Namaste 2

Namaste, le mani giunte e un lieve inchino, è il saluto che ci rivolge Raj, la nostra guida di questo nostro primo viaggio in India. New Delhi: capitale del paese, con molti giardini, ampi viali e un traffico vivace. Visitiamo: il sepolcro di marmo nero del Mahatma Gandhi, “la Grande Anima”, cremato nel 1948; la tomba di Humayun, imperatore...
Scritto da: curiosona
namaste 2
Partenza il: 07/03/2008
Ritorno il: 15/03/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Namaste, le mani giunte e un lieve inchino, è il saluto che ci rivolge Raj, la nostra guida di questo nostro primo viaggio in India.

New Delhi: capitale del paese, con molti giardini, ampi viali e un traffico vivace. Visitiamo: il sepolcro di marmo nero del Mahatma Gandhi, “la Grande Anima”, cremato nel 1948; la tomba di Humayun, imperatore Moghul con giardini geometrici, cupole, torri e la moschea più grande dell’India; il Red Fort circondato da mura di 2 km testimonianza dei potenti imperatori moghul; l’Indian Gate, un arco di pietra di 42 m coi nomi di 90.000 soldati indiani morti durante la 1° guerra mondiale e quella afghana nel 1919, e la monumentale abitazione del Presidente con ben 340 camere. Emozioni: le strade sono un brulicare di camion variopinti, piri-piri verdi e gialli (Ape Piaggio che fungono da taxi economici), autobus di linea e per turisti, tantissime biciclette, auto, carretti tirati da cammelli, moto di tutti i tipi, trattori, mentre la gente cammina con calma irreale.

Alcuni bambini di età indefinita sostano ai semafori e, suonando tamburelli, ballano con movenze da saltimbanco. Si avvicinano alla nostra auto, le manine appiccicate al finestrino, i grandi occhi scuri e curiosi, il sorriso malizioso, questi bambini sono nati dalit, cioè intoccabili, e dalit moriranno.

Jaipur: capitale del Rajasthan; si paga una tassa d’ingresso per ogni veicolo che entra nello Stato. Visitiamo: l’Amber Fort, palazzo-fortezza di arenaria rossa e marmo bianco arroccato su uno sperone roccioso. Di cortile in cortile, entrando dalla Porta del Sole, attraversiamo la Sala delle Udienze Pubbliche con capitelli a forma di elefante, la Sala della Vittoria famosa per le pietre incastonate e i piccoli specchi sul soffitto, la Sala del Piacere, con la porta in legno di sandalo intarsiato di avorio, dove un tempo scorreva acqua fresca, e gli appartamenti delle mogli e concubine del Maharaja. Nella struttura troviamo anche il tempio di Kali, la dea crudele che chiedeva sacrifici umani e fino al 1980 veniva sacrificata ogni giorno una capra Emozioni: sulla strada verso Jaipur incrociamo un matrimonio. Come uscito da una fiaba, lo sposo, vestito da Maharaja, galoppa nel sole su un cavallo bianco addobbato a festa, mentre la sposa lo attende pazientemente nel tempio, al riparo da sguardi indiscreti, circondata dalle sue amiche. Le dame sfoggiano eleganti sari dai colori brillanti e gli uomini sono vestiti all’occidentale, ma indossano turbanti arancio o rosso. Ci offrono con grande ospitalità una bibita rinfrescante e mi permettono di scattare qualche fotografia.

Per visitare l’Amber Fort viviamo la straordinaria esperienza di salire a dorso di un… Elefante! Questi enormi pachidermi possono percorrere la ripida salita soltanto la mattina a causa del grande caldo. La salita dura una quindicina di minuti, è un dondolio lento e il panorama è spettacolare: ai piedi della collina s’intravvede il lago Maota, quasi asciutto, il cui livello si alzerà nel periodo dei monsoni. Davanti a noi un vecchio elefante sta male e fatica a salire, si ferma in continuazione e ho paura che stramazzi a terra da un momento all’altro.

