Madagascar, tour dalla capitale sino al sud
30 aprile 2013
Una notte calda e umida ci attende quando atterriamo ad Antananarivo (capitale del Madagascar). Facciamo il visto e incontriamo non solo la nostra guida e l’autista, ma anche l’amica di penna di Paolo dai tempi delle medie e suo fratello, e così dopo tante lettere li conosciamo di persona. Ci spostiamo subito nel primo hotel del tour, “Villa Amy”, ci ristoriamo con un buon succo di frutto della passione e subito a dormire.
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1 maggio 2013
Scordate le classiche colazioni internazionali degli hotel, gustiamo della frutta fresca (papaya, ananas e banana), del buon pane, burro e marmellata e succo appena spremuto di qualche frutto tropicale. Usciti dal cancello dell’hotel, siamo subito immersi nella vita quotidiana africana: donne che portano cesti carichi in testa, bancarelle che espongono appesi tagli di zebù e polli, bambini che spingono correndo dei carretti per strada, galline magre sparse qua e là che razzolano su mucchi di immondizia.
La periferia di Antananarivo. Attraversiamo la periferia di Antananarivo per raggiungere il villaggio Anjouzurukely, è curioso osservare cosa è esposto in vendita nelle baracche lungo la strada: water, ricambi di bici, bacinelle colme di semi e cereali, sedili di auto, carne, cineserie… le donne sono sedute su stuoie intente a disporre frutta e verdura in ordine (cachi, cavoli, avocadi, banane, carote, pomodori), un uomo porta un cesto sulla testa colmo di oche diligentemente accucciatevi dentro. Ci sono case per lo più malandate ed altre tutte colorate perché vi è dipinta sopra la pubblicità della birra o dell’acqua minerale. C’è molto traffico, per lo più si vedono auto che definiremmo “d’epoca” e molti taxi brousse (pulmini che percorrono lunghi tragitti, carichi all’inverosimile di passeggeri e ogni tipo di merce) e taxi be (come i primi, ma collegano solo quartieri diversi della città).Si respira un fastidioso odore di smog. Ancora, notiamo bancarelle dette “hotely” cche vendono cibo e bevande, soprattutto delle frittelle di riso che gli abitanti mangiano per colazione; incrociamo dei carri trainati da zebù che trasportano sacchi di riso o fieno, o pneumatici, o taniche gialle che vedremo poi essere riempite ad un rubinetto di acqua potabile.
La campagna dell’altipiano. Ci addentriamo in campagna ed il paesaggio è spettacolare: colline verdissime con coltivazioni di riso su terrazzamenti, terra rossissima e case alte e strette, dello stesso colore della terra, col tetto spiovente di paglia e le finestre annerite perché non esistono canne fumarie. Nei campi vediamo gente al lavoro che taglia fascine di riso da sbattere su una stuoia per separare i chicchi dalla paglia. Sul ciglio della strada ogni tanto si vedono cataste ordinate di mattoni fatti con l’argilla del suolo e pronti per essere caricati su un carro. Incrociamo molte persone che percorrono a piedi diversi km per raggiungere il mercato settimanale. La strada sterrata diventa impraticabile se non per un 4×4, attraversiamo un bosco di eucalipti utilizzati per fare la carbonella ed arriviamo al villaggio.
