Mare e monti all’equatore II

17 gennaio 2004 - sabato La terra si allontana, e diventa azzurra, uniforme, Madrid, col suo movimento che immagino lento nel sabato mattina, sparisce, e le nubi ci inghiottono. E’ il mio terzo volo questa mattina. Bologna-Barcellona, Barcellona-Madrid e ora Madrid-Quito: Gli altri 2 erano uno scherzo, adesso si tratta di far trascorrere le...
Scritto da: Roberta Galassi
mare e monti all'equatore ii
Partenza il: 17/01/2004
Ritorno il: 11/02/2004
Viaggiatori: da solo
17 gennaio 2004 – sabato La terra si allontana, e diventa azzurra, uniforme, Madrid, col suo movimento che immagino lento nel sabato mattina, sparisce, e le nubi ci inghiottono. E’ il mio terzo volo questa mattina. Bologna-Barcellona, Barcellona-Madrid e ora Madrid-Quito: Gli altri 2 erano uno scherzo, adesso si tratta di far trascorrere le 10 h e 50’ di volo, di sopportare l’inaridirsi delle mucose del naso, il gonfiarsi delle caviglie, il seccarsi di occhi e pelle, la quasi totale condanna all’immobilità, l’incessante ronzare dei motori. Kit di sopravvivenza alla mano, spalmo crema, inserisco tappi nelle orecchie, estraggo diario di viaggio, guida dell’Ecuador e libro dallo zaino. Mi isolo dal mondo: sparisce il cicaleccio ininterrotto di 2 donne dietro di me, sconosciute fra loro che si stanno raccontando le loro vite. Il mio compagno di posto dorme già, è nordico. Ha tolto subito le scarpe senza esitazione e ha allungato le lunghe gambe nordiche. Sediamo nella fila dell’uscita d’emergenza: stendo le gambe anch’io e mi organizzo lo spazio. In 5 minuti ho tolto le scarpe, indossato i calzerotti, mi sono avvolta nella copertina sintetica e mi sono sprofondata nella scrittura. Tutto sembra procedere veramente bene. Sono stanca, sveglia dalle 5, ieri è stata una giornata pesante e non sono affatto convinta di quello che ho messo nello zaino: le numerose volte che ho prodotto zaini negli ultimi anni mi hanno annoiato e riempito di una falsa sicurezza su cosa portare e come riempirlo. E sempre con l’assoluta decisione di portare lo stretto indispensabile, un agglomerato che non pesa mai meno di 15 chili: come sarà?! Sbircio la presto inseparabile Lonely Planet, la Casa de Eliza mi aspetta a Quito, barrio la Floresta, chissà come sarà e chi sarà Eliza, che mi ho risposto al telefono, una voce profonda, vigorosa e allegra.. E Quito? La descrivono come città accogliente e ci conto. L’America Latina è piena di capitali invivibili come Ciudad del Guatemala, Managua, Tegucigalpa, sporche, rumorose, frettolose. Per fortuna poi ci sono Antigua Guatemala, León e Granada, Comayagua, capitali antiche che conservano l’atmosfera coloniale e ti mettono in pace con lo stereotipo che ogni europeo conserva del mondo latino. Vedrò. Occorre liberarsi dei pregiudizi, come mi ripeto da sempre, cercando di obbedirmi.

L’animo è carico e ottimista, la stanchezza mi dà un po’ di malinconia, non so di che, forse torpore e voglia di coltri comode. C’è tanto da fare e da vedere che farò in breve piazza pulita di ogni pensiero pesante e negativo, e, come sempre, il viaggio sarà curativo! E’ una delle sue funzioni, ma non la più importante.

E il viaggio è proprio la sfida ricorrente, il ritemprarmi, pormi in difficoltà, uscire dalla sicurezza della quotidianità e risolvere il giorno in maniera piena. Finalmente l’incontro con l’altro, una dimensione diversa, nella speranza che gli effetti più biechi della globalizzazione non siano sfacciati anche in Ecuador.

Mi lascio cullare dai pensieri più felici, i più adatti ad addormentarsi, e parto per il viaggio nel mondo di Morfeo.