La fila di elefanti, lasciando ognuno il proprio fardello umano, entra nel Cortile principale: uno spazio veramente enorme e imponente, dal basso non sembrava così ampio. Qui un tempo vivevano migliaia di persone, ora alcune donne in sari stanno rifacendo il pavimento e trasportano sulla testa recipienti colmi di ciottoli. La Porta del Sole era ornata con gemme vere, ma gli inglesi le hanno rubate e ora è stata dipinta a colori sulle stesse decorazioni. Al sole però non luccica più!! Continua la visita a Jaipur: l’edificio più famoso è il Palazzo dei Venti costituito soltanto da una facciata di arenaria rosa con le finestre a nido d’ape: da qui le dame di corte potevano osservare la vita in città senza essere viste. L’edificio ha la profondità di una camera con stretti corridoi distribuiti a pettine sotto le diverse cupole a bulbo.

La città vecchia è molto spaziosa e parzialmente circondata da mura merlate, in cui si aprono le porte principali. Il City Palace è proprio al centro della città vecchia ed è costituito da cortili, edifici e giardini. Visitiamo il Museo del Maharaja che espone una collezione di costumi reali con magnifici ricami d’oro e i quadri raffiguranti tutti i maharaja di Jaipur fino all’attuale.

La Sala delle Udienze Pubbliche ospita ora una galleria d’arte con numerosi manoscritti e libri. Alle pareti sono appesi splendidi tappeti del 1600 con decorazioni floreali e bucoliche, francamente un po’ polverosi.

Attirano la mia attenzione due enormi vasi d’argento, realizzati senza saldature, alti 1,6 m e di 345 kg per l’acqua sacra del Gange (circa 9000 litri ciascuno) posti in una galleria con pavimento di marmo. Proseguendo troviamo le quattro splendide porte che rappresentano le quattro stagioni: la Porta del Pavone raffigura l’autunno, la Porta Lotus quella dell’estate, la Porta della Primavera è più semplice con decorazioni verdi e la Porta Rosa rappresenta l’inverno ed è meno colorata.

Emozioni: il fratello di Luciano, così ha tradotto il suo nome la nostra guida, commercia in gioielli con l’Italia da 18 anni. Jaipur è il principale centro per le pietre preziose e, infatti, ci porta a visitare un laboratorio dove tagliano e lucidano sassolini colorati che, sotto le mani esperte degli artigiani, si trasformano in luccicanti pietre preziose.

A pranzo decidono di dividere con noi il loro cibo: roti (pane arrostito sulla piastra), pezzetti di pollo in sughetto, frittelle di formaggio, riso giallo con verdure e tè. Sono molto cordiali e contenti di parlare italiano.

Facciamo un giro a zonzo in città: i barbieri in strada, i venditori di frutta, di uova messe in bella mostra su carretti e che, a richiesta, ti fanno cuocere subito, di spremute e di granaglie al mercato, le mucche che passeggiano sul ciglio delle strade, i negozi pieni di merci di tutti i generi, gli ombrellini multicolori per ripararsi dal sole, gli odori non sono sgradevoli, c’è profumo nell’aria di incensi o di cibo cotto, i venditori non sono insistenti, basta dire: “no, grazie” e se ne vanno. Per ogni acquisto bisogna contrattare, avere tempo e pazienza. Comperare è un’arte di altri tempi e noi occidentali l’abbiamo un po’ dimenticata.

Fatehpur Sikri, città dell’Uttar Pradesh, altro Stato e altra tassa d’ingresso. Magnifica città fortificata in arenaria rossa, costruita dall’imperatore Akbar, abbandonata dopo la sua morte per mancanza di acqua. Originale dal punto di vista architettonico è ormai una città fantasma, ricca di Palazzi ancora ben conservati, la Moschea, il minareto, la Tesoreria, il bagno turco e il caravanserraglio comprendente i locali adibiti un tempo al soggiorno dei mercanti.

Emozioni: immagino Akbar passeggiare tra queste mura, ricevere i sudditi e amministrare la giustizia “senza severità od ostilità”, come recita un cartello nella Sala delle Udienze Pubbliche. Considerato il più grande imperatore moghul, tollerante verso le altre religioni, lo vedo seduto sul trono alla sommità di una colonna posta nel mezzo della Sala delle Udienze Private, collegata ai quattro angoli da sottili ponti di pietra, dove sedevano i maestri delle varie religioni. Nei momenti di relax lo vedo giocare, come si narra, il “pachisi”, una specie di dama, usando giovani schiave.

