Columpio en el cielo!
9 Maggio 2019 (Milano-Quito)
Fede deve andare a Quito per lavoro. Quale migliore occasione per prendere ferie e visitare questo piccolo ma intenso paese del Sud America, approfittando anche per vedere le Galapagos? Detto fatto, organizziamo un paio di settimane di vacanza fra terra ferma e isole. In realtà non organizziamo granché, a parte il volo per Quito e per le Galapagos. Il resto lo decideremo strada facendo una volta in Ecuador.
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Il giorno della partenza è finalmente arrivato e dopo un lungo volo da Milano via Amsterdam atterro puntuale a Quito nel primo pomeriggio. Il viaggio è reso decisamente più gradevole dal fatto che in servizio (non casuale ma ben programmato) c’è Koen, mio amico di vecchia data e assistente di volo su KLM. A Quito il cielo è grigio e a tratti piove.
Il pick up dell’hotel che mi ha organizzato Fede è già li ad attendermi agli arrivi; peccato però che la macchina non parta. Quel furbone dell’autista deve aver lasciato le luci accese facendo scaricare la batteria. Poco male, dopo un po’ trova chi gli presta i cavi e, con un’ora di ritardo sulla tabella di marcia, riusciamo a partire. Il tragitto è lungo ma a quest’ora poco trafficato. Intuisco subito che la città è più (ancora di più …) in alto rispetto all’aeroporto. Quito è situata a 2850 mt sul livello del mare. Sicuramente il soroche (mal di montagna) non mi risparmierà nemmeno questa volta. Fede ha finito di lavorare ed è già in hotel che mi aspetta. Stiamo un po’ in stanza a riposare, e per cena usciamo con Koen e i colleghi di Fede. Decidono di andare in un ristorante peruviano al centro commerciale Quicentro, vicinissimo all’hotel. Sono un po’ provata dal viaggio e dall’altitudine, quindi mi limito a una porzione di polpo grigliato molto piccola, ma gustosa e croccante. A piedi accompagniamo Koen al suo hotel, poco distante, e rincasiamo.
10 Maggio 2019 (Quito)
Fede lavora e io sono rimasta d’accordo con Koen che ci saremmo sentiti una volta svegli per fare un giro nel centro storico. Il fuso orario contribuisce a farci svegliare presto. Faccio colazione con Fede, anche se l’altitudine non mi consente di godermela appieno: peccato, c’è davvero ogni ben di Dio (di gran lunga il miglior pasto della vacanza)! Mi preparo e prima di incontrare Koen passo al centro commerciale per comprare una scheda sim locale in modo da avere internet, e poi prendiamo un taxi facendoci lasciare alla cattedrale in stile gotico. Da qui inizia il nostro giro del centro storico a piedi. Siamo entrambi stanchi e affaticati, quindi ce la prendiamo comoda. Il tempo non è granché, a tratti piove, e in quei tratti ci rifugiamo in caffè e negozietti di cioccolato e artigianato locale. Non visitiamo i musei ma le chiese principali, naturalmente la Piazza Grande col palazzo del Governo, la chiesa della compagnia di Gesù, il centro culturale metropolitano, il quartiere de La Ronda, con le sue cassette coloniali e i negozietti e bar tradizionali, il panecillo (senza salire).
Oggi essendo venerdì Fede finisce prima di lavorare, e col suo collega ci raggiunge nel primo pomeriggio per salire tutti insieme col Teleferiqo, la cabinovia che in 18 minuti porta dai 3000 metri di Quito ai 4100 del vulcano Pichincha. Ci incontriamo alla base della cabinovia, dove i manifesti di avvertimento circa il di montagna di sprecano… Man mano che saliamo la vista si fa via via più mozzafiato. Quito rimpicciolisce e quasi scompare laggiù, tra una nuvola e uno sprazzo di luce. Stiamo più o meno tutti bene e pertanto azzardiamo la breve camminata fino alla famosa altalena nel cielo. Qui si possono scattare delle fotografie molto carine in cui sembra di fluttuare con l’altalena tra le nuvole (columpio en el cielo)! Divertente, anche se di aria nei polmoni sembra entrarne poca. Torniamo bambini per un pochino prima di riscendere “a valle”. Breve sosta in hotel e si parte per cena. Sempre con la solita compagnia prendiamo un taxi e andiamo al quartiere la Mariscal, e ceniamo in una steak house con musica dal vivo in Piazza Foch, una delle zone più trendy della città per vita notturna, ristoranti e bar. Io ormai sono veramente alla frutta, non riesco a mangiare mentre tutti mangiano e bevono di gran gusto, e davvero sono contenta che stia per arrivare l’ora della nanna. Pochi minuti di taxi e saremo a letto!
11 Maggio 2019 (Otavalo)
Tutti i sabati ad Otavalo, nel nord del paese, si svolge il mercato artigianale indigeno più grande del Sud America. Decidiamo di non perdere l’occasione di visitarlo. Ci svegliamo con relativa calma, facciamo colazione e prepariamo i bagagli per il cambio di hotel programmato per questa sera, e poi prendiamo un taxi per arrivare al terminal dei bus Carcelen (quello dal cui partono i bus diretti a nord). Al terminal ci sono molte compagnie di autobus con altrettanti desk. Ci immettiamo in una coda a caso, nel primo ufficio dove vediamo scritto Otavalo. Sono molto lenti ma finalmente conquistiamo, con 5,40 USD a testa, un biglietto per Otavalo. Poco dopo arriva il bus, abbastanza grande e comodo, e ci sistemiamo per le 2 ore di viaggio. Unico neo: tutti i bus a percorrenza medio-lunga proiettano a volume altissimo film orribili: ce ne tocca uno violentissimo con Jean Claude Van Damme… Nel giro di due ore, giusto il tempo di sorbirci il film, siamo a Otavalo. Lungo il percorso vediamo il lago di San Pablo, molto bello.
Una volta arrivati in città ci spiegano come raggiungere il mercato a piedi. Con una breve ma faticosa camminata vista l’altitudine (parlo sempre e solo per me) arriviamo alla piazza centrale. Tutto il centro è pieno di bancarelle colorate che vendono soprattutto prodotti tessili e artigianato in legno, ceramica, ecc. C’è anche tanto cibo cucinato, ma non ci azzardiamo a sperimentarlo. Abbocchiamo in compenso, a poche bancarelle dall’inizio del giro, a una coperta colorata presumibilmente di alpaca. Giriamo per il mercato per qualche ora, ci riposiamo un po’ nei giardini della piazza principale, beviamo un caffè che rasenta la decenza in un bel baretto e poi, visto che non abbiamo né tempo né energie per fare altri grandi giri nella zona (ci sarebbe la famosa laguna di Cuicocha che sicuramente merita una visita), andiamo al terminal dei bus e ne prendiamo al volo uno in partenza per Quito.
Otavalo, piccola cittadina tipicamente andina, e il suo mercato colorato, ci è piaciuta. Tempo due ore (e un altro film tremendo) siamo di nuovo a Quito. Ci incontriamo direttamente al Quicentro coi colleghi di Fede per cenare. Ottimi burritos nonostante la poca fame e poi cambio di hotel (ci spostiamo a poche centinaia di metri di distanza, all’ hotel Finlandia, tutto sommato consigliato per il buon rapporto qualità-prezzo). Finalmente andiamo a letto. Per domani abbiamo prenotato un tour al vulcano Cotopaxi (con Ecosport Tours, 50 USD a testa), che già temo mi proverà parecchio coi suoi quasi 5000 metri (o meglio, questa è l’altezza che raggiungeremo noi, il Cotopaxi è 5872 mslm).