18 gennaio – domenica sfinita ripercorro gli avvenimenti delle ultime 24 ore ieri sera, verso le 6 ho attraversato le strade di Quito, in un moderno taxi van, dopo aver dovuto fendere una folla preoccupata e festosa in attesa dei parenti fuori dall’aeroporto, grande movimento di commoventi cartelli di bentornato. Aeroporto-Casa de Eliza. Già dimenticavo le ore di veglia e di volo, conquistata dalle prime immagini dal finestrino, dalle novità, dalle facce di indio, dai profili delle case basse del centro e dei grattacieli verso le colline, dalle montagne altissime che troneggiano tutt’intorno. Pungolata dall’aria fresca della sera quiteña, assorta nelle prime note di musica locale e nel precoce studio dell’accento nazionale, cercavo i primi effetti su di me dell’altitudine. 2850 metri.

Quito si trova nel cuore degli altipiani, porta del “viale dei vulcani”. Quest’espressione fu coniata nel 1802 dall’esploratore tedesco Alexander von Humboldt. Vorrei immaginarmelo al primo sguardo dato al panorama fantastico di questa terra. Certo, lui di panorami strepitosi ne vide tanti… Spesso vorrei immaginarmi i pensieri dei primi occidentali di fronte a nuovi panorami esotici, ad esempio, i primi portoghesi che arrivarono in quella favolosa serie di baie dove è stata creata Rio de Janeiro…È stato il mio primo pensiero messo il naso su quell’abbacinante lungomare qualche anno fa.

Parentesi di immagini affollano i miei pensieri e mi sento in pace e fortunata, perché ho tante immagini, che a me valgono più che numeri o fatti.

Dicevo di Von Humboldt e del favoloso viale dei vulcani. Il grande naturalista ed esploratore di Berlino percorse in lungo e in largo l’America Centrale e Meridionale tra il 1799 e il 1804. A leggere la sua biografia non solo vorrei la macchina del tempo, ma anche un lettore di memoria tipo quello del film di Salvatores, per rivivere le avventure di quest’uomo, a cui, tra le varie, si deve l’identificazione della principale corrente oceanica del Sudamerica, le ascensioni sulle Ande per studiare la relazione fra temperatura ed altezza, la scoperta della periodicità delle piogge di meteore. Per non parlare dell’introduzione delle linee isoterme nelle mappe, dello studio sull’origine e il percorso delle tempeste tropicali, quello sull’aumento dell’intensità magnetica dall’equatore verso i poli, la passione per la vulcanologia… Insomma una bella testa d’esploratore e scienziato. Chiuderei questa parentesi citandolo:”naturale è per l’uomo sognare qualche cosa al di là dell’orizzonte visibile”.

E dicevo del viale dei vulcani: 500 chilometri tra Quito e Cuenca. E io lo percorrerò.

Quito si allunga per chilometri su questo viale, una città più lunga che larga, da nord a sud, mentre da ovest a est si arrampica sulle pendici delle due cordigliere parallele di monti che già intorno alla città toccano vertigini. Montagne e vulcani, alcuni minacciosi, mai più bassi di 4000 metri, i cui nomi sembrano scioglilingua: Guagua Pichincha, Sincholagua, Pasochoa. E sono solo i primi di una lunga serie, lunga quanto questo “viale” e anche più. Quanti? Qualcuno li avrà contati… sono decine, io non ce la posso fare! Non a quest’ora, almeno.

Ieri sera, all’arrivo a casa di Eliza, pensione familiare nel tranquillo quartiere di la Floresta, ho trovato una festa di compleanno: Eliza stessa la cumpleañera, la festeggiata… Una quindicina di invitati di tutte le razze, indigeni, neri, bianchi e tutte le gradazioni di miscuglio di questi tre tipi.

Dalla cucina arrivavano odori deliziosi e i piatti venivano via via portati sulla tavola, ma nessuno si avvicinava al buffet…In attesa del discorso di Eliza, toccante e solenne. Questa donna di stirpe negra e contadina, originaria della provincia di Imbabura a nord di Quito, scappata in capitale a 15 anni, infermiera di studi, educatrice, proprietaria del piccolo ostello familiare in cui mi trovo, è una rivelazione già dalle prime poche battute. Fondatrice di una riserva naturale nella sua provincia di origine, con lo scopo di migliorare gli standards di vita della popolazione rurale, ha creato un programma di formazione, in cui adulti e bambini imparano tecniche agricole biologiche e si avvicinano ad un modello di coltivazione rispettoso dell’ambiente. Nel 2000 ha vinto il premio Rolex come realizzatrice del migliore progetto di quell’anno. I Rolex Awards Enterprise premiano coloro che con un progetto pioniere ampliano i confini della conoscenza o contribuiscono a migliorare la vita sulla terra. http://rolexawards.Com/laureates/laureate1.Jsp?id=37 Direi proprio un curriculum encomiabile di ambientalista.