Attraverso l’imponente Porta della Vittoria, probabilmente la più grande dell’Asia, arriviamo nel cortile dove è situata la splendida tomba in marmo bianco di Shaikh Salim Chishti, mistico sufi, al quale ancora oggi si rivolgono le donne che desiderano avere un figlio maschio: legano un nastrino colorato alle lastre di marmo traforate creando un suggestivo fluttuare di fili al vento. Agra, città caotica, tappa obbligata per visitare il monumento simbolo di tutta l’India: il famoso Taj Mahal, dichiarato Patrimonio dell’Umanità.

Questo spettacolare monumento è il Mausoleo che l’imperatore Shah Jahan ha dedicato alla seconda moglie Mumtaz Mahal morta nel 1631 partorendo il loro 14° figlio. Per 22 anni (1631-1653) 20.000 operai e artigiani da tutto il mondo lavorarono duramente per creare le magnifiche superfici in marmo e pietra dura ad intarsio e pietre semipreziose. Per entrare nel cortile interno superiamo un portale alto 30 m in arenaria rossa, decorato con citazioni del Corano. I giardini sono quelli classici moghul, quadrati, suddivisi in quattro parti da due canali d’acqua. In fondo, posto su un enorme basamento di marmo, svetta maestoso il Taj Mahal. La struttura centrale fu realizzata in marmo semilucido scolpito a motivi floreali e tempestato di migliaia di pietre semipreziose a formare splendidi disegni. La perfetta simmetria dell’edificio è incantevole: le quattro facciate sono caratterizzate da grandi arcate lavorate e recano citazioni del Corano. L’intera costruzione è sormontata da quattro piccole cupole che circondano il bulbo centrale. Sotto la grande cupola è ben visibile il cenotafio di Mumtaz Mahal, una complessa struttura di marmo traforato tempestato da 43 tipi diversi di pietre semipreziose.

I quattro minareti, situati ai quattro angoli, sono stati progettati in modo da pendere leggermente verso l’esterno, per cui in caso di terremoto non franerebbero sul Taj.

Accanto, a rompere la simmetria, il cenotafio di Shah Jahan fatto costruire dal figlio Aurangzeb nel 1666. La luce filtra nella sala attraverso i trafori marmorei finemente intagliati e i due cenotafi sono rivolti alla Mecca. Le spoglie dei due sposi si trovano in un locale sotterraneo, chiuso al pubblico, situato sotto la sala principale.

Emozioni: la fotografia più bella che si possa scattare è quella del Taj Mahal che si riflette nei canali d’acqua che attraversano i giardini.

D’istinto, ci togliamo le scarpe e camminiamo a piedi nudi sul marmo per gustare una sensazione autentica di libertà, concessa a tutti, a prescindere dalla religione in cui si crede, e di sfiorare con la propria pelle le stesse lastre di marmo che hanno sostenuto il peso della storia.

Al tramonto il marmo bianco si accende di riflessi dorati, poi acquista tonalità rosa e infine diventa rossastro. Veramente incantevole e ci lascia senza parole.

Per finire la giornata una scappatina sul piri-piri, direzione il Forte di Agra, palazzo-fortezza in arenaria rossa, sul fiume Yamuna, affluente del Gange, che però in questa stagione è scarso d’acqua. La ciclopica doppia cerchia di mura del Forte è lunga 2,5 km e alta 20 m. La disposizione degli edifici all’interno della cittadella è simile a quella degli altri forti dell’epoca visitati finora: la Sala delle Udienze Pubbliche ospita il trono sul quale si sedeva l’imperatore quando riceveva i sudditi; diverse piccole moschee sono disseminate qua e là; appartamenti e giardini occupati dall’harem; Palazzo degli Specchi chiamato così per le pareti ricoperte da piccoli specchietti; La Sala delle Udienze Private riservata a importanti personaggi e ambasciatori stranieri; il Palazzo con la magnifica torre ottagonale in marmo bianco che divenne per otto anni la dorata prigione di Shah Jahan, quando il figlio Aurangzeb si impadronì del potere nel 1658.

