Madagascar: au menu ou à la carte?
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In maggio ci siamo accaparrati un paio di biglietti Airfrance, cari come tutti gli altri voli dall’Europa e dall’Italia e che quindi andavano sfruttati con almeno 4 settimane di viaggio. In così poco tempo non è possibile visitare tutto il Madagascar ma solo farsene un’idea sommaria e quindi abbiamo messo a punto un itinerario di massima prima di partire. Le guide disponibili sono veramente scarse e un po’ datate. Prendiamo comunque l’Edt (versione italiana della Lonely Planet), che è come una coperta di Linus ma è “aggiornata” al 2008 e poi puntiamo sulla Routard del 2011 in francese. Anche la Bradt Guide sembra sia buona ma non avendola mai usata decidiamo di basarci sulle due citate, in corso di viaggio scopriamo che la versione francese della Lonely Planet è aggiornata al 2010, quindi se vi capita di trovarla può essere una buona alternativa in attesa di qualcosa di meglio. Individuati i principali elementi di interesse diamo un’occhiata al clima per cercare di sfrondare la lunga lista e così scopriamo che l’inverno australe, che coincide con la stagione secca non è omogeneo su tutta l’isola, dunque il nord, più verde, è già dolcemente caldo in luglio, la costa est risente ancora di qualche perturbazione fino alla fine di agosto mentre la selvaggia costa occidentale è raggiunta in anticipo delle ondate di caldo provenienti dal vicino continente africano. Un’ultima occhiata alle condizioni delle strade ed il piano d’attacco risulta ormai abbastanza chiaro.
Un circuito circolare da Tana verso il sud lungo la RN7 per visitare parchi, massicci montuosi e villaggi con un lento rientro verso la capitale attraverso la pista costiera che va da Toliara a Morondava per assaporare le spiagge bianche e secche della costa ovest. Ci mancava qualche giorno di riposo e decidiamo di metterlo all’inizio perché il viaggio sarà duro e bisogna staccarsi dai ritmi europei per vivere il Madagascar come merita e così cominciamo con 5 giorni nel nord-ovest a Nosy Komba nell’arcipelago di Nosy Be.
In questo modo, combinando la stagione secca con un percorso che si mantiene sostanzialmente sulla costa ovest ci assumiamo il rischio di non fare la profilassi antimalarica, ma di attuare le solite buone regole di protezione con zanzariera la notte e abiti a manica lunga negli orari più pericolosi all’alba e al tramonto, immancabile invece la profilassi antitifica e il vaccino contro l’antiepatite. Se avete voglia di viaggiare un po’ con noi ecco di seguito le tre portate di questo abbondante pasto malgascio.
Entrée (L’antipasto)
23 luglio 2011 – 31 luglio 2011
Prendiamo il volo AF delle 7:15 da Torino, è in orario. Scalo a Parigi, ripartiamo con 2 ore di ritardo per Antananarivo, per fortuna è la nostra destinazione finale e quindi non ci agitiamo più di tanto. Mora Mora (piano piano) fin da subito. Arriviamo ad Antananarivo, in breve Tanà, che è buio, fa meno freddo di quanto ci aspettavamo ma c’è un po’ di nebbia, in fondo siamo a quasi 1.300 mt. di altezza. Coda per il visto, che quest’anno è gratuito fino a 30 giorni di permanenza, recupero degli smilzi bagagli e cambio della prima tranche di Euro in Ariary.Il cambio in Aeroporto è buono ma pagando direttamente l’auto ed alcuni hotel in Euro ci hanno fatto un tasso ancora più favorevole.
Quindi, non cambiate troppo all’arrivo anche perché le dimensioni del malloppo di Ariary potrebbero essere un problema. Usciamo dall’aeroporto a mezzanotte passata. Quest’anno ci siamo trattati bene e quindi avevamo prenotato un albergo per la prima notte. Ecco un autista mingherlino che con tanto di cartello con il nostro nome ci raccoglie ed accompagna con una auto francese d’annata alla pensione Chez Jeanne in una villetta alla periferia di Ivato, paesone nei pressi dell’aeroporto. La scelta si rivela ottima visto che il mattino dopo abbiamo il volo Air Madagascar per Nosy Be, partenza 8:15, rigorosamente comprato on line sul sito della linea aerea Malgascia. La pensioncina è essenziale, pulita e perfettamente organizzata per questi arrivi/partenze notturne. Petit Dejuner all’alba e Renault 4 che ci riporta in aeroporto. Partenza in perfetto orario e arrivo a Nosy Be dove il sole ed una lussureggiante vegetazione tropicale ci salutano insieme all’inebriante profumo di Ylang Ylang che avvolge l’isola. Giusto per darvi un termine di paragone, sembra di essere nella versione chic di Zanzibar. Il recupero dei bagagli è un po’ caotico ma quando usciamo al posto del pulmino o di una jeep da tour operator ci accoglie il sorridente nipote della signora Berenice con due collane di frangipane e tre baci alla francese e ci trasporta fino al porto di Hell City. Varie soste lungo la strada per raccogliere qualche chicco di caffè, un paio di fiori coloratissimi e osservare da vicino un piantagione di Ylang Ylang. Al porto una barca più che adeguata ci aspetta per portaci a sud di Nosy Komba, di fronte alla penisola del Madagascar che termina con Ankify.
Nosy Komba è l’isola più grande dell’arcipelago di Nosy Be, non ha caratteristiche speciali se non quella di essere tranquilla e un po’ defilata rispetto ai circuiti turistici. Arriviamo nella baia dell’hotel Chez Remo e Berenice, c’è l’alta marea, una piccola spiaggia bianca, pulita e tranquilla ci accoglie con una dolcezza inattesa così come la padrona di casa. Qui non faremo altro che mangiare e dormire coccolati e riveriti in un bellissimo giardino fiorito pieno di farfalle, nettarine e paradisier, osservando dal terrazzo del nostro bungalow un mare azzurro con tanto di martin pescatore pigmeo e delfini che passano a salutarci al tramonto. Non ci facciamo mancare nulla e quindi oltre le passeggiate lungo la spiaggia verso i villaggi limitrofi facciamo una bella camminata sulla collina al centro dell’isola (622 mt. sul livello del mare) per arrivare sul lato nord.
La salita a causa dell’umidità foresta è un po’ faticosa ma passate le coltivazioni di vaniglia e di caffè si arriva in cima e la vista è davvero bella perché spazia dalla riserva di Lokombe a Nosy Be fino alla costa nord occidentale del Madagascar stesso. Si scende al villaggio di Ampangurina dove oltre al mercato di manufatti locali in legno e cotone ricamato vive una colonia di lemuri macaco praticamente domestici. Bagno e pic-nic sull’isoletta di fronte, rientro in serata per un ultimo bagno che con po’ di attrezzatura da snorkeling permette di vedere le tartarughe di mare nel loro habitat. Dimenticavo il passaggio ad Antintorona, dove un italiano sinceramente appassionato ed attivo ha dato vita qui ad una serie infinita di progetti per sviluppare questo villaggio in modo sostenibile, fatevene un’idea direttamente sul suo sito (www.weworkitworks.org/stefano-project/). Altra gita imperdibile è quella a Nosy Tanikely. Nel parco protetto vive una bella colonia di lemuri fulvi e una di volpi volanti che si nutrono di frutta. Solito pic-nic sulla spiaggia, a dire il vero abbastanza frequentata dalle gite in partenza da Nosy Be, e periplo dell’isola durante la fase di bassa marea. Da Nosy Komba si può anche andare in giornata a Nosy Iranja, altro must dell’arcipelago, ma è un po’ troppo lontana e costosa quindi meglio da Nosy Be e ancora meglio se pernottate lì, così ve la potrete godere quando la massa di turisti del giorno è tornata in albergo. Comunque dopo 5 giorni di totale relax, serate a base di chiacchiere e assaggi di rum arrange ai baccelli freschi di vaniglia, all’ananas, al letchis e quello potentissimo allo zenzero dobbiamo andarcene per cominciare il vero viaggio. Alle 16:00 riprendiamo la barca per Nosy Be, è un po’ più piccola e il vento è contrario, arriviamo al porto di Hell City con il tramonto incipiente. Salutiamo un paio di italiane conosciute in albergo a Nosy Komba e aspettiamo il nostro taxi pre-pagato, non arriva, ci mostriamo un po’ preoccupati per il volo e così ci dirottano su un altro taxi lì in attesa. Si sistemeranno loro i conti. Partiamo per l’aeroporto che è già buio. I tramonti al tropico sono veloci, le ore di luce sono circa 12, a nord-ovest più o meno vanno dalle 6 alle 18.