Si parte dall’assunto che le pratiche agricole distruttive e lo sfruttamento sconsiderato del suolo hanno distrutto il 90% del bosco primario dell’Ecuador causando gravi fenomeni di erosione e degradazione del terreno. Eliza ha voluto contribuire col suo progetto ad armonizzare la vita dell’uomo e della natura, il sogno è che i 2 percorsi si amalgamino e che l’uomo viva nella natura senza devastarla e doverla lasciare per migrare in città.

Molto seria e compresa nel suo discorso di ringraziamento ai presenti, è diventata subito un ciclone quando si è dato il via alle libagioni e balla come solo i latini, e per di più di origini africane, sanno ballare. E con lei si scatenano Fabian, Monica, Byron, Ed Jessica, Mariana e tanti altri dei cui nomi ho un ricordo vago.

Sono caduta tra un cratere innevato e l’altro, sognando esplorazioni e correnti marine… e orologi rolex… Oggi è stata un’altra giornata intensa, una radiosa domenica a zonzo per Quito. Passeggiata lunga un giorno per le strade del centro, quadras americane di calles e avenidas, chiese barocche, costruzioni coloniali e patios. Al di sopra di tutto metto il magnifico museo del Banco Nacional , la cui sezione degli ori preincaici e incaici vale da sola la visita della capitale.

Ma crollo… Aggiungo solo che Quito mi pare una bella città, accogliente e tranquilla, ma oggi è domenica, vedremo cosa sarà il traffico dei giorni di lavoro! 19 gennaio, lunedì Negli incipit è ricorrente… me ne rendo conto…Il sonno! Devo farcela a ricostruire le ore intense e riordinare le copiose immagini, crollo, sono in piedi dalle 4! Mi trovo nella mia camera, una delle stanze che la Fundación Golondrinas mette a disposizione di turisti e volontari. Località di Carolina sul rio Mira, fiume che segna il confine tra le province di Carchi e Imbabura, a nord di Quito, a nord ovest di Ibarra. Fuori dalla mia porta solo il rumore del fiume che scorre impetuoso in questa valle verde smeraldo e il verso degli insetti e degli uccelli notturni. Stamane partenza silenziosa nel buio delle 5, avvolti dalla fredda coltre quiteña, la neblina, come chiamano qui le nuvole quando si abbassano dai monti alla valle; prima meta una località magica: Cochasquí, sempre nella provincia del Pichincha.

