiorno.
Qui restiamo per due notti. Il campo consta di alcuni corpi centrali ( reception, ristorante, shop e market) e di tanti bungalows ben attrezzati, provvisti di cucina, anche se spartani nell’arredo. Decidiamo di fare la spesa al market per il braii : questa sera si mangia a”casa”. Il supermercato è ben fornito, si può trovare dalla frutta, alla verdura e alla carne di varie specie, bovina, suina, di struzzo, di kudu. Dopo i rifornimenti, partiamo per il safari, dirigendoci a nord di Okaukuejo e proseguendo poi verso ovest. Appena usciti dal gate ( si apre alle 6 e 30 e si chiude alle 17 e 30) quello che sorprende è la sconfinata estensione dell’Etosha, pari alla superficie della Lombardia, che fa tutt’ uno con i colori della vegetazione, ora savana che ondeggia al vento, ora arbusti spinosi con qualche albero di acacia africana dalla chioma aperta.
Il parco divenuto area protetta nel 1907 è un ecosistema, considerato modello di protezione di flora e fauna dove l’uomo si è piegato alle sue leggi. Nel cuore dell’Etosha, che significa “luogo asciutto” in lingua dei wambo, si estende il pan, una antichissima depressione bianca e abbagliante di ghiaia e sale che, dopo la stagione delle piogge, si trasforma in immenso acquitrino attirando animali di ogni genere. Cominciamo il nostro safari lungo il pan fino ad Halali, privilegiando le strade che conducono a pozze di acqua naturali. Avvistiamo, all’interno delle piste che attraversano il parco, impala dal muso nero, zebre bellissime, sciacalli dal dorso nero, struzzi, giraffe, springbok o antilopi saltanti, orici, kudu, gnu. In queste zone aride trovano vita piccole piante grasse, ma crescono anche numerose specie arboree dalle acacie, al mopane, all’euforbia, al bottle-tree. Questa che vediamo solo in una area ristretta del parco deve il suo nome alla forma caratteristica del tronco che si restringe alle estremità, mentre si gonfia nella parte centrale. I pochi rami di cui è provvisto puntano verso il cielo e sono forniti di lunghe spine. Le popolazioni autoctone conoscevano bene questa pianta e in particolare la sostanza tossica che essa produce che utilizzavano come veleno per le frecce.
Rientriamo al campo al momento del tramonto che ci godiamo dalla sommità di una torre.
I numerosi ospiti, soprattutto campeggiatori, stanno preparando il braii, antica tradizione locale che agli albori dell’umanità rivestiva il significato di ricompensa per le fatiche che l’uomo primitivo sopportava nel bush.
Dopo la gradita cena consumata “a casa”, di corsa alla pozza illuminata, vicino al lodge, dove gli animali vanno ad abbeverarsi. Seduti comodi e favoriti dall’illuminazione, si può assistere al sicuro all’abbeverata notturna degli animali. Fa freddo, ma lo spettacolo offerto è entusiasmante.
I tempi in natura sono molto lenti: bisogna attendere con pazienza.
Arrivano degli elefanti e alcune giraffe, bevono senza fretta alla pozza e poi se ne vanno. Dal buio avanza un rinoceronte e alcuni springboks che si accingono a dissetarsi, tenendosi a debita distanza. Ad un certo punto rimane solo il rinoceronte, gli altri animali spariscono all’improvviso, si intravedono in lontananza tra i massi due leonesse : si respira un’aria di tensione. Il rinoceronte non accenna ad andarsene e i grossi felini non si mostrano impazienti, acquattati tra i massi, preferiscono avere il territorio sgombro da intrusi.
15° GIORNO mercoledì 28 giugno ETOSHA – HALALI 220km Colazione a casa. Verso le 7 partiamo per esplorare tutte le pozze d’acqua naturali e artificiali, seguendo le indicazioni fornite dalla mappa acquistata nel “curio shop” del campo.
Avvistiamo numerosi animali delle stesse specie del giorno precedente soprattutto in vicinanza delle pozze d’acqua. Lo spettacolo che ci viene offerto è grandioso e coinvolgente, ogni avvistamento rappresenta una nuova emozione: l’Etosha è veramente uno dei santuari per gli animali africani che possono girare liberi e indisturbati nelle fitte boscaglie e nelle grandi pianure come nella preistoria dell’uomo primitivo. Nelle ore meridiane fa caldo che però è mitigato da un leggero vento, il fatto di dover restare in macchina rende alla fine la giornata pesante per le nostre gambe. In prossimità di certe pozze si ha l’impressione di godere un vero spettacolo nello scenario di una natura incontaminata: branchi di elefanti vanno e vengono, seguiti da zebre, giraffe, gazzelle che si intervallano continuamente.
Ogni tanto si intravede qualche animale che resta indietro nel gruppo perché zoppicante: purtroppo nella lotteria della vita, non ha estratto un biglietto fortunato, di certo è destinato a diventare vittima facile di qualche predatore.
Il tramonto ci sorprende fuori del cancello del campo, facciamo ritorno in fretta alla base.
Anche questa sera ci attende una cena domestica, non potremmo rinunciare al nostro collaudato ottimo braai.
Siamo un po’ stanchi, ma non vogliamo perderci lo spettacolo della pozza vicina. Dalle 20 alle 22 giraffe ed elefanti si alternano all’abbeverata serale: la lentezza dei passi cadenzati, la maestosità delle sagome dei corpi evoca una migrazione di dimensione biblica.
Da quanto abbiamo appreso dalla mappa-guida e dalle nostre sia pur limitate osservazioni dirette sui comportamenti, gli animali dell’Etosha sono abbastanza abitudinari e metodici. Gnu, springboks e giraffe frequentano le pozze d’acqua nell’intero arco della giornata, senza particolari preferenze; zebre e facoceri prediligono il pomeriggio. Leoni , elefanti e rinoceronti amano abbeverarsi dal tramonto in poi.
16° GIORNO giovedì 29 giugno ETOSHA : da OKAWKUEJO a NAMUTONI ( passando per Halali ) 475 km Da Okawkuejo ci spostiamo verso Namutoni, nella parte orientale dell’Etosha, rimanendo sempre all’interno del Parco.
I colori cambiano continuamente: la bianca distesa del Pan appare in tutta la sua grandezza spettacolare, intorno savana, cespugli e acacie se ci si allontana dalla bianca depressione.
Passiamo in rassegna tutte le pozze d’acqua che incontriamo lungo strada, ad alcune siamo già arrivati nel pomeriggio del primo giorno, quando entrammo all’Etosha.
Si tratta, in ogni caso, di emozioni nuove perché l’ora della giornata è diversa, perché gli animali incontrati sono diversi: la Namibia, come è stato detto, va vista di continuo con gli occhi di Alice, la protagonista della favola per bambini, per non abituare la vista alle meraviglie che la terra offre continuamente.
Incontriamo elefanti, giraffe, orici, kudu, sciacalli, tucani e molti altri uccelli dai colori superbi e contrastanti con i toni bruciati del contesto.
Arriviamo nel I pomeriggio a Namutoni, dove trascorriamo la notte. Appena entrati dal cancello, il vecchio forte tedesco, ricostruito agli inizi del secolo scorso, ci appare davanti, a testimonianza dei feroci scontri tra tedeschi e guerrieri Ovambo nei primi anni del novecento.
Nel 1957 fu aperto al turismo e trasformato in uno dei campi più caratteristici, completo di ogni conforts. Depositiamo i bagagli e partiamo per la perlustrazione di questa parte del parco. Ormai la nostra vista si è “abituata” ai grandi erbivori, che anche in questa parte dell’Etosha offrono dei momenti indimenticabili; ma lo spettacolo-novità della giornata ci viene offerto dai fenicotteri rosa, presenti a migliaia in una grande pozza naturale. Sostiamo qui al ritorno dal nostro safari quotidiano, in attesa del tramonto. Ogni ora del giorno ha i suoi animali che vengono a farci visita tra i bungalows alla ricerca di cibo: di mattina, pappagalli che aspettano le briciole della colazione; nelle ore più calde le manguste si danno un gran daffare; alla sera, dopo il tramonto compaiono gli sciacalli attirati dagli avanzi. Dopo l’ottimo braai consumato ancora una volta “a casa”, visita al Waterhole : qui non avvistiamo animali per l’abbeverata notturna, ma solo qualche uccello. Dopo qualche ora di attesa, abbandoniamo il luogo, delusi un po’. !7° GIORNO venerdì 30 giugno NAMUTONI – WATERBERG 350 km Lasciamo l’Etosha e proseguiamo a sud verso Windhoek sulla C38 e poi sulla B12 in direzione Tsumeb. Passata la cittadina di Otjiwarongo, si continua sulla B1 per 28 km, poi si prende sulla C22 per il Waterberg Plateau Park.
A Tsumeb facciamo sosta per cambiare moneta e per bere un caffè. Entrando in città, si ha subito l’impressione di un certo benessere: gente ben vestita, presenza di tre banche, un giardino pubblico ben tenuto, ovunque ordine e pulizia. La zona è ricca di minerali (alcuni dei quali sono unici al mondo) ed evidentemente l’attività estrattiva ha dato lavoro agli abitanti. Si ha l’impressione di un’Africa diversa da quella incontrata finora. Visitiamo, inizialmente più per curiosità, un negozio di manufatti locali segnalato dalla nostra guida: lo gestisce una signora tedesca rimasta qui dopo la guerra. Una donna di colore ci aiuta nella scelta dei prodotti, con molta passione: si tratta di tovaglie ricamate da artigiane locali a disegni naif, guidate da un alto senso del colore e oggetti di legno di pregevole fattura. Alla fine, usciamo con tovaglie, presine da cucina, pettini e ciotole di legno.
