Laos e Cambogia
LAOS E CAMBOGIA
Visto il particolare momento caratterizzato dal terrorismo, per la nostra vacanza pensiamo di andare ad oriente; la scelta cade su Laos e Cambogia per il clima (essendo appena finita la stagione delle piogge, il periodo di inizio novembre, dovrebbe permettere di vedere al meglio le cascate, il Mekong ed il sito di Angkor). Raccolte molte informazioni da diari di viaggio e programmi di tour operator, valutato voli, studiamo un programma che preveda tutte le cose alle quali non intendiamo rinunciare e quelle che ci piacerebbe vedere ma che possono essere tagliate; deciso che vogliamo limitare i voli interni (come sempre, pur restando nei nostri soliti 10 gg) per poter conoscere maggiormente i paesi e non vedere solamente i luoghi turistici più visitati, contattiamo il sig Paolo. Rispetto a quanto ci eravamo prefissati: in Laos togliamo Vientiane e il tratto su strada fino a Luang Prabang (sconsigliato perché poco interessante paesaggisticamente in considerazione dei km da percorrere su strade brutte e poco sicure per i turisti) e in Cambogia sostituiamo il sito di Sambor Prey Kuk (perché avremo già fatto indigestione di templi) con il ponte di bambù sul Mekong a Kompong Cham, inoltre cerchiamo di lasciarci un po’ di tempo libero per personalizzare ulteriormente direttamente sul posto il viaggio.
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05/06.11.2015
Raggiungiamo Bangkok con volo Thai e proseguiamo con volo Bangkok Airways (senza turbolenze come d’altronde tutti i voli di questo viaggio) fino a Luang Prabang. Soggiorniamo a Villa Chitdara, piccolo albergo grazioso e familiare dove bisogna togliersi le scarpe per entrare in camera o alla reception. La nostra bella camera è al piano terra, per 3 persone è un po’ stretta, ha un terrazzino sul cortile rivolto alla strada (dove ogni mattino passano i monaci per la questua). Nel pomeriggio, indossati gli abiti leggeri, partiamo per il primo giro della molto gradevole cittadina. Non ci preoccupiamo di cambiare, paghiamo in usd e riceviamo in resto kip laos che utilizziamo per le spese minori. Iniziamo le visite dal Wat Visoun con il grande stupa That Makmo ed il Wat Aham. Camminiamo per le stradine traboccanti di fiori tropicali e bouganville, l’aria profuma di frutta per le bucce messe al sole a seccare, incontriamo angoli rappresentativi della tranquillità quotidiana di questi posti. La nostra guida, in inglese, descrive approfonditamente la storia e l’architettura dei luoghi e dei templi (i dipinti, le statue con le posizioni ed i particolari,ecc), gli usi e i costumi della popolazione e dei monaci, soffermandosi appassionatamente su tutto ciò che è buddismo e religione.
Percorriamo il lungofiume fino alla confluenza col Mekong, con una camminata molto piacevole nonostante il caldo, fermandoci ad osservare gli stupendi fiori di zenzero, gli alberi di carambola, di tamarindo e di comquat, i fornelli su cui viene cotto il riso a vapore (in cesti di bambù), le tantissime “tortine” o “stichy” di riso messe a seccare al sole su pannelli o cesti di bambù, gli uomini che stanno costruendo due ponticelli pedonali in bambù (li ricostruiscono ogni anno finita la stagione delle piogge, dopo che quelli preesistenti sono stati portati via dalle piene). Non ci sono molte auto, il traffico è fatto soprattutto da motorette, vespe e tuk-tuk, anche i mezzi di linea sono tuk tuk, spesso sui mezzi fermi l’autista schiaccia un pisolino magari allungato su un’amaca appesa al tettino. Si incontrano molti monaci, quasi sempre a gruppetti, tutti con la tipica tracolla di stoffa, alcuni con l’ombrello parasole, qualcuno col telefonino. Approfittiamo della sosta nei giardinetti alla confluenza dei 2 fiumi per attrezzarci contro le punture: anche se non c’è malaria, in questa stagione, esiste ancora il rischio dengue. Le visite continuano con il sontuoso e riccamente decorato complesso del Wat Xieng Thoung. Infine saliamo sulla cima della Phousi Hill in tempo per assistere all’affollatissimo tramonto. Usciamo per la cena e dopo qualche rapida occhiata ai tabelloni con le fotografie dei piatti di vari locali ci fermiamo nella terrazza di un ristorante sul Mekong: è davvero suggestiva la notte su questo grande fiume. La stanchezza dei voli e del fuso orario non ci da fastidio così facciamo un giro al mercato notturno; è una gran festa di colori! La merce è appesa o disposta in terra, i gazebi illuminati hanno tettini rossi o blu, c’è di tutto: portafogli, orecchini, lampadari di carta, oggetti, vestiario, ecc ecc, ma soprattutto ci sono borse e sciarpe, la scelta è così vasta che sembra impossibile. Conclusa la vendita le venditrici toccano velocemente una parte della merce con i soldi ricevuti, probabilmente come gesto beneaugurante. Inoltre ci sono: bancarelle stracolme di frutta stupenda, da gustare anche come frullato o macedonia già pronta, bancarelle dove vengono cucinati dolci molto invitanti e bancarelle coi tavoli dove poter consumare panini e piatti preparati all’istante.
