Namibia in self drive 2
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Come facciamo spesso, anche stavolta aspettiamo quasi l’ultimo minuto per decidere dove andare in vacanza. Tanto poi una destinazione da qualche parte la si trova sempre comunque, e quanto meno la meta è pianificata tanto più è divertente e piena di fascino. Era già passata la metà di novembre e non avevamo ancora deciso dove andare. Fra le varie mete che avevamo in sospeso c’era la Namibia, che ambivamo da un po’. Sapevamo anche che laggiù ci sono un paio di persone, fra l’altro del nostro stesso paese natio, trasferitesi a Windhoek da molti anni e che hanno messo in piedi una agenzia viaggi. Studiamo il loro sito (namibiamoremio punto com) e i tragitti che propongono, oltre a leggere altri diari di viaggio. Decidiamo che è la destinazione giusta e prenotiamo il volo online, dopo averlo tenuto d’occhio per qualche giorno in attesa del prezzo migliore. Solo in seguito, con il volo in mano, prendiamo contatto con Nadia e Rolando i quali ci propongono il loro Makalani tour in self-drive. La scelta alla fine si è dimostrata più che azzeccata, valutando il supporto organizzativo, l’adeguatezza del tragitto e la qualità delle strutture ricettive.
DAY 24 Sabato
Partenza da Venezia con direzione Londra. Eh sì, se vuoi biglietti economici devi subire anche i controsensi di un viaggio non proprio liscio. Anche il disagio del cambio di aeroporto da Gatwick a Heathrow. E poi, andare due ore in sù a nord per poi tornare in giù. Ad ogni modo, non mi è piaciuta la British Airways. In tutte le occasioni in cui ho usato vettori esteri partendo dall’Italia, tutti parlavano, oltre che nella loro lingua è ovvio, anche in Italiano. Credo sia dovuto, quantomeno per rispetto verso il paese che ti ospita. Questi inglesi no. Solo inglese. Forse perché “LORO” si considerano PIU’ degli Italiani? Ma chi si credono? Eppure l’hub di Venezia lo usano eccome. Da Italiano mi sono sentito trattato come “poveraccio”. Sarà una mia “fisima” ma si tratta di rispetto, credo. Il volo verso Johannesburg con South African è stato invece meglio di altri voli fatti in passato, anche perché c’erano diversi posti vuoti e ci si è potuti sdraiare su più sedili per dormire. Per quanto dormire su un sedile di aereo sia comunque una cosa ardua. Il cibo è stato fra i migliori mangiati negli anni in aereo, anche se è chiaro che non siamo al ristorante, ed in ogni caso ci siamo sentiti più coccolati del solito.
DAY 25 Domenica a Windhoek
Passata la notte in aereo, arriviamo nel piccolo aeroporto di Windhoek, così piccolino che pur essendo la capitale si scende dall’aereo e si va a piedi all’uscita camminando sulla pista. Cambiamo dei soldi al botteghino dell’aeroporto dato che l’unico modo è quello ufficiale. Non c’è mercato nero qui. Comunque se poi ti rimane qualcosa te lo riprendono indietro senza problemi. Incontriamo quindi un addetto dell’agenzia di noleggio che è venuto a prenderci e andiamo in ufficio da loro (la città dista circa 40km) a sbrigare i documenti per l’auto. Qui troviamo anche Rolando col quale scambiamo le prime parole parlando dell’Italia e delle cose comuni che abbiamo, da buoni paesani. Ci consegnano un pickup Nissan con cassone coperto da una struttura metallica, con portellone tipo quelli dei container e lucchetto di chiusura e ci raccomandano di non lasciare mai nulla in bellavista nella cabina della jeep perché ti scassano i vetri per portartela via. Ci spostiamo quindi al B&B Christoph per riposare, un posto carino, con piscina, palme e praticello verde. L’impressione che dà la città è molto tranquilla e a misura d’uomo, sarà anche per la netta impronta europea che si percepisce. Anche qui però, come in altre parti del sud del mondo, le case hanno tutte il loro bel muro alto con cancello enorme e fili della corrente sopra, se non addirittura reticolato come a Omaha Beach durante lo sbarco degli alleati. Ci dice però Rolando, e conferma quanto scritto dappertutto, che la Namibia è in ogni caso un paese molto tranquillo e sicuro, e che quelle cose lì sono per la piccola delinquenza comune dei furtarelli. Non ci sono qui aggressioni armate, sequestri, pestaggi o cose simili. Beh, meno male, diciamo noi, peccato che rimangono sempre reticolati e che in qualche modo sei comunque recluso in casa tua. Riposato un po’ ci rincontriamo più tardi con Rolando, Nadia e sua figlia i quali ci spiegano per bene il tragitto, le cose da fare e non fare, cosa e come vedere, e quant’altro possa essere utile, oltre a quanto già dettagliatamente descritto nel programma che ci lasciano. Con tutto così ben documentato se sbagliamo qualcosa siamo dei polli. Ci lasciano anche una sim telefonica locale, per tenersi meglio in contatto in caso di bisogno senza spendere un capitale. Andiamo quindi a cena e passiamo così il Natale insieme a loro.
DAY 26 Lunedì verso il Namib
D’ora in poi siamo soli. Partiamo alle 8 verso il Namib, il deserto più antico del mondo, risalente a circa 80 milioni di anni fa. Attraversando l’Altopiano Centrale abbiamo il primo impatto con i vasti e spettacolari paesaggi namibiani, le vaste savane e pascoli, coronati da montagne sullo sfondo. Dopo circa 80 km iniziamo lo sterrato, che ci accompagnerà polveroso per tutto il giorno. Qui le strade sterrate sono molto buone, e in qualche caso anche meglio di qualche nostra strada asfaltata mal rattoppata. I colori pastello del territorio e il cielo azzurro con nuvolette sono ideali per delle foto eccezionali, e con il filtro polarizzatore vengono ancora meglio. La limpidezza che ci circonda è qualcosa di particolare, che ritroviamo solo poche volte nei nostri viaggi. In più di qualche occasione mi pare di avere dei deja-vu e faccio dei collegamenti mental-fotografici con alcune aree desertiche dell’Arizona o del New Mexico oppure anche con la Gran Sabana in Venezuela. Ci sono moltissime cose che accomunano questi posti e anche questa parte della Namibia esprime tutta la sua poesia. Risaliamo verso il panoramico passo Spreetshooghte, da cui si gode una vista mozzafiato sulle piane del Namib. Per certi versi sembra di essere atterrati su un altro pianeta. Tutto procede per il meglio, a parte uno dei gps che non mantiene la carica accidenti, e nel tragitto incrociamo più o meno una decina di auto. Riusciamo a vedere degli struzzi e anche un branco di Springbok, delle piccole antilopi, riparati all’ombra sotto ad un albero ad ombrello ai bordi della strada, e che restano curiosi a guardarci per tutto il tempo delle foto. Facciamo poi sosta per il pranzo a Solitaire, unica stazione di servizio della zona, famosa perche c’è una backery che fa una torta di mele citata dovunque. Proseguiamo ancora a sud fino al Desert Homestead Lodge, un insieme di capanne sdraiate in una immensa pianura. Un posto meraviglioso. Passeggiata su una collinetta di fronte, per ammirare dall’alto una visuale delle vaste praterie, poi la cena, il diario di bordo e qualche minuto ad ammirare il mare di stelle che è sopra di noi. Senza luna è uno spettacolo. E intorno a noi il buio e il silenzio sono assoluti. Magico. Percorsi km 339.
DAY 27 Martedi a Sossusvlei
La sveglia suona alle 5. Obbligatoria per assaporare la bellezza delle dune con la luce dell’alba e il parco apre alle 6. Un caffè al volo più il cestino della colazione che ci hanno preparato e via. Lasciamo il lodge con direzione Sossusvlei, nel cuore del deserto del Namib, dove ci sono le dune di sabbia più alte del mondo. Dalla strada principale, tornando verso Solitaire, parte a sx la strada di circa 65 km che porta nel parco e percorre una lunga vallata pianeggiante e desertica costeggiata prima da montagne poi da dune, con le meravigliose sfumature di colore dall’arancio all’ocra. Inizialmente sterrata, come tutte le altre finora e con enormi nuvoloni di polvere alzati dalle auto, la strada diventa asfaltata appena varcato il gate. Per fortuna, perché sarebbe stato impossibile apprezzare la bellezza che ci circonda, se tutte le auto che passano avessero alzato la polvere. Al km 45 incrociamo la famosa duna chiamata appunto duna 45 con molte persone che ne risalgono la cresta, cosa che non facciamo per la curiosità di vedere cosa c’è più avanti. Al termine della strada asfaltata ci sono altri 5km percorribili solo con 4×4, che noi abbiamo e quindi proseguiamo. Che figura di me… Non avevo inserito bene le 4 motrici e dopo solo qualche centinaio di metri affondo miseramente nella sabbia. Mi sono passate per la mente quasi tutte le parolacce che conosco, ma poi fortunatamente l’autista di una jeep turistica si ferma e mi tira fuori dai guai spostando l’auto su un punto con terreno più solido. A questo punto, anche se ancora titubante per lo schiaffo morale preso, decido che o la va o la spacca, e mi butto in quella strada che sembra di sabbie mobili. Passato il primo impatto comincio a “sentire con il sedere” il comportamento dell’auto e acquisto fiducia. Avanti fino in fondo quindi, con alcuni passaggi ancora leggermente “ansiogeni”, assaporando il piacere della guida sulla sabbia e il panorama che ci circonda, impagabile. Ogni tanto per fare delle foto cerco un punto con terreno più solido dove fermarmi, evitando così problemi a ripartire. I crinali delle dune, disegnati dalla natura e ognuno con la sua specifica forma ondulata tanto che il contatore delle foto cresce vertiginosamente. Ogni angolazione diversa ha un suo fascino e merita una foto a sé. I colori sgargianti, oltre ai giochi di luci ed ombre che il sole appena alzato dà alle dune, sono eccezionali. Questo, oltre alla riacquisita fiducia sulla guida, fanno si che una volta ritornati sull’asfalto giriamo la macchina e ci rituffiamo in quel percorso off road, godendo di nuovo di tutte le cose appena viste ed assaporando ormai con destrezza gli sbandamenti, scodinzolamenti e salti che fa il fuoristrada. Ormai guido con una sola mano e l’altra poggiata sul finestrino. Che bello! Ma il tempo passa e dobbiamo lasciare questo paradiso, che fra l’altro comincia anche a diventare caldino. Pieno di carburante e spostamento verso il Sesriem Canyon, profondo 30 m che crea un ambiente umido che favorisce la rara vegetazione della zona. Entriamo nonostante il sole sia a picco spaccato. La mia ombra è perfettamente verticale ed è mezzogiorno di fuoco nel vero senso della parola. Arriviamo fino in fondo dove c’è una piccola pozza d’acqua, con persino dei pesci dentro! Pranzo senza lode al ristorante che c’è a fianco del botteghino del gate e partenza per il lodge Solitaire Guest Farm, che si trova 6km fuori dalla strada principale, incastonato ai piedi delle montagne. Una bellissima location, dove oltre ad altri animali da fattoria c’è anche uno Springbok quasi domestico che pascola in giardino. Qui possiamo prenotare un safari per vedere dei ghepardi in un’area di ripopolamento adiacente alla farm. Doccia e letteralmente sveniamo entrambi sul letto. Alle 6 si parte a bordo di una vecchia land cruiser con i seggiolini e si va a vedere i felini. Ci accompagna Matt, un giovane biologo inglese, che ci spiega tutto per bene e che con antenna e rilevatore cerca e localizza gli animali, tutti dotati di radio collare. Proprio come nei documentari alla tv. Ad un certo punto Matt ferma la jeep, scendiamo e ci inoltriamo a piedi nel pan, consapevoli (?) che lì attorno ci sono dei ghepardi selvaggi liberi. In breve troviamo il primo animale, chiamato Spartacus, accovacciato fra le sterpaglie. Era impossibile da vedere tanto che ci accorgiamo di lui solo a distanza di qualche metro e nonostante lo cercassimo con l’antenna. Rimaniamo incantati ad ammirarlo finché, probabilmente disturbato da tutti quei click, non si alza e ci abbandona allontanandosi annoiato fra le sterpaglie. Ripartiamo, sempre a piedi girovagando nel bush alla ricerca degli altri ma l’antenna ci dice che sono lontani. A bordo quindi della jeep ci spostiamo verso di loro finché li vediamo in lontananza. Madre con due figli che ci guardano e poi cominciano ad avvicinarsi, uno con sguardo un po’ truce. Matt dice che la madre, proprio perché ha i due figli con sé, ha un caratterino difficile e quindi rimaniamo sulla jeep. Ci girano attorno e si mettono a triangolo così siamo belli e circondati, ma sono bellissimi. Ultimo spostamento quindi a trovare gli ultimi due che troviamo accovacciati su una stradina, ben visibili in tutta la loro bellezza. Riesco ad avvicinarmi fino a pochissimi metri per delle foto uniche, finché “lui” non alza la testa e mi fa capire con uno sguardo più che eloquente che va bene così. Sono dei micioni bellissimi, e dalle foto fatte col tele scopri poi ulteriori dettagli della loro bellezza. Una birra sulla jeep, in mezzo a loro poi ritorno alla farm per la cena quindi aggiornamento del diario di viaggio e a nanna. Percorsi solo km 277 ma quei 5km percorsi avanti e indietro sulla sabbia valgono come 50. Totale 616km.
DAY 28 Mercoledi verso Walvis Bay e Svakopmund
Lasciamo il Solitaire Guest Farm, dove durante la colazione vediamo le mucche che prima di addentrarsi nei pascoli si mettono tutte in fila a bere nella piscina, e prendiamo direzione Walvis Bay e Svakopmund, un tragitto di trasferimento piuttosto lungo, e tutto su strada non asfaltata. Traversiamo paesaggi sempre desertici ma molto variegati, con una prima parte che sale e scende dal passo Gaub con scorci paesaggistici molto suggestivi. Passiamo per il Tropico del Capricorno, segnato da un cartello, ovviamente oggetto di autoscatto foto ricordo. Più avanti vediamo a sx l’indicazione per il Kuiseb Canyon (permit required) e ci addentriamo. Il permesso non l’abbiamo ma non sapendo come e dove poterlo fare diciamo che ormai siamo lì e non perderemo l’occasione. Percorriamo la stradina per alcuni km e abbiamo anche la fortuna di incontrare dei gruppi di zebre (sono le zebre burcella, una razza particolare). Arriviamo quindi su degli overlook dove si gode la panoramica del canyon. Bello. Niente a che vedere con quelli degli usa ma in ogni caso ne valeva la pena. Scopriremo poi che l’essere scoperti dai ranger senza il “permit” equivale ad una multa di 50 dollari, stavolta americani, non Namibiani. La strada diventa quindi un enorme e infinito rettilineo, dove il fondo stradale per la maggior parte è messo malino, con tutta una serie di microgobbette che fanno tremare l’auto che sembra essere su una pedana vibrante di quelle da fitness. L’unica maniera per minimizzare l’inconveniente è lanciarsi alla massima velocità possibile, che con il fuoristrada con gomme larghe su sterrato vuol dire 100 all’ora, facendo bene attenzione a non beccheggiare troppo sul ghiaino e a non decollare sui dossi, rischiando di perdere il controllo dell’auto. Più avanti troviamo a sx un enorme formazione rocciosa, il Vogelfederberg, un monolite di granito (anche questo permit required) e noi da “non so nulla” entriamo anche li. C’è un percorso che le gira tutto attorno ma puoi anche azzardare, cosa che ho fatto, dei climbing col fuoristrada su per i fianchi del sassone. E’ un po’ come la Enchanted Rock in Texas, ma questa è stata veramente divertente per la divagazione fuoristradistica che ci si è potuti concedere. Prima di arrivare a Walvisbay ritroviamo le dune rosse e subito dopo l’oceano, con la sua nebbiolina onnipresente, causata dal mare che è molto freddo per via delle correnti antartiche che lambiscono la costa. Non ci fermiamo a visitare la cittadina ma proseguiamo verso Swakopmund, perché con le divagazioni che ci siamo concessi sul percorso sono ormai le due e abbiamo anche un po’ di fame. Arriviamo a Swakop, come la chiamano loro, di evidente aspetto mitteleuropeo, e andiamo subito al Sam’s Garden a prendere possesso della camera. Una buona sistemazione, un pezzetto di Svizzera in terra d’Africa, più che adeguata per il posto e lo scopo. Mangiamo al 22°South, proprio nello stabile del faro, che scopriamo gestito da un bresciano che ad un certo punto ha mandato tutto a farsi benedire ed ha cambiato vita. Oggi gestisce questo ristorante ma ha fatto la guida in Namibia per oltre 10 anni. Più tardi rincontriamo una giovane coppia genovese conosciuta due giorni prima all’Homestead Lodge e andiamo a cena assieme, scambiandoci impressioni di questo e di altri viaggi. Percorsi km 291 – Totale 907 km.
DAY 29 Giovedi a Walvisbay
Oggi combinazione di mare e dune di sabbia. Ci spostiamo a Walvisbay dove c’è l’imbarco della Pelican Tour. C’è un clima bestiale. Freddo, uggioso, ventoso e siamo intabarrati a strati con felpa e giubbotto antivento, come se andassimo sulle dolomiti col brutto tempo. E meno male che questa costa è la meta privilegiata dei Namibiani per la vacanza! Ma che ci vengono a fare? Forse come da noi che quando fa caldo andiamo in collina loro vengono qui. E’ come la baia di San Francisco. Sempre freddo e nebbioso. Il mare varia durante l’anno da 10 a 18 gradi. Ci imbarchiamo su un piccolo catamarano da 8 posti, e forse è meglio così dato che su quelli più grandi la gente è stipata anche seduta a prua a prendersi le sventolate. Il capitano conferma che è un “shity day” ma non importa. Giriamo nella baia di Walvisbay e il primo appuntamento è con i pellicani che si azzuffano per pigliare dei pezzetti di pesce. Poi un paio di otarie che salgono anche sulla barca e una si fa anche accarezzare con tenerezza. Simpaticissima, e bella esperienza il contatto fisico con l’animale. Ci spostiamo quindi vicino ad una spiaggia dove ci sono colonie di otarie, con un sacco di cuccioli, e di leoni marini che come al solito si azzuffano fra di loro. Un po’ di puzza, ma passabile, e un mugolio continuo misto fra mucche e pecore. Più avanti ci mettiamo a navigare lentamente e in batteria con altre imbarcazioni e fortunatamente arrivano anche i delfini, che si divertono a saltare davanti alle prue. Dopo circa 3 ore navigazione, sempre rimanendo nella baia, approdiamo al Pelican Point e trasbordiamo su un 4×4 che ci porta a sud sulle dune di sabbia fino al Sandwich Harbour, una laguna piena di colori. Qui faccio la scalata di una duna per avere una visione dall’alto della laguna poi pranzo sulla spiaggia a base di tramezzini, stuzzichini di pesce, vino spumante sudafricano ed ostriche freschissime e buonissime, tanto che me ne strafogo 8 una di fila all’altra. Sono un vanto della zona, e se lo meritano veramente. Nella baia ci sono infatti gli allevamenti e queste si nutrono del moltissimo plancton che porta la corrente, crescendo oltre che buonissime anche 8 volte più velocemente che in altri posti, come ad es. le coste francesi. Finito di mangiare ci si butta dentro alle dune, in un continuo sali e scendi, anche su quelle più alte e con pendenze da brivido, tanto che sembra essere sulle montagne russe. Un vero divertimento. La nostra Land Rover Defender, anche se parecchio vecchiotta, ha dimostrato sul campo, anzi sulle dune, tutta la sua fama di essere fra le migliori auto fuoristrada. Qui, un po’ all’interno, la fascia di nebbiolina costiera lasciava spazio a dei buchi di sole e cielo blu, tanto che sono rosso invasato come un gambero, in pieno stile germanico. Stamane non ho portato il cappello e non ho messo la crema solare. Che diamine. C’era una nebbia che sembra pioggia! Eppure sono bruciato. Ritorniamo via dune a Walvisbay, con continui cenni di abbioccamento, quindi riprendiamo la nostra auto e torniamo a Swakop dove passiamo al 22° South per prenotare la cena. Ultimo tavolino da 2 posti disponibile, e sono solo le 4 del pomeriggio. Mi fermo a fare rifornimento e vengo letteralmente accerchiato da un nugolo di addetti, 7-8 almeno, che cominciano a rifornire, lavare i vetri (tutti), controllo pressione gomme, liquidi, chiacchierare con noi, ecc, tanto che mi pare d’essere al pit-stop come la Ferrari, e fra l’altro questi sono anche vestiti di rosso essendo della Total. Uno spasso. Più tardi facciamo un giro per la cittadina, molto ordinata e pulita, alla teteska, e notiamo che qui le case hanno tutte il muretto basso senza recinzioni, com’era invece nella capitale. Sarà perché da buoni teteski hanno dei ferrei concetti di ordine e disciplina! Qui se combini qualcosa ti sbattono dentro e buttano la chiave. Parcheggiamo, affidando come sempre la guardia dell’auto a uno degli onnipresenti “car watch”. Con la scusa dei furtarelli sulle auto (che siano veri o inventati non lo so) questi giovanotti si sono creati un business e per pochi dollari (namibiani) ti tengono d’occhio l’auto. Cena con degli ottimi spaghetti allo scoglio e altro pesce, per circa 40 euro in due. Percorsi km 80 – Totale 987 km
DAY 30 Venerdi nel Damaraland
Mi alzo e riesco a malapena ad aprire gli occhi e se tento di corrugare la fronte fa un male bestia. Sono rosso aragosta e con la fronte e il naso gonfi da paura. E pensare che ieri non c’era praticamente il sole. Ricordarsi quindi di mettere sempre la crema e di usare il cappello anche se fa nuvolo e c’è la nebbia. Ho preso una biscottata memorabile. Facciamo una colazione molto buona con ogni ben di Dio. Sam ci ha trattati molto bene. Salutiamo anche il suo bel cagnone, un bernese di due anni coccolone che mai, che è il suo addetto alle public relations. Lasciamo Swakop e ci spostiamo un po’ verso Windhoek per poi puntare a nord su strada bianca, che sarà così fino a sera. Piano piano usciamo da quella fascia di nebbia che bagna l’auto come fosse pioggia, tanto che serve il tergi, fino a che ritorna il sole il cielo blu. Entriamo nel Damaraland e i paesaggi si susseguono, sempre desolatamente desertici e sconfinati, ma sempre pieni di fascino, con strade lunghissime, a tratti lunghe e dritte, altre volte sinuose e ondulate in mezzo alle montagne, con avvallamenti dove ci sono i moltissimi wash, da prendere con attenzione per non piantarsi dentro con la macchina lanciata a velocità. Facciamo una deviazione per vedere da vicino lo Spitzhkuppe, un enorme blocco di roccia chiamato il cervino d’africa per la sua forma piramidale. Ad Uis, quattro case e un distributore, facciamo il pieno, mangiamo un hamburger nell’unica guest-house aperta e compro delle pietre da un ragazzo cui non riesco dire di no. Ripartiamo e ci sono altre 3 ore di viaggio per arrivare al Xaragu camp. Stiamo percorrendo una strada definita fra delle più belle sterrate della Namibia. Ai lati ci sono ogni tanto delle bancarelle e ci fermiamo in una di queste dove ci sono delle donne dell’etnia Herero, i “cugini modernizzati” degli Himba, con i loro variopinti abiti, retaggio di epoca vittoriana, e dei bambini seminudi che si ruzzolano nella polvere. Gli diamo un chupa-chups ma forse non è stata una buona idea dato che dopo 2 secondi era pieno di sabbia. Comunque il pupo lo ciucciava di gusto lo stesso. Oggi durante il tragitto abbiamo avuto spesso la sensazione di essere completamente soli per molto tempo. La strada riprende infatti lunga, a tratti sinuosa e ondulata a tratti diritta fino all’orizzonte. Ci sono i cartelli di “attenzione elefanti” ma purtroppo non ne abbiamo visti. Solo struzzi, anche con famigliola al seguito. Ad un certo punto un paio di bambini corre verso la strada, verso di noi, e ci fermiamo per dargli qualcosa. In un attimo i bambini diventano più di 10. Spuntano come funghi. Diamo dei palloncini e questi si attaccano all’auto chiedendo “sweet”, cookies, ballons, food, water. Ma non in maniera insistente e opprimente, bensì dolci e teneri. Ci è stato consigliato di non cedere in elemosine od offerte di cibo, e così abbiamo fatto, limitandoci a caramelle e dei giochini. Per ripartire abbiamo dovuto fare come a scacciare le mosche dalla torta tanto che dopo qualche metro abbiamo anche controllato di non averne ancora qualcuno attaccato all’auto, non si sa mai! Arriviamo al Xaragu camp che sono già le 4! Il campo tendato è ben posizionato sotto una collina e a bordo di un torrente, attualmente in secca. Decidiamo di fare stasera la visita alle vicine incisioni rupestri, alle organ pipes e alle burned mountains, e manco a dirlo, dato che Manu con le cartine non ci azzecca, dobbiamo ritornare da dove siamo venuti per circa 15 km per poi girare verso Twelfefontain. Al visitor center delle incisioni rupestri arriviamo alle 5, e guarda caso il sito chiude proprio alle 5. E non c’è stato verso che ci lascino entrare lo stesso. Fiscali da spaccare il minuto! Puntiamo quindi verso le pipes, delle formazioni basaltiche carine ma piccoline. Più avanti le burned mountains sono purtroppo con il sole dalla parte sbagliata: bisogna per forza visitarle al mattino per avere il sole a favore e poter percepire tutti i colori che dicono di avere. Peccato. Torniamo al camp per la cena, poi a nanna, con la lanternina a petrolio. Il cielo stellato è favoloso. Percorsi km 461 – Totale 1448 km.
DAY 31 Sabato nel Kaokaland
Iniziamo la giornata con una bella sorpresa. Una gomma a terra. Va beh. Dicono che se non fori almeno una volta non sei degno di essere stato in africa! Cambiamo la gomma tribolando non poco ad aprire il lucchetto intasato di polvere (copritelo con del nastro adesivo!). Fortunatamente al camp sono attrezzati per le riparazioni, così ripartiamo tranquilli di avere ancora tutte e due le ruote di scorta. Finché facciamo colazione, gli addetti al camp, una decina di persone, intonano un coro in lingua locale, molto bello. Oggi attraversiamo l’area del Kaokoland con un tragitto piuttosto lungo ma esageratamente panoramico. Passiamo per Palmwag, dove c’è un gate di check control e dove ci dicono che siamo i primi italiani che passano da un mese, poi Sessfontain, dove riusciamo a fare rifornimento di benzina e pranziamo al lodge Fort Sessfontain. Ripartiamo e attraversiamo le montagne culminando sul passso Joubert. Incrociamo diversi villaggi Himba e ogni volta, non appena si accenna a rallentare, un nugolo di bambini e persone parte dalle capanne e corre verso la strada. In uno di questi casi non siamo stati svelti a ripartire e ci siamo ritrovati accerchiati da bambini. C’è anche una ragazza in tipico abbigliamento Himba, se abbigliamento si può definire. E’ infatti leggendaria la bellezza delle donne, inconfondibili per la mistura di ocra rossa e grasso animale che ricopre anche le elaborate acconciature. Tentiamo di capirci ma non ci riusciamo. Comprendo solo un masticato “money foto” e capisco così che hanno ormai imparato una maniera nuova per fare qualche soldino.
Il paesaggio si sussegue fantastico e per la prima volta credo proprio che siamo sul serio soli. Per ore e ore non abbiamo incrociato una macchina. Solo villaggi, mucche, pecore, qualche carrettino trainato da asinelli, oltre alla nostra lunga scia di polvere, e niente altro, fino all’arrivo a Opuwo, dove peraltro ci rendiamo conto che probabilmente siamo gli unici bianchi in città. Prendiamo contatto con una corrispondente di Rolando, una signora chiamata Queen Elizabeth, una vera mamy di colore, bella abbondante e simpatica, per una visita ad un villaggio Himba. Prima facciamo un po’ di spesa, da portare come dono al villaggio, zucchero, farina, olio ecc. Ci dice che ci porta in un villaggio piccolo, non come gli altri che ti portano dove ormai parlano inglese e sono abituati ai turisti, e di fatto ci porta al suo villaggio natio a 31 km all’interno, lungo una strada (la D3703 direzione Etanga) che in alcuni punti è alquanto dissestata. Nel villaggio facciamo conoscenza con una delle mogli del capo villaggio, non presente ma che arriva più tardi con altri uomini dai pascoli. Il villaggio è una recinzione circolare con delle capanne e un recinto per gli animali all’interno (simile ai Masai). Una delle ragazze presenti, che avrà avuto si e no 17 anni, era di una bellezza particolare. Abbiamo modo, oltre che vedere da vicino e nel dettaglio l’abbigliamento tipico delle donne, di apprezzare alcune abitudini, come macinare la farina o preparare la polvere rossa che usano per coprire tutto il corpo. Viene ricavata macinando dei sassi di colore rosso e impastando la polvere con del grasso animale, dopodiché si spalmano tutto il corpo, capelli compresi, come un fondotinta. Ci spiega inoltre Elizabeth che gli Himba non si lavano mai. Non usano l’acqua per lavarsi bensì si strofinano con la polenta, la stessa che anche mangiano. E’ come per le nostre donne, usare le salviettine struccanti. Considero che, dato che sono sempre così spalmate e la loro pelle è sempre comunque setosa, forse questa terra rossa ha anche proprietà antisettiche, oltre che proteggere dal sole. Molto ma molto bello. Due giovani ragazze ci mostrano, indossandolo, l’abbigliamento nuziale, con evidenti segni di imbarazzo. Chiediamo ad Elizabeth quanta gente vive nel villaggio e quanti anni ha la ragazza. Cose che non sa nessuno. Dice che gli Himba non usano contare alcunché. Né gli anni, ne i giorni, ne quanta gente, quanti figli, ecc. Sanno chi e quanti sono solo perché si riconoscono dai lineamenti. Non serve quindi sapere che domani è il primo giorno dell’anno nuovo: a loro basta sapere semplicemente che domani è un giorno nuovo. Un sistema molto ancestrale, derivato immagino dallo stretto rapporto che hanno con la natura. Visitiamo le capanne ed altre costruzioni che sono le dispense per il mais e il cibo in genere. Tutto costruito con legna intrecciata su cui viene applicato un impasto di acqua, terriccio e sterco di mucca. Torniamo al lodge, dove siamo in pratica gli unici ospiti. Mangiamo e poi se ne vanno tutti, tranne un giovane ragazzo che è la “security guard”. Ha 22 anni e non conosce l’Italia. Anzi, non conosce nemmeno l’Europa e forse nemmeno gran parte del resto del mondo. Con l’ausilio di una world-map che ho nel gps gli faccio una veloce lezione di geografia, per fargli capire dove siamo, dov’è casa mia, quanto piccola è l’Italia, ecc. E intanto cerchiamo di passare il tempo per fare capodanno. Manu crolla e va a dormire. Dopo una lunga chiacchierata con la guida, anche se complicatina perché non parla bene inglese (non che io lo parli granché meglio), arrivano anche altri due ragazzi del lodge per farci compagnia. E intanto continuo a buttare giù birre fresche. Poco prima di mezzanotte costringo Manu a ritornare dal suo sonno profondo e festeggiamo con l’ennesima birra, poi tutti a nanna. Credo proprio che agli amici che avevamo attorno non gli potesse fregar di meno del capodanno. Ultimamente facciamo sempre dei capodanni fuori dai canoni “nostrani”: a brindare con una coca-cola in un paesino dello Yucatan, su un’amaca sotto al Salto Angel, qui con delle birre fresche….Ma è certamente meglio così, viaggiando! Partiti alle 8:30 dopo il cambio gomma e arrivati alle 16:30. Effettivamente un po’ oltre il previsto, ma c’è stata 1 ora di lunch al Fort Sessfontain ed un sacco di stop per le foto al paesaggio. Percorsi km 385 – Previste 5 ore ma sono state 8 + la visita agli Himba. Totale 1833 km.
DAY 1 Domenica a Epupa Falls sul Kunene River
Alzata tranquilla, tanto oggi la strada è solo di 3 ore. Colazione poi un salto all’ATM a prelevare un po di dollari e a fare provvista d’acqua al OK Market. Qui è anche la postazione “da lavoro” di Elizabeth, che ritroviamo con le sue due borse di manufatti. Una foto ricordo, un salutone e via direzione Epupa Falls, che sono già le 9. La strada non è particolarmente panoramica. Territorio arido e coperto dalle solite acacie, dove ogni tanto individui un villaggio all’interno, Himba quelli con le capanne rotonde e Herero quelli con le casette quadrate. Unico “problema” che non appena accenni a fermarti vedi nugoli di bambini che corrono verso la strada e l’auto. Qualcuno riusciamo ad accontentarlo, con dei dolcetti e dei palloncini, ma se avessimo dovuto fermarci da tutti avremmo dovuto avere il pickup pieno zeppo di roba. Arriviamo quindi a destinazione, al solito impiegando più tempo del previsto causa le frequenti fermate per le foto, ed è un posto paradisiaco, sul fiume Kunene ai confini con l’Angola, con un sacco di verde e di palme altissime sui due lati del fiume. Il lodge Omarunga è bellissimo, con tutte le capanne immerse in un palmeto e la nostra è proprio in riva al fiume, a pochi passi dalle cascate di cui si sente continuamente il rombo. Devo proprio dire che Rolando e Nadia hanno scelto sempre molto bene. Mangiamo qualcosa, e andiamo subito a fare una passeggiatina lungo le cascate, circondate da grandi baobab. Dalla riva del fiume non si riesce però ad avere una piena visione della crepa che c’è in mezzo al fiume e dove l’acqua si infila. Prenotiamo l’escursione SunDowner che ci porterà sulla collina di fronte, dove si avrà una completa panoramica della cascata. Per il resto, stesura del diario seduto fuori dalla capanna, col venticello, il fiume davanti e il rumore delle cascate. Una figata. Poi… rimaniamo in attesa della serata. Un posto e un relax che potrei gustare anche per più di qualche giorno. Verso le 5 montiamo sulla jeep del camp, siamo solo noi due, e saliamo la collina di fronte alle cascate. Qui il panorama che si apre è veramente da cartolina. Sarà difficile selezionare le 2-3 foto migliori fra tutte quelle scattate. La visuale è perfettamente di fronte alla gola principale ma le cascate non si limitano solo a questo. L’estensione è ben più ampia e si apre a semicerchio, per la maggior parte sul territorio angolano. La guida ha con se snack e bevande fresche per un drink dall’atmosfera veramente unica. Cena al camp poi a dormire, lasciando completamente aperte le finestre della tenda, comunque dotate di zanzariera, per lasciare passare l’aria. Dormito da bomba, come sempre in vacanza. Percorsi km 173 in 3,5 ore – Totale 2006 km.
DAY 2 Lunedi ad est verso Ruacana
Partiamo tranquilli, ma è una scusa per giustificare che abbiamo faticato ad alzarci dal letto. Colazione e lunch pack, come consiglia Rolando, dato che è prevista una percorrenza di quasi 5 ore e con una parte di strada molto “rough”. Sono le 9. Considerato che finora abbiamo sempre sforato sui tempi previsti e che la strada, dicono, è anche brutta, partiamo tralasciando una possibile passeggiata fino ai piedi delle cascate. Peccato! Dopo un’oretta troviamo la sorpresa di una pattuglia della polizia che ci ferma e purtroppo non indossavo le cinture di sicurezza. Colpa mia, lo so, ma porco cane, cosa ci faceva una pattuglia della polizia in un posto così sperduto a quest’ora di mattina? Morale della favola, 1000 dollari namibiani, circa 100 euro, di multa. Finché sono più in là, sotto ad un albero appoggiato al cofano dell’auto della polizia, Manu mi fa un paio di foto ricordo ma la cosa non è andata a genio al capo dei pula che la chiama e gli fa la predica, che non si può fotografare senza prima chiedere il permesso, eccetera, eccetera. Alla fine vuole che cancelli le foto, cosa che faccio e che lui controlla (tanto poi le posso recuperare dalla SD Card! he, he). Finita questa parentesi ripartiamo, con le cinture ben indossate, ma non è l’unica disavventura. Ci fermiamo per una pipì e scendendo dall’auto mi prendo un colpo della strega che mi fa stare con la schiena piegata e dolorante da qui in poi. Ad ogni modo, la strada (D3702) è tranquilla fino a che non ritroviamo il fiume e prendiamo a dx direzione Ruacana. Qui la cosa si fa divertente, da fuoristrada vero e proprio. Quattro motrici inserite e divertimento nella guida, con qualche piccolo guado e strada piuttosto sconnessa. Però è troppo poco! Il lodge dista solo 4km e arriviamo troppo presto! E che ne facciamo ora del lunch pack? Ci tocca consumarlo sulla veranda della nostra stanza. Il lodge è veramente un angolo di paradiso, sulle rive del fiume e completamente immerso nella natura. Un po’ umido ma certamente un bel posto. Relax completo fino a poco prima delle 6 quando partiamo per l’escursione Sundowner cruise. Risaliamo il fiume alla ricerca di animali, praticamente solo uccelli ad esclusione di un cucciolo di coccodrillo. L’atmosfera è però fantastica, specialmente quando, dopo il drink a bordo, si spengono i motori e ci si fa trascinare indietro dalla corrente, nel silenzio più assoluto.
Cena sul pontile a sbalzo sul fiume, con fuggi fuggi a metà, causa uno scroscio di pioggia, poi di nuovo relax sotto la capanna-lounge a bere il caffè e a scrivere il diario. Percorsi km 155 in 3,5 ore – Totale 2161 km.
DAY 3 Martedi nell’Ovamboland
Partiamo con tranquillità, tanto la percorrenza odierna è di sole 3,5 ore. Alle 8:50 riprendiamo la strada malmessa che porta a Ruacana. Un divertimento di guida fuoristrada, con tratti piuttosto dissestati e alcuni guadi. Chiaramente i tempi di percorrenza non possono essere alti e per fare 20km impieghiamo 1 ora. Cominciamo quindi a pensare che le previsioni di percorrenza che ci ha dato Rolando non siano esatte. Infatti, arriviamo a Ruacana circa alle 11:20, vale a dire dopo 3,5 ore. Tempo questo impiegato per fare 70km di off-road. Lungo il percorso ci sono dei villaggi Himba. Il tempo di offrire delle caramelle e delle matite colorate, di vedere i bambini che ci vengono incontro, a piedi scalzi e di corsa su quel terreno sassoso (!) e di fare qualche foto. Facciamo il pieno e andiamo a dare un’occhiata alle Ruacana Falls, quindi via sulla strada asfaltata, traversando delle zone verdi che ti fanno capire quello che il fiume dà al terreno. Siamo nell’Ovamboland, entriamo nella terra degli Ovambo, l’etnia di ceppo bantu più numerosa della Namibia, organizzata in clan familiari con proprietà collettiva delle terre. La strada è costellata dai tipici kraal, villaggi recintati con capanne dal tetto di paglia. A Outapi ci fermiamo per il pranzo e poi andiamo a cercare il famoso big baobab, dove all’interno hanno ricavato addirittura una chiesetta. Ne vediamo comunque parecchi di baobab enormi, ma per quello che cerchiamo bisogna seguire le indicazioni per il camping del baobab. Si paga l’accesso di 20 dollari a testa e l’addetto ci da anche le necessarie spiegazioni. Questa pianta ha più di 1000 anni e ha passato tante di quelle vicissitudini… Durante le guerre tribali dell’800 all’interno dei baobab si rifugiavano donne e bambini, mentre gli uomini facevano la guerra, poi è anche servita da prigione, da meeting room per l’esercito sudafricano durante la colonizzazione, e molte altre cose. Ora è monumento nazionale. E’ un albero bellissimo e imponente e ha dei fiori altrettanto belli. Ti viene voglia di carezzarlo e sembra di percepire qualche sensazione particolare toccandolo. Passiamo poi delle pianure alluvionali, dove una grande quantità di mucche e pecore pascola passando allegramente di qua e di la della strada, non badando minimamente alle pochissime auto che passano. E’ quasi inutile mettere i cartelli dei limiti di velocità. Non fai a tempo a prendere velocità che ti tocca rallentare per qualche animale che attraversa o che fermo in mezzo alla strada ti guarda come a dire “e tu che vuoi?”. La strada qui è un po’ monotona e mi viene un tale abbiocco alla guida che combatto con me stesso per rimanere lucido ed arrivare quanto prima all’hotel. Per strada realizzo un controsenso namibiano: in auto sono obbligatorie le cinture, anche per i passeggeri (e ancora mi rode la multa di 100 euro), e poi si vedono dappertutto i pickup con un sacco di gente stipata nel cassone, in barba a qualsiasi elementare regola sulla sicurezza stradale. Boh! Arriviamo quindi all’ Oshakati Country Hotel e la giornata finisce qui, dopo ovviamente aver aggiornato il diario a bordo piscina mentre dei pipistrelloni giganti, saranno circa 30cm di apertura alare, fanno i volteggi per berne l’acqua. Percorsi km 232 in 7,5 ore – (compreso 2 ore pranzo e visita al baobab a Outapi). Totale 2393 km.
DAY 4 Mercoledi nel Kavango
Partenza alle 8 che oggi è un lungo trasferimento. Capisco subito che non può quadrare il tempo stimato da Rolando di 3:45 ore perché sono da fare quasi 600 km e se va bene terremo una media massima di 70km/h. E’ sicuramente un errore di “copia-incolla” sul programma di viaggio. Il viaggio di oggi è un susseguirsi continuo di villaggi, di più o meno grandi e di più o meno messi bene. Strada lunghissima, con gruppi di animali, mucche o capre, al pascolo sia ai lati della strada sia sull’asfalto, che ti obbligano a rallentare e ti guardano come a chiederti perché li disturbi. Poi gente a piedi o con l’asinello con taniche per prendere l’acqua su una delle tante pozze presenti. Ci fermiamo a fare picnic con il nostro lunch-pack in una delle piazzole presenti ogni tanto sul percorso, delle semplici panchine e tavolino posizionate sempre all’ombra di un grosso albero. E’ già l’una quando entriamo nella regione del Kavango, dominata dall’omonimo fiume, che in Botswana darà vita al grande delta dell’Okavango, e dall’omonima etnia che pratica l’agricoltura nelle fertili piane alluvionali. Si vede bene ciò che il fiume dà al territorio. E’ molto verde e tutti coltivano qualcosa. Sempre tanti insediamenti di capanne. Salutiamo tutti e veniamo sempre ricambiati da mani sventolanti, anche se si percepisce che “ci guardano strani”. Comprendiamo che qui di bianchi non ne passano molti. Specialmente in un tratto di strada sterrata che abbiamo preso, sbagliando sul tragitto, ma di fatto indovinandola per le emozioni che ci ha restituito. In un punto mi sono fermato dove c’erano dei bambini e non appena Manu ha accennato a offrire le caramelle questi sono scappati via terrorizzati, urlando e piangendo! Scendo e tento di avvicinarne uno più o meno dodicenne che mi guarda veramente impaurito, nonostante facessi cenni tranquillizzanti. Io mi avvicinavo mostrando il chupa-chups e lui arretrava. Facevo il gesto come a dire “tieni, te lo do, è per te” e lui mi ha fatto cenno di posarlo a terra e di allontanarmi, cosa che ho fatto e solo allora lo ha preso. Mi è venuta in mente la scena del film Balla coi lupi, dove Kevin Kostner tenta di vincere la diffidenza del lupo offrendogli un pezzetto di carne. Sono rimasto molto colpito e anche sconcertato da questo incontro. Va beh che sono grande e grosso e bianco (anche di capelli e barba, tanto che mi scambiano più da tedesco che altro), e quindi posso anche far paura, ma non credevo di dover affrontare situazioni simili e di non riuscire a superare la diffidenza e la paura di questi bambini. Ricordo per contro di quando ero io bambino e il timore che avevi quando se non facevi il bravo ti dicevano che arriva “l’uomo nero”. La stessa cosa. Poi mano a mano ti accorgi che ci si sta avvicinando alla città, anche se siamo ancora a decine di chilometri da Rundu. La densità di villaggi o capanne aumenta. Vediamo sempre più gruppi di persone riunite all’ombra delle piante. Salutiamo e veniamo ricambiati. C’è un gruppo di persone e delle donne che battono con i pali nel mortaio, per macinare qualcosa. Ci fermiamo, facciamo vedere i dolcetti e un nugolo di bambini parte alla rincorsa verso di noi. Qui non sembrano intimoriti come nell’esperienza precedente. Più avanti ancora un’altra donna con il mortaio davanti alla sua capanna, e altre donne con dei bambini. Mi fermo e gli vado incontro per offrirgli i dolci. I bambini scappano dentro casa e le donne ridono divertite. Forse ridono di me, uno strano individuo che gli va incontro e chissà cosa vuole. Qui la presenza delle donne fa si che un bambino quando mostro il dolcetto si fa coraggio, spinto anche dalla voce della mamma, e mi viene incontro prendendolo dalla mia mano. Gli altri due invece piangono e rimangono nascosti dentro casa. Quando le donne li prendono in braccio mi avvicino e riesco a dargli la caramella, ma sono così impauriti che non posso osare oltre. Saluto e torno all’auto, mentre le donne si scambiano delle parole ridendo un po’ sull’accaduto. Mi piacciono questi contatti con le persone. Ancora una fermata a guardare un giovane che sta costruendo il tetto di una capanna, con sapiente lavoro di posizionamento dei mazzetti di paglia legati fra di loro. Arriviamo quindi al lodge, un bel posto a 11 km dalla strada principale proprio sulle rive del fiume dove stanno anche alzando le sponde con i sacchi di sabbia, memori dell’alluvione avuta nel 2010. Dopocena aggiornamento quotidiano del diario nella nostra capanna, con sottofondo di gracidare di rane, sia quelle che fanno cra-cra ma anche altre che fanno un sonoro e continuo tik-tik, come a battere fra di loro due bastoncini di legno. Percorsi km 540 in 9 ore (Compreso 1/2 ora picnic e molte fermate per foto). Totale 2933 km.
DAY 5 Giovedi nel Kavango
Andiamo con Moses, dipendente del lodge e nostra guida per oggi, a vedere la scuola di cui ci ha parlato Rolando. I bambini sono però in vacanza e vedremo quindi solo i locali e il posto. Qui studiano circa 40 bambini in due aule, con una terza che sta nascendo costruita da volontari tedeschi. Andiamo poi a visitare una comunità familiare dei Kavango. I gruppi di capanne, costruite di fango e paglia, vanno da poche unità fino anche a decine. Non sono villaggi ma comunità familiari. I villaggi sono composti da molti nuclei famigliari, generalmente famiglie allargate, con genitori, fratelli e sorelle, zii, ecc. Qui c’era anche un panno bianco sventolante a mo’ di bandiera, che stava a significare un recente matrimonio. Moses ci spiega molto di questa gente e gli chiediamo perché non si prodighino a coltivare intensivamente il terreno, dato che il fiume porta sicuramente limo nutriente, ma si limitino solo alla pastorizia. Ci dice che culturalmente questa gente è “lazy”, pigra, e non ci pensa proprio a far fatica per coltivare il terreno quando vendendo un capo di bestiame la stessa merce la compra al mercato. E il bestiame cresce da solo semplicemente rimanendo sdraiati sotto ad un albero a sorvegliarlo! Peccato, perché ne potrebbero trarre un importante giovamento. Ma qui entriamo in considerazioni e giudizi etnico-culturali e ognuno si farà la propria opinione. Moses però è intraprendente. Si sta costruendo una casa di mattoni (costruiti a mano da lui stesso con sabbia, cemento e stampo) e ha un bell’orto che coltiva alzandosi molto presto la mattina prima di andare a servire al lodge. Pensa anche di costruire piano piano qualche capanna per dare alloggio a turisti. E’ quindi solo questione di carattere ed intraprendenza personale. Andiamo a Rundu a rifornirci di carburante e a comperare un po’ di materiale didattico per la scuola oltre ad ulteriori confezioni di dolci che qui i bambini appena ti fermi saltano fuori a decine dal nulla. Al supermercato comperiamo di che fare dei panini da mangiare all’ombra sotto ad un grande albero, ma è stata dura trovarne uno che non sia già occupato dalla gente del posto. Visitiamo quindi un mercato, dove si vende di tutto e dove probabilmente il nostro colore della pelle stona non poco. Un giro per le strade interne della città e ritorno al lodge per un po’ di relax. Alle 17:30 usciamo per il sundowner boat tour risalendo il fiume e facendo bird watching. Scendiamo anche sulla costa angolana e Moses prontamente tira fuori un pezzo di cartone con scritto “illegal in Angola” per farci una foto ironica. Sulla costa molta gente che si lava al fiume e mio malgrado rubo con le foto dei momenti di intimità della gente. Al tramonto altre belle foto con la scia gialla del sole sul fiume e il cielo variegato sulle tonalità del rosso-arancione. Percorsi solo km 67 – Totale 3000 km.
DAY 6 Venerdi dai Boshimani
Partenza con direzione Grossfontain ma ci fermeremo circa 50km prima, al Roy’s Camp. Sono circa 250 km di strada completamente diritta. Che palle! Preferisco senza ombra di dubbio una strada a curve! Unico momento interessante una fermata brusca per non farsi scappare uno scarabeo stercoraro che rotola la sua pallina di cacca attraverso la strada. Gli faccio persino un filmatino! Arriviamo al camp, in stile Tarzan veramente molto rustico ma molto carino e con anche l’aria condizionata. Mangiamo qualcosa poi un riposino quindi via verso l’accampamento San (Boscimani). Altra oretta di strada completamente diritta, stavolta sterrata, quindi il passaggio di un gate e poi 6km all’interno su una pista sabbiosa che spontaneamente non avrei mai preso. Siamo alle porte del deserto del Kalahari, regno dei leggendari San con visita ad un villaggio immerso nella boscaglia, dove il popolo più antico della Terra ci mostrerà le tecniche di raccolta di erbe e radici, di caccia e tutti i segreti per sopravvivere nel difficile ambiente del Kalahari: l’esperienza culturale più intensa della Namibia a tu per tu con le nostre origini. Arriviamo alla “reception”, che momentaneamente condividiamo con 4 mucche, e arriva un tizio mingherlino e piccolino che dice che sarà la nostra guida ma che prima deve andare a cambiarsi. Ritorna poco dopo, con solo una specie di mutandina di pelle e le chiappe fuori, ed è ancora più smilzo di quello che avevo interpretato prima da vestito. Ci spostiamo verso il punto di partenza del tour e arriva altra gente che comincia ad imbastire l’esposizione di oggetti di artigianato locale. Iniziamo con una dimostrazione di come si fa ad accendere un fuoco con due bastoncini di legno, attività anche rituale con uso di gesti e parole. Partiamo quindi per un walk nel bush, con un gruppetto di uomini e donne, dove mano a mano ci fanno vedere e ci spiegano tipi di piante e radici da cui traggono di volta in volta alimenti, acqua da bere, medicamenti o veleno per le frecce. Assaggio con loro una specie di melone, una radice che sembra un rapano ma più acquosa e un tipo di mandorla. Passata un’oretta a spasso nel bush torniamo dove ci sono delle capanne e troviamo ad aspettarci una ventina di persone fra vecchi e giovani, uomini donne e bambini. Tutti piccolini e mingherlini. Credo, anche se non li ho mai visti, molto simili ai pigmei. Alcune delle donne più giovani sono molto belle e i loro lineamenti, come pure quelli dei bambini, fanno intuire una evidente origine asiatica, tipo la Mongolia o giù di lì. Sono un popolo nomade che vive solo di quello che offre il suolo e di caccia. Chissà che migrazioni hanno fatto nei secoli per arrivare fino a qui in fondo. Ci fanno quindi partecipi di giochi, cori e danze rituali. Comperiamo qualcosa nel loro mercatino (come ci si può esimere?) e ci accomiatiamo. Complessivamente stiamo con loro un paio d’ore. Per strada altre elargizioni di caramelle ai bambini che saltano fuori a decine. Vedo solo una miriade di mani tese e non riesco a capacitarmi e capire a chi ho già dato qualcosa e a chi no. Sono troppi e anche molto furbi! Percorsi km 377 – Cira 3 ore per arrivare al camp e circa 3 ore per andare e tornare dai San. Totale 3377 km.
DAY 7 Sabato primo giorno al parco Etosha
Lasciamo il Roy’s Camp direzione parco Etosha, ritenuto il terzo parco più grande d’Africa e uno dei più ricchi di animali, ed entreremo al Namutoni Gate. A Grossfontain facciamo prima una deviazione di circa 15 km per vedere il più grosso meteorite ferroso caduto sulla terra. Dopo un’oretta e mezza siamo davanti a questo bel parallelepipedone di ferro. Sono 20 dollari a testa di ingresso. Diciamo che la deviazione vale la pena solo per dire che lo si è visto e fotografato. Dopo 3,5 ore siamo al lodge, che si trova all’interno del parco. Sbrigate le formalità e mangiato qualcosa partiamo subito per il primo game drive. Cominciamo a gironzolare di pozza in pozza alla ricerca di un contatto ravvicinato, attorno a quella particolare immensa distesa salina bianca che è l’Etosha Pan. Per ora vediamo un sacco di giraffe, zebre, gnu, antilopi e uccellini e uccelloni vari. Alla pozza Tsumcor abbiamo il piacere di vedere delle giraffe che si abbeverano, con quella loro particolare genuflessione e la loro grazia nei movimenti. Fra questa e la Stinkwater (altra pozza) alcuni elefanti solitari, maschi adulti, uno proprio dentro la pozza. Ritorniamo alla Tsumcor perché qualche altro automobilista ci dice che dovrebbero arrivare degli elefanti. Ci fermiamo ad aspettare. Attendiamo abbastanza, molto più di altra gente che arriva e se ne va subito, ma ne è valsa la pena. Dopo una mezzoretta vediamo dai retrovisori uscire dal bush una colonna di elefanti in fila indiana. Passano a fianco dell’auto e noi siamo lì ammutoliti ad ammirarli. Ne contiamo ben 24 in due gruppi, da quelli più grandi ai cucciolotti piccolissimi. Una meraviglia. Stiamo a guardare i loro giochi nell’acqua e con l’acqua e scatto una valanga di foto, finché lentamente uno si allontana e richiama gli altri in fila indiana, e così come sono arrivati spariscono nel bush. Il tutto è durato una decina di minuti ed eravamo solo noi due. Da pelle d’oca! Facciamo qualche altra pozza ma solo per dire di non averla saltata, dato che come avvistamenti ci sentiamo veramente appagati. Ritorno al lodge per una pausa e per la cena poi tutto intorno si cominciano a vedere fulmini che cadono diritti a terra ed inizia un po’ a piovere. La giusta atmosfera per un bel sonno. Percorsi km 382 – Circa 3,5 ore per arrivare al lodge, compresa visita meteorite. Totale 3759 km.
DAY 8 Domenica secondo giorno al parco Etosha
Partiamo all’alba per uscire appena aprono i cancelli, dato che generalmente gli animali sono, dicono, più facili da vedere all’alba o al tramonto. Direzione ovest verso il lodge Okaukuejo, con pausa pranzo al lodge di Halali. Oggi poco da dire: mano a mano abbiamo passato tutte le pozze presenti sulla mappa da qui alla destinazione, compreso il viewpoint che si spinge dentro al pan, ma con nessun contatto particolare. A parte le solite antilopi di vario tipo, qualche giraffa, uccelli vari e jackals, l’aspirazione di incontrare un leone o di nuovo gli elefanti è svanita purtroppo al tramonto, quando abbiamo gettato la spugna. Addirittura, alla pozza Aus, citata come eccellente per gli avvistamenti di elefanti, abbiamo atteso per quasi un’ora e mezza per nulla. Solo una iena che ci ha attraversato la strada velocemente, senza nemmeno dare il tempo per una foto. La serata ha fortunatamente ricompensato un po’. Dopo cena, alla pozza del lodge, illuminata dalle luci, abbiamo visto 3 rinoceronti, una giraffa e una zebra che si abbeveravano. Percorsi km 231 – Circa 12 ore compreso pranzo. – Totale 3990 km.
DAY 9 Lunedi terzo giorno al parco Etosha
Partiamo all’alba anche oggi. Un’occhiata alla pozza dove troviamo delle zebre e dove faccio delle foto con la luna all’orizzonte. Iniziamo a passare metodicamente le pozze ad ovest fino ad Aus, ma non abbiamo successo. Niente di interessante, a parte le solite zebre e antilopi. A mezzogiorno torniamo al lodge per il pranzo e troviamo la pozza con centinaia di zebre. Uno spettacolo sorprendente. Sono tutte venute al bar a farsi lo spritz! Prossimo obbiettivo a nord alla pozza Okondeka, ma attendiamo metà pomeriggio prima di partire perché una guida ci ha detto che il momento migliore è il late afternoon. Partiamo quindi verso le 4 ma arrivati sul posto niente da fare: desolato. Prendiamo un loop che passa da altre pozze, anche qui senza esito e ritorniamo alla Okondeka per l’ultima chance. In mezzo alla strada troviamo un grosso rinoceronte, che ci fa stare al passo per un po’. Meglio non avvicinarsi troppo dato il caratteraccio che hanno. Poco dopo un’auto ci ferma e ci dice che più avanti, in prossimità della pozza, sotto ad un albero c’è un leone maschio.
Rincuorati andiamo velocemente sul posto dove troviamo altri spettatori. Il micione è ad una cinquantina di metri dalla strada, seminascosto dagli arbusti e si vede appena che è pancia all’aria con le zampone in alto. Decidiamo di rimanere li fino al tempo limite della chiusura del gate del lodge ed è stata un’ottima scelta. Prima si è alzato e si è fatto vedere per bene e dopo un po’ ne è saltato fuori un secondo. Stiamo li un’oretta ad ammirarli nei loro sbadigli finché proprio quando il tempo stava per scadere uno di loro non ha deciso di alzarsi e venire molto più vicino a noi. Bravo! Belle foto. Dulcis in fundo. Dopo cena alla pozza illuminata del lodge, abbiamo visto altri 5 rinoceronti che si abbeveravano e facevano anche il bagnetto e poi è arrivato anche un elefante solitario. Bellissimo. Percorsi km 190 – Circa 4 ore la mattina e 3,5 il pomeriggio. – Totale 4180 km.
DAY 10 Martedi verso Windhoek
Giornata di trasferimento verso la capitale, traversando il vasto altipiano della Namibia Centrale. Ci fermiamo a Okahandja a mangiare qualcosa e comperiamo inoltre dei souvenir al divertente mercato artigianale. Punto di arrivo il lodge Okapuka Ranch, un paradiso con animali liberi in cortile, dagli Springbok ai facoceri con un sacco di cuccioli, ecc. Proprio un bel posto. Partiamo nel pomeriggio in due jeep per il game drive ma fatti 100 metri comincia un temporale coi fiocchi e un diluvio universale con acqua di traverso. La nostra jeep fa appena in tempo a rifugiarsi sotto la tettoia della reception mentre l’altra torna 10 minuti dopo con tutti gli ospiti zuppi fradici. Il temporale, con fulmini e saette, dura quasi un’ora e pertanto game drive annullato. Andiamo però al Lion feed. Hanno una coppia di leoni, maschio e femmina, dentro ad un’area recintata, e gli danno un pezzettone di carne. E’ chiaro che qui è un po’ artificiosa la cosa, ma visti da vicino e visti nel momento della contesa del cibo da 3 metri, fanno un certo effetto. Percorsi km 402 – Circa 4 ore – Totale 4582 km.
DAY 11 Mercoledi a Windhoek
Ci spostiamo con calma verso la capitale, tanto il volo di ritorno è nel pomeriggio. Gironzoliamo un po’ per Windhoek e facciamo una puntatina ad un belvedere dove si gode una ampia visuale della città. Il posto è però abbastanza trasandato tanto che ti aspetti di trovare qualche malintenzionato. Comunque non è stato così. Torniamo giù in tempo per ritrovare Nadia e Rolando e andare a pranzo insieme al Sardinia (indovinate di dov’è la padrona di casa?). Al termine è proprio finita. Andiamo a riconsegnare l’auto, salutiamo i nostri amici, una foto ricordo e ci facciamo accompagnare in aeroporto. Porca miseria: ci viene la nostalgia ancor prima di lasciare questo bel pezzo d’Africa. Ritornano in mente le dune gialle, la gente, il territorio, gli animali… Sigh.
Ciao Namibia. Arrivederci…