Magnifica la vista in un punto che sovrasta il fiume e che consente di ammirare il Taj Mahal. Probabilmente anche l’imperatore Shah Jahan poteva farlo dalle sue finestre, ripensando all’amatissima moglie..

La mattina seguente, all’alba, ci attende il tragitto in treno sul Shatabdi Express, direzione Jhansi, della durata di due ore e un quarto circa. La stazione è già abbastanza “vivace”: i venditori espongono ogni tipo di merce, i facchini col turbante rosso aspettano e numerosi viaggiatori sostano già lungo la banchina. Il nostro biglietto indica la carrozza nr. 8, prima classe e due posti prenotati. La nostra fermata a Jhansi è la quarta e non dobbiamo sbagliare.

Emozioni: in attesa del treno mi guardo intorno: di fronte, sulla banchina opposta, ci sono gruppi di donne con sari variopinti che, accovacciate, aspettano; intere famigliole che trascinano bagagli incredibili e pacchi di tutti i generi (sembra sempre un trasloco); uomini d’affari vestiti in modo decoroso che vanno e vengono, e tutt’intorno transitano, o sono sdraiate, alcune mucche che non prenderanno il treno. Sui binari scorgo poveri uomini e ragazzi che raccolgono in sacchetti le cartacce che la gente butta dai treni. E’ pericoloso e proibito perché a un certo punto arriva di corsa un poliziotto col manganello e la divisa, che ricorda quella inglese, attraversa i binari e li rincorre per scacciarli. Mi raccontano che l’immondizia raccolta viene poi portata ad un centro di smistamento per ricevere qualche moneta. Probabilmente sono i dalit che vivono alla stazione.

Saliamo in una carrozza comoda, sembra una nostra seconda classe, con un gruppo di turisti inglesi che sta facendo un tour contrario al nostro, e qualche indiano benestante. Dopo la partenza ci servono acqua fredda sigillata e un thermos con acqua bollente per fare il tè nonché alcuni biscottini confezionati. Sembra di essere in aereo. Il costo del biglietto con merenda è di circa 5 Euro. Scatto delle foto quando il treno rallenta nelle stazioni dei villaggi, altrimenti ammiro il panorama che scorre sotto i miei occhi: tanta campagna coltivata a cereali, povere casupole sparse, greggi di ovini e tanti pastori. Alcune colline bruciate dal sole ci vengono incontro e si rincorrono nel finestrino. E’ tutto molto rilassante e una musica di sottofondo ci accompagna. Arriviamo a destinazione puntualmente. In auto proseguiamo per Orchha, città medioevale, ex capitale dell’impero Bundela, che sorge sul fiume Betwa, ora abbastanza asciutto. Entriamo nello Stato Madhya Pradesh e paghiamo la consueta tassa d’ingresso. Visitiamo il palazzo Moghul e il Tempio ricco di pitture e affreschi ancora ben visibili, la residenza del Maharaja, l’edificio per le Visite Private, quello delle Udienze Pubbliche, un gradone fungeva da trono con tappeti, specchi e lumi di candela disseminati ovunque. Una parte della cittadella era riservata alle varie mogli e alle migliaia di concubine che avevano ogni comodità (acqua e servitori eunuchi) e divertimenti (balli e giochi vari), ma restavano rinchiuse dietro a piccole finestre riccamente traforate.

Emozioni: la nostra guida si chiama Amil, un ragazzo giovane che sta imparando l’italiano, ma fa ancora molta fatica, dice tutti i verbi all’infinito, il genere dei nomi e il plurale non esistono. Parla un misto di italiano e spagnolo, lento e con accenti sbagliati, capiamo il concetto, ma lui vuole essere sempre corretto per migliorare. E’ divertente questa specie di lezione di lingua a cielo aperto. Vorrà dire che leggeremo la storia di questa città sulla nostra guida… Comunque ci dice che quest’estate andrà per quattro mesi a N. Delhi presso la nostra Ambasciata che tiene corsi in italiano. E’ pieno di entusiasmo e di buona volontà. E’ un chiacchierone e sicuramente migliorerà molto.

