Magico Myanmar: impressioni e notizie utili..
Questo racconto non vuole essere un noioso elenco di attività e di cose viste giorno per giorno, quanto piuttosto un compendio delle emozioni e delle impressioni che si possono provare visitando questo paese. Il mio viaggio è stato un tour di gruppo (8 persone) organizzato con la Mistral. Va detto da subito che in effetti un viaggio in Myanmar...
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Questo racconto non vuole essere un noioso elenco di attività e di cose viste giorno per giorno, quanto piuttosto un compendio delle emozioni e delle impressioni che si possono provare visitando questo paese. Il mio viaggio è stato un tour di gruppo (8 persone) organizzato con la Mistral. Va detto da subito che in effetti un viaggio in Myanmar non è eticamente semplice a causa della complicata situazione politica attuale in questo Paese: riassumendo, acquistata l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel ’47, dopo un regime socialista negli anni ’50 (che ha messo economicamente in ginocchio il Paese), nel ’62 al potere è salita una giunta militare tuttora al governo. Nell’88 vi furono violenti scontri cosicchè l’anno dopo furono indette elezioni, vinte dal NLD, il partito del premio Nobel Aung San Suu Kyi, la quale però non salì mai al potere: fu anzi costretta agli arresti domiciliari, a cui è relegata tuttora. La giunta militare è di fatto una dittatura totalitarista, con controllo su stampa, tv, radio, internet (è praticamente impossibile inviare email): sembrerebbe che alla fine di quest’anno si svolgeranno nuove elezioni, stavolta ufficiali (ma ho i miei seri dubbi…). Diversamente dai regimi assolutisti tradizionali, la presenza dei militari è però molto limitata, almeno nei circuiti tradizionali turistici: sporadicamente si trovano posti di blocco ma solo in prossimità di ponti o strade “nuove”, e alcuni funzionari governativi si trovano negli aeroporti a sorvegliare il viavai. La gente sembra lasciata “libera” di vivere, di lavorare, di muoversi, di vendere, di comprare, di parlare: il governo trova un grande alleato nella religione, o meglio nella filosofia buddhista, la quale diventa uno strumento prezioso per infondere nella gente il concetto di ‘”autodisciplina”. Già, perchè l’idea della reincarnazione in un essere migliore (e, in ultima battuta, del raggiungmento dell’agognato “nirvana”) porta la gente a comportarsi rigidamente secondo i 5 precetti (non uccidere, non rubare, non bere alcolici, non commettere adulterio, non dire il falso) e a volersi guadagnare il riscatto nella prossima vita grazie ad un comportamento esemplare, anche facendo offerte ai monaci o ricoprendo d’oro le statue del Buddha. Per questo, cosa inconcepibile per noi, si può tranquillamente lasciare una borsa incustodita e nessuno la toccherà… Perchè se rubi rischi di reincarnarti con una malattia, o in un animale come un topo o un pollo. Così crede la gente: e infatti la microcriminalità è praticamente inesistente, il che rende il Paese estremamente sicuro, anche se non mancano i procacciatori di “affari” e i seccatori, come in ogni parte del mondo… Inoltre praticamente nessuno protesta per la situazione attuale: in fondo quasi tutti hanno da mangiare e a tutti questo è più che sufficiente. E pensare che la Birmania, tra i Paesi più poveri del mondo, è forse quello che possiede più oro! Oro che, ridotto in foglie sottilissime, viene appiccicato su statue, pagode, e tutto ciò che è sacro. Inutile dire che si tratta di un vero business per pochi: da un lingottino di 36g di oro puro vengono ricavate 48.000 lamine d’oro che vengono vendute ai devoti (cioè i poveri): naturalmente l’oro viene poi riciclato all’infinito, staccando piccoli pezzi dalle statue, rifondendoli e ricavando ancora altre lamine, a ciclo continuo. Che poi in tutto il Paese le case abbiano corrente elettrica 6 ore al giorno e tutti debbano munirsi di un generatore, che pochi abbiano acqua corrente e servizi, che non esistano macchine agricole e si lavori la terra con aratri e carretti trainati da zebù, che le strade siano vecchie mulattiere a una corsia con l’asfalto di 50 anni fa, che metà delle case siano palafitte in