12 Maggio 2019 (Cotopaxi)
L’appuntamento con il tour operator è alle 6.45 davanti al locale Magic Bean nel quartiere Mariscal Foch. Ci svegliamo alle 6 sperando di poter arraffare qualcosa dal buffet della colazione, che ufficialmente apre alle 6.30, e saltiamo su un taxi che in pochi minuti ci porta al luogo dell’appuntamento. Il tempo non promette nulla di buono per ora, ma speriamo nella costante variabilità del tempo da queste parti. Alla spicciolata compaiono uno per uno i nostri compagni di avventura, un bel gruppo di persone più o meno della nostra età e provenienti da tutto il mondo. Siamo circa una quindicina, e credo sia la prima volta durante un viaggio che non abbiamo compagni di avventure italiani. La guida Pato si presenta e ci spiega come si svolgerà la giornata. Il tempo continua a renderci tristi, ma magari allontanandoci da Quito vedremo un po’ di cielo. Prima di tutto si fa la sosta colazione, bella sostanziosa, in una specie di ristorante dove vendono anche manufatti in alpaca e dove per fortuna compriamo entrambi un paio di guanti. Dopodiché il pulmino salirà sparato all’entrata Caspi del parco nazionale del Cotopaxi, fino a quota 3800 metri, e da lì, una volta registrati e usati eventualmente i bagni (gli ultimi disponibili), arriveremo col pulmino all’ultimo punto di accesso per veicoli, a circa 4600 mslm. È da qui che partirà la scalata a piedi per il Refugio Josè Rivas, che si trova a 4867 mslm.
Durante il tragitto in bus, in modo anche poco gradevole, una delle guide ci ha fatto un po’ di terrorismo psicologico sul soroche e i suoi possibili orrendi sintomi. Non ci sembra un caso che tutti i toccasana per prevenire il mal di montagna (cioccolato, foglie e caramelle di coca, frutta secca, ecc.) possano essere acquistati a caro prezzo nell’unico negozio ormai disponibile. Inutile dire che abbocco tuttavia immediatamente, faccio incetta di caramelle di coca e bevo acqua ininterrottamente, visto che uno dei consigli dispensati è di mantenersi ben idratati.
Facciamo giusto una sosta per una foto di gruppo – il Cotopaxi si vede appena fra le nuvole – prima di arrivare al posteggio. Il trekking è breve (poco piu di un km e con un dislivello di 270 m) ma davvero massacrante. L’altitudine e la mancanza di ossigeno, oltre al freddo e al vento battente, rendono il tutto estremamente faticoso. Sono l’ultima della fila, molto provata e anche un po’ in stato d’ansia. Dosando le energie e facendo parecchie piccole soste, riusciamo dopo quasi un’ora ad arrivare al rifugio e dopo aver usato il bagno (il consiglio di idratarci per prevenire il soroche lo abbiamo preso davvero alla lettera), cominciamo subito la discesa al pulmino, stavolta prendendo la ripida scorciatoia.
Menomale che la guida ci ha fatto fare il percorso lungo ma morbido per salire: chi sta venendo su dalla via breve è in condizioni quasi peggiori delle mie…
Tornati al pulmino Pato spiega come avverrà la discesa in mountain bike fino alla laguna di Limpiopungo (3833 mslm) per chi se la sente di provare. Ovviamente non sono tra quelli e per fortuna: due ragazze cadono lungo la discesa facendosi male al ginocchio. Una sorte almeno simile sarebbe toccata indubbiamente anche a me. Fede scende in bici e si diverte molto: la discesa è lunga e mai troppo ripida, ma il fondo ghiaioso ed il fondo sconnesso la rendono non adatta a chi con la mountain bike è alle prime armi. Ci rivediamo tutti alla laguna per qualche foto e un po’ di riposo prima di rimontare sul pulmino e andare a pranzo, nello stesso ristorante della colazione. Io non ho molta fame come sempre in quota (e solo in quota), ma il pranzo non è malaccio: passato di verdure, pollo, riso e verdure, dolcetto. Stanchi morti torniamo tutti a Quito, scambiandoci foto e contatti coi nostri compagni di viaggio.
Prendiamo un Uber col messicano Adrian che alloggia nello stesso nostro hotel, e ci fiondiamo in camera. Dopo una doccia calda ci buttiamo a letto: io sono ben oltre la stanchezza e da quel letto mi alzerò solo l’indomani. Ho qualche linea di febbre e le pile totalmente scariche, sicuramente dovuto allo sforzo in altitudine. Fede è molto stanco ma tutto sommato in forma ed esce a cena coi suoi colleghi, mentre io non mi muovo dalla branda. Quando torna ci mettiamo a nanna sperando di stare meglio domattina. Abbiamo comprato il volo per Cuenca per domani pomeriggio, ma non facciamo altri programmi per la giornata e l’intenzione è di prendercela con moltissima calma.
13 Maggio 2019 (Quito-Cuenca)
Ci svegliamo e scendiamo a fare colazione, che qui al Finlandia non è niente di che, ma c’è un po’ di tutto. Io non solo non sto meglio, ma anzi peggio, visto che al quadro di stanchezza e febbricola, si è aggiunto il mal di pancia con tutti annessi e connessi. Tutto quello che sono in grado di fare è tornare a letto e leggiucchiare fino all’ora del check-out. Evidentemente l’altitudine mi sfianca, soprattutto vista la mia poca preparazione fisica e ancor meno acclimatazione in quota; purtroppo non c’era modo e tempo di arrivare preparati.
Lasciamo le valigie all’hotel per qualche giorno, in modo da partire per Cuenca solo col bagaglio a mano, e facciamo un giro al vicino Quicentro anche per fare uno spuntino (Fede). Io sono sempre allo stremo delle forze, mi gira la testa e il bagno è il mio migliore amico. Incrociamo una coppia di islandesi che era con noi sul Cotopaxi, e loro sembrano in forma smagliante… Compriamo qualche snack al supermercato e torniamo in hotel a recuperare gli zaini. Riusciamo con un po’ di insistenza a spuntare un transfer per l’aeroporto a 18 USD (la tariffa standard è 25 USD). Aspettiamo il nostro volo Latam, che in meno di un’ora ci porta a Cuenca. Anche qui il tempo non è certo incoraggiante. Il transfer che abbiamo prenotato è li ad aspettarci puntuale e ci porta all’ hotel in pochi minuti, visto che sia l’aeroporto che l’hotel sono in centro città. Abbiamo prenotato due notti all’hotel Castilla de Leon, struttura coloniale molto carina. Ci sistemiamo in camera e usciamo a cercare qualcosa da mangiare. I proprietari dell’hotel ci hanno consigliato un paio di ristoranti. Stasera optiamo per una pizza, nemmeno male, da Fabiano’s. Non aspettatevi la pizza italiana, ma il locale è piacevole, e la pizza è quanto di più vicino alla nostra si possa trovare qui. Tornando compriamo dell’acqua e ci infiliamo, ancora sfiancati, a letto.