Notiamo però che questi palazzi sono un poco rovinati e occorrerebbe un restauro serio quasi ovunque, ma questa regione è molto povera e mancano i finanziamenti necessari. Speriamo che in futuro qualcosa accada perché si intravvede ancora il fasto di un tempo, il fascino è immutato ma dispiace l’abbandono in cui sono stati lasciati negli ultimi anni.

Sulla strada facciamo una sosta relax nel Palazzo Alipura, dove il Maharaja attuale di 63 anni vive in un’ala e le altre 10 camere le affitta agli ospiti paganti. Il direttore ci mostra un paio di camere, tra cui una suite. Il panorama dal lungo balcone di legno è molto bello e i mobili sono dell’epoca. Non è nemmeno caro rispetto agli hotel di lusso della zona e il Maharaja può così mantenere questo grande Palazzo, anche perché i nobili hanno perso molto privilegi del passato.

Emozioni: ci offrono un buon tè in giardino, sotto un grande albero, in quella che sembra una grande casa di campagna, e non una residenza sfarzosa da Maharaja. Non vi è più traccia della vita fatta di lussi e leggendarie cerimonie che un tempo si svolgeva tra queste mura, mentre all’esterno la popolazione sprofondava nella totale povertà. Il declino di quell’impero si respira nell’aria e sono ormai un lontano ricordo i periodi in cui primeggiavano le arti e l’architettura.

Riprendiamo il nostro cammino, attraversiamo campi coltivati e paesini sperduti. Peccato che, dove non si bagna, è tutto secco e polveroso. L’autista ci dice che sono tre anni che non piove! Il lago di Khajuraho ha un po’ d’acqua che lo Stato ha immesso attraverso la diga perché hanno appena festeggiato il compleanno di Visnu. Ci attende la visita di Khajuraho, città dei famosi templi della dinastia Chandela: su un grande pianoro sono stati eretti nove santuari tantrici, ma ne visiteremo due o tre più significativi.

Il primo, vicino all’ingresso, è ancora dedicato al culto e i fedeli vi entrano scalzi, come d’abitudine.

La nostra guida, Udai, un tipo smilzo con gli occhialini, ci mostra alcune statue che ornano i templi. Il loro significato è molto chiaro e spero che le foto rendano bene l’idea. Come si sa sono Kamasutra puro a tutti i livelli: Kama = amore e sutra = sesso. Le statue rappresentano ballerine che danzano, animali, cavalieri e divinità varie in diverse pose amorose e tutte sembrano muoversi con giocosità e armoniosamente.

Emozioni: oggi brilla il sole e abbiamo soltanto 30 gradi. Per fortuna c’è un bel venticello e ci riposiamo all’ombra di un grande albero. Le piante vengono innaffiate, ma purtroppo l’erba è secca. I giardinieri raccolgono in mucchietti le foglie che cadono e il vento le disperde di nuovo. E’ un lavoro senza fine.

Le decorazioni di alcuni templi sono annerite da una muffa e alcuni operai le puliscono con pennelli fatti di foglie di palma imbevuti di ammoniaca. Occorrerà un sacco di tempo per finire il lavoro, ma in India il tempo e la pazienza non mancano di certo. L’Unesco invierà i soldi quanto prima, dato che questi templi sono Patrimonio dell’Umanità. Il posto è veramente suggestivo.

La sera assistiamo a uno spettacolo a teatro di danza tipica con ballerini provenienti da sette diversi Stati indiani, che mimavano scene di vita quotidiana diverse. La musica era coinvolgente con un suono ritmico penetrante e una voce esterna raccontava in inglese il significato della danza.

La mattina seguente ci rilasseremo in piscina con una bella nuotata, perché soltanto alle ore 14.00 abbiamo il volo per Varanasi, città sacra al dio Shiva, l’antica Benares.

Il viaggio con Air India è stato tranquillo e puntuale. Lasciamo i bagagli in albergo e in meno di mezz’ora siamo pronti per uscire. Tre milioni e mezzo di abitanti, città antica e sacra, sulla riva sinistra del Gange. Non vediamo l’ora di vedere coi nostri occhi questa meraviglia unica la mondo.

A piedi percorriamo le stradine trafficate e piene zeppe di negozietti: c’è il quartiere tessile, quello della meccanica e hi-fi, dei gioielli, degli alimentari. Molti risciò, bici e moto sono in circolazione perpetua. A un certo punto le transenne e i soldati ci bloccano perché deve passare il Primo Ministro indiano in visita per la cerimonia sul Gange. Grande spiegamento di forze dell’ordine e i fedeli devono stare fermi ai lati delle strade sui marciapiedi, e c’è un gruppetto di spettatori con la bandiera a gridare “Urrà”. La nostra guida, Ali, è anziana e scuotendo la testa ci dice che i soldati sono sciocchi e bloccano sempre le città quando le autorità si muovono in trasferta. E’ stata scomodata anche quella piccola folla con le bandierine per il benvenuto! Le mucche sono state tolte dalle strade. Anche noi siamo fermi ad aspettare il corteo. Un cane corre in mezzo alla strada deserta e alcuni soldati lo rincorrono per farlo scappare. Un ragazzo attraversa e viene bloccato da due soldati che lo lasciano passare quando spiega che deve andare subito al lavoro presso il centralino telefonico. Una coppia di turisti inglesi cerca di attraversare la strade deserta, ma vengono brutalmente fermati e rimandati indietro da ben quattro soldati.

Gli ordini sono ordini e tutti devono ubbidire, anche gli stranieri, soprattutto se inglesi. Finalmente arriva il corteo di 6/7 auto bianche, seguite da un’auto nera col Primo Ministro, poi una jeep a chiudere la fila.

Questo è stato il primo approccio, non previsto, alla città sacra, domattina sveglia alle 5,30 per vedere l’alba dalla barca. E’ il momento migliore perché il sole sorge e con lui la vita riprende.

Alle 6,00 circa arriviamo a piedi, come i tanti pellegrini indiani, al Gange dal ghat (gradinata) Daswamedh, una delle più belle e popolate di pellegrini: molti sono già in acqua, altri si stanno immergendo completamente vestiti o parzialmente spogliati, pregano e alcuni bevono sorsate di quest’acqua sacra per purificarsi completamente.

Il sole sorgerà verso le 6,30 circa. Saliamo su una barchetta di legno e scivoliamo sull’acqua lungo la costa davanti ai templi, ai Palazzi dei Maharaja e dei ricchi commercianti che sfiorano l’acqua del fiume con le gradinate (ghat). Sulla riva opposta vediamo sabbia e campi coltivati. La città si specchia nel fiume di un colore verdone scuro e i raggi dorati del sole colpiscono questa immensa scenografia: i templi e i palazzi sono in totale 2000 e 80 ghats sono distribuiti in circa 3 km. I fedeli, dopo le abluzioni, raccolgono un po’ d’acqua in un piccolo recipiente e lo portano in dono al tempio prescelto, mentre alcuni affidano alla corrente del fiume un piccolo dono floreale illuminato da una candela; i tanti pellegrini pregano e si rivolgono alla loro divinità; yogi e santoni (sadhu) seduti sulle gradinate rivolti al sole o, sulle piattaforme, meditano; il bramino, alzando un braciere di fuoco, fa il saluto al sole che sorge. Lentamente arriviamo ad uno dei due punti dove cremano i morti. Sembra di essere arrivati all’inferno: immense cataste di legna attendono di ardere, la terra è scura, bruciata e nera sulla riva, e un cadavere sta finendo di bruciare su una pira quasi spenta. Subito spingono in acqua quello che ne resta con un bastone. Poco distante una donna, avvolta in un telo dorato, attende il suo turno. Le appoggiano sopra un sudario rosso, un poco di legna e danno fuoco cospargendo di saldalo in polvere per profumare l’aria. I parenti assistono in silenzio alla cerimonia. Si sente soltanto il suono dei campanelli. Il costo del rito è di circa 60 dollari. La cenere che resta viene gettata nel Gange e subito scompare inghiottita. Gli addetti a questo “lavoro” sono gli intoccabili.

Anche i Buddisti sono qui sul fiume sacro perché Buddha è morto in questo luogo, cremato e le sue cenere sparse nel Gange. I Buddisti a volte raccolgono un po’ di sabbia dalla sponda opposta con l’idea che una piccola parte del corpo di Buddha li conforti.