Plat Principal (Il piatto principale)
31 luglio 2011
Atterriamo a Tana e qui è tutta un’altra storia.
C’è la nebbia e fa freschetto. L’Hotel Sakamanga come citato nella Edt è sempre pieno ma ci propongono l’Hotel Isoraka che è la loro dependance, stesso proprietario ma il tutto più spartano e senza ristorante. Va bene. Ci arriviamo con la solita Renault 4.
Il centro sembra deserto ma guardando bene è popolato da ombre, fagotti di poveracci che dormono lungo i marciapiedi e figuri poco raccomandabili. Tutto è pervaso da una calma surreale. Decidiamo di non sfidare il destino con il nostro pacco di soldi e ci chiudiamo in hotel con tanto di codice d’accesso elettronico.
1 agosto 2011
La mattina dopo è un’altra città, si sveglia presto, il traffico è notevole, camion, carretti, fuoristrada, un mercato a cielo aperto, bambini, impiegati, poverissimi e ricchi si mescolano indistintamente ed inesorabilmente per effetto di una spaventosa sperequazione e di un governo che diventa ogni anno più corrotto facendo sempre più il paio con quello destituito nel 2009.
Dalla finestra vedo 3 bambinetti uno più piccolo dell’altro che hanno dormito in strada, scendo e prendo croissant e brioche nella pasticceria sotto l’albergo e glieli regalo. Lo so che non si dovrebbe fare, ma loro ringraziano contenti e spariscono con il sacchetto nel vicolo alle spalle della via principale. Qui è così, si vive alla giornata. La nostra giornata invece è dedicata alla visita alla città e alla difficile scelta tra taxi-brousse e auto a noleggio. Vaghiamo per la città, passando per il palazzo presidenziale, il lago ed il mercato, dove con una certa cautela riusciamo a non farci derubare. L’auto ci tormenta. Saremo comunque costretti a noleggiare un fuoristrada robusto per fare la pista costiera tra Toliara e Morondava e magari un autista esperto della zona, visto che lì ci saranno al più dei camion-brousse che passano una volta alla settimana. Ci fermiamo al Sakamanga per la colazione e ne approfittiamo per chiedere informazioni, visto che c’è grande movimento di turisti più organizzati di noi. Chiamano un tipo che viene a prenderci e ci accompagna nell’ufficio di una agenzia piccolissima la G.a.m. Travel a pochi metri di distanza dall’Hotel Varangue. Il nostro giro non lo convince troppo e cerca di proporci un tour standard con discesa lungo il fiume Tsiribina, visita agli Tsingy e rientro su Morondava, da lì eventualmente 4X4 per Toliara lungo la costa. Chiediamo i prezzi e salutiamo. Nel pomeriggio giriamo un po’ le agenzie della zona centrale e cominciamo a farci un’idea delle tariffe di noleggio. Tutti ci consigliano il giro da nord a sud sulla costa e rientro dalla RN7. Il percorso circolare è sicuramente più vantaggioso, le auto sembrano tutte più o meno standard Nissan Patrol o Toyota. Nessuno ci convince più di tanto. Siamo quasi orientati a rimandare e partire con i taxi-brousse lungo la RN7. Ci fermiamo per pranzo. Leggiamo un giornale locale e lì scopriamo che nella notte 2 gruppi distinti di 4 taxi-brousse sono stati attaccati e derubati. I banditi sono scappati indisturbati e l’episodio è solo l’ultimo di una lunga serie. Proprio tra Tana e Antsirabe, la nostra prima tappa.
A quel punto decidiamo di non ficcarci nei guai e facendo un’economia di scala puntiamo al noleggio auto. Ripensiamo alle varie agenzie e decidiamo di riprovare con quella più piccola la G.a.m. Filiera più corta e più soldi diretti ai malgasci. Telefoniamo e risponde Albert. Spiritosissimo, parla un perfetto italiano e ci viene a raggiungere in albergo. Lì dopo un po’ di trattative riusciamo a strappare un prezzo soddisfacente per un 4X4 più autista spesato da Tana a Tana, noleggio flessibile e itinerario a nostra scelta, niente guida.
Alla sera ci porta a vedere l’auto, un pick-up gigante della Toyota, Hilux 2.8 TD, ruote enormi, argano e pochi anni di vita. L’autista invece è un ex-impiegato di banca, 62 anni, parla solo francese (e noi poco!!) e non ha mai fatto la strada costiera. Non si può avere tutto dalla vita, ci accontentiamo e concordiamo di partire alle 10:00 del mattino successivo. Paghiamo una quota del noleggio riservandoci il saldo al ritorno, non si sa mai.
2 agosto 2011
Le 10:00 diventano le 11:30 per un cambio d’olio alla macchina, ma alla fine si và. Dopo circa 70 km percorsi in un paio di ore, siamo già fermi ad Ambatolampy a mangiare gamberi di fiume al gratin in una “trattoria” malgascia, “chiacchierando” con l’autista nel nostro francese stentato. Certo la RN7 non si può dire una gran strada, stretta e piena di curve, ha l’unico grande pregio di essere asfaltata e senza troppe buche. Polli, cani, bambini, carri con zebù, carretti per il trasporto merci e quant’altro si esibiscono allegramente lungo il percorso e con il nostro autista iper-prudente è tutto un gran suonare di clacson ed un incedere lento nonostante la potenza imprigionata nel motore. Il panorama è stupendo, colline, campi di riso in fase più o meno avanzata di preparazione, fiumi dal letto sabbioso e gente che cammina, da tutte le parti in tutte le direzioni. E una luce calda, tropicale, invernale, dolce e avvolgente. Attraversiamo Ansirabe e al tramonto siamo ad Ambositra come previsto, dopo 255 km. Scendiamo dalla macchina che è buio, cerchiamo un hotel alternativo perché quello consigliato all’unanimità dalle guide è pieno, e finiamo all’Hotel Jonathan, buona scelta anche per i pasti. Niente alcolici perché i proprietari sono molto religiosi. Prima di cena siamo costretti ad organizzare l’escursione per il giorno dopo, e il nostro autista si sente in dovere di cercare una guida che parli inglese o italiano. Assoldiamo George che ci porterà a vedere Ifasina un villaggio Zafimaniry a circa 3 ore di marcia da Antoetra raggiungibile con 40 km di sterrato. Il fuoristrada comincia ad avere un suo perché. A cena assaggiamo il ravitoto ovvero stufato di maiale e foglie di manioca macinate da mescolare ad un gran piattone di riso bianco.
3 agosto 2011
Ci svegliamo in un mattino brumoso. Colazione e partenza. Ad Antoetra c’è il mercato settimanale, riempiamo il pick-up di chi camminando lungo la strada per raggiungerlo ha il coraggio di chiedere un passaggio a dei vazaha (stranieri). Compriamo una scorta di biscotti e frutta da regalare una volta arrivati alla nostra meta e partiamo per la salita. Praticamente lungo il sentiero incrociamo tutti gli abitanti di Ifasina che scendono a valle, compreso il capo villaggio, più o meno carichi di mercanzia da vendere. Rhum distillato di frodo in altura e legno sono i principali prodotti che scendono, maiali, anatre, riso e verdura risaliranno alla sera per integrare una ben povera dieta montana. Ifasina è il più vicino dei villaggi Zafimaniry raggiungibili da Antoetra, ci dicono che è il più “turistico” eppure su arriviamo in pochi. Pioviggina e sono rimasti in paese solo bambini, cani e qualche donna. Le case sono in legno, costruite e spartanamente arredate secondo precise regole di orientamento che accompagnano gli abitanti dalla nascita alla morte, dal sonno al risveglio attraverso i 4 punti cardinali. Qui le decorazioni ad intagli scarseggiano, forse le più belle si possono vedere negli altri villaggi, quelli raggiungibili con un percorso di più giorni che va da Antoetra a Sakaivo poi a Falaivo e Antetezondrota e rientro. Tutti entrati a far parte del patrimonio dell’Unesco, povertà inclusa. La figlia del capo villaggio di Ifasina riceve la nostra offerta come concordato con il padre incrociato lungo la salita, lasciamo i pacchi di biscotti, la frutta e la dura legge della spartizione ad una delle mamme, facciamo qualche acquisto al piccolo mercatino di artigianato allestito istantaneamente al nostro arrivo, si tratta perlopiù di oggetti in legno, maschere e dischi con disegni geometrici tradizionali e antichi. E’ comunque un modo per integrare il magro bilancio della comunità. La mancanza di sole, quel piovigginare nebbioso, i piedini degli infiniti bimbetti nelle pozzanghere fangose del villaggio e l’estrema essenzialità del posto ci si imprimono in mente indelebilmente. Qui forse non c’è la malaria perché siamo in alto, ma non c’è molto altro in cambio. La deforestazione qui è pressoché completa e non si vedono tracce di reintegro, la ricerca di un tronco pregiato può durare giorni e giorni, non si coltiva quasi nulla e persino i pulcini vengono comprati a valle. Ma di cosa vivono? Quale futuro hanno questi bimbi quassù? Eppure i volti di chi ritorna a casa la sera dopo una giornata al mercato non sono tetri come i nostri. Noi ceniamo al coperto in albergo. Il Madagascar comincia a farsi avanti con i suoi mille volti e le sue centomila difficoltà.
4 agosto 2011
Galli, galline, maiali e sole ci svegliano prestino, dalla finestra dell’albergo una distesa di colline soleggiate ci saluta allegramente. Anche Ambositra merita una visita e quindi ci avviamo per una passeggiata tra le risaie, i villaggi dei dintorni e il mercato, per girare basta solo un po’ di tempo e tanti sorrisi. Mangiamo al “bar” del mercato, di fianco alla “macelleria” dove mosche e tagli di zebù convivono felicemente, e poi ripartiamo con il fido 4X4 per 135 km alla volta di Ranomafana. Colline, saliscendi, risaie, carri trainati da zebù, donne con ogni sorta di carico in perfetto equilibrio sulla testa, bambini, pulcini, colori e profumo di legno si accompagnano fino alla verde Ranomafana. Qui la foresta pluviale c’è ancora e costeggia rigogliosa la strada fino all’ingresso del parco che protegge almeno 40.000 ettari di vegetazione e 12 specie di lemuri e poi giù fino al paese sulla riva del fiume Namurna. Scegliamo un bungalow con giardinetto sulla riva del fiume all’Hotel Hosy in pieno “centro” e come sempre in albergo si manifesta la guida per la visita al Ranomafana NP del giorno successivo. Si chiama Adrien, parla italiano ed era in paese perché nell’ultimo trekking si è preso l’influenza e quindi è stato qualche giorno fermo. Per fortuna. E’ un po’ triste e dimesso, ma bravo, paziente e competente, è stato tra gli allievi del prof. Mittermeier (“Lemurs of Madagascar”) uno degli universitari americani fondatori del parco. La gita di un giorno dura come al solito non più di 6 ore, ma decidiamo di partire appena apre il parco ovvero alle 7.00, per vedere i lemuri in piena tranquillità. Prima di cena, usciamo per far due passi e non possiamo non assaggiare il “pan banana”, ovvero frittelle di banane fritte cotte al momento in un pentolone di olio bollente. 100 Ariary per questa delizia, ci mettiamo più volte in coda con i ragazzini per prenderne 3 o 4 a testa. Compriamo qualcosa per il pic-nic nel parco e poi cena nel nostro hotel.
5 agosto 2011
Sveglia, colazione e partenza per il parco. Entriamo dall’Angap a circa 3 km da Ranomafana dove si pagano ingresso e guide secondo le tariffe esposte. La foresta si preannuncia interessante. Abbiamo concordato un percorso che attraversa quella secondaria (sentieri Varibolo e Varijatsy) poi passa per quella primaria, scende verso la cascata e costeggiando il parco lungo fiume rientra al villaggio di Ranomafana. Quando entriamo i turisti sono pochi, qualche coppia di francesi tranquilli e quindi procediamo in silenzio verso i primi avvistamenti: 2 lemuri del bamboo, un famigliola di lemuri fulvi, dei lemuri coronati, un sifaka con bebè. Quando arriviamo al point view siamo già soddisfatti dei nostri incontri e siamo avvolti dal vociare di un gruppo di italiani con guide che farebbero scappare anche un lemure elefante. Breve sosta e poi ripartiamo per addentrarci nella foresta pluviale primaria. Non è proprio rigogliosissima ma almeno si intravvedono piante di una certa dimensione. Certo, il Madagascar doveva essere splendido e lussureggiante prima che la diffusa pratica del tavy (taglia e brucia) portasse alla luce ovunque la sua terra rosso sangue. Questa pratica a basso costo alimenta la produzione di carbone per la cucina e di nuove superfici agricole necessarie a sfamare una popolazione con un tasso di crescita tra i più alti dell’Africa.
Qui intorno ci sono non poche Ong e Onlus, anche Italiane, che operano per una progressiva conversione culturale degli abitanti dallo sfruttamento indistinto delle risorse a pratiche di agricoltura sostenibile, reintegro e piantumazione. Nella primaria non incontriamo più altre famiglie di lemuri, usciamo dal parco e con una discesa repentina che fiancheggia la centrale idroelettrica che galvanizza la nostra guida arriviamo, ad una bella cascata. Pausa pic-nic, poi ripartiamo per un sentiero che costeggiando il tratto di fiume ci riporta a Ranomafana attraverso un ponte a zig-zag pericolante. Un’occhiata alla piscina di acqua termale da cui appunto il nome del paese rano (acqua) mafana (calda).
Pisolino nel prato davanti al bungalow e cenetta al Manja Hotel che è anche il ritrovo delle guide del parco, sembra un rifugio alpino e qui gustiamo quelli che saranno eletti miglior spiedino di zebù e miglior ananas flambè al rhum del viaggio. Anche il vino di Fianarantsoa non è male soprattutto se è bianco e non ha viaggiato troppo.
6 agosto 2011
Si riparte, destinazione Ambalavao.