14 Maggio 2019 (Cuenca)
L’ hotel è proprio di fronte al Mercado 10 de Agosto, quindi zona vivace e popolata tutto il giorno. Il tempo è triste, ma la speranza è sempre la stessa: che migliori. Sveglia senza affanno e andiamo a fare colazione nella saletta. Non è molto chiaro lo schema delle colazioni, ma ci spiegano che la nostra è l’americana modificata. Praticamente non abbiamo diritto al buffet, ma dallo stesso buffet ci serve la ragazza: uova, pane, marmellata, frutta, tè o caffè. Non male anche se io continuo a essere acciaccata. E anche Fede ha cominciato a cedere e ha mal di pancia. In ogni caso siamo pronti ad esplorare questa bella città, anche sotto la pioggia.
Ci siamo documentati su Cuenca, considerata un gioiello coloniale, e pertanto nominata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. È la terza città del Paese dopo Guayaquil e Quito, e offre molto al visitatore: palazzi storici, musei, chiese, parchi, bagni termali, ristoranti e bar. E da non sottovalutare, è situata a “solo” 2600 mslm J. Veniamo a conoscenza del fatto che c’è una grande comunità di pensionati Americani che si sono trasferiti qui, tanto che uno dei quartieri nuovi si chiama Gringolandia. Iniziamo il nostro giro dal Mercado 10 de Agosto, dove ci rapiscono, come spesso nei mercati sudamericani, le donne in costume tradizionale e le cataste di frutta esotica coloratissima. Faremo acquisti più tardi, per ora proseguiamo il nostro giro in centro, pervaso dall’odore del palo santo (il nostro legno di sandalo) che brucia nelle bancarelle. Ci imbattiamo subito nella piazza dove si svolge il rito della limpia: alcune anziane signore scacciano le energie negative, soprattutto dai bambini, compiendo rituali che prevedono l’uso di erbe, uova, canzoncine, sputi in faccia. Mi piacerebbe provarlo, ma lo sputazzo finale mi fa desistere. Osserviamo il rituale al quale abboccano anche alcuni turisti per un po’, e ci rimettiamo in marcia.
Ci dirigiamo, percorrendo le vie del centro e incrociando lo splendido palazzo del municipio e una bella chiesa, al Parque Calderon, bella e verde piazza su cui si affacciano la cattedrale con le sue lucidissime cupole azzurre e il palazzo della Corte Suprema. La cattedrale in stile neogotico è conosciuta anche per le due torri tronche, che non furono mai portate a termine a causa di un errore di progettazione; se fossero state ultimate, le fondamenta non sarebbero state in grado di reggerne il peso. A pochi passi dalla cattedrale troviamo il famoso mercato dei fiori. Forse un po’ deludente per le dimensioni, ma ci sono esposti fiori davvero belli, oltre a un bugigattolo che vende la famosa agua de pitimas, un estratto di fiori che non osiamo provare. Basta e avanza il mal di pancia che abbiamo già!
Ci sediamo nel dehors di in un ristorantino a prendere un caffè e ricaricare un po’ le batterie, per poi proseguire il nostro giro verso il quartiere Barranco. Le forze cominciano a scemare, quindi camminando con calma arriviamo al museo del cappello Panama ), in realtà prodotto interamente ecuadoriano. È interessante vedere come vengono prodotti questi cappelli, e che gamma infinita di modelli, qualità e prezzi ci sono. Fede ne compra uno, il che gli vale un buono per un caffè nel panoramico bar interno, dove sostiamo per un po’, anche aspettando che spiova. Contenti dell’acquisto facciamo ancora un giro a San Blas e poi rientriamo in hotel per riposarci un minimo prima di uscire per cena. Decidiamo di provare il ristorante la Esquina, consigliatoci da molti. È conosciuto soprattutto per i discos di carne, piatti molto abbondanti di carne o pesce con salse e patate, che ci piacerebbe provare ma la nostra forma fisica ancora non ce lo consente. È un bel ristorante moderno ma in un edificio coloniale situato in pieno centro storico su calle Larga, e il cameriere è gentilissimo. Ordiniamo entrambi petto di pollo grigliato con purè, buonissimo anche se troppo abbondante. Torniamo in hotel dopo aver fatto ricarica di bottiglie d’acqua e andiamo a dormire nella nuova stanza – ci hanno spostato – dove il letto è davvero minuscolo e dove non abbiamo più il lusso del frigo.
15 Maggio 2019 (Cuenca e Baños)
Decidiamo di restare un’altra notte a Cuenca e chiediamo al Castilla de Leon se hanno posto. Per fortuna si, ma dobbiamo cambiare stanza ancora una volta. Ce ne danno una che affaccia sulla corte interna, ma se non altro ha un letto matrimoniale e uno singolo, quindi per lo stesso prezzo accettiamo di buon grado. L’intenzione iniziale era di tornare col bus a Quito, da dove partiremo venerdì per le Galapagos, fermandoci magari a Riobamba e percorrere il viaggio in treno lungo la ferrovia da brivido (Nariz del Diablo) che scende dalla montagna, unendo i paesi di Sibambe a Alausi. A quanto pare il treno non corre tutti i giorni e per quando servirebbe a noi non sembra esserci posto. Pazienza, il viaggio in bus è solo notturno e molto lungo, e non ci sono altre soste interessanti lungo il percorso per spezzare il viaggio. Decidiamo di rinunciare a Riobamba e di prendere un volo per Quito per domani, sempre con Avianca e sempre a 80 € a testa, e trascorrere ancora una giornata a Cuenca e dintorni. Trascorriamo la giornata passeggiando per le vie del centro storico tra un acquazzone e l’altro. Visitiamo il museo Pamapungo al Banco Central che racchiude una collezione etnografica, quadri, oggetti archeologici di arte coloniale e una collezione di monete. Pranziamo da Santorino, un ristorante che offre sia cucina locale che pizze discrete e riprendiamo il giro del centro non appena smette di piovere.
Abbiamo deciso di andare alle terme di Baños nel tardo pomeriggio. Dalle 17 alle 23 si entra in due al prezzo di uno (35 USD) per il percorso spa; ha prenotato per noi la proprietaria dell’hotel. Volevamo prendere il bus urbano n. 100, ma visto che il taxi ha costi ben più che affrontabili, pensiamo bene di prenderne uno e in un quarto d’ora circa ci deposita proprio di fronte all’ingresso delle terme. Il complesso è davvero molto bello e gli standard estremamente elevati: una vera sorpresa! Ci forniscono accappatoio e stipetto, e veniamo guidati prontamente al circuito spa, che prevede bagni di fango rosso e blu, bagno turco, idromassaggio, bagni di contrasto caldo-freddo e piscina finale. Per la prima e unica volta durante questa vacanza incontriamo una coppia di ragazzi italiani istruttori di rafting con cui scambiamo chiacchiere e esperienze di viaggio ecuadoriane. Ci dicono che Baños de Agua Santa (a circa 200 km da Quito) non valeva minimamente la pena, quindi siamo tutto sommato contenti di non esserci andati, mentre ci consigliano per l’indomani di andare al parco nazionale Cajas. Non so se ce la sentiremo: loro oggi hanno preso pioggia tutto il giorno infangandosi fino alle mutande e salendo fino a quota 4000 mslm: non credo faccia per me ma vediamo che aria tira domani. Intanto dalla reception ci siamo fatti chiamare un taxi che in pochi minuti arriva e rapidamente ci deposita in hotel. Ceniamo nuovamente al ristorante La Esquina, questa volta dividendo un piatto in due, e ci fiondiamo a letto.
16 Maggio 2019 (Cuenca-Quito)
Il volo per Quito è solo questa sera, quindi abbiamo ancora quasi tutta la giornata a disposizione. Ci svegliamo con calma, tanto che perdiamo la colazione. Finalmente splende il sole e facciamo colazione a base di cracker, ottimi avocado e lime sulla terrazza dell’hotel, osservando il viavai del mercato. Alla fine decidiamo di non andare al Cajas. Ci vuole un’oretta per raggiungerlo, è già tardino e visto che c’è un bel sole ci godiamo la città con un tempo favorevole. Andiamo a passeggiare lungo il verdissimo e curatissimo lungofiume sotto Barranco, dove i giardini sembrano finti tanto che sono belli, e il Tomebamba scorre impetuoso. Passeggiando troviamo un bel negozio di succhi freschi dove ci facciamo fare un bel bicchierone di succo di canna da zucchero spremuta sul momento. Il lato al di là della città è più moderno ed è qui che si rifugiano i pensionati americani. Visitiamo, gentilmente incoraggiati ad entrare dagli insegnanti, il collegio Benigno Malo, una scuola situata in un imponente edificio storico in stile neoclassico francese, con il grande cortile centrale e lunghissimi corridoi in legno scricchiolanti: un vero tutto nel passato! Sempre a piedi torniamo a Barranco, dove decidiamo di comprare un altro cappello Panama al museo. Altro caffè panoramico sulla terrazza del museo e poi con un taxi ci facciamo portare al belvedere di Turi che domina tutta Cuenca e dove c’è un parco avventura per sport adrenalinici, tipo bungee jumping, altalene sospese, ecc. Poco distante visitiamo l’atelier-negozio del famoso ceramista Eduardo Vega, che produce pezzi originali e molto belli, ma altrettanto cari; alla fine, nonostrante la tentazione, riusciamo a non comprare nulla. Torniamo in hotel a recuperare armi e bagagli e li siamo commossi dal modo affettuoso con cui ci salutano i figli dei proprietari del Castilla de Leon!
In pochi minuti, con una breve corsa in taxi, arriviamo al piccolo aeroporto da cui partono e arrivano solo voli domestici. In circa 45 minuti di volo arriviamo a Quito. Un taxi (altri 25 USD) ci riporta all’hotel Finaldia, dove recuperiamo i bagagli, e da li andiamo all’appartamento Maycris Apartment Deluxe Republica che abbiamo prenotato per la notte (50 USD) che è comodo e confortevole. Non riusciamo a trovare nemmeno un ristorante la cui cucina sia ancora in funzione, e ci toccano anche stasera avocado, cracker e frutta. Doccia e nanna, siamo arrivati alla vigilia della partenza per le Galapagos!
17 Maggio 2019 (Quito-Baltra)
Il volo (diretto con Avianca in alcuni giorni della settimana, via Guayaquil in altri) parte intorno all’ora di pranzo. Ci svegliamo prestino per organizzare i bagagli visto che anche qui andremo solo col bagaglio a mano. Una volta pronte, portiamo le valigie allo Sheraton, dove siamo stati le prime due notti e dove abbiamo prenotato l’ultima prima del rientro a casa. Coi colleghi di Fede andiamo all’ufficio dove stanno lavorando durante questa missione, dove su cortese richiesta lavorerà anche lui un paio d’ore. L’aspetto positivo è che ci organizzano il transfer per l’aeroporto e non dovremo sganciare altri 25 USD. In aeroporto non senza fatica effettuiamo dei prelievi dall’unico bancomat disponile (per vostra informazione una volta passati i controlli ed entrati nell’area delle partenze domestiche non troverete nessun bancomat, anche se vi dicono che c’è, come è successo a noi). Per gli imbarchi verso le Galapagos c’è una procedura di controllo speciale: ci controllano meticolosamente i bagagli, dobbiamo buttare via sacchetti e bottiglie di plastica e pagare i primi 20 USD di tassa aeroportuale. Passati finalmente i controlli giracchiamo per i pochi negozi che ci sono alle partenze nazionali e assaggiamo un po’ dell’onnipresente e costosissimo cioccolato Republica del Cacao (10 USD la tavoletta classica).
Il volo, incredibilmente mezzo vuoto, parte e arriva puntuale a Baltra alle 15 ora locale (qui siamo un’ulteriore ora indietro). Il sole si intravede a tratti ma già essere sul livello del mare e non in alta quota è un sollievo enorme. Inoltre vedere il mare – e che mare! – apre sempre il cuore. Non facciamo nemmeno in tempo a scendere dall’aero che già ci spillano 100 USD a testa per l’ingresso al Parco Nazionale delle Galapagos. Finalmente usciamo dal piccolo terminal e prendiamo un primo bus (il Lobito, 5 USD a testa – ci risulta che un tempo fosse gratuito), che ci porta in pochi minuti fino al canale di Itabaca all’imbarco per il watertaxi (1 USD), il quale a sua volta in circa 3 minuti ci deposita sull’isola di Santa Cruz, dove la scelta è fra prendere un taxi (25 USD) o un bus (5 USD a testa) per Puetro Ayora. Visto che il tempo di percorrenza è lo stesso, scegliamo di accasciarci sul bus. Il paesaggio è molto brullo e strada facendo vediamo le prime iguane terrestri lungo la strada.
Man mano che si sale verso l’interno dell’isola (si attraversa tutta da nord a sud per arrivare in “città”), il paesaggio cambia radicalmente: diventa verde e ricco di vegetazione. Il bus scende nuovamente verso la costa e in circa 50 minuti in tutto arriviamo nel centro di Puerto Ayora. Senza troppe difficoltà troviamo l’hostal Darwin, in piena avenida Baltra, dove abbiamo prenotato per due notti. La stanza non è granché ma diciamo che paghiamo per la comodità. Il tempo di cambiarci e andiamo a esplorare la cittadina. Sul molo del porticciolo facciamo il primo incontro con gli animali tipici di queste isole: leoni marini comodamente stravaccati sulle panchine, razze, pellicani, squali pinnabianca e una tartaruga marina che nuota placida. Iniziamo a familiarizzare con la cittadina, e ci facciamo dare qualche dritta all’ufficio turistico. Molto importante, scopriamo che c’è una via che alla sera diventa tutta un ristorante all’aperto (calle de lo Kioskos). Ci assicurano che è un’ottima opzione, leggermente più economica dei ristoranti del lungomare, e decidiamo di andare li per cena.
Iniziamo anche a buttare una prima occhiata alle decine di agenzie turistiche che propongono tour giornalieri e crociere, per cominciare a farci un’idea. Siamo venuti senza un programma e scopriremo che tutto sommato abbiamo fatto bene. Prima di andare a cena facciamo una ricarica di bibite e snack nei negozietti lungo la avenida Baltra. Da TJ, il primo dei ristorantini che alla sera si estendono sulla strada, mangiamo ottimi gamberi grigliati (10 per 15 USD) e un hamburger (6 USD) con contorno di patatine e insalata, annaffiandoli con birra locale Pilsner. Con meno di 30 dollari in due mangiamo alla grande e l’atmosfera di questa strada alla sera è davvero gradevole! In camera leggiamo qualcosa sull’arcipelago e ci disegniamo una prima idea di cosa vogliamo vedere, tenendo conto che abbiamo una settimana a disposizione.
18 Maggio 2019 (Santa Cruz)
Purtroppo l’hotel non offre servizio di prima colazione – quanto meno ci sono tazze, acqua calda, tè e caffè – quindi ci prepariamo e andiamo sulla passeggiata principale dove ieri sera avevamo addocchiato un bel caffè stile NY – De Sal y Dulce. Con 6 USD il titolare ci prepara una colazione buona anche se davvero minuscola.
Abbiamo deciso che dedicheremo la giornata a una prima esplorazione dell’isola di Santa Cruz. Oggi arrivano anche i colleghi di Fede da Quito, e per un paio di giorni potremo svolgere delle attività insieme. Una volta rifocillati ci incamminiamo verso la famosa Tortuga Bay, a detta di molti la spiaggia più bella di tutto l’arcipelago. Per arrivarci ci vogliono circa 45 minuti di cammino. Percorriamo la via Binford (quella che la sera nella parte bassa si trasforma in ristorante a cielo aperto) fino ad arrivare all’entrata del camminamento in mattoncini che porta alla spiaggia. Qui all’ingresso una simpatica signora ci chiede di registrarci e ci spiega cosa si può e non si può fare all’interno del parco, dove è possibile nuotare in sicurezza, che animali potremmo incontrare se siamo fortunati. Il percorso è molto piacevole, fra foreste di opuntie (cactus giganti endemici) e palo santo, ma meglio percorrerlo con delle scarpe da ginnastica anziché in infradito come molti invece fanno. In caso di sole, assicuratevi di avere un cappellino, protezione solare alta e acqua da bere; non troverete né ombra né acqua se non all’ingresso, dove c’è un piccolo bar. Purtroppo oggi è nuvolo e il cielo non sembra avere intenzione di aprirsi di qui a breve. Tortuga Bay comprende due spiagge, la Playa Brava, dove il mare è molto mosso, e la Playa Mansa, con acqua calmissima. Si approda prima a Playa Brava e possiamo facilmente immaginare che i colori del mare siano stupendi, peccato doverli solo immaginare per ora, perché senza sole la resa non è granché. La spiaggia però è ampissima e la sabbia candida ha la stessa consistenza del borotalco, davvero stupenda. Passeggiando verso destra arriviamo in fondo alla spiaggia, che culmina in un piccolo promontorio, e solo dopo un po’ ci rendiamo conto che le rocce nere in realtà non sono pietre vulcaniche ma iguane marine. Sono tantissime, nere come la pece e perfettamente immobili. Origliamo una guida che dice al suo gruppo che le iguane, dopo aver raggiunto la spiaggia, sono esauste e restano immobili al sole per scaldarsi e recuperare le energie. Sulla punta del promontorio invece ci sono le iguane baby, che stanno tutte insieme, lontane dagli adulti e le rocce sono ricoperte di granchi. Proseguendo e attraversando il piccolo promontorio si arriva alla Playa Mansa. Ci sistemiamo un po’ qui, ma l’acqua, benché immobile, è piuttosto torbida. Non ci convince, e torniamo alla Playa Brava, dove l’acqua è mossa ma limpida. Nel frattempo ci raggiungono gli amici di Fede che sono atterrati in mattinata e dopo pranzo si sono messi in marcia verso la baia.
Più tardi rientriamo insieme a Puerto Ayora, e mentre loro rientrano a casa per farsi le docce e riposare un po’ prima di cena, noi andiamo a consultare qualche agenzia per sentire le proposte per i prossimi giorni. Apprendiamo subito che le crociere, anche di pochi giorni e in classe turistica, sono molto costose.
Seppur disposti a prenderne una, ci rende un po’ riluttanti il fatto che nessuna passi per l’isola Isabela, a detta di molti la più bella, facendo tutte il percorso delle isole orientali. Decidiamo infine di non fare crociere, ma piuttosto escursioni giornaliere e visitare cosi anche Isabela. Domani resteremo ancora qui per visitare in mattinata la stazione di ricerca Charles Darwin, centro dove scienziati di tutto il mondo conducono ricerca scientifica ed educazione ambientale per la salvaguardia delle isole Galapagos, e nel pomeriggio andare a fare il bagno a Las Grietas, una piscina naturale formatasi in una fenditura tra alti scogli. Ci accordiamo per cenare con i colleghi di Fede, optando anche questa sera per la via dei chioschetti. Stasera tradiamo TJ e ci sediamo ad un tavolo del chiosco accanto, La Pausa. Siamo 5 e ordiniamo due parilladas (grigliate di pesce misto). Arrivano due grandi vassoi con gamberi, calamari, tonno, polpo, patatine fritte e insalata. Il pesce è molto fresco e gustoso, e non sarebbe stato male continuare a mangiarne! Dopo cena facciamo ancora due passi sull’Avenida Darwin e torniamo al molo per incontrare i placidi leoni marini e gli squaletti. In hotel per fortuna ci hanno cambiato di stanza dandocene una un po’ più nuova. Due chiacchiere in giardino e poi nanna.
19 Maggio 2019 (Santa Cruz)
Ci svegliamo piuttosto presto e andiamo a comprare frutta e biscotti per la colazione che consumiamo in giardino. Ci incamminiamo verso la stazione di ricerca Darwin il cui ingresso si raggiunge con una breve passeggiata fino in fondo all’omonima Avenida. Anche qui all’ingresso bisogna registrarsi. i colleghi di Fede sono già entrati e li incontreremo dentro. Qui facciamo il primo incontro ravvicinato, seppur non in natura, con le tartarughe giganti. Sono davvero buffe, ce ne sono svariate specie, e sono impressionantemente enormi. Ci sono anche le iguane di terra e, queste si in natura, quelle marine. Visitiamo il piccolo museo, dove timbriamo il passaporto, e andiamo a fare un bagnetto nella piccola playa de la Estacion, sempre all’interno del centro. Non è niente di eccezionale ma comunque carina. Purtroppo anche oggi il sole non si palesa, ma se non altro non piove, e già ci riteniamo fortunati. Rientriamo a Puerto Ayora e pranziamo tutti insieme da TJ. Fede prende un hamburger e io dei calamari grigliati, il tutto sempre accompagnato da patatine fritte. Rifocillati, siamo pronti per l’avventura di snorkeling a Las Grietas! Andiamo al molo, da dove ci imbarchiamo per un tragitto brevissimo su un watertaxi (0.80 USD a testa). Arrivati dall’altro lato della baia, a Finch Bay, iniziamo una piacevolissima passeggiata di mezz’oretta scarsa passando per la playa de los Alemanes e attraversando delle saline in una laguna. Arrivati a destinazione dobbiamo nuovamente registrarci prima di scendere al canyon per fare il bagno tra le due pareti di roccia. Il luogo purtroppo è molto affollato, ma sicuramente merita la visita. Facciamo snorkeling nelle scure acque de Las Grietas (il fatto che non ci sia sole indubbiamente contribuisce a renderle scure) e vediamo delle belle murene oltre ad altri pesci belli grandi. Spingetevi oltre il primo tratto di rocce, e potrete godervi un bagno meno affollato. La passeggiata sopra al canyon prosegue fino ad un belvedere che offre una vista aperta sulla baia in direzione Puerto Aayora.
Soddisfatti della gita, torniamo all’imbarcadero e rientriamo in hotel per docciarci e poi uscire a prendere un aperitivo al Muelle de Darwin, bel locale dall’architettura sobria e moderna situato in fondo alla omonima avenida. Approfittiamo dell’happy hour (2 cocktail 10 USD) e ci gustiamo in compagnia dei frozen margarita. Decidiamo, forse più per pigrizia che per genuina attrazione, di fermarci anche per cena. Nonostrante la bella location, le portate sono piuttosto deludenti, e noi raccomandiamo indubbiamente la calle de los Kioskos! Si è fatta una certa, ed è ora di andare a letto: domani mattina presto prenderemo il traghetto per Isabela, dove abbiamo programmato di restare una notte. Salutiamo i colleghi di Fede che hanno invece deciso di fermarsi qui visto che hanno meno giorni a disposizione nell’arcipelago. Bellissima giornata, unico neo: abbiamo dimenticato maschere e boccagli (entrambi peraltro!) a Las Grietas.