Qui vissero gli indios Quitu-Caras, tra il 950 e il 1550 d.C., prima di essere sopraffatti dagli Incas, pochi anni prima che questi, ironia della sorte, soccombessero alle armi spagnole. E’ un complesso di 15 piramidi tronche, alcune dotate di rampa, e di una ventina di monticali funerari. Esistono varie teorie circa la funzione di questo sito, la più condivisa è quella che lo considera un luogo cerimoniale – rituale, dato che in una delle piramidi furono ritrovati 556 crani. Si suppone poi anche che fu un sito astronomico di immensa importanza per la cultura Quitu – Cara. Le piramidi hanno forma trapezioidale terminante in una rampa orientata da sud a nord . Da sempre, nei solstizi d’estate e d’inverno, gli shamani si riuniscono in questo che considerano luogo sacro, per benedire folle locali e loro raccolto. Non so dire il freddo che ho patito, la notte a 3000 metri, anche se equatoriana, può essere più che pungente quando non metti la giacca a vento e io non volevo caricare il mio zaino con più del necessario per 3 gg, perché sapevo che a Guallupe, 1600 metri, foresta pluviale, non avrei avuto bisogno di giacche. Byron ha voluto partire troppo presto perché il programma era denso e siamo arrivati al sito archeologico che era ancora chiuso… bella immagine di 4 pellegrini che dormono scompostamente in un taxi appannato nel parcheggio pubblico di Cochasquí! A parte l’assonnato tassista, reduce dal turno di notte, condividevo l’abitacolo con Ed e Byron. Mi sono unita a loro quando ho sentito Byron che fuori dalla porta della mia stanza, sulle scale della casa de Eliza, commentava con il futuro cognato la mappa geografica dell’Ecuador… La casa di Eliza è un porto di mare di persone molto interessanti, accomunate da valori e pensieri a me affini. Sono saltata sul carro… Man mano che il sole si alzava sono passata brevemente a togliermi pile e felpa. Il luogo si è realmente rivelato magico, mi domando se l’aura mistica di cui è carico era nella mia testa influenzata dai racconti di Byron e della guida locale o se effettivamente questo verde altopiano andino ubicato così a ridosso della linea equatoriale possiede il potere magico di questa stretta relazione col percorso del sole Seconda tappa del viaggio di oggi (autobus pubblico): colazione in un accogliente ristorante sul lago San Pablo, in cui si specchia l’imponente Volcán Imbabura, 4609 metri. Con il Volcán Cotacachi (4939 metri), poco lontano, sono soggetti di romantiche leggende. Gli indios li hanno soprannominati Taita e Mama, papà e mamma, antropomorfismo ed eufemismo, a scacciare l’incubo dell’eruzione. Via di nuovo in bus per Otavalo, luogo di celebre mercato del sabato… infatti oggi è lunedì. Byron dice che non fa nulla. In effetti gli artigiani sono in piazza tutti i giorni, da prima degli incas, perché un otavaleño non può perdersi un cliente per niente al mondo. Gli otavaleños sono indigeni allo stesso tempo evoluti alla rincorsa della modernità e tradizionali nei costumi e nella lingua. Scaltri e cordiali commerciati, conosciuti in tutto il mondo, sono mestizos, si riconoscono per i vestiti tradizionali: gli uomini portano i capelli lunghi raccolti in coda di cavallo, pantaloni bianchi al polpaccio, sandali di corda, ponchos blu e cappelli scuri di feltro; le donne portano camicie ricamate, lunghe gonne nere, scialli e fazzoletti sulla testa, nonché vistosi gioielli, soprattutto collane di numerosi fili di perline dorate di vetro soffiato e braccialetti di perline rosse.

A riprova dell’abilità commerciale di questa gente, nonché della mia scarsa volontà, non dovendo comprar nulla, dato che questo è solo il 3° giorno di viaggio, nel giro di mezz’ora sono entrata in possesso di un poncho, di un tappetino e di uno scialle, previa lunga contrattazione del prezzo. Tutte cose che pensavo di regalare,… ma, al rimirarle nella loro ricercata fattura, mi sta venendo voglia di tenere.

Dopo Otavalo, bus + taxi fino a Cotacachi, dove gli artigiani lavorano la pelle e alla Laguna de Cuicocha, lago vulcanico a 3220 mt, splendido nel sole del mattino inoltrato. Il panorama dalla cresta di questo vulcano spento, raggiunta con una breve passeggiata, è mozzafiato, sia dal lato del lago che da quello della valle verso il paese. Natura fitta, verde forte, valli coltivate e pendici di vulcani antichi lavorate a terrazze, ovunque alberi in fiore e in frutto e montagne pelate a perdita d’occhio, campagne percorse da torrenti, campesinos al lavoro o in cammino, lama dallo sguardo benevolo. E un clima splendido: sole forte e venticello, nuvole che si impigliano sulle montagne e poi sfuggono… una primavera continua. Percorriamo solo un breve tratto del sentiero. L’intero giro durerebbe 5-6 ore noi non le abbiamo, purtroppo, ma in pochi passi già mi rendo conto della ricchezza della flora, orchidee fra tutte le varie specie.

Mal di schiena, di collo e di testa, e un po’ di nausea, gli effetti del mal d’altitudine, qui detto soroche, non mi hanno guastato la giornata.

Passeranno nel giro di qualche giorno alla stessa altitudine: in verità già so che il mio viaggio prevede salite e discese a varie quote… Dopo la gita al lago di nuovo una parentesi commerciale… Cotacachi, regno della lavorazione del cuoio: Faccio il filo ad un cappottino di pelle, ma infine ragiono: me lo porto in giro tutto il viaggio? mi serve? che mi sta succedendo? Lo spirito tentatore dello shopping mi sta conquistando! L’atmosfera è rilassata e induce… Ed e Byron, soprattutto Ed, da buon nordamericano, valutano gli affari in questa bella boutique, una delle tante delle strade di Cotacachi.