07.11
Siamo svegli alle prime luci dell’alba circondati da un grande silenzio, quando apriamo la finestra è già in corso la questua dei monaci. L’atmosfera è particolarmente emozionante: c’è silenzio assoluto, si sente solo lo sfrusciare dei piedi nudi dei monaci sull’asfalto. Sono una lunghissima fila formata da tanti gruppi, alcuni molto numerosi (25/30) altri composti da pochi monaci. Ogni gruppo è distanziato di qualche metro dal successivo; all’inizio ci sono monaci più anziani/grandi (con la tunica che li ricopre interamente, generalmente sono 1 o 2 nei gruppi con pochi membri fino a max 6/7 nei gruppi più numerosi), seguono i novizi (generalmente più giovani) fino ai più piccoli (con la fascia in vita e la tunica che lascia scoperta spalla e braccio destro). In corrispondenza della nostra guesthouse ci sono diverse offerenti (tutte con una sciarpa bianca indossata come fascia a tracolla): sono scalze, restano inginocchiate e sedute sulle stuoie (le più anziane siedono su piccoli sgabellini), offrono tutte ad ogni monaco piccole quantità di riso cotto a vapore che prelevano dai classici contenitori cilindrici di bambù. Alcune donne, con i tipici cestini di bambù appesi al bastone portato sulla spalla, offrono (sottovoce ed a gesti) tortine di riso, bananine ed altra frutta ai turisti che volessero partecipare al rito della questua. Concluso il passaggio dei monaci le offerenti, prima di alzarsi, stanno ancora qualche attimo raccolte a mani giunte poi, finito questo lungo momento surreale e sospeso nel tempo, cessa il silenzio, ricomincia il vociare e riprende la vita normale. Mentre ci avviamo a fare colazione ci fermiamo a parlare con la responsabile della guesthouse (che ogni mattina partecipa al rito della questa) la quale ci spiega che solo pochi monaci sono vegetariani (che il riso è la base della loro alimentazione così come lo è per tutti i laotiani) e che le famiglie di Luang Prabang portano quotidianamente direttamente nei monasteri il restante cibo (carne, pesce, verdura, frutta ecc). Usciamo da Luang Prabang per la visita dei così detti villaggi artigianali Ban Xang Kong e Ban Xieng Lek dove abili artigiane lavorano la carta e la seta, poi con una breve passeggiata raggiungiamo un imbarcadero per salire sulla barca che ci porta alle grotte di Pak Ou. La navigazione è lenta perché stiamo risalendo contro corrente il Mekong; la barca è solo per noi, si entra scalzi, ci vengono offerte banane fresche e secche. Oltre che strumento di lavoro è anche la casa del guidatore e la moglie, in attesa di collaborare negli attracchi, sta seduta in fondo vicino alla parte che costituisce l’abitazione vera e propria. Lungo le rive osserviamo villaggi, templi, le prigioni, lunghe scalinate (spesso in legno) che portano agli imbarcaderi, gente che lavora negli orti, bambini che giocano, cani, mucche su una spiaggia, la vegetazione rigogliosa, un villaggio di house-boat. In mezzo al fiume pilastri in cemento indicano le zone non navigabili e sono frequenti nel tratto delle rapide. Sostiamo al villaggio Ban Xang Hai dove si fabbrica un liquore con il riso fermentato; qui le tante case in legno sono tutte un negozio di sciarpe, ce ne sono di tutti i tipi, di tutti i colori, per tutti i gusti, impossibile non comprarne