Il villaggio. Anjozorokely conta circa novanta abitanti e una ventina di case. Quella che visitiamo è composta da uno stretto ingresso, a sinistra si accede alla stanza da letto arredato con un giaciglio coperto da una stuoia ed un tavolo, di fronte all’ingresso si accede al piano superiore tramite una stretta scaletta di legno sotto la quale è sistemato un coniglio. Al primo piano, che è mansardato, c’è la cucina: in un angolo il fuoco, accanto un asse su cui sono disposte le poche tazze sbeccate ed il colino per fare il caffè, ed ancora un giaciglio per i bambini e un tavolo per mangiare, anche se di solito si mangia per terra su una stuoia. Accanto al letto sono accatastati dei sacchi di riso. Il capo del villaggio ci accoglie insieme agli abitanti nel cortile di terra battuta tra che si trova tra le case, ci accompagna a vedere le loro coltivazioni di riso, manioca, mais e taro. I bambini divertiti ci seguono e ridono vedendosi catturati in una foto sullo schermo della macchina fotografica . Tornati nel cortile ci viene servito il caffè ed il taro, una radice bollita e accompagnata da zucchero di canna. I bambini ci cantano una canzone e distribuiamo vestiti, giochi, pane e bacinelle molto apprezzate per la cucina ed il lavoro nei campi.
Antananarivo La capitale è divisa in tre zone, la città bassa, ovvero la periferia, la media dove si trova la zone commerciale e l’alta, la parte storica. Pranziamo nella città media al Buffet du jardin e gustiamo spiedini di zebù e gamberetti, riso e verdure saltate in padella, banana caramellata (spesa: 47500 Ar, circa 17 euro). La guida ci illustra la storia del regno del Madagascar, poi visitiamo la parte alta della città; vediamo il palazzo della Regina, purtroppo rovinato da un incendio nel 1995, e due chiese dedicate a martiri cristiani. vediamo l’albero del tiarè, la pervinca del Madagascar e stelle di natale ad albero, che qui sono chiamate Madagascar perché i colori rosso, verde e bianco del lattice ricordano quelli della bandiera, e la foglia piegata a metà ha forma simile a quella dell’isola. Ci fermiamo in periferia lungo un fiume per osservare la vita della gente: chi lava i panni e li stende su rocce, chi raccoglie sabbia e sassi nell’acqua per l’edilizia, chi spacca pietre, bambini che giocano, donne ricamano. Ceniamo in hotel con minestrone, pollo e verdure miste, banana caramellata (spesa circa 13 euro).
2 maggio 2013
Lasciamo l’albergo per spostarci ad Antsirabe. la guida ci illustra su una cartina le zone del Madagascar: ad Ovest più brullo e desertico, al centro l’altipiano, ad Est la zona verde.
Ambatolampy Facciamo una tappa ad Ambatolampy, paese dove si lavora artigianalmente l’alluminio per fare pentole da distribuire in tutta l’isola, la lavorazione è possibile solo in questa zona perché soltanto qui si trova la laterite, terra utilizzata per fare stampi in cui colare il metallo. Attraversiamo in auto altri villaggi, ognuno specializzato in un’attività particolare: uno nella lavorazione della rafia, con cui creano animaletti, ceste ed oggetti vari, uno nel costruire camion ed auto giocattolo con legno e lattine, un altro nel creare madonnine e altre statue in gesso, un altro ancora nella produzione del foie gras.
Antsirabe Si trova a 1500 metri sul livello del mare ed è la città dei pousse pousse, tipici risciò trainati a mano da malagasy tradizionalmente scalzi. Facciamo un giro della città su questo mezzo di trasporto particolare e vediamo le terme, struttura molto bella di fine ottocento voluta da una regina prima dell’arrivo di francesi; recentemente vi ha soggiornato per cinque anni un re esiliato dal Marocco. Attraversiamo il Viale dell’Indipendenza in cui è eretto un monumento dedicato alle 18 tribù malagasy ed arriviamo davanti alla stazione per le foto di rito. Visitiamo diversi laboratori: nel primo si lavorano pietre preziose e semipreziose (smeraldi, rubini, zaffiri, ametiste, celestite, quarzo fumè e rosa, legno fossile ecc.), nel secondo si creano oggetti quali calamite, biciclette, macchinine con materiale riciclato, ed assistiamo ad una dimostrazione. In una stanza accanto a questa bottega, delle donne sedute su sacchi per terra ricamano tovaglie con scene di vita malagasy. Infine vediamo il laboratorio in cui si lavorano corna di zebù. Ripartiamo in auto in direzione Ambositra, la capitale dell’artigianato. Arriviamo all’ora di cena e mangiamo nel nostro hotel, l’Artisan hotel, molto curato e pulito. Di tipico assaggiamo le assiettes (involtini con carne e verdure) e bistecca di zebù. In totale, oggi, abbiamo percorso 170 km.