20 Maggio 2019 (Santa Cruz – Isabela)
Anche stamattina la sveglia suona presto, e anche stamattina è nuvolo. Siamo a cavallo delle due stagioni, quella che va da maggio/giungo a dicembre (acqua del mare più fredda ma poche precipitazioni) e quella che va da gennaio ad aprile, cosiddetta delle piogge: maggiori precipitazioni ma meno vento e acqua più calda. Abbiamo ricevuto informazioni contrastanti circa l’orario di partenza del traghetto, e non sappiamo se salperà dal molo alle 7 o alle 7.30. Nel dubbio arriviamo con largo anticipo (parte alle 7.30 naturalmente) e abbiamo tutto il tempo di comprare i biglietti. Costano 30 USD a testa a tratta, ma il capitano del Cally I ci dice che, se compriamo subito i biglietti anche per il ritorno, ci fa lo sconto. Con 50 USD a testa il gioco è fatto: torneremo a Puerto Ayora domani pomeriggio con la corsa delle 14.30. Ci mettiamo in coda fra leoni marini e passeggeri sul molo e saliamo sul watertaxi (0,50 USD a testa). In un paio di minuti siamo di fronte al traghetto Cally I: non è esattamente il traghetto che ci eravamo immaginati, ma piuttosto un motoscafo con una piccola area al chiuso e aperto per il resto, su cui viaggiano schiacciati 20 o pochi più passeggeri. Ci chiediamo se siamo stati affrettati nell’acquisto dei biglietti, fiondandoci al primo desk sul molo, ma in realtà la risposta è no: scopriamo presto che tutti quelli che chiamano traghetti in realtà sono delle bagnarole come questa. Appena fuori dalla zona del porto il mare si increspa notevolmente, e non si può dire che le due ore di mare fino a Puerto Villamil volino spensierate. Quasi tutti i passeggeri, per la maggior parte giovanissimi israeliani, dormono per tutta la durata del viaggio. È impossibile chiacchierare perché i motori e le onde sono estremamente rumorosi, e non ci si può nemmeno alzare.
Arrivare, circa due ore dopo, è decisamente un sollievo! Sbarchiamo su una Isabela inaspettatamente soleggiata, e a darci il benvenuto, numerosi e sonnacchiosi, sono gli onnipresenti leoni marini. A piedi ci dirigiamo al nostro hotel, lo Startfish. È stata un’ottima scelta: la struttura è nuova di zecca e ancora in via di completamento, la stanza spaziosa, il letto sconfinato, e c’ è un bel patio esterno sempre in ombra dove ci si può rilassare dopo le escursioni con una bella birra ghiacciata. La proprietaria è una signora molto cortese che ci aiuta fin da subito con l’organizzazione delle escursioni: vogliamo andare a Los Tuneles e al vulcano Cerro Negro (chiamato anche Sierra Negra) e lei ha tutti i contatti necessari. Ci è chiaro immediatamente che per poter coprire il programma ci servirà un giorno in più. La signora ci conferma la disponibilità della stanza e contatta immediatamente il capitano del Cally per vedere se ha posto a bordo dopodomani.
Tutto sistemato! L’escursione delle 11.30 di oggi per lo Tuneles non ha più posti disponibili, ma possiamo andare domattina alle 7 (120 USD a testa). Va bene anche così visto che le 2 ore di salti sul Cally ci hanno stordito a sufficienza per oggi. Sempre dietro consiglio della nostra ospite decidiamo quindi di affittare delle bici (spuntiamo un vantaggioso 10 USD a bici anziché 15 visto che è già mattina inoltrata) e visitare prima il centro di riproduzione delle tartarughe giganti e poi arrivare, percorrendo gli Humedales – un’area caratterizzata da spiagge di sabbia bianca, mangrovie e costa rocciosa – al muro de las lagrimas. Fa molto caldo, e prima di tutto ci fermiamo a Puerto Villamil per un veloce pranzo ristoratore. Da lì, percorrendo la strada principale, arriviamo fino all’hotel Iguana Crossing dove parcheggiamo le bici. La passerella che arriva al Centro De Crianza Arnaldo Tupiza Chamaidan attraversa lagune dove è possibile avvistare i fenicotteri rosa e si percorre senza alcuna difficoltà. Al Centro ci sono tantissime tartarughe giganti di tutte le specie presenti nell’arcipelago, e abbiamo anche la fortuna, se cosi si può dire, di assistere ad un accoppiamento. Riprendiamo le bici e percorriamo i circa 7 km che conducono al muro de la lagrimas, un muro di pietre vulcaniche costruito fra il 1945 e il 1959 dai prigionieri della colonia penale costretti ai lavori forzati. Il bello di questa gita sono sicuramente il percorso e gli incontri che offre più che la meta in sé. Abbiamo infatti la fortuna di incontrare alcune tartarughe giganti in libertà! Fa davvero caldo e il povero Fede deve lottare a più riprese con la catena della sua bici che se ne esce.
Tornando ci godiamo un po’ di relax sulla piccola Playa del Amor; siamo davvero distrutti. Passiamo a restituire le bici e poi una bella doccia finalmente calda e scrosciante ci rimette in sesto. Stasera vogliamo provare il ristorante Endemic Turtle di cui abbiamo sentito parlare molto bene. Qui ovviamente è tutto vicino e ci vuole poco a trovarlo. Mangiamo una pizza ed effettivamente non è male. Leggiamo un po’ prima di dichiarare la giornata conclusa e ampiamente vissuta. Domani passeranno a prenderci intorno alle 7.50 qui in hotel.
21 Maggio 2019 (Isabela – Los Tuneles)
La sveglia non fa nemmeno in tempo a suonare: ci bussa la signora dicendo che il pick up è già qui. È arrivato con oltre mezz’ora di anticipo, e gentilmente la signora lo manda a prelevare altri turisti prima di tornare da noi all’ora concordata. Purtroppo nemmeno qui c’è la colazione, quindi ci accontentiamo di qualche biscotto e montiamo sul pick-up. A bordo troviamo una coppia di olandesi. La guida ci porta prima all’agenzia, dove scegliamo maschera, boccaglio e pinne e poi al molo per l’imbarco. La barca, nemmeno a dirlo, è molto piccola e l’equipaggio è costituito da capitan Roberto, la guida e un assistente di bordo. Siamo un gruppo piccolo e non troppo chiacchierone (diciamo che al solito il rumore della barca e delle onde non aiuta a socializzare). Il tratto di mare che separa Puerto Villamil dai Los Tuneles è decisamente mosso e il tragitto dura circa un’oretta. Strada facendo intravediamo delle mante giganti, che vedremo meglio al ritorno. La barchetta fa una prima sosta nei pressi di uno scoglio in mezzo al mare, Roca Union, su cui se ne stanno appollaiati alcuni uccelli. Il mare intorno allo scoglio è particolarmente mosso, ma le facce dei membri dell’equipaggio non trapelano alcuna preoccupazione. Purtroppo però non riusciremo ad approdare alla prima sosta prevista, Finado bay, nonostante i plurimi tentativi da parte del capitano, proprio perché il mare è troppo mosso, e decreta che è impossibile attraversare la barriera di onde che ci separano dalla costa. Andiamo quindi direttamente a Los Tuneles. Qui, tra ponti e gallerie di lava solidificata, l’acqua è calmissima. Con la guida facciamo una passeggiata a piedi sulla lava per osservare le mangrovie e alcuni uccelli, e poi finalmente ci buttiamo in acqua per un’ora abbondante di snorkeling. La visibilità non è eccezionale, ma via via lo spettacolo è sempre più incredibile. I fondali non offrono niente, ma gli animali che vediamo! Con l’aiuto della guida vediamo un banco di squali pinna bianca immobili sul fondale sotto una grotta, e poi arriviamo a loro: le tartarughe giganti! Sono davvero enormi e sono tantissime, uno spettacolo incredibile! La guida ci aiuta a identificare un cavalluccio marino, giallognolo e immobile, e infine, quando ormai stiamo per risalire sulla barca – anche perché ormai iniziamo a sentire freddo – fa capolino un banco di razze dorate, che sembrano volare nell’acqua. Davvero stupendo! Risalendo a bordo l’assistente di bordo ci spruzza con un doccino per toglierci la più grossa del sale, e ci vengono offerti dei teli per asciugarci. In cabina è possibile cambiarsi il costume, in modo da pranzare asciutti. Il pranzo consiste in un panino di pan brioche con prosciutto (non approfondiamo il capitolo affettati) e formaggio, banana e succo o coca cola. Per i più fortunati c’è anche un panino con dulce de leche. In barca vaghiamo ancora un po’ per le acque calme della baia e vediamo un altro banco di razze, più grandi questa volta, e molto più numerose, bellissimo! Purtroppo si è già fatta ora di rientrare, e riaffrontare il tratto di mare piuttosto mosso che ci separa da Puerto Villamil. Vediamo delle mante giganti dalla barca, che si ferma per qualche minuto per farcele vedere meglio, e poi a tutta birra rientriamo a Puerto Villamil.
Salutiamo gli Olandesi, che tornano in hotel a piedi e che rincontreremo a più riprese fra qui e a Santa Cruz, e in taxi torniamo all’agenzia. Restituiamo l’attrezzatura da snorkeling e ci viene offerto di copiare i video che ha fatto la guida sott’acqua a Los Tuneles. Accettiamo di buon grado visto che non avevamo attrezzatura per foto e filmati subacquei. Siccome il ragazzo (a detta sua un calciatore professionista, bah) è così gentile, gli chiediamo se ci lascia maschere e boccagli per un altro paio d’ore; gli Olandesi ci hanno raccomandato Concha de Perla per fare snorkeling e vogliamo andare a vedere com’ è. Si tratta di una baietta raggiungibile in pochi minuti dal porto tramite una passerella di legno, popolata dai soliti, pigri leoni marini. Non c’è spiaggia come invece avevamo immaginato, ma solo una piattaforma di legno da cui si accede direttamente all’acqua. La visibilità è molto limitata e ormai il sito è in ombra, probabilmente l’ideale è venirci al mattino. Ci accontentiamo di aver visto un paio stelle marine, abbiamo freddino, e decidiamo di spostarci a una spiaggia soleggiata. Alla fine ci buttiamo sulla spiaggia di Puerto Villamil, sabbia bianca e palme tropicali. Tornando verso l’hotel compriamo birre gelate e chips di banana in uno dei minimarket e ci godiamo il nostro patio prima di risistemare i bagagli. Domattina alle 7 il tour operator Isdefuego ci preleverà per portarci a scalare il vulcano Cerro Negro (30 USD cad) e alle 14.30 si ripartirà per Santa Cruz. Ceniamo nuovamente all’Endemic Turtle, stasera proviamo pesce grigliato e hamburger, entrambi buoni piatti, e poi sparati a letto dopo un rifornimento di biscotti e cracker per la colazione.
22 Maggio 2019 (Isabela – Cerro Negro – Santa Cruz)
Non vediamo l’ora di andare a visitare il secondo cratere vulcanico più ampio del mondo (non ci risulterà chiaro nemmeno dopo la visita guidata quale sia il primo, visto che ogni guida ha una versione differente). La sveglia suona all’alba, siamo in anticipo scottati dall’esperienza di ieri mattina, e manco a dirlo stamattina il pick up è in ritardo, tanto che la signora chiama il tour operator per assicurarsi che non si siano scordati di noi. Poco dopo ci preleva una chiva, un mezzo di trasporto tipico dell’Ecuador, ovvero un carretto aperto con su due file di panche di legno montate sul telaio di un camion. Non è sicuramente il mezzo più sicuro, ma non facciamoci troppe domande. Siamo un bel gruppone, preleviamo ancora qualche turista in altri hotel prima di iniziare a salire verso il monte. Il paesaggio si fa molto bello, fra fitta vegetazione tropicale e coltivazioni di banane e papaye. Ci sono anche piccoli allevamenti di mucche. Il cielo è piuttosto coperto, e non ci resta che sperare che schiarisca man mano che ci avviciniamo al cratere. Le guide, una parlante Inglese e una Spagnolo, ci spiegano che faremo un trekking di 16 km in totale, arriveremo all’enorme caldera (larghezza massima circa 10 km) del Cerro Negro prima, per poi scendere al vulcano Chico, un sottocratere. Mentre saliamo – il percorso è molto facile tecnicamente e molto piacevole – il cielo si apre, con nostra immensa gioia. Lo spettacolo della caldera immensa di uno dei vulcani più attivi di questo arcipelago è davvero impressionante. La guida ci racconta delle recenti eruzioni (l’ultima risale al giugno 2018) e ci spiega i diversi tipi di lava; ammetto di non averci capito molto. La discesa al vulcano chico è stupenda, il paesaggio man mano che si scende si fa sempre più lunare, vediamo tunnel di lava e rocce di tutti i colori. Arrivati alla sommità il panorama è stupendo: si vedono le varie isole in un mare blu cobalto, apparentemente calmo.
Risalendo sostiamo all’unica area di riposo, con panche all’ombra di un’ampia tettoia, e facciamo colazione col box incluso nell’escursione. Purtroppo è ora di tornare a Puerto Villamil. È stata forse l’escursione più bella, assolutamente raccomandata! Non sarebbe certamente difficile farla senza tour guidato, purtroppo però, come quasi tutto nell’arcipelago, non è consentito.
Recuperati i bagagli in hotel andiamo sparati al porto. Ci ha informati la signora che la nostra imbarcazione è cambiata, viaggeremo sulla lancia Blue Fantasy. Durante l’ispezione dei bagagli al porto scoprono che le nostre scarpette da scoglio sono sporche di sabbia, e mi spediscono in bagno a sciacquarle. La barca non è molto diversa dal Cally, forse leggermente più piccola, ma lo skipper ci dice che si tratta di un motoscafo molto veloce e che pertanto dovremmo arrivare a Puerto Ayora in meno di due ore. Manco a dirlo, il mare appena usciti dal porto è mosso e lo sarà per tutto il tragitto, e come al solito arrivare sarà un gran sollievo. Lo skipper mi dice che in questo periodo che il mare è calmo la traversata è tranquilla, ma che da giugno a dicembre è abbastanza straziante per i turisti spostarsi fra un’isola e l’altra. Come nel viaggio di andata dormono quasi tutti, e ne concludiamo che devono essersi drogati di xamamina (cosa che mi pento di non aver fatto anche io) perché non si spiega altrimenti.