Proseguiamo sul nostro percorso per Ibarra, raggiungendo Fabián, fratello di Eliza, con cui faremo l’ultimo tratto di strada per Parroquia Carolina dove ha sede la Fundación Golondrinas, dove hanno dato vita 10 anni fa a questo progetto, fondando una fattoria per la coltivazione di varie piante, fra cui il vetiver, dove lavorano volontari provenienti da tutto il mondo, dove si trova l’hostal in cui appunto pernotto, sulle verdi pendici di una montagna a picco sul torrente. Dalla mia finestra una vista riposante, per la strada che costeggia il fiume passano poche macchine, è un susseguirsi di tornanti e gole: la valle del fiume Mira, che raggiunge il Pacifico vicino a San Lorenzo.

Siamo quasi al confine con la Colombia.

20 gennaio – martedì Qui il clima è cambiato: dai 2850 mt di Quito ai 1600 di Golondrinas, ora di Santa Rosa per la precisione. All’equatore la grossa differenza climatica è fatta dall’altitudine.

Abbiamo camminato tutta la giornata nella foresta pluviale e questa notte la passiamo in una casa rifugio di legno nella riserva che la fondazione Golondrinas ha creato a circa 2 ore di cammino dall’ultimo paese della valle. Al momento la fondazione gestisce una riserva di1400 acri ai piedi del Cerro (monte) Golondrinas (3120mt).

Il sole ci ha baciato tutto il giorno fino quasi al tramonto. Il viaggio in camion già è stato un’emozione e poi la camminata fino a Santa Rosa, poi ancora più in alto fino a El Corazón. E poi il ritorno a Santa Rosa, non senza una puntata alla vicina cascata, suggestiva nel crepuscolo.

Selva, selva e ancora selva. Piante di tutti i tipi. In Ecuador sono presenti, quelle catalogate, più di 20.000 specie di piante e molte delle famigli tropicali conosciute si trovano nella foresta pluviale, quindi anche sul Cerro Golondrinas, tra cui dracula (Orchidaceae), cannella (Lauraceae), mogano (Meliaceae), balsa (Bombacaceae), e una incredibile quantità di frutti tropicali come ananas, maracuya, granadilla (Passifloraceae), e naranjilla (Solanum) coltivate dai contadini del posto.

Luis in testa alla fila, puliva il sentiero col machete, seguito da Julia, volontaria olandese di 18 anni, seguivo io, poi Byron e infine Ed, un po’ affannato in coda.

Frequenti soste a commentare pi ante, fiori e uccelli, soprattutto colibrì, tucani, pappagalli e gallos de peña. Emozionante incontro con una tarantola! Il cammino è stato pesante, per il terreno più che per la pendenza. Con gli stivali di gomma abbiamo guadato fiumi e domato il fango. Calzare la gomma tutto il giorno non sarà sano, ma il fango e l’acqua sono ben peggio.

Luis e il suo aiutante cucinano per noi in queste capanne di legno, zuppe gustose di verdure e patate, in pochi minuti, le preparano con maestria in pentole bruciate da frequenti cotture su fuoco diretto, e ce le servono nei nostri piatti sbeccati. Beviamo tè di erba luisa e menta, o spremute di frutti meravigliosi, come naranjillas e maracujá. A colazione ci offrono tortillas di grano e marmellata di more.

Il lavoro di questa gente è encomiabile e ogni momento di più sono soddisfatta di avere scelto di viaggiare in questo modo: turismo responsabile, lo chiamano, o anche, ecoturismo. Non credevo che avrei trovato qui tanta cura e rispetto per la natura! Del resto, come si farebbe a non averne. Alberi, liane, orchidee e fiori fiabeschi. Ovunque io guardi c’è una concentrazione di specie diverse, mi fa girare la testa! Più in alto sul Cerro Golondrinas, ai limiti della riserva, gli uomini tagliano i cedri secolari, ultimi esemplari della foresta primaria ormai così rara in Ecuador, e li trascinano a valle sulla groppa piagata dei loro cavalli ossuti, perché è così da sempre ed è legno pregiato, molto ben pagato. Non conoscono alternative, o quelle conoscono non sono altrettanto vantaggiose. I volontari della fondazione hanno vita dura a cambiare le abitudini e a fermare il disboscamento. Che provoca l’impoverimento del terreno e l’erosione continua. Tutte queste cose le apprendo da Luis. Luis è una persona positiva, anche se prudente. Lavora con la fondazione da anni e dopo un breve periodo in cui si è allontanato per lavorare a Quito è tornato e mi sembra soddisfatto delle sue scelte. Non si scoraggia di fronte a nulla e rammaricandosi spesso dei sui limiti riesce comunque a risolvere i piccoli contrattempi quotidiani di questa associazione.