legno, che non esista il riscaldamento in nessuna abitazione, beh, a tutto questo ci si può adattare in qualche modo. E la popolazione birmana ha davvero uno spirito di adattamento invidiabile. Parlando con la preparatissima guida locale si è capito che questa situazione di estrema arretratezza (più che di povertà) della Birmania rurale, che a noi può apparire “pittoresca” quando non “affascinante”, genera invece nei birmani “colti”, che risiedono nelle grandi città, che usano internet (ma non è facile inviare email…) e che conoscono ciò che succede nel mondo, una sorta di irritazione e di frustrazione profonda. Infatti le potenzialità ci sono, le materie prime abbondano (in primis l’acqua, poi petrolio, oro, pietre preziose, cibo…), ma il governo non intende investire un solo kyat in infrastrutture, perciò la sensazione, appena atterrati in Myanmar, è quella non solo di aver fatto un viaggio di 9000km, ma anche di aver viaggiato indietro nel tempo diciamo almeno di mezzo secolo… I nostri cellulari sono inutilizzabili e funzionano solo con schede sim locali (e non ovunque) a 20 dollari l’una. Internet viaggia alla velocità dei primi modem a 16k fine anni ’90, e tutti gli URL contenenti “mail” sono bloccati dal filtro governativo. Su strade ricoperte di asfalto pieno di buche e completamente sconnesso, senza illuminazione nè segnaletica nè striscie nè indicazioni in alfabeto occidentale, circolano vecchie auto giapponesi con guida a destra (sebbene si guidi a destra!), camioncini aperti anni ’60 che fungono da minibus, ricolmi di passeggeri anche sul tetto, carretti trainati da cavalli o zebù, qualche “moderno” autobus di turisti, scooter e biciclette. Nessun vigile, nessuna regola: sorpasso a destra, a sinistra, dove capita. In questo panorama, gli spostamenti sono estremamente complicati, e per fare 30 km si impiega più di un’ora, anche nei dintorni delle grandi città, perciò è spesso necessario spostarsi coi voli interni (anche per fare 160 km). Leggendo la Lonely Planet prima di partire si resta tuttavia fuorviati, in primo luogo sulla necessità o meno di recarsi in Myanmar, quindi sull'”obbligo morale” di viaggiare in modo indipendente per non portare soldi allo Stato, e quindi ai militari. Ebbene, io credo che l’indifferenza sia il male peggiore: non recarsi in un Paese solo perchè c’è una dittatura al potere mi sembra una motivazione ridicola. Ragionando così, eviteremmo metà dei Paesi del mondo, compresi USA e Cina in cui vige la pena di morte. La democrazia vera esiste solo nei cosiddetti Paesi Occidentali, nel resto del mondo di fatto vigono in maggioranza regimi dittatoriali camuffati da “monarchie”, “emirati” o “repubbliche”, quindi non riesco a capire questo accanimento nei confronti del Myanmar: forse ha fatto scalpore l’arresto di Aung San Suu Kyi, magari senza quest’episodio non sarebbe scattato l’embargo dell’ONU che sta ora mettendo in grave difficoltà la popolazione, senza medicine e con ospedali fatiscenti. Ancora una volta la politica dell’embargo si dimostra un rimedio peggiore del male. In secondo luogo la Lonely Planet crocifigge i viaggiatori dei tour di gruppo organizzati, colpevolizzandoli sul fatto che alloggiando in alberghi statali e viaggiando con gli aerei statali si rimpinguano le casse del governo. Falso, perchè le catene di alberghi 4 e 5 stelle sono private, così come le compagnie aeree. Solo la Myanma Airways è statale, così come alcuni alberghi 3 stelle. Punto. Senza contare l’indotto che deriva dal facchinaggio, dalle mance, dalle bevande, dai souvenir, dalle cartoline, dagli ingressi, ecc. Addirittura la stessa decantata Lonely Planet invita a non entrare dall’ingresso principale delle pagode per non pagare il biglietto che finirebbe nelle tasche del governo!!! Assurdità, perchè anche il turista “comodo” porta moltissimi soldi ai locali, almeno il 90% delle spese sostenute. Perciò, è vero che è bene informarsi prima di partire, ma è ancor meglio prendere queste informazioni con estrema cautela. Cosa c’è da vedere in Myanmar, il Paese dalle mille e una pagode dorate? Non solo pagode, naturalmente… Yangon, la ex capitale (ora la capitale ufficiale è Pinyama) è una metropoli con 5 milioni