Passiamo per Fianarantsoa, chiamata normalmente Fianar, che è sulla strada e il nostro autista avanza la proposta di una visita alla città vecchia e al belvedere. Lui è molto contento, ci accompagna su per le stradine di una città in avanzato stato di ristrutturazione popolata da bambini ben messi e indottrinati dalla scuola di Don Bosco che ci precedono e seguono per tutto il percorso. Anche il belvedere, che fin da subito eleggiamo come il meno significativo di tutto il viaggio, è pieno di ragazzini in attesa delle auto dei Vazaha. Un’altra forma di tristezza ci invade alla vista di questa cittadona sicuramente più sviluppata del resto del paese eppure già degradata ed aggressiva. Si procede con calma, la strada è sempre la RN7, asfaltata e tortuosa. La guida lenta e prudente del nostro autista ci permette di osservare i paesaggi con calma.
Riprendono i villaggi Betsileo, quelli degli agricoltori con le case in terra dal beige al rosso, i balconi in legno intagliato e colorato di un bel blu, poi grandi spazi con distese che ricordano le savane Tanzaniane, inimmaginabili conformazioni rocciose cominciano a farsi strada rubando il passo alle distese collinose dei giorni precedenti. Si sale, si scende e il sole invernale addolcisce i colori di una nazione che non è Africa e non è Asia ma è un po’ un misto, eppure nessuna delle due. Il Madagascar è anche questo: un pezzo di terra alla deriva che ha creato e distrutto da sé territori e patrimoni senza curarsi della sua origine. Arriviamo in città, l’hotel Aux Bouganvilles all’interno della cartiera Antimoro è pieno, optiamo per la Residence du Betsileo. Scelta azzeccata. Camera e bagno perfetti e un bel patio arioso in mezzo al giardino sul retro, gestione malgascia un po’ ruspante ma accogliente. Ovviamente costa molto meno. Il nostro autista è a suo agio. Uno sguardo dalla finestra della camera al massiccio dell’Andringitra con le sue due profonde valli Sahanambo e Namaloy e poi usciamo per una passeggiata per il paese. Caffè all’hotel Aux Bouganvilles, ne approfittiamo per capire cosa fare il giorno dopo. Capiamo subito che addentrarci nel massiccio del NP richiede e merita più giorni, solo la tappa di avvicinamento richiede almeno 3h di fuoristrada, ci propongono comunque una gita in giornata, ma è molto cara e non ci convince del tutto perché non sono mai chiari i dislivelli. Lasciamo perdere, non si può mica fare tutto! Chiacchierando con un paio di italiani ci convinciamo che l’Anja Reserve, una piccola area protetta gestita direttamente dalle comunità locali, può essere interessante. Ceniamo all’hotel Aux Bouganvilles, buono ma niente di speciale, non siamo più abituati a vedere tutti questi Vazaha insieme.
7 agosto 2011
Il mattino partiamo per la riserva, essendo a pochi km dal paese ci arriviamo alle 7:30, sul posto troviamo una guida simpatica che parla persino italiano e ci infiliamo in questo boschetto ai piedi di una gola rocciosa. Ecco le docili famiglie di lemuri catta, quelli bianchi e neri della copertina dell’Edt tanto per capirci, che gironzolano indisturbati e mangiucchiando la loro colazione. Sono carini e vispissimi, in buona salute. Socievoli ma non troppo, camminano e saltellano tra le rocce e gli alberi mantenendo la loro distanza di sicurezza. Ma non essendoci nessun altro ce li godiamo alla grande. Alla terza o quarta famiglia li lasciamo mentre risalgono sulle piante per il riposino post-prandiale e procediamo con la visita tra le grotte rifugio notturno dei lemuri, qualche tomba e un piccolo belvedere sulla cima di un roccione. La giornata è soleggiata e limpida, calda ma non troppo e alla 10:30 finiamo la visita mattutina accordandoci per una salita pomeridiana ad uno dei picchi granitici delle “3 sorelle” appena sopra la riserva. Il nostro autista è andato a messa, ha staccato il cellulare e si è completamente dimenticato di noi. Un’ora dopo riusciamo a rintracciarlo e ci viene a prendere. Pranzo in hotel e poi alle 14:30 ci ripresentiamo all’Anja per il giro del pomeriggio. Cerchiamo e troviamo qualche camaleonte beige e marrone ai piedi della gola, la femmina in verde invece non si fa trovare, e poi partiamo mora mora per una bella camminata nella gola tra i 3 picchi. Aggrediamo la sorella media e girandole un po’ intorno arriviamo in punta. C’è un bel vento ed una vista spettacolare su Ambalavao e l’Andringitra. Gheppi che volteggiano sulle nostre teste. Merita. Scendiamo al tramonto e l’autista ci viene incontro sulla sterrata per paura di perderci anche stavolta. Giretto per il paese, doccia calda, cenetta in hotel.
8 agosto 2011
Colazione con le solite baguettes e partenza. Riprendiamo il cammino sulla RN7 per arrivare in serata a Ranohira dopo aver percorso 225 km. Lungo il tragitto il panorama si trasforma nuovamente e sembra un altro continente. Le savane erbose e i massicci granitici dell’Andringitra cominciano lentamente a trasformarsi in canyon di arenaria modellata dal vento e così arriviamo al cospetto del massiccio dell’Isalo.
Evitiamo gli hotel di lusso con le loro confezioni di turisti e ci buttiamo, per la disperazione del nostro autista in una specie di rifugio alpino gestito dalla charmant madame Alice. Dal centro del paese si procede per poche centinaia di metri su una sterrata e si arriva ad una specie di balcone naturale al cospetto di alcuni canyon dell’Isalo, su questo dolce declivio sono posizionati non troppi bungalow rotondi di terra con tetto di paglia. Bagni comuni, rana e ragno individuali. La vista e l’atmosfera del luogo meritano così come la saporita cena malgascia a lume di candela e con un assaggio del pesce di fiume denominato Talapia. Guida assoldata in albergo come al solito. Parla italiano ed è molto scafato. Qui è tutto molto turistico e molto caro. Scegliamo da una complessa tabella una delle migliori sequenze per la gita di un giorno: Piscine Naturelle, Namaza Canyon, percorso in cresta, discesa alla Cascade des Nymphes e ritorno con visita alle Piscine Bleue e Noire. Dura come sempre 6h al massimo, forse camminiamo troppo in fretta, gli altri tornano sempre a tramonto inoltrato.
9 agosto 2011
Fuoristrada fino all’ingresso e poi partiamo per il trekking. Arriviamo alle Piscine Naturelle per primi e non sono male, una bella cascata limpida incassata nel canyon con sabbia sul fondo … poi lentamente arrivano gli altri gruppi di turisti e noi ripartiamo dopo esserci lavati i piedi nell’acqua fresca. Percorriamo un tratto pianeggiante e caldo per arrivare sulla cresta di uno dei canyon, la vista è bella ma sotto c’è sempre il paese. Forse bisognava scegliere un percorso più interno al massiccio, però ci volevano più giorni e almeno una notte di campeggio nel massiccio. Sarà per il prossimo viaggio. Scendiamo nel canyon e camminiamo lungo il corso d’acqua fino ad una delle aree di campeggio. Lì ci sono vari lemuri fulvi che si aggirano tranquilli tra guide e inservienti che stanno preparando una quantità incredibile di tende per questa sera. Ripartiamo e andiamo verso la Cascade des Nymphes e i laghi nero e blu. Tra la vegetazione sulle sponde del canyon si intravvedono alcuni lemuri sifaka quelli più chiari e grandi. Tappa pic-nic alla cascata, bella ma niente di mozzafiato e poi ci sono persino gli scalini in cemento! Risaliamo ancora il fiume all’interno del canyon e la pioggia aumenta, la nostra guida comincia ad innervosirsi perché dice che dopo un’ora di pioggia l’acqua ricopre il sentiero ed in effetti sta colando da tutte le parti, acceleriamo e arriviamo ai due laghi che senza sole non sono di nessun colore particolare, veloci rientriamo lungo il corso d’acqua. Arrivati nuovamente al campeggio ha smesso di piovere e fa un bel caldo umido. Va beh la gita è al termine, osserviamo un po’ i lemuri del campeggio che hanno imparato a convivere con gli umani e anzi quelli svegli con la solita grazia e delicatezza rubacchiano il cibo da tavoli e zaini. Scendiamo e usciamo dal canyon, rientrando in paese con l’auto incrociamo decine e decine di studenti malgasci in gita che si avviano a pernottare nel campeggio. Ci sarà una bella ressa lassù stasera. Al tramonto ci facciamo portare alla Fenêtre de l’Isalo, è turistica ma c’è davvero una gran vista sul massiccio. Ci sistemiamo in pole position e probabilmente roviniamo molte foto degli altri vazaha, ma ci sarà pure qualche vantaggio nei viaggi fai da te, quantomeno non abbiamo guide che ci battono il tempo. Qualche scambio di impressioni sui percorsi affrontati da altri turisti Italiani e rientro per la cena al rifugio alpino di Chez Alice, il rhum arranger al gingembre (zenzero) non è forte come quello di Berenice a Nosy Komba ed è ottimo per brindare all’ultima tappa lungo gli altopiani centrali dell’Isola Rossa, domani si va verso Toliara per 235 km e poi si imbocca la selvaggia costa dell’Ovest.
Dessert (Dulcis in Fundo)
10 agosto 2011
A furia di leggere e rileggere guide e racconti di viaggio ci convinciamo che Toliara non è poi così fondamentale per il nostro viaggio e decidiamo di farla diventare una semplice tappa tecnica: pranzo, approvvigionamento di acqua dolce e moneta locale.
Lasciando Ranohira passiamo per Sakhara zona di estrazione degli zaffiri, qui locali e nefande compagnie straniere perforano e profanano gli altopiani per estrarre queste pietre preziose. La strada è costellata di negozi che li rivendono all’ingrosso e al dettaglio, ingenerando un losco traffico di malavita e polizia di dubbia moralità. Ci fermano per la prima volta ad un posto di blocco ed estorcono soldi al nostro autista per qualche misteriosa e probabilmente inesistente inadempienza sulla sua patente di guida. Raggiungono un accordo sul giusto prezzo, lui paga rimettendoci probabilmente la paga del giorno e dopo aver dato la mano al poliziotto corrotto ripartiamo in silenzio. L’autista ci dice che dovrà regolarizzare la patente alla prossima città, ma poi della cosa non si riparlerà più.
Arriviamo a Toliara giusti giusti per sederci al tavolo di Corto Maltese ristorantino centrale con tavoli all’aperto, ottima cucina con freschissimi ingredienti malgasci. Facciamo 4 chiacchiere con Renato, il piemontese che gestisce il locale. Anche il nostro autista non disdegna il tocco italo-francese e si butta sulle brochettes di gamberi e non si fa mancare una scodella di fragole fresche. Lui evita il vino bianco sudafricano di cui noi invece beviamo volentieri un bel pichet fresco. Ci dividiamo i compiti e lui compra Eau Vive per 10 giorni e un tanicone giallo di acqua dolce per lavarsi, dice che lungo la costa verso Morondava si trova solo acqua salata. Va beh per una volta diamogli retta. Passaggio alla Boa dove il cambio è pessimo, ma abbiamo finito tutti gli Ariary e quindi ci servono. Se non altro come turisti saltiamo di pacca una lunghissima coda sullo spiazzo soleggiato visto che ci chiamano dentro a gran voce come portatori di pregiata moneta straniera. Che imbarazzo! Ripartiamo e dalla periferia di Toliara imbocchiamo una strada costiera, rossa, polverosa e piena di dossi. Traffico intenso, finalmente le sospensioni del fuoristrada cominciano a muoversi. E’ tutto un altro film, la costa è coloratissima ed intensa. Il mare è lontano per via della bassa marea che sta arrivando al suo picco visto che la luna sta crescendo. Mora Mora arriviamo a Ifaty, Hotel VovoTelo prenotato telefonicamente visto che arrivavamo tardi. Non male ma, dopo il clima quasi frizzantino degli altipiani, qui ritroviamo zanzare e umidità. Giro sulla lunghissima spiaggia biancastra, banchetti di souvenir e qualche ragazza che ci insegue insistentemente per dare ordine ai miei capelli incolti con qualche treccina, una più ardita mi propone delle extension da fissare l’indomani con gli elastici. Ma domani noi partiamo e non se ne fa nulla. La marea è risalita e Flavio fa un primo bagnetto all’ovest, ma non fa poi così caldo. La serata passa al ristorante dell’hotel dove in una rotonda semivuota viene proposta una degustazione di vini cileni con tanto di videoclip sulle tenute sudamericane. E’ una buona occasione per locali ed autisti, bevono e mangiano gratis con gli assaggini. Io ordino gamberetti appena sbollentati con salsa aioli, rischiando con l’uovo crudo. Tutto freschissimo, squisito e la salsa non mi fa nemmeno venire mal di pancia.
11 agosto 2011 – 14 agosto 2011
Saltando la notte a Toliara abbiamo guadagnato un giorno da dedicare alla costa e per ora abbiamo ancora in animo di spingerci fino a Bekopaka per visitare gli Tsingy. Colazione, passeggiata lungo la spiaggia fino al villaggio successivo e poi partenza. La strada diventa una vera pista ed il nostro autista comincia a risentire della scarsa dimestichezza con il percorso. Per non perderci, nei pressi di Manombo carichiamo su un ragazzo che deve portare qualche centinaio di litri di acqua dolce da qualche parte verso Tsifuni. Ottimo è poco prima di Salary, la nostra meta di oggi. Lo carichiamo sul pick-up con le sue taniche d’acqua e con reciproca soddisfazione ripartiamo. La pista è uno spettacolo, costeggia il canale del Mozambico, tra pozze d’acqua salate, foresta spinosa e dune, il mare diventa sempre più turchese o smeraldo o un misto dei due. Ogni promontorio e più spettacolare del precedente, ogni baia è un richiamo al tuffo. La barriera corallina, che inizia un po’ dopo Toliara e che corre in un abbraccio fino ad Andovadoaka, qui è così vicina da formare una laguna multicolore, calma e invitante. Si vede l’onda spumosa del rif che la riempie e la svuota nel suo eterno alternarsi di alta e bassa marea creando correnti e vortici infiniti. Arriviamo lentamente fino a Tsifuni, la superiamo e ci fermiamo lungo la pista morbida e sabbiosa per scaricare l’acqua, scendono da una duna un po’ di ragazzi che si caricano a spalle le taniche e ci invitano a prendere una birra dal trio di francesi che campeggiano con un ventina di ragazzini malgasci sul promontorio. Di lì la vista è mozzafiato, la laguna è così bassa che si può camminare con l’acqua alla vita fino alla barriera e fare snorkelling immergendo appena la testa all’interno di un acquario incontaminato. Salutiamo e ripartiamo. La pista si dirige un po’ all’interno e poi ripiega sulla costa ed eccoci a Salary. Salary Sud è un villaggio abbarbicato su una enorme duna di sabbia colonizzata da piante spinose, piccole palmette e aloe, Salary Nord anche. In cima alla duna che forma il lato sud della baia di Salary, un italiano ormai trapiantato in madagascar da 16 anni, ha costruito 5 bungalow estremamente spartani e per questo molto ben integrati nell’ambiente, ha appena finito una grande struttura in legno che sovrasta il promontorio e funge da ristorante, area relax e quant’altro. Tra i bungalows e la struttura centrale si cammina in una morbida sabbia bianca tra la macchia tropicale, tutto è pulito e incontaminato. Ospitalità malgascia e sovrabbondanza di cibo cotto sulla carbonella dalle sapienti mani di Claire e fatto esclusivamente di prodotti reperiti sul posto, qui siamo ad “appena” 120 km da Toliara ma, viste le condizioni della pista, è come se fossimo nel nulla, isolati dal resto del mondo. Il menu è a base di pane fatto in casa, pasta, pesce, polpo, legumi, conserva di pomodoro preparata da Claire, a colazione pane dolce preparato ogni sera da Claire e frittellone dolci cotte al momento del nostro risveglio, miele saporitissimo e caffè appena tostato, nel vero senso della parola, fatto con la moka. Intorno a Francesco e Claire ruota una intera tribù di pescatori locali, aiutanti di cucina, portatori d’acqua calda, una paio di bimbe orfane, un paio di cani smilzi e tanti altri. Appena sotto l’essenziale Chez Francesco c’è il Salary Bay, un resort gestito con piglio pressoché militare da una francese con marito greco-malgascio. Anche il Salary Bay è appena visibile nella baia ma è sapientemente accessoriato, lì c’è l’acqua dolce corrente ed il ristorante con vista sul blu della baia sforna piattini europei accompagnati dal vino francese che la signora si fa spedire in nave. Come tutti gli hotel cari del Madagascar è al completo, pieno di europei super organizzati mentre il nostro è popolato dai pochi turisti fai da te che si avventurano fino qui. Noi facciamo un misto di quanto offrono questi due estremi decidendo di fermarci qualche giorno in questa baia spettacolosa magari sacrificando i tanto fotografati Tsingy. Anche il nostro autista si sistema in un bungalow al Chez Francesco e si gode pasti e panorami marini con aria soddisfatta. Con la bassa marea esploriamo le lunghissime spiagge bianche, bagno nel pomeriggio, tramonto dalla duna e cena a lume di candela. A nanna presto e l’indomani altra spiaggia. Non bisogna assolutamente perdersi la camminata sul banco di sabbia che si crea progressivamente all’abbassarsi della marea e che nella baia di smeraldo permette di arrivare a piedi fino alla barriera corallina, uno spasso.
15 agosto 2011
Non ci accorgiamo che è Ferragosto, facciamo la solita colazione con il gateau dolce di Claire. Ammiriamo dall’alto della duna l’uscita di tutte le piroghe dei villaggi limitrofi per l’apertura della stagione di pesca o caccia al polpo. Uno spettacolo nello spettacolo. Ripartiamo prima della mattanza dei polpi che i pescatori faranno direttamente con gli arpioni in piedi sul rif per poi essiccarli e conservarli per mesi. Con l’autista in fibrillazione per la pista incognita che curva un po’ all’interno ci avviamo per una delle più lunghe tratte di sterrato verso Andavadoaka. Compaiono i baobab, grandi, piccoli, a botte e a bottiglia, bronzei o rosati, lì a guardarci come alieni, alberi surrealisti. Foresta spinosa, euphorbia fiorita, piccoli uccelli corridori che ci guardano impettiti prima di sparire nella macchia tropicale, spianate di laghi effimeri salati, dune, sabbia e all’improvviso distese di corallo morto che aggrediscono impunemente i pneumatici. Ma l’autista procede lento ed inesorabile tra sobbalzi e mancati insabbiamenti, confortato sulla direzione dalle risposte dei pochi locali che incontriamo sulla via. Oggi non riusciamo a caricare nessuno e così ad un certo punto sbagliamo strada vista la totale assenza di segnali o indicazioni di qualsiasi sorta. Ma lungo il tratto sbagliato che conduce ad un villaggio sconosciuto vediamo dei baobab bellissimi, imponenti e solitari come non mai. Ritorniamo sui nostri passi e alla fine sbuchiamo su una spianata che conduce ad Andavadoaka, dopo la baia dell’Assassino là dove si ripiega e si spezza la barriera corallina che proteggeva la costa fin da Toliara. Il panorama è quasi autunnale, un po’ ventoso e dai colori quasi normanni. Ci rifugiamo al Manga Lodge, semideserto, ma con un bel bungalow e baia privata. Ci gustiamo il tramonto dal giardinetto sabbioso del bungalow. Doccia fredda e un po’ salata, ma qui va benissimo ci sono persino i rubinetti che da Chez Francesco erano un inutile orpello. Cena in hotel che non è proprio granchè. Conosciamo anche una coppia di italiani Italo e Nina che vivono qui da anni e organizzano come Madablu uscite di diving, snorkeling e whale watching con una be.lla barca a due motori Ci facciamo un pensierino per dopodomani, anche se il nostro autista è contrariato perché è preoccupatissimo per la strada che dobbiamo ancora fare fino a Morondava.
16 agosto 2011
Colazione un po’ smilza, la francese gioca al risparmio. Andiamo a prendere il caffè di metà mattina al Coco Beach visto che i due olandesi conosciuti a Salary ne parlavano un gran bene e magari ci spostiamo se il Manga non ha più posto per il giorno della gita in barca. Ma il Coco Beach sembra che sia stato pettinato da un ciclone, è aperto ma completamente sgarruppato, in più lo vediamo con la bassa marea che dà sempre un tocco di tristezza. Insomma si vedono le due baie, ma forse il nostro è stata la scelta migliore. Veniamo via e andiamo a fare un giro sull’altro lato della baia fino ad un villaggio dove una musica reggae a tutto volume riempie sinuosa le stradine sabbiose tra le case, fino al mare, alla duna, alla bassa marea del mattino. Rientriamo al Manga Lodge per un pomeriggio in spiaggia, il vento comincia a salire e la temperatura scende. Decidiamo di ripartire l’indomani, evitando la gita in barca con i divers italiani ed assecondando le paure del nostro autista.
Quando lo cerchiamo per comunicarglielo lui è andato al villaggio e ci ha lasciati in hotel. E’ di nuovo introvabile e irraggiungibile ma alla sera prima del tramonto rientra con una pentola di cibo malgascio acquistato in paese, qui il cibo francese non fa per lui e nemmeno per noi a dire il vero!!
Alla sera arriva in hotel un altro italiano, Luigi, che ha deciso di trasferirsi da Toliara, dove aveva aperto una pizzeria che “non gira più”, in questo posto sperduto che ha come non trascurabile pregio quello di avere una struttura ospedaliera gestita da Italiani che oltre a fornire assistenza medica funge da fulcro per il trasporto di merci varie come i pezzi di ricambio per motori, viveri ed altro.
Luigi ha portato del formaggio di Antsirabe agli amici Italo e Nina. Qui diventa un lusso ed un piacere anche quello che a noi sembra normale come il profumo di un libro nuovo. Lo sto leggendo e decido di non lasciarlo, quello che avevo scambiato con il mio Siemenon a Nosy Komba l’avevo già lasciato al Francesco di Salary.