anche se scegliere è davvero molto difficile! All’attracco delle grotte ci sono moltissime barche con gran via vai di turisti e fra gli occidentali vi è un nutrito gruppo di non vedenti. Le grotte di Pak Ou sorgono sostanzialmente di fronte alla confluenza del fiume Nam Ou col Nam Kong (Mekong), le rende famose il fatto che all’interno sono praticamente ricoperte di statuette di Budda e da li si ha un bel colpo d’occhio sul paesaggio circostante. Sull’altra sponda del fiume è possibile praticare canottaggio o fare un giro a dorso di elefante.Tornati in città pranziamo al Tamarine Restaurant sul lungo Nam Khan per assaggiare le specialità locali. Riempiamo il resto del pomeriggio per conto nostro girovagando e visitando il Vat Nong e il Vat Sene; è bello vedere i monaci nelle loro attività quotidiane: spazzare e bagnare i giardinetti sempre ben accuditi, pulire i templi, stendere le tuniche, leggere, meditare, utilizzare il pc o semplicemente dar da mangiare a gatti e cani. La penisola di Luang Prabang è come un grande giardino, le stradine sono un susseguirsi di fiori di ogni tipo spesso profumati, davanti alle case sono frequenti tavolini rotondi con panchine in cerchio (di cemento piastrellate), sia dai templi che dalle abitazioni sventolano grandi decorazioni colorate a forma di stelle, sfere ecc. Nel tardo pomeriggio un’infinità di uccellini si radunano sulle decorazioni dei tetti e delle recinzioni dei templi o sui grandi alberi di tamarindo fioriti di bianco. Aspettiamo il tramonto in riva al Mekong dalle grandi scalinate vicine al Vat Xieng Thoung. Per la cena ritorniamo al night market e scegliamo un piccolo locale in una stradina laterale con i tavoli immersi fra piante e fiori in parte finti.
08.11
Ci svegliamo presto e usciamo per vedere la questua fin dall’inizio. Non stiamo più fermi davanti all’hotel ma facciamo un lungo tratto del giro camminando in senso contrario alla fila dei monaci. Le strade sono chiuse al traffico con transenne, lungo il tragitto c’è molta gente che fa le offerte (sia donne che uomini), anche molti turisti partecipano. I laotiani generalmente offrono il riso mentre i turisti offrono quasi sempre cibo confezionato o altro (una coppia offre un ombrello pieghevole all’ultimo monaco di ogni gruppo, alcuni ragazzi offrono una borsata piena di pacchetti). Dopo abbondante colazione partiamo con autista e guida; la prima sosta è al mercato del mattino. E’ un mercato per la gente del posto, ci sono bancarelle di ogni genere, grandi quantità di frutta e verdura di ogni tipo, funghi, uova, carne, pesce, rospi (vivi dentro bacinelle coperti da retina), topi e spiedini di topi, zampe di pollo bollite, cibo cucinato, bbq, spezie, dolci, ecc. Fuori dai vicoli del mercato ci fermiamo al Joma Bakery Cafe (sulla Sisavangvang Road) per acquistare i panini per il pranzo. Qui c’è il ritrovo di molti tuk tuk (piccoli, grandi e di linea) coi quali molti turisti organizzano e partono per le varie escursioni. Col nostro fuoristrada ci dirigiamo verso le montagne; ci fermiamo a fotografare i lavori nelle risaie, un’area progetto per le coltivazioni (dove un gruppetto di bambini si sta gustando un gelato), un paio di villaggi etnici. Il primo della etnia hmong è tutto improntato sulla vendita di oggