Messico, terra di emozioni e colori
Al primo semaforo rosso lungo le trafficatissime vie cittadine di Città del Messico ecco le prime emozioni che il Messico decide di regalarci. Due ragazzini con non più di 13 o 14 anni di età, stanno mettendo in scena uno spettacolino mai visto prima in occasioni del genere. Invece dei soliti lava vetri o venditori di accendini e fazzoletti ai quali siamo abituati in Italia, per racimolare pochi pesos, la dignità umana unita alla nobiltà dell’arte hanno suggerito ad uno di essi d’improvvisarsi fachiro in mezzo alla strada nel breve tempo di un semaforo rosso e sta dunque sdraiandosi di petto su di un fazzoletto fino a quel momento tenuto chiuso a fagotto, che sembra essere carico di vetri aguzzi, mentre l’altra, una ragazzina coetanea, gli sale sopra la schiena per aumentarne il “dolore”.
Tempo zero e voilà, scioccati. Bienvenidos a Mexico amigos italianos.
Eccoci già all’ostello, considerata la guida rapida e scellerata di Ariel. Durante il viaggio i commenti si sprecavano insieme alle due ragazze norvegesi, clienti anche loro dell’Hostel Moneda come noi, riguardo la scenetta a cui avevamo pocanzi assistito. Un po’ divertiti, leggermente increduli e un po’ rattristati (per l’età degli artisti sicuramente più consona ad altro tipo di attività).
Ed ecco quindi che il Messico appariva già emozionante nell’immediato e per mezzo della sua enorme capitale, che ci sarebbe apparsa in seguito così tanto moderna e tradizionalista, così americana ma anche così tanto e forse ancor di più, europea.
Vorrei provare, tramite questo mio itinerario, a farvi immaginare le emozioni da noi provate durante tutto il nostro viaggio in Messico, cercando sempre di essere abbastanza stringato, in fondo, correrei seriamente il rischio di annoiarvi raccontandovi per fila e per segno ciò che abbiamo fatto, ciò che abbiamo visto, quello che abbiamo speso e mangiato ecc. Ecc. Inoltre, credo sia la maniera giusta per invogliarvi, se non lo avete ancora fatto, ad andare li per provarle di persona con le ovvie e diverse sfumature che ognuno di noi attribuisce agli incontri con le persone e alla vista della geografia locale, a mio giudizio i due ingredienti principali di un viaggio in terra straniera.
Che dire, i giorni cominciano a trascorrere con noi sempre più immersi nella vita locale con indosso gli abiti del turista, passeggiate per le vie del centro della capitale fra metrò, mercati e mercatini carichi di colore (penso che non ne mancasse neppure uno, davvero), venditori di qualunque cosa, lucida scarpe, succo d’arancia e frutta pronti da degustare praticamente in ogni dove e comedores al vostro servizio pronti a cucinarvi in diretta di fronte ai vostri occhi qualunque cosa, quasi sempre però, nel più grande rispetto della tradizionale cucina messicana.
Tutto questo e moltissimo altro è Città del Messico, la qual capitale ci ha riservato anche il nostro primo incontro con i Maya, presso le vecchie rovine di Teohtiuacan a 50km circa da essa, raggiunte con il nostro primo spostamento con i bus di linea locali, attraverso l’incredibile e smisurata periferia della città, ovvero una miriade di casette incollate l’una all’altra costruite sui fianchi delle colline fra cui, nell’unico grigiore messicano a cui danno corpo, qualche casetta è colorata, con le più svariate tinte accese e pastello, per ricordarci che anche li il colore del Messico c’è, che sta arrivando, piano piano, ma sta arrivando anche nelle più proletarie periferie in via di sviluppo della città più grande del mondo. E quando lasci questa città, pronto per il primo vero e proprio spostamento verso sud, alle volte della coloniale Puebla, dopo una serata fra Mariachi e Tequila in compagnia della cara Liliana, amica e socia di hospitalityclub.Org, hai finalmente e stranamente la sensazione di cominciare la vera vacanza mentre ancor più stranamente, provi anche quella più angosciante di averla finita.