3 maggio 2013
Al mattino raggiungiamo Antoetra. Per arrivarci percorriamo 15 km su asfalto fino ad Ivato, poi 26 km su strada sterrata in mezzo a colline e risaie. Il paesaggio è più brullo, le colline più spoglie. Ci fermiamo per strada, quando notiamo piccoli gruppi di persone, per lasciare loro qualche vestito e sono tutti felici! Vediamo bambini piccoli che fanno i pastori di zebù, donne che zappano nei campi…
Antoetra E’ patrimonio dell’umanità dell’Unesco perché è un villaggio fatto di case di legno ad incastro, senza chiodi e con gli infissi intagliati per decorazione. Non appena scendiamo dall’auto ci attorniano dei ragazzi che sanno un po’ di italiano e ci seguono per tutta la visita per convincerci a comprare qualche oggetto intagliato dai genitori. Il villaggio è povero, sentieri fangosi in mezzo alle case, tacchini e pulcini che corrono ovunque, bambini piccoli mezzi nudi (e qui fa freddo, siamo a più di 1200 m, piove e tira vento). Vediamo le case tipiche, la piazzetta del villaggio con al centro una specie di totem con intagliate in cima corna di zebù, ed entriamo nella capanna del capo del villaggio, che ha 97 anni e ci accoglie con un discorso di benvenuto. c’è un forte odore di fumo e poca luce, perché le finestre sono piccole. Una guida ci spiega come è organizzata l’unica stanza della casa dove vivono 12 persone, vediamo l’angolo della cucina, l’angolo dell’accoglienza per gli ospiti, dove si dorme, dove si accende il fuoco e dove si sistemano le galline di notte. Torniamo ad Ambositra per pranzo e mangiamo al Grand Hotel (non molto pulito, con gatti spelacchiati che scorrazzano in mezzo ai tavoli). Visitiamo poi un laboratorio dove si creano oggetti con l’intarsio del legno, un lavoro molto minuzioso, eseguito con un traforo costruito con ferro di recupero, ma dal risultato bellissimo. Osserviamo poi un artigiano che rende oggetti di legno rotondi grazie ad un tornio non elettrico, ma azionato da un ragazzo che gira una ruota di legno collegata al tornio una corda di pelle di zebù . A cena rimaniamo di nuovo nell’hotel, dove assaggiamo l’emincée de zebù (una sorta di spezzatino a pezzi molto piccoli).
4 maggio 2013
Partenza alle otto da Ambositra con destinazione Ranomafana, che significa “acqua calda” in quanto nella cittadina ci sono sorgenti termali. Durante il viaggio godiamo ancora dei panorami stupendi dell’altipiano. Percorriamo la statale n.7 che collega Antananarivo a Tulear, ed è l’unica strada asfaltata che porta al sud. Quando si attraversano villaggi ci sono molti bambini a bordo strada che cercano di vendere qualcosa ai camionisti ed i passanti, correndo dietro ai mezzi coi loro cestini in bella mostra colmi, ad esempio, di uova già sode o alkekengi. Imbocchiamo una scorciatoia di circa 30 km su strada sterrata, lontano dalla statale, ci godiamo una bellissima vista e possiamo osservare i villaggi e la vita nei campi, qui siamo davvero lontani dai luoghi turistici. I bambini che giocano a bordo strada, quando passiamo in auto, ci rincorrono scalzi urlando “bon bon vazà!” (caramella, straniero!) per sfruttare la rara occasione del passaggio di europei e cercare di ottenere una caramella. Ci addentriamo nel parco nazionale di Ranomafana ed il paesaggio cambia, perché in quest’area è vietato disboscare e perciò si può ammirare la jungla con la bella cascata, alberi di banano, felci arborescens, palme del viaggiatore, guava cinese selvatica coi suoi frutti rossi, e tantissime altre specie vegetali. Dopo pranzo, passeggiamo per la cittadina curiosando tra le bancarelle di frutti esotici e assaggiamo le banane piccole. Posate poi le valigie all’hotel “Le grenat”(carino, abbiamo un bungalow solo nostro con verandina, bagno e camera con zanzariera a baldacchino, la vista sul fiume) andiamo a fare un tuffo nella piscina termale; gli spogliatoi sono sporchi e puzzolenti, ma è bello stare nell’acqua calda a rilassarsi con intorno soltanto montagne dalla vegetazione rigogliosa.