17 agosto 2011
Partiamo alle 7.00 perché il percorso della giornata sarà lungo e faticoso, ma poi riportiamo la pentola della cena di David in paese e tra una chiacchiera e l’altra ri-partiamo che sono quasi le 8:00 ma tanto bisogna aspettare che scenda la marea per passare il guado dietro al villaggio. Andiamo. Oggi ci fermeremo a dormire all’interno, praticamente una sosta tecnica visto che il percorso fino a Belo sur Mer non si può fare in giornata. Partiamo e dopo 2h abbondanti di strada sabbiosa attraverso la foresta spinosa costiera, arriviamo a Morombe, cittadina affacciata sul mare. Colazione bis a bordo strada a base di caffè e Mokary, sponfetti rotondi di farina di riso dolce cotti in stampini metallici e onnipresenti soprattutto al mattino. Da lì ripartiamo per circa 80 Km di strada ex-asfaltata e ondulata da dossi inverosimili. Ci viaggiano anche camion e zebù. È la più allucinante tra le strade percorse fino ad ora. Comunque con il nostro autista e la sua lentezza flemmatica arriviamo sani e salvi alla fine di queste montagne russe. Lasciamo questo delirio di asfalto francese postbellico e ci addentriamo nella vegetazione dell’entroterra. È la giornata della chiatta sul fiume sabbioso e del tragitto nel bosco quasi al tramonto e tutto su una sterrata tortuosa che qui chiamano RN9. Arriviamo a Manja appena in tempo. All’Hotel Kanto, unico in città, c’è l’ultimo bungalow con bagno ed è ora di ordinare la cena. Questo albergo sembra uno scherzo spazio-temporale, gestito da una cinese sembra il classico albergo tai con un ingresso da far spavento protetto da filo spinato e lamiera ondulata e poi dentro bungalow disposti tra la vegetazione di un rigoglioso giardino tropicale in vaso. Doccia calda, cena non male tra dolci gatti e barboncini pulciosi. Incontriamo di nuovo la famiglia bolognese e ci avventuriamo per una passeggiata digestiva in paese ma è così buio e deserto che con le nostre lucine riguadagniamo il cancello in filo spinato e andiamo a dormire.
18 agosto 2011
È Sant’Elena, lo so perché Flavio mi fa gli auguri. Colazione non male, valigie e si riparte. Scopriamo che il nostro autista e quello degli italiani, che è di Morondava, hanno deciso di aggregarsi per fare il tragitto della giornata. Si vede che non è particolarmente semplice e il nostro ha chiesto o promesso aiuto. In effetti il giro è abbastanza complicato, ma noi oltre agli ruotoni abbiamo anche un promettente argano. Prima andiamo a portare un fogliettino ad un amico dell’altro autista e poi prendiamo la strada per Belo sur Mer. Il tempo si ingrigisce un po’ e quando arriviamo in paese tra la bassa marea e i vistosi effetti del recente ciclone ci deprimiamo un po’. Praticamente tutti gli hotel sono stati danneggiati durante l’ultima stagione delle piogge, solo l’Eco Lodge e l’Hotel Corail sono stati rimessi in piedi. Secondo l’assurda legge del tutto prenotato da casa, il più costoso è pieno, ci accaparriamo una stanza enorme e luminosa al primo piano con vista mare all’Hotel Corail, usufruendo così di un bellissimo salottino sul terrazzo. Festeggio il mio onomastico con un piattone di granchio, patatine e vino sudafricano a bordo mare. Di fronte al paese emerge una lingua di sabbia abitata da nomadi del mare che con le loro esili tende campeggiano con mogli e bambini accanto alle loro piroghe e vivono di quanto un mare sempre meno prodigo offre loro attraverso una pesca semplice e più che sostenibile, essenziale. Il sole scende sulla costa selvaggia e con il tramonto risale rumorosa l’eterna marea che ammanta tutto di un azzurro smeraldo. Le piroghe rientrano sulla strisca di sabbia e al villaggio. Ceniamo ben coperti visto che si sta avvicinando all’orizzonte un nero temporale. Nella notte sarà un gran vociare di pioggia, onde e vento. Che notte per quelli sulla striscia di sabbia.
19 agosto 2011
Il mattino è nuvoloso, piove ogni tanto, scrosci senza preavviso. Flavio si prende un paio di slavate mentre procede a destra e poi a sinistra lungo lo spiaggione. L’altra ospite dell’albergo rinuncia ad una gita in piroga fino al banco di sabbia che si scorge in lontananza sul lato sinistro della laguna. Io sfrutto il sofà in terrazza per leggere un libro mentre sbircio l’andirivieni delle piroghe tra la lingua di sabbia e il villaggio, poi la marea raggiunge il minimo, il sole riemerge rabbioso e tutti si fermano dove sono per un po’ore. Cammina dentro l’enorme laguna con l’acqua alle caviglie solo chi cerca i granchi rintanati nella sabbia molliccia lasciata dalla ritirata del mare. La marea risale riportando un mare ridente tra noi ed i profughi sulla duna in mezzo al mare, i turisti escono dal loro Eco Lodge per una passeggiatina pre-serale. Per noi è l’ultima sera su questo tratto selvaggio di costa, domani saremo a Morondava a ricongiungerci con il resto del mondo. Il percorso è di nuovo impegnativo e questa volta ben 3 autisti si danno manforte e come se non bastasse riempiamo il pick-up con un’intera famiglia che deve andare a Morondava ma fa anche da guida locale alla carovana. Già la partenza è avvincente perché per le piogge della notte scorsa ed i giochi infiniti delle maree, la salina di Antsira, è diventata un mare di sabbie mobili. Dopo vari tentativi e analisi del terreno a piedi scalzi, partiamo e attraversiamo questo mare di sabbia vischiosa ed insidiosa. Ci addentriamo poi in mezzo alla macchia spinosa perché la pista più a mare è ancora troppo umida e molliccia, riapriamo la pista degli zebù e questo fa divertire non poco i nostri autisti quando commento che questa strada è battuta solo da turisti e zebù allo stato brado. Già, nessuno degli abitanti del posto ci passerebbe mai, ma si sa che ai Vazaha va sempre di fare cose assurde e ci assecondano pazientemente e con grande perizia automobilistica. Usciamo dalla macchia senza gravi danni, la famiglia sul nostro pick-up è ancora compatta e brillante, loro se la contano allegramente come se fossero miracolati da un trasporto così rapido ed efficiente. La loro unica richiesta durante tutto il tragitto è una tappa per un veloce spuntino a base di patata dolce al vapore, immancabili Mokary e banane. Il tragitto è uno dei più belli che abbiamo fatto lungo la costa. Veramente selvaggio e meraviglioso come ci avevo detto il francese del VovoTelo. La pista attraversa nel vero senso della parola saline, risaie, canali di irrigazione, torrenti sabbiosi, fitte foreste di baobab e cactus spinosi, costeggia laghi da cui emergono leggiadri fiori di loto e mansueti zebù allo stato brado. Uno spettacolo della natura. Peccato che ad un certo punto, dopo circa 6 ore per percorre più o meno 60 km, arriviamo nella civilizzata striscia di terra che costituisce la penisola di Nosy Kely a Morondava. Non c’è più la luce del resto della costa e nemmeno la laguna corallina e nemmeno la calma e la solitudine dei giorni precedenti. È il primo passo verso la civiltà. Ci sistemiamo al Baobab Cafè, nell’ultima stanza rimasta libera. Affaccia sul canale che costeggia il mare e alla sera puzza un po’. Sull’altro lato della strada si estende una larga spiaggia bianca ventosa punteggiata da patiti del kite surfing. Ricompaiono i turisti, i ristoranti e le passeggiate lungo mare e l’asfalto. Non possiamo mancare un imperativo turistico del Madagascar: il tramonto sull’Avenue Du Baobab. Ci sono tutti i turisti che ci eravamo persi a partire dall’Isalo, arrivano dagli Tsingy e dalla navigazione sullo Tsiribina, arrivano dall’aeroporto di Morondava e si accontentano di questa foresta di baobab che svetta sulle risaie e sugli esili laghetti con i fiori di loto. Ossequio ai baobab che anche qui ci incantano maestosi, con le loro braccia protese verso una silenziosa richiesta al mondo ultraterreno, ma le foreste che abbiamo visto lungo il nostro selvaggio itinerario ci hanno doppiamente conquistato. L’Avenue Du Baobab è comunque da vedere. Magari come l’unico appuntamento con questi incredibili giganti della flora terrestre o per un languido commiato agli ultimi eredi di questa famiglia vegetale per chi come noi si è sentito accompagnato e accudito dalla loro immanente presenza attraverso una terra magica e dolorosa qual’è il Madagascar. Serata al ristorante Chez Maggie, maglia nera per servizio e qualità, a nostro giudizio da cancellare dalle guide. A parte l’olezzo umido del canale è sicuramente meglio il nostro.