Osservo poi Julia: sta vivendo, credo una delle più belle esperienze che si possano immaginare per una diciottenne, i sei mesi sabbatici prima dell’università, biologia o antropologia in Olanda. Quanto vorrei essere al suo posto. Sta trascorrendo a Golondrinas un mese e un mese lo ha già passato come volontaria in un altro centro sulla costa di cui mi parla sognante. Continuerà il viaggio con un’amica attraverso Ecuador e Perú. Osservo Byron, compìto e ricercato, molto preparato sullo scibile scientifico e così poco pratico nelle cose di tutti i giorni. Dà l’idea di uno che ama molto studiare ma che ha lavorato poco, almeno il raffronto con Luis lo fa apparire un po’ imbranato.

Invece Ed sa e sa fare, non parla spagnolo ma si fa comprendere. Ha una risposta a tutto e non la fa cadere dall’alto.

E’ tutto un passare da spagnolo a inglese, ma sorprendentemente non sono fusa alla fine della giornata, sono troppo presa da tutto quello che mi sta turbinando intorno, ho poco tempo per pensare alla stanchezza e quando voglio rilassarmi vado alla staccionata e osservo i cavalli o i buoi, o le incredibili falene sulla porta della capanna… 21 gennaio – mercoledì Piove su Santa Rosa, dato che siamo nella foresta pluviale non potrebbe essere altrimenti. E probabilmente pioverà tutto il giorno.

Comincio a capire un po’ di più del clima di questo paese. Sarebbe sempre uguale tutto l’anno e dappertutto, ma l’altitudine e la vicinanza del mare o della selva amazzonica cambiano le cose. Da 0 a 6200 mt. Partendo da ovest dalle spiagge ai ghiacci e giù di nuovo nell’intricata foresta del bacino amazzonico. Negli altipiani si hanno le 4 stagioni in un giorno. Mattino primaverile, mezzogiorno estivo, pomeriggio di nuvole e vento, verso sera può piovere e di notte l’inverno! Da 5 a 30 gradi, può succedere ogni giorno, e l’abbigliamento va di conseguenza. A Quito si incontra gente in canottiera che passeggia con gente in giacca a vento da montagna. I più belli e più adeguati sono senz’altro quelli vestiti in ponchos, pinocchietti, sandali e cappelli di feltro Non mi sembra di avere mai visto tanta acqua dal cielo come oggi pomeriggio, ma ci è andata bene questa mattina. A Santa Rosa, Luis ci ha mostrato come funziona la turbina giù al torrente, che fornisce corrente elettrica e acqua corrente alle 2 capanne in cui abbiamo passato questi 2 giorni. E’ un dono di un’associazione svizzera e permette ai volontari e ai lavoratori di vivere più comodamente. Ieri sera anche la doccia fredda fatta nella luce del crepuscolo è stata rigenerante, dopo un giorno così intenso. Lavarsi al fiume sarebbe stato più romantico ma ben scomodo! Abbiamo scambiato 2 chiacchiere con 2 ricercatori ecuadoriani che proseguivano stamane per El Corazón: rimarranno là un paio di settimane a studiare le piante, e là la capanna è ancora più spartana… Ieri facendoci il té e la merenda abbiamo osservato il mare di nuvole che stava già avvolgendo il Cerro Golondrinas e le valli intorno e la foresta così fitta e sonnolenta che si stava risvegliando dopo un giorno di sole. Al tramonto tanti uccelli cantano, qui come a Bologna, come nella piazza di Tegucigalpa. E’ bello trovarsi nella foresta al tramonto, tanto più se qualcuno ti aiuta a scovare i passeri e a riconoscerne il canto.

A metà mattina abbiamo cominciato a discendere a valle, ancora asciutti, e anche la visita alla tenuta di Penha Negra è stata benedetta dal sole. L’associazione possiede qui 3 ettari di terra coltivata a frutteto: limoni, aranci, maracujá, goyaba, guava, mandarini, granadilla, banane, cocco, ananas e tanti altri di cui non ricordo più il nome; inoltre, caffè cacao, yucca, fagiolini, mais e vetiver a tenere insieme il terreno, giù fino al fiume Mira, che scorre impetuoso. Il terreno qui è veramente scosceso e senza il terrazzamento e altri metodi di protezione non sarebbe possibile coltivare. La deforestazione, gli incendi periodici dei contadini allo scopo di rigenerare l’erba dei pascoli e le pratiche agricole inadeguate hanno creato condizioni per un suolo molto povero. Gli elementi atmosferici hanno solo amplificato gli effetti del degrado ambientale. C’è molto da lavorare. Piantare diversi tipi di semi incrementa i raccolti, aiuta a ridurre lo smottamento del terreno, migliora la qualità del suolo e può offrire un raccolto più bilanciato dal punto di vista nutrizionale. Avevo già parlato del lavoro dei volontari. L’agroriforestazione, come la chiamano loro, è il metodo qui proposto. Alberi, erbe e cespugli sono piantati a inframmezzare in bell’ordine, piantagioni di sementi tradizionali, a fungere da frangivento, barriera all’erosione, habitat per animali. A questo serve il terrazzamento indotto a vetiver (Vetiver Zizanioides), introdotto dal Sud dell’India in tutto il mondo allo scopo di controllo dell’erosione.

Peña Negra è anche un centro di formazione: dal 1998 si cerca di educare i contadini e i bambini delle comunità locali a nuovi metodi coltivativi più rispettosi dell’ambiente, o come dicono qui, formazione alla biosostenibilità.

Santa Rosa diventerà a sua volta un luogo di formazione, nella foresta pluviale, e vi si coltiveranno soprattutto mirtilli e naranjilla, che secondo studi fatti dalla fondazione hanno nel paese un buon valore di mercato. Luis e Fabian mi parlano degli altri progetti: fondare un piccolo museo fotografico delle specie della foresta pluviale, ingrandire la casa dei volontari di Guallupe, allargare le capanne di Santa Rosa, tenere lezioni di ecologia ai contadini, di nutrizione alle donne, organizzare campi ed escursioni per i bambini, e altro ancora.

Io ascolto contagiata dal loro entusiasmo.

22 gennaio – giovedì Oggi giorno di viaggio: ritorno a Quito da Guallupe.

Mi dispiace lasciare questo posto, questa gente, questo clima, questo panorama sereno.

Ma il viaggio continua, voglio arrivare a Quito prima di sera, così potrò andare in qualche agenzia per capire quanto mi costerebbe un viaggio alle Galápagos. Mi sta crescendo dentro la voglia di vedere coi miei occhi le meraviglie di cui sento parlare. Byron è il primo, essendo nato là, a raccontarmi di flora, fauna e luoghi da preistoria e paradiso terrestre insieme. E io sono tenera al fascino dei racconti di luoghi incantati.

Luis mi ha accompagnato a prendere l’autobus per Ibarra giù sulla statale. Alla fermata ci sono anche due ragazze danesi e una coppia olandese con cui abbiamo condiviso le ultime 24 ore. Sono reduci dal trekking di 4 giorni che parte dal páramo di El Angel e arriva fino a Santa Rosa e Guallupe. Magari un giorno, con più tempo, lo farò anch’io. Ho visto le foto della riserva di El Angel e anche i racconti fanno venire voglia di andare a nord… ma devo tornare a sud.

Ora guardo le valli che si susseguono verdi, le coltivazioni che si inerpicano sulle montagne circostanti fino alle vette pelate e brune, il cielo intenso costellato di nuvolette nervose, i corsi d’acqua impetuosi.

Mi sto facendo un’idea chiara di quello che voglio visitare di questo paese così ricco e vario.

Taglierò la selva amazzonica, visto che l’anno scorso ne ho avuto un buon assaggio in Brasile, e conto di tornarci, magari per la famosa navigazione attraverso Ecuador, Perù, Brasile. Se vado alle Galápagos non andrò al mare, perciò terrò la costa per un altro viaggio.