Arrivare a Puerto Ayora ci sembra un po’ come tornare a casa. Rispetto a Puerto Villamil, Puerto Ayora pare NY. In pochi minuti di passeggiata siamo al nostro nuovo hostal, il Bambù, meno centrale del Darwin ma non male, la stanza è spaziosa e silenziosa. Facciamo una doccia e ci concediamo un po’ di relax per riprenderci dalla traversata prima di fare un giro in paese e poi andare a cena. Da buoni aficionados andiamo alla via dei chioschi e mangiamo una bella grigliata mista di pesce a La Pausa, il cui giovane cameriere è rapito dalla sigaretta elettronica di Fede coi suoi virtuosismi di vapore profumato.
La giornata è stata decisamente intensa. Diamo un’occhiata ai souvenir dei vari negozietti dell’avenida, e dopo aver salutato foche e squali al molo ci ritiriamo in camera.
23 Maggio 2019 (Santa Cruz)
Decidiamo che oggi ci meritiamo una giornata di relax, e l’idea di non prendere mezzi di trasporto né di terra né di mare mi sorride e non poco. Inizialmente pensavamo di fare ancora un’escursione a una delle isole vicine per un ultimo snorkeling, ma in realtà siamo molto soddisfatti di tutto quello che siamo riusciti a vedere sia facendo snorkeling che esplorando l’interno delle isole, e optiamo quindi per una giornata di mare a Tortuga Bay, dove abbiamo intenzione di leggere e rilassarci. Ci prepariamo e con calma scendiamo in centro per fare colazione. Scegliamo il The Rock, in piena Avenida Darwin, locale molto noto e davvero carino. La colazione non è degna di particolare nota, ma più che passabile. Ripercorriamo il percorso della volta scorsa – obbligato peraltro – ci iscriviamo al registro dei presenti all’inizio del camminamento per Tortuga Bay, e sulla spiaggia scegliamo una postazione dove poter creare un po’ di ombra con i parei. Oggi c’è un bel sole e picchia decisamente forte. L’acqua è più calma rispetto all’altro giorno, e con questa bella luce finalmente si vedono i colori splendidi di questi mari. In lontananza vediamo gli “amici” olandesi che però fanno giusto una toccata e fuga, forse tramortiti dal caldo delle ore centrali ai tropici. Nel pomeriggio si annuvola un po’ quindi ben prima del tramonto torniamo a Puerto Ayora per doccia e aperitivo. Ceniamo per l’ultima volta da TJ, stasera vogliamo provare questa strana aragosta pantofola. Queste aragoste, che vediamo in bella mostra in tutti i ristoranti della via, sono davvero molto brutte, nere e senza chele. Chiediamo se qui hanno solo questa specie e ci dicono che in questa stagione hanno il permesso di pescare soltanto queste – ed entro limiti stabiliti da regolamenti ferrei – ma che in altre stagioni pescano quella a noi più nota, rossa e con lunghe antenne. In realtà in bocca questa pantofola è molto simile all’aragosta a cui siamo abituati (per modo di dire), la carne è tenerissima e qui te la servono un bel piattone con riso, patate fritte e insalata. Siamo ancora una volta molto soddisfatti di TJ, al quale faremo un’ottima recensione. Io spergiuro che per mesi non toccherò una patatina fritta, visto che credo di averle mangiate come contorno ad ogni pasto per tutta la vacanza. Per l’ultima volta passeggiamo lungo l’Avenida Darwin e al molo compriamo qualche regalino da portare a casa prima di tornare in hotel a preparare i bagagli: domani si torna a Quito. Tramite i colleghi di Fede abbiamo contattato un tassista che avevano utilizzato anche loro per fare un breve tour della parte alta dell’isola domani prima di essere depositati al canale di Itabaca. Il nostro volo è alle 15 circa, quindi contiamo di essere all’aeroporto per le 13. Valigie pronte, buona notte!
24 Maggio 2019 (Santa Cruz – Baltra – Quito)
Purtroppo l’ultimo giorno di vacanza è arrivato puntuale e inesorabile. Torniamo al The Rock per colazione e intanto riceviamo un messaggio del tassista che ci annuncia di essere in ritardo. Poco male, riusciamo a spuntare uno sconticino e avremo comunque abbastanza tempo a disposizione per il tour, oltre ad avere la possibilità di fare un ultimo giretto a Puerto Ayora e goderci il mercato del pesce nel pieno della sua attività, assediato da famelici leoni marini e da pellicani. Quando arriva il taxi carichiamo tutto in macchina e cominciamo l’ascesa verso l’interno dell’isola. La nostra prima e principale tappa è la tenuta El Chato, dove potremo osservare da vicino e allo stato brado le tartarughe giganti che vivono nella riserva. L’ingresso costa 5 USD a testa e comprende un caffè di benvenuto, la possibilità di vagare indisturbati per la riserva alla ricerca delle tartarughe, e la visita di un paio di tunnel di lava. Ah, e anche la possibilità – che ovviamente non ci lasciamo sfuggire – di infilarsi faticosamente dentro vecchi ed enormi carapaci per scattare le foto ricordo. Il posto è davvero bello e le tartarughe non lesinano la loro presenza. Nei pressi di uno stagno ce ne sono svariate, e tutte enormi! I tunnel di lava sono interessanti: scendono sottosuolo per qualche metro per poi risbucare in superficie un centinaio di metri più avanti. Prossima e ultima tappa prima di incamminarci verso l’aeroporto sono i Gemelos, due crateri poco distanti fra loro e raggiungibili dalla strada principale tramite brevi sentieri, non di origine vulcanica ma formatisi a causa dello sprofondamento del terreno nel corso del tempo, con le pareti verticali coperte di alberi scalesia e felci.
Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio alle Galapagos. L’autista ci lascia all’imbarco per il watertaxi che in pochissimi minuti ci lascia sull’isola di Baltra. Altra corsa in Lobito (e altri 10 USD) per arrivare al terminal. Il volo decolla puntuale a arriva a Quito che è già quasi buio (siamo un’ora avanti rispetto alle Galapagos). Questa volta invece del taxi prendiamo un bus per arrivare in città, strana formula: ti portano senza alcuna fermata intermedia a un capolinea da cui un taxi, compreso nel prezzo (8.75 USD a testa), ti porta alla tua destinazione finale. Questa soluzione è relativamente conveniente se si è in due, ma viaggiando soli lo è decisamente rispetto al taxi a tariffa fissa. Arriviamo allo Sheraton, dove ci attendono le nostre valigie, e ci godiamo tutto il comfort della stanza. Usciamo giusto per cenare, anche se io soffro di nuovo immediatamente l’altitudine, e dopo aver riorganizzato i bagagli per il rientro domani, ci buttiamo nell’immacolato lettone.
25 Maggio 2019 (Quito – Milano)
Una bella colazione per chiudere il viaggio nello stesso modo in cui lo avevamo iniziato! E poi un po’ di relax in hotel prima di prendere l’utlimo transfer per l’aeroporto e intraprendere il lungo viaggio verso casa. Il volo KLM ci porterà ad Amsterdam facendo un breve scalo a Guayaquil, dove rivedremo per l’ultima volta i nostri amici Olandesi. Stravolti ma soddisfatti arriviamo a casa la sera dell’indomani giusto in tempo per cena.