Non chiedetemi perché.
A Puebla la prima sensazione, il primo colpo d’occhio, è stato l’infittirsi di quei colori pastello di cui ci stavamo seriamente innamorando. Li davvero tutto è colorato, anche la periferia un po’ degradata. Ma colorata.
Il profondo legame della città con la colonizzazione spagnola, di contrasto, provava a degradarne la nostra considerazione tentando di distrarci con quello stampo europeo a cui siamo ovviamente abituati, come a Città del Messico, non riuscendoci però troppo. Tutto quel colore, tutta quella gente in strada per festeggiare il giorno della stesura della costituzione messicana e quella coscia di pollo imbevuta in un quintale di cacao fuso e piccante, erano li per gridare: VIVA MEXICO! Ma la vera “fiesta”, è cominciata il giorno dopo, lungo la via verso la capitale omonima dell’estado de Oaxaca, viaggio in pullman durante il quale tutto era decisamente sempre più Messico e paesaggi, più che Messico e nuvole. Un po’ stanchi per essere su quel bus che continuava a scalare metri fra cantieri di montagna e curve a tratti abbastanza importanti e devastanti, ma anche fra estasianti panorami non comuni. Cactus, montagne, terra a tratti così rossa da sembrare un campo da tennis e cieli azzurri solcati da falchi enormi ad ali spiegate e immobili, trascinati e sorretti dal vento come alianti. Ed una volta giunti a destinazione, titubanti per la solita periferia che implora sviluppo al dio colore, è tutta da godere la cittadina del Mezcal, dell’artigianato, della nuova rivoluzione, dove tutto è sempre più Messico!Tutto più che mai colore, caffè e cioccolata!Oaxaca.
Eh si, forse a Oaxaca abbiamo avuto davvero la sensazione fortissima di vivere fortemente la realtà messicana. Aldilà di quelle immense montagne attraversate fra stupore e lamenti, ecco questa cittadina dall’apparenza così tranquilla e rilassante, ormai lontana dal caos di Città del Messico e sempre meno spagnoleggiante (ma non del tutto ovviamente). E pensare che fino a qualche mese prima, fra quelle strade, i ribelli della APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca), davano gran battaglia alle forze di polizia, ancora presenti sul campo al momento della nostra presenza, armate di lunghissimi e inquietanti manganelli e dagli sguardi trucidi e vigilanti, pronte ad issare nuove barricate qualora ce ne fosse stata la non troppo piacevole necessità.
Ma fortunatamente, siamo riusciti a godere profondamente degli aspetti positivi della bella Oaxaca prima di approdare dopo un nuovo viaggio notturno fra curve da montagne russe, alle maestose coste del pacifico per godere dell’incredibile atmosfera di stasi e di pace di Playa Zipolite.
Un tuffo nel passato, negli anni ’70, ecco cosa avevamo letto a riguardo di Zipolite prima di partire. In effetti, è ciò che davvero si avverte in quel angolo di pace.
Se non fosse stato per l’internet point aperto sull’unica strada abitata di Zipolite, che poteva in qualche modo riportarci ai giorni nostri, era davvero improbabile poter dare una collocazione temporale a quel luogo. E probabilmente inutile.
Ciò che davvero conta passando per Playa Zipolite, è togliersi dalla testa ogni forma di stress, angoscia o pensieri, cercando di convincerci che la vita non è e non deve essere solamente quella vita frenetica a cui spesso, siamo abituati. Così, fra buon cibo, relax, sole, pisolini schiacciati su comodissime amache dalle tinte rasta e splendide passeggiate al cospetto dei tramonti mozzafiato che questa spiaggia sa regalare, abbiamo detto addio ad un luogo visitato con la macchina del tempo ed ai suoi pochi abitanti che lo hanno scelto come dimora dai lontani ’70 ed a quelli che invece sono li soltanto da poco tempo. Un addio un po’ a malincuore. Già così tanta strada fatta per arrivare al mare presso quel luogo incantato e già una nuova partenza notturna, alle volte del Chiapas, con un po’ di febbre a far da sfondo ad un nuovo viaggio, probabilmente allucinante. Il viaggio è stato senza dubbio allucinante, ma essere li a San Cristòbal de Las Casas, nuovamente a 2300 metri d’altezza, fra nuovi mercati e bancarelle, fra il mito del sub-comandante Marcos ed il suo movimento(EZLN) a suo tempo sotto le luci della ribalta anche qui da noi, è stato senza dubbio per me rincuorante, nonostante la febbre.