5 maggio 2013
Per tutta la notte Paolo è stato male con febbre alta e la classica diarrea del viaggiatore che qui colpisce un turista su due, per cui al mattino salta la camminata di tre ore nel parco per ammirare la vegetazione ed avvistare i lemuri. Partiamo per Fianarantsoa che dista circa 60 km, la visitiamo facendo un giro in auto: la città bassa è sporca e caotica, vediamo la stazione dei treni e quella dei taxi brousse; nella città meda ci sono il municipio e le banche, in quella alta chiese ed edifici più vecchi. Ci spostiamo di circa 50 km fino ad Ambalavao, e qui finisce il classico paesaggio dell’altipiano, si scende dalla montagna, non vi sono più risaie ma inizia una zona più secca con qualche vigneto (che c’è solo in questa piccola zona) e tanti alberi di mango. All’arrivo, ci sistemiamo in hotel.
6 maggio 2013
Questa città e conosciuta per la produzione della carta Antaimoro e della seta, e visitiamo entrambi i laboratori, vediamo le operaie al lavoro e ci vengono spiegati tutti i passaggi di entrambe le attività. Ci spostiamo al parco di Anja dove, durante una breve passeggiata, avvistiamo una decina di lemuri catta ed un camaleonte. Mangiamo al ristorante del parco e poi ci aspetta un viaggio di circa 200 km per arrivare all’Issalo. Il paesaggio cambia completamente, è tutto secco tipo savana, spiccano solo qua e là alberi di mango e piccolissimi villaggi di case basse e non più di terra rossa, ma marrone chiaro. Dopodichè c’è solo più pianura e per 60 km non vediamo che una distesa di erba secca intorno a noi. Durante il viaggio incontriamo anche un enorme sciame di cavallette che sembra di essere dentro una nuvola grigia talmente sono numerose, ed i poveri contadini accendono fuochi ovunque per cercare di allontanare questi insetti col fumo. Arriviamo infine al “Satrana lodge”, albergo molto chic e curato, ci accolgono offrendo un succo fresco di guava.
7 maggio 2013
Durante la notte sto male io e perciò salta la visita al parco del’Issalo, dove avremmo camminato tutto il giorno per ammirare la cascata, le piscine naturali in cui avremmo potuto fare il bagno ed avvistare i lemuri.