Da buoni europei, attirati da un’insegna “ Caffè Espresso”, entriamo in un bar : i volti delle persone, l’atteggiamento, la canzone di sottofondo che ci accoglie e ci accompagna durante la nostra sosta richiamano alla mente un locale della Mitteleuropa. Qui, prendiamo un caffè e una fetta di gustoso strudel di mele.
La storia della cittadina mineraria è scritta nelle numerose insegne di negozi scritte in tedesco e gestiti da tedeschi.
Arriviamo nel primo pomeriggio al nostro Waterberg Guest House Farm, situato ai piedi del Plateau Park dove abbiamo fissato due pernottamenti. Il luogo è molto gradevole: la casa si articola ad elle con un portico che si apre sui due lati, un giardino antistante ricco di carnose piante grasse, una piccola piscina più per bagnarsi durante la calda estate africana che per fare una nuotata.
Ci accoglie una signora tedesca che ci fa entrare. Una grande sala arredata con buon gusto africano si presenta a noi: a destra un focolare chiuso nello spazio antistante da sofà in pelle nera disposti a ferro di cavallo, una pelle di cheetah ( ghepardo) su un divano, una lunga tavola rettangolare destinata alla consumazione dei pasti, ricoperta di tessuti tipici provenienti dal Mali; alle pareti maschere africane, crani di kudu e bellissime ceste a disegni geometrici con i colori del deserto. Anche nelle stanze che ci vengono assegnate, molto spaziose, l’ arredamento è in consonanza con la tradizione locale nella scelta dei colori e dei materiali. Mangiamo presto alla sera, un’ora dopo il tramonto: qui lo scandire del tempo è dato prevalentemente dal corso del sole.
La signora di origine tedesca si unisce a noi per la cena. Ci racconta che il proprietario della farm si trova in vacanza con la famiglia in Germania e che lei amministra la proprietà; in particolare, in questo periodo fa le sue veci. Ha parecchio personale di servizio che la aiuta. La tavola per la cena viene imbandita con molta cura, il menu è a base di una ottima minestra di verdura e di carne di mucca.
Io e Anna rimaniamo con lei dopo cena, dal momento che si mostra disponibile alla conversazione, mentre Roberta ed Emilio vanno a dormire. Dopo alcune informazioni sulla gestione della farm, la nostra interlocutrice non fa mistero delle sue idee: la sua calorosa narratio è spesso interrotta dall’intercalare continuo :” Io non ho nulla contro i neri, però…” Mostra disapprovazione nei confronti del governo attualmente al potere che asseconda, a suo autorevole e inconfutabile giudizio, l’incapacità, l’indolenza,… Delle popolazioni locali. Difficoltosi e inutili i nostri inserimenti nel monologo della signora tedesca che non ammette di rivedere le sue posizioni tipiche di una mentalità colonialista. Comunque, è interessante la conversazione perché ci permette di conoscere, dall’interno dell’Africa, il rapporto tra bianchi e neri.
18° GIORNO sabato 1 luglio WATERBERG Mattinata trascorsa girando in auto per l’unica strada consentita ai visitatori. Dopo un frugale spuntino preparatoci dalla signora tedesca, partiamo con un tracker per il safari all’interno del parco, dal momento che non è consentito ai visitatori attraversarlo con i propri mezzi. Il parco è caratterizzato da una vegetazione varia e rigogliosa. Visitiamo la Cheetah Conservation Fund, dove una quarantina di ghepardi vivono in cattività, allo scopo di essere controllati e monitorati costantemente. Questa iniziativa è sorta allo scopo di salvaguardare la sopravvivenza di questo animale dalla riduzione del suo habitat naturale e dalla caccia degli allevatori di bestiame. Il ghepardo è dotato rispetto agli altri felini di un corpo più snello e di arti più lunghi che gli consentono in fase di attacco di arrivare ad una velocità superiore a 100 km. Caratteristiche dell’elegante predatore temuto da molti animali sono le macchie scure che punteggiano il suo mantello e le “lacrime”nere che dalla parte interna dell’occhio corrono fino alla bocca.