Nuovamente al cospetto del Dio colore, vicino a persone tranquille dall’aria serena e a pochi chilometri da due delle mete più suggestive che il Chiapas e sicuramente l’intero Messico possono offrire ai suoi ospiti, non potevamo che essere veramente emozionati e contenti. Sto parlando di San Juan Chamula e Zinancantan.
Avevamo letto parecchio a riguardo dei costumi e delle usanze di questi paesi semi-indigeni sulla Lonely e ancor prima di partire, fra le pagine web della rete, rimanendo a bocca aperta di fronte alle cose bizzarre e sicuramente uniche a cui potevamo assistere recandoci in quei luoghi di persona.
Così presso l’hotel Casa Margarita di San Cristòbal dove abbiamo pernottato, ci siamo uniti ad una piccola comitiva di gente simpatica e guidati dal sociologo – umorista Alberto, abbiamo potuto finalmente incontrare la coloratissima ed anche ospitale gente di San Juan Chamula, potendone ammirarne la vita rurale tuttora profondamente legata ad antichissime tradizioni Maya mescolate ed incredibilmente ben amalgamate alle più comuni basi cristiane!Bellissime le bimbe che ci circondavano implorandoci di comprare carinissimi braccialetti variopinti, cinturoni, borse e borsellini, tutti sempre più colorati. Un po’ meno bello non poter comprare qualcosa a tutte loro. Erano veramente tante e vendevano all’incirca tutte le stesse cose. Qualcuna di esse provava addirittura a vendere la propria immagine rendendosi disponibile a posare per una foto. “Diez pesos senor para tomar una foto”, dicevano nel loro spagnolo peggio del mio. Eh si, perché le persone di San Juan Chamula, comunicano fra di loro usando l’antichissimo Tzotzil, lingua di origine Maya, spesso disconoscendo totalmente lo spagnolo o nei casi migliori, parlandolo così e così.
Entrando poi nell’unica chiesa del paese, potevamo probabilmente provare due sole emozioni: una gran voglia di ridere e/o brividi.
Tutto in quella chiesa senza panche ed altare col pavimento piastrellato e coperto quasi per intero da aghi di pino, ha un profondo significato Maya ed allo stesso tempo cristiano, le stesse statue dei santi e lo stesso Gesù sulla croce hanno un significato Maya oltre al ben noto significato cristiano. Già tutto questo aveva per noi dell’incredibile, ma quando abbiamo assistito ai rituali tribali compiuti all’interno di quella “chiesa” (rituali che potrebbero essere facilmente interpretati come satanici o vodoo )ecco che l’incredibile era proprio realtà. Persone(a detta di Alberto, guaritori) che tiravano il collo a galline, spalmandosi poi addosso il sangue del povero pollo, nonché l’albume e il tuorlo delle sue uova per purificarsi l’anima, persone che, udite udite, bevevano intere bottigliette di coca cola, sprite, fanta, pepsi o birra, per poi tirare rutti alla Fantozzi e scacciare quindi gli spiriti maligni venuti per dannargli l’anima. Tu chiamale se vuoi, emozioni… Questo è stato il benvenuto del Chiapas, che di li a poco avrebbe continuato a regalarci splendidi momenti una volta giunti a Palenque, nuovamente sul livello del mare dopo l’ennesimo viaggio in pullman fra curve di montagna, questa volta circondate da una giungla sempre più fitta, man mano che si scendeva a valle. Eh si perché a Palenque ci si rimette davvero sulle tracce dell’antica civiltà dei Maya, il tutto comodamente dormendo in capanne di legno con tetto di palma essiccata costruite nella giungla a pochissimi chilometri dalle rovine più suggestive dell’intero Messico insieme alla piramide di Cichen-Itza. Come trovarle?Semplicissimo. Arrivati a Palenque città, chiedete ad un tassista di condurvi a “El Panchan” ed il gioco è fatto. Attenti però ad essere pronti a dormire in un habitat molto rilassante non solo per voi, ma anche per eventuali scarafaggi non piccoli, serpenti e quant’altro possa riservare una giungla in piena regola. Prima di visitare questa splendido sito archeologico o meglio, questa ancestrale città fantasma, per gran parte ancora sommersa dalla fittissima vegetazione e quindi ancora da scoprire, abbiamo scelto di farci accompagnare di buon mattino, verso un’altra di queste città, parecchio più lontana, lungo le rive del fiume Usumacinta, naturale confine con il Guatemala, dove vale la pena riscoprire la città di Yaxchilan, altro sito archeologico nella fitta giungla fra gli urli anche abbastanza agghiaccianti delle scimmie urlatrici, delle quali abbiamo anche avuto l’onore della presenza durante appunto la visita ad uno dei tre templi più alti e faticosi da raggiungere di questo sito.
Quando abbiamo poi lasciato il Chiapas per proseguire il nostro viaggio, eravamo certi di avere già nel cuore posti unici al mondo per caratteristiche. Ciò che ci emozionava più di quel che avevamo appena visto era ormai l’unica grande voglia ancora da soddisfare.
Tornare a poter godere del mare cristallino e delle candide sabbie delle spiagge tropicali, già viste a Cuba ed alle Maldive e poi rimpiante per molto tempo in Italia.
Non ci rimaneva quindi che riprendere il cammino verso lo Yucatan, passarne per la capitale, Merida, presentarci al nostro ultimo incontro con i Maya presso la città di Cichen-Itza e finalmente raggiungere le coste del caribe messicano, la riviera Maya.
Merida è stata un po’ avida di emozioni. Si è salvata ai nostri occhi in corner, con l’apertura del carnevale corrispondente proprio alla data del nostro arrivo. Non brillava ai nostri occhi come le città vista in precedenza, mancava dell’ormai beneamato colore a cui c’eravamo abituati volentieri e ci spiazzava con il suo caos così tanto simile alle nostre grandi città in Italia. Peggio anche di quello di Città del Messico. Menomale che sono venuti in nostro soccorso la sfilata dei carri allegorici in notturna e l’interesse dei suoi abitanti verso il nostro paese, che riconoscendoci italiani per la strada, bramavano letteralmente di agganciare discorso con noi, volendo discutere di qualunque aspetto italiano e delle eventuali assomiglianze dell’Italia con il Messico, specie dello Yucatan, per loro il fulcro della civiltà Maya. Chichen-Itza è stato invece un altro grande incontro con la storia preispanica yucateca. La sua maestosa piramide in parte ristrutturata, rappresentante il calendario Maya e famosa per le ombre che appaiono su di essa nel giorno dell’equinozio di primavera e in quello d’autunno, è di sicuro una meraviglia carica di grande patos.
Ma la riviera Maya era ormai li, vicinissima, pronta ad attenderci ed a riposarci dalla stanchezza accumulata lungo questo festival zaino in spalla che stava per concludersi, su è giù per le montagne e gli altopiani, fra sbalzi termici, cieli stellati e notti in pullman, fra le mille tinte vivaci che ormai amavamo e che avevamo deciso di avere anche in casa nostra, non appena tornati. E ancora un festival di persone tranquille, musica triste e sorniona e musica allegra e spensierata, tequila, mercati, palme e cactus, musei ed antiche città appartenute ad una gloriosa civiltà scomparsa, dolci golosi, polli allo spiedo, riso e tanti, tanti fagioli… Tre settimane per un solo sogno: Mexico!! Grazie a tutti per l’attenzione.
Fabio, Genova.