di abitanti, un ammasso di ruderi e palazzi coloniali fatiscenti, qualche bel laghetto e un tesoro incredibile, la pagoda Shwedagon, uno splendore dorato visibile da ogni punto della città, il luogo sacro più importante del buddhismo birmano. Una meraviglia, davvero. Interessantissimo poi il Buddha sdraiato di Yangon, di cui si può ammirare il “fratello” a Bago. Mandalay, la seconda città del Myanmar, possiede alcune pagode di eccezionale fattura e un monastero in tek davvero mirabile. Siccome è una delle città in cui si vive il maggior spirito religioso, è facilissimo imbattersi in processioni di noviziato con elefanti e gente in costume. Qui si può anche assistere alla cerimonia del pranzo dei monaci, due file indiane interminabili di religiosi pronti a riempire le loro ciotole di riso e frutta. Peccato solo per i turisti imbecilli che si buttano addirittura in mezzo alle due file per immortalare dei primi piani piuttosto infastiditi. A Pindaya si può invece visitare, ovviamente a piedi scalzi (come in tutte le pagode), una grotta umidissima con 8000 statue dorate di Buddha. Mentre Bagan, una distesa immensa di pagode dorate e templi ricchi di tesori millenari, offre tramonti indescrivibili, tra mandrie di zebù al pascolo e carretti trainati da cavalli che percorrono polverosi sentieri a zigzag tra la storia e il presente. La Golden Rock, una specie di Lourdes d’Oriente, quell’enorme masso dorato in bilico su un dirupo sormontato da una pagoda contenente un capello del Buddha, il quale garantisce l’equilibrio della roccia, vale sicuramente la faticosa arrampicata di un’ora sotto il sole appena dopo 3/4 d’ora di camion condiviso gomito a gomito con altri 45 pellegrini, unico mezzo per arrivare lassù. Una volta in cima, si possono osservare centinaia di birmani (e pochissimi turisti) devoti al masso, che pregano, accendono incensi e appiccicano foglie d’oro, davvero emozionante attendere il tramonto avvolti dal profumo di incenso. Anche se poi in realtà il dirupo non si vede, in quanto è stata costruita una passerella proprio al di sotto, e la magia del posto è un po’ offuscata dal vociare dei pellegrini. Ciò che poi colpisce il cuore è il Lago Inle, nel cuore dello Stato Shan, un lago paludoso sulle cui sponde sorgono villaggi di pescatori e artigiani che vivono in palafitte di legno e si spostano su piroghe a remi o a motore. I pescatori, abilissimi acrobati in piedi su piroghe sottilissime, usano la gamba per remare e le mani per gettare le nasse nelle limacciose e poco profonde acque del lago, mentre alcuni contadini si sono ingegnati costruendo degli orti galleggianti in cui coltivare praticamente di tutto. In mezzo al lago sorgono monasteri, pagode, laboratori artigianali, mercati galleggianti, ambulatori medici… Insomma, l’adattabilità dell’uomo al paesaggio trova qui la massima espressione. Vagando per i canali su una piroga si respira una sensazione di pace, di ammirazione per la natura e per il rispetto che, almeno qui, l’uomo le porta. I monaci citati prima costituiscono un elemento fondamentale della società birmana, anche per il fatto che si tratta di un passaggio obbligato nella vita di ogni individuo: è infatti obbligatorio per tutti (uomini e donne) trascorrere un certo periodo della vita in convento, in compagnia di soli 8 oggetti e senza denaro, coi capelli rasati a zero onde evitare pensieri di vanità. Per questo l’elemosina mattutina dei monaci è una scena normale da osservare; strano poi che venga vietato dalle guide il distribuire ai bambini dolci e penne, e tantomeno soldi, onde evitare l’accattonaggio. Giusto, però poi si passano i mesi con la tonaca da monaco a bussare alle porte chiedendo offerte: se non è elemosinare questo… E, come spesso accade, i più generosi sono proprio i più poveri, i quali sperano, donando ai monaci cibo e denaro, di guadagnarsi una futura vita migliore… Meravigliose contraddizioni ed esotiche stranezze contraddistinguono questo incredibile Paese, fatto di gente semplice vestita di longgyi e infradito, col viso spalmato di una miracolosa poltiglia marroncina fatta di polvere di legno di sandalo e acqua, gente che continua, nonostante tutto, a sfoderare sorrisi e generosità.