Varanasi è una città con molte scuole e collegi; ha cinque Università, scuole di yoga, di ayurvedica e scuole inglesi. Qui ogni induista sogna di morire per poi rinascere. I più fedeli alla tradizione vengono la sera per ringraziare Shiva del giorno appena finito ed eventualmente chiedere perdono per i peccati compiuti durante la giornata, e all’alba per rinascere come il sole che risorge.

Emozioni: i lenti gesti dei pellegrini non sono un semplice bagno, ma un rito spirituale che si perde nella notte dei tempi.

Lo spettacolo è suggestivo: la luce dorata del sole abbraccia lentamente la città, mentre l’acqua porta via tremolanti lumicini floreali. Siamo ammutoliti davanti a questo spettacolo e forse l’unica nota stonata è il cicaleccio della guida che spiega. Restiamo colpiti dai tanti colori vivaci degli abiti, le luci e l’atmosfera mistica che questo luogo emana.

Dopo il giro in barca andiamo dietro le “quinte” di questa spettacolare scenografia, nel dedalo di viuzze, scale, passaggi e discese ripide al fiume, sembra il retroscena di un palcoscenico enorme. Ci dirigiamo ad un tempio hindu con la cupola d’oro, dove non è possibile per noi entrare. La cosa strana è che in questi vicoli non ci sono odori sgradevoli, a volte sterco di animali (mucche sacre, cani e qualche scimmia, caprette), ma grazie al Gange le persone sono molto pulite. Gli unici odori che si sentono sono quello di cibi cotti nei negozietti in strada e il profumo di sandalo e spezie. Sul tardi, nel pomeriggio, andiamo a visitare il tempio buddista di Samath, a pochi km da Varanasi. Questa è la città sacra ai buddisti, come Varanasi lo è per gli hindu.

Buddha ha vissuto qui e qui è morto. Nel suo cottage una signora inglese ha fatto costruire un tempio. Ashoka, l’imperatore buddista, ha invece fatto erigere diverse stupa e monasteri. Incontriamo anche una delegazione proveniente da Sri Lanka.

Visitiamo un museo locale con reperti e sculture buddiste ritrovati durante scavi archeologici nella zona.

Verso sera ritorniamo sul Gange, alla nostra gradinata preferita, per assistere alla cerimonia che abbiamo perso la sera precedente a causa del Primo Ministro.

Le strade sono molto affollate e quindi decidiamo di andare a piedi. Veniamo continuamente schivati da bici, riscio, moto, piri-piri e qualche auto. Sono tutti molto bravi ad evitare ostacoli, mucche comprese. Gli indiani, ci spiega la guida, hanno quattro madri: il Gange, la mucca, l’India e la mamma.

La mucca è sacra perché 400 anni fa, quando i neonati restavano orfani di mamma, venivano nutriti col latte di mucca. Ora non succede più, ma loro restano riconoscenti e quindi non mangiano né carne di mucca, né di bufalo, né di bue.

Inoltre per un povero avere il latte tutti i giorni significa la sopravvivenza, mentre uccidere la mucca significa mangiarne la carne per un tempo limitato. La cerimonia notturna si svolge così: sette Bramini sono in piedi, su altrettante piattaforme rivolte al Gange, sotto lampadine accese e colorate a formare tanti ombrelli. Pregano e accendono lumini disposti a piramide, spargono incenso e alla fine tengono in mano un grande fuoco.

Alcuni lumicini vengono affidati alla corrente del fiume e molte persone dalla barche si godono lo spettacolo. Sulle gradinate la folla siede, prega, e un altoparlante diffonde musica sacra e una cantilena a noi incomprensibile. Nel frattempo passano venditori di cibo, fiori e candele, polveri colorate misteriose, cartoline di divinità, giochi per i bimbi e molto altro.

Non so proprio dire se la cerimonia serale sia più suggestiva o meno di quella che si svolge all’alba. Sono comunque le due facce della stessa medaglia.

Dopo questo bagno di folla ci attende il ritorno in albergo a notte fonda. E’ stata una giornata intensa ed emozionante. La nostra permanenza in India è alla fine, ma con la promessa di ritornarvi in futuro.



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