20 agosto 2011
Nottata tra lenzuola pulitissime e colazione che mi riconcilia con l’unico hotel “tres chic” del viaggio, dalla terrazza in tek (ulteriore vergognoso furto alla flora dell’isola!) esposta a est, ci godiamo un’ottima colazione a base di croissant appena sfornati in loco e vista sulle imbarcazioni che navigano a vele spiegate in un vento al limite della bonaccia lungo un canale di placida acqua dolce. L’appuntamento delle 8.00 con il nostro autista viene rimandato per un piccolo problema tecnico, il servosterzo è un po’ duro nelle manovre da fermi, si tenta una riparazione che fallirà per la mancanza del pezzo di ricambio. Partiamo un po’ più tardi e così noi ci godiamo ancora qualche minuto di sole sul terrazzo bordo canale del Cafè Du Baobab, per salutare mentalmente questo oro liquido che ci ha accompagnato con la sabbia e le maree per più di 10 giorni, nessun rimpianto per la mancata visita agli Tsingy, sarà per un altro viaggio e grande soddisfazione per aver evitato aerei e turisti con questo lento viaggio circolare che ormai ci sta riportando verso la capitale. Il percorso di oggi è lungo e molto meno avvincente del solito. È prevista la sosta pranzo a Miandrivazo e la notte ad Antsirabe. Sorprendiamo l’autista con notizie fresche sul manto stradale carpite ad altri turisti, lui si immagina le solite orride buche e invece i solerti cinesi, in cambio di ricche miniere a basso costo, hanno buttato sulla terra rossa un delicato asfalto che sopravviverà a stento alla prossima stagione delle piogge. Oggi però ci facilita la vita e tra tornanti e saliscendi arriviamo a Miandrivazo per le 13:00. La sosta pranzo non è delle più riuscite, anche il nostro autista è poco soddisfatto dell’accoglienza locale. Noi ci accontentiamo di un pacco di biscotti e un po’ di coca-cola al botteghino presso la fermata dei taxi-brousse, lui si concede qualcosa di più in un hotely. In pochi minuti siamo pronti a ripartire e finiamo nel bel mezzo di una processione di festosi abitanti che cantando e ballando trasportano il corpo di un proprio antenato defunto secondo il cerimoniale della famadihana. Questa tradizione ancestrale, che si ripete ogni circa 5 anni, prevede di dissotterrare il corpo dei defunti per ripulirne le ossa e rinnovare i tessuti che li avvolgono ed onorare il proprio antenato con libagioni e ricche manifestazioni di gioia ed affetto prima di effettuare una nuova sepoltura. Il panorama torna meno avvincente e piano piano, come al solito tra villaggi, campagne desolate, risaie in fase di avanzata preparazione arriviamo nuovamente alle dolci colline di Antsirabe, la città dei pousse pousse. Non ci eravamo persi un granchè all’andata, non ci sforziamo troppo di recuperare al ritorno. Azzecchiamo l’albergo e anzichè il pretestuosamente lussuoso Camelia ci buttiamo su una stanza con bagno comune al molto “figli dei fiori” Chez Billy. Qui scopriamo che si ritrovano i volontari di tutti continenti in libera uscita o in pausa. E così conosciamo un po’ di “circa” trentenni impegnati in varie forme di volontariato in Madagascar a supporto di Onlus Italiane e non o semplicemente a dare una mano in attesa di un altro po’ di lavoro precario in Italia. Insieme agli italiani di Andavadoaka questi danno uno spaccato dell’Europa proprio sconfortante. Qualcuno scappa dall’Italia e si nasconde qui, qualcuno viene qui per far emergere questo popolo dal suo sconforto, tutti fuggono da qualcosa che non va o alla ricerca di un modo migliore per investire le proprie ambizioni ed il proprio futuro. Cominciano ad affiorare reminescenze della situazione in Italia e mi chiedo se loro hanno fatto veramente la scelta giusta. Certo che qui la vita per tutti è proprio dura e il fuoristrada te lo puoi permettere solo per pochi giorni, se vuoi vivere qui. Insomma con questi turbinosi pensieri finiamo la serata, rhum arrage per tutti e poi a nanna. Si dorme bene come al solito.
21 agosto 2011
Al mattino una gran colazione, invitiamo anche il nostro autista, che si butta su questa “roba da turisti” e si confeziona anche un paio di baguettes imbottite di burro e marmellata da portare a casa. Lui è contento, stasera dorme nel suo letto e rivede la famiglia. Passeggiata in paese, vivace e colorato, ma i suoi colori sono già oscurati dalla tristezza del ritorno e Antisirabe non è più avvolta dal fascino della scoperta con cui ce la siamo lasciata alle spalle all’andata. Ormai si viaggia nel noto e nel banale. Stracarichiamo il pick-up di generi vari per la famiglia di David, sacchi enormi di carbonella, ananas, fragole, vino di Fianar. La strada da Antisrabe dopo tutto il resto del viaggio è quasi “noiosa”, così liscia e senza buchi. Aumenta la frequenza dei posti di polizia, nei pressi dei quali il nostro autista ci fa abbassare i finestrini oscurati del 4X4, una mania con cui dobbiamo convivere fin dalla partenza da Tanà. Appena arrivati nei pressi della capitale, capiamo che la prossima tappa sarà casa sua, dobbiamo scaricare i pregiati beni acquistati prima di entrare nella pericolosa e trafficatissima città. Lui abita ad Ivato, intravvediamo la figlia nel suo negozietto sotto casa, escono un poi di nipoti che aiutano nello scarico del pickup. Ripartiamo per l’ultimo giro, il programma è di salire al Rova e ridiscendere a piedi fino alla Piazza dell’Indipendenza, poi cena al Sakamanga e via in aeroporto per il volo delle 00.55. Al Rova veniamo per la prima volta assaliti da innumerevoli guide o presunte tali che ci vogliono accompagnare o meglio spingere in giro per la città, li abbandoniamo a fatica al loro destino rabbioso e scendiamo sempre più verso le ultime ore del viaggio.
Tanà è un po’ cupa, così come il nostro umore di fine vacanza, breve occhiata al lago di Anosy e poi dal Rova giù fino alla Piazza dell’Indipendenza passando in rassegna i vari edifici storici della città alta tra cui il Palazzo di Giustizia, l’antico palazzo del primo ministro con il museo di Andafivaratra, e la cattedrale cattolica di Andohalo con torri gemelle e affaccio sul panorama sottostante. Gran cena a base di gamberoni del canale del Mozambico, dessert all’inteso cioccolato locale, saluto al rhum. Stop.
Si torna, e con noi la luce della coste sabbiose dell’ovest, gli occhi intensi dei bambini, i colori degli abiti delle donne, la delicatezza dei lemuri, la tristezza per le opportunità mancate di questo paese, la rabbia per la corruzione dilagante e per i furti che i paesi sviluppati continuano a perpetrare in questi paradisi minerari, la gioia per aver potuto assaporare tutto questo.
Il viaggio è curiosità e scoperta, il viaggio è tutto quello che ci circonda e quello che dobbiamo ancora raggiungere.