8 maggio 2013
Al mattino partiamo alle sette per poter fare una veloce passeggiata nel parco siccome il giorno prima non abbiamo potuto; a Ranohira carichiamo in auto una guida del parco e percorriamo poi una strada molto dissestata per arrivarci. Ci addentriamo a piedi nel parco; nella zona attrezzata per i campeggiatori avvistiamo lemuri rufus e lemuri catta che aspettano sugli alberi di riuscire a rubare degli avanzi di cibo. Passeggiamo lungo un piccolo corso d’acqua nella gola del canyon raggiungiamo la cascata con una piscina naturale, che è stupenda! Ritornati in città, compriamo dei panini e partiamo subito per Tulear, distante circa 3-4 ore di auto. Per strada incominciamo a vedere i primi baobab! Attraversiamo tre villaggi di cercatori di zaffiri, il più conosciuto dei quali è Ilakaka; qui gli Asiatici sfruttano le persone del posto che trovano le pietre preziose e portano criminalità, la guida ci sconsiglia di girarvi a piedi. Più avanti passiamo attraverso un villaggio dove lavorano la canna da zucchero per fare il rhum, e vediamo persone intente a far bollire foglie di tamarindo pestate e canna da zucchero in bidoni di ferro malandati. Vediamo taxi brousse carichi all’inverosimile, uno addirittura con delle galline vive legate a testa in giù al portapacchi, un’auto con almeno 15 persone stipate all’interno e un mucchio di bagagli sulla capotta. Notiamo tombe sfarzose col recinto in muratura dipinto ed i tipici alo alo in cima (bastoni intagliati con scene di vita del defunto). Per strada distribuiamo bottiglie di acqua perchè la gente del sud, nella stagione secca, ha difficoltà a trovare acqua, infatti si incontrano spesso persone con carretti colmi di taniche gialle che percorrono chilometri per cercare acqua e farne una scorta. A Tulear andiamo in posta per comprare i francobolli, ed in farmacia per il paracetamolo. Ci viene chiesto se preferiamo quello cinese o quello di alta qualità! Da Tulear percorriamo una strada sterrata pr circa un’ora per arrivare a Ifaty. Siamo al mare, le capanne sono solo più fatte con canne e paglia, vediamo le mangrovie ell’acqua e le prime piroghe scavate in un unico tronco. Finalmente arriviamo all’hotel “Le paradisier”, un paradiso sì, ma proprio in mezzo al nulla! Salutiamo la guida e l’autista e ci sistemiamo in hotel per goderci tre giorni di relax.
9 maggio 2013
Ci svegliamo alle sei e dalle finestre della nostra stanza, che è proprio sulla spiaggia, osserviamo i pescatori vezo che rientrano dalla pesca con le piroghe, ritirano le reti e raccolgono i pesci catturati. Passeggiamo sulla spiaggia su cui ci sono bellissime conchiglie e molti granchietti, ricci enormi e stelle marine. Siamo gli unici vazà, ed incontriamo pochi vezo che propongono gitein piroga per 10000 Ar. Il mare è sporchissimo a causa di un ciclone che ha portato il fango rosso del fiume nel mare. Visitiamo la foresta spinosa di Mangily, paesin accanto ad Ifaty, dove osserviamo molti baobab compreso uno di 1300 anni.
10 maggio 2013
Passeggiamo di nuovo molto sulla spiaggia, attorniati da tre bambine che insistono per vendere conchiglie o farsi regalare qualcosa. Prima di cena, quando diventa buio, ci facciamo accompagnare dai guardiani del parco dell’hotel a cercare un lemure notturno detto microcebo, e siamo fortunati ad avvistarne uno! è piccolo come un topo ma si muove tra i rami agile come una scimmia. A cena gustiamo l’aragosta al ristorante dell’hotel, che viene pescata nella barriera corallina qua vicina.
11 maggio 2013
Oggi gita in piroga al largo, per fare il bagno nell’acqua cristallina e fare un po’ di snorkeling. è veramente una bella esperienza navigare su questa specie di canoa con una grossa vela rettangolare ottenuta da sacchi del cemento cuciti insieme. Ci stupiamo dell’abilità dei due ragazzi che la manovrano, e godiamo del sole e del mare qui finalmente pulito.
12 e 13 maggio 2013
Purtroppo è ora di fare i bagagli, ritorniamo a Tulear da dove prendiamo un volo con Air Madagascar fino alla capitale, dalla capitale volo per Parigi e da Parigi a Milano. Finita questa bella avventura, ne iniziamo un’altra ancora più bella: la nostra vita a casa da marito e moglie!