All’interno del centro ci viene proiettato un video sulla vita del ghepardo e dei suoi comportamenti. Riprendiamo il nostro safari, a mio avviso la parte più interessante, addentrandoci in una savana sterminata, limitata all’orizzonte dal tavolato che ne segna il confine occidentale. Lo spettacolo è grandioso, la savana sterminata punteggiata da alti termitai è piena di animali: antilopi, sprigboks, facoceri, orici pascolano indisturbati e seminascosti dalle alte erbe gialle. Al ritorno, quando il sole è tramontato, fa parecchio freddo nella land rover scoperta. Passando attraverso il bush io e Roberta scorgiamo un grosso felino che avanza quatto quatto tra i bassi arbusti, puntandoci due penetranti occhi gialli: è un leopardo, sicuramente, come ci conferma anche il nostro tracker. Che bello! abbiamo visto un leopardo. La cena si svolge tranquillamente: ci viene servita una zuppa di legumi che gradiamo molto dopo una giornata passata all’aperto, una pasta “pasticciata”, nel vero senso della parola, e collosa che, nelle intenzioni della signora, vuole esprimere il suo omaggio alla cucina italiana: la assaggiamo per non deluderla e per buona educazione, lodandone spudoratamente la bontà. Il piatto forte resta dell’ottima carne messa a cuocere davanti a noi su una piastra elettrica e proveniente dagli allevamenti della farm.
Alla fine del pasto, la signora si intrattiene con me e Anna , per approfondire, completandone il quadro, le sue idee sulle popolazioni autoctone.
19° GIORNO domenica 2 luglio da WATERBERG a WINDHOEK 240 km Lasciamo il Water Berg Plateau Game Park e ritorniamo sulla B1 che riprendiamo in direzione sud. Lungo strada ci fermiamo ad Okahandja, al famoso mercatino di artigianato locale, all’incrocio tra la B1 e la B2, dove molte bancarelle collocate su un lato della strada espongono ai turisti di passaggio la loro merce: è interessante entrare nelle varie tende e osservare. E’ necessario contrattare sul prezzo perché sparano in partenza cifre molto alte, ma ormai conosciamo i prezzi dei negozi. Un fatto curioso degno di menzione: quando si sta per concludere le trattative con un venditore, anche altri venditori si sentono coinvolti e partecipano, chi incarta l’oggetto acquistato, chi dà il resto, chi ti stringe la mano. Sembra che la solidarietà corale dello spirito della tribù continui a sopravvivere anche negli interessi “privati”dei singoli, almeno noi li consideriamo così.
Nel primo pomeriggio, arriviamo a Windhoek, dove ci sistemiamo nella pensione Steiner, la stessa del nostro arrivo in Namibia, E’domenica, i negozi sono chiusi, tuttavia non tralasciamo di fare un bel giro a piedi. L’atmosfera è piacevole e rilassante. Dalla varietà e qualità della merce esposta nei negozi si comprende che la città gode di un certo benessere. Ora possiamo visitarla meglio di quanto abbiamo fatto appena arrivati. I moderni palazzi che ospitano prevalentemente banche e centri commerciali si mescolano con gli edifici del passato in stile bavarese a ricordo dell’epoca coloniale. Potrebbe essere una cittadina del nord Europa, se non fosse per il colore della pelle della maggior parte delle persone che si incontrano. Caratteristica è la via principale, Indipendence Avenue e la facciata della chiesa luterana, la Christuskirche, costruita agli inizi del novecento.
Consumiamo la cena in un locale tipico indicato dalla nostra guida: è frequentato solo da bianchi o meglio ad un tavolo è seduta una famiglia composta da una donna di colore molto giovane con il marito bianco, abbastanza avanti negli anni e un bambino di pochi mesi con i caratteri dominanti della madre. La differenza di età tra i due è molto stridente. Mentre lui le parla, lei non mostra alcun interesse alle sue parole o addirittura un certo fastidio. 20° GIORNO lunedì 3 luglio Mattinata trascorsa a WINDHOEK – PARTENZA Passiamo la mattinata in città per gli ultimi acquisti, dato che oggi i negozi sono aperti. Verso mezzogiorno ritorniamo alla pensione, ci riposiamo un po’e prima di arrivare in aeroporto, consegnamo l’auto, naturalmente in riserva come ci era stata data. Dopo un accurato controllo del mezzo dal quale risulta che tutto è in ordine, un driver ci accompagna all’aeroporto verso l’una. Nella hall troviamo l’ufficio dove è possibile ottenere il rimborso del Vat, corrispondente alla nostra Iva, esibendo gli scontrini fiscali di alcune spese sostenute nei negozi.
L’aereo decolla in perfetto orario, alle 15 e 10, per Johannesburg, dove alle 19 e 10 ci imbarchiamo per Francoforte.
Tutto procede bene durante il viaggio di ritorno, unico inconveniente: all’arrivo a Venezia, martedì 4 luglio, una parte dei bagagli non arriva; fortunatamente questo disguido non si è verificato all’andata.
Dopo due giorni, le valigie smarrite ci vengono recapitate a casa da un corriere.
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