Infine, intendo percorrere bene, con varie tappe, il viale dei vulcani, questi altipiani suggestivi, da Quito a Cuenca, con qualche sosta in alcune delle numerose località termali che costellano la via, tanto per ripulirmi dai trekking e dalle cavalcate e rinfrancarmi l’anima e le membra! La costruzione dell’itinerario è sempre impegnativa. Sottintende una visione d’insieme che è difficile avere e una capacità di valutazione di cosa si preferisce che a volte mi manca, forse perché le cose che mi attirano o incuriosiscono sono ancora tante, grazie a dio! Gli incontri e le opinioni di altri viaggiatori sono sempre preziosi, è così che ho scoperto posti non particolarmente segnalati dalle guide e che meritavano molto di più che semplici trafiletti. Ad esempio il parco nazionale della Chapada Diamantina nello stato di Bahía, in Brasile, uno dei posti più suggestivi e tranquillizzanti che abbia mai visitato. E mi fu suggerito da una ragazza belga, sposata a un brasiliano, che gestiva una bella pensioncina a Ouro Preto, nello stato di Minas. Chiudi questa parentesi: sei in Ecuador ora! Alla Chapada tornerai prima o poi! Piccola sosta a Ibarra per una passeggiata e un helado de paila. Questa dell’helado de paila è carina: la gelateria Rosalia Suárez, recita la Lonely Planet, è celebre dal 1897 per i sorbetti preparati a mano con cucchiaio di legno in un grande secchio di rame, tenuto su un letto di paglia e ghiaccio. I primi esperimenti risalgono alla fine dell’800: il ghiaccio veniva portato giù dal Volcán Imbabura (papà, Taita) e mescolato ai frutti tropicali della zona, guanábana, mora, maracujá. Provato per credere… Arrivo a Quito nel pomeriggio. Primi contatti con agenzie di viaggio in Gringolandia, così chiamano il quartiere Mariscal Sucre, dove davvero ci sono solo agenzie, pensioni, pubs, cafés, negozi.

Ritorno alla casa de Eliza, Eliza non c’è, penso sia andata a Guallupe. Monica mi accoglie contenta e mi spiega dove trovare lì intorno, in un quartiere residenziale silenzioso, qualcosa da mangiare.

2 ragazzi inglesi sono arrivati alla casa da qualche giorno e sono uno spasso per me e Monica, mentre cercano di fare i conti coi pochi dollari che hanno, lamentandosi incessantemente di quanto cara sia la vita in Ecuador…

23 gennaio – venerdì E’ dunque il caso di menzionare il tema della dollarizzazione, che tanto fa tribolare gli ecuadoriani. A fronte di un’inflazione inarrestabile, nel 2000 il presidente decise che dollarizzando si sarebbe acquisita la stabilità tanto agognata, e ancorò il sucre al dollaro, o meglio, mise il sucre in pensione, nonostante la forte opposizione di vari gruppi d’interesse, soprattutto rappresentanti della porzione più debole del paese, gli indigeni. Tra le conseguenze di queste proteste si verifica anche nel 2003, la cacciata dello stesso presidente e l’elezione di quello attuale, Lucio Gutiérrez, che già in un anno si è perso la fiducia di un bel po’ di sostenitori. Ma di questa è un’altra storia e magari ne parlerò oltre, quando ne saprò di più.

Insomma, un bel giorno del 2000 il presidente Mahuad, dopo aver dato poche avvisaglie e soprattutto solo agli amici potenti, di ciò che stava per fare, decise il congelamento dei conti correnti per 2 mesi, in modo da evitare che il suo popolo, terrorizzato dagli effetti del cambiamento di sistema valutario ritirasse tutto il denaro dalle banche e lo infilasse sotto il materasso. Ovviamente tutto era finalizzato ad addestrare la popolazione ad utilizzare la nuova miracolosa moneta, che subito la gente ribattezzò lechuga verde, lattuga verde, per il noto colorino del dollaro. Così, nel marzo del 2000 cominciò la nuova era dell’arrotondamento, e il risultato attualmente è che il costo della vita è aumentato di ca. Un 40-50%, così almeno mi dicono le persone con cui parlo. Scopro quindi, vittima dell’euro, di avere dei compagni di sventura dall’altra parte dell’oceano. Mi fa sentire un po’ meglio, ma non così tanto, in fondo! Pare comunque che l’inflazione sia sotto controllo: e vorrei vedere il contrario! Mi sto formando un’idea più chiara giorno per giorno, dopo la lettura della Lonely Planet passo ad intervistare la gente… Seguono altre avventure Fino al 10 febbraio Ho visitato le Galápagos Tornata in continente ho percorso il Viale dei Vulcani Presto aggiungerò nuovi giorni Se vi interessano maggiori dettagli contattatemi al mio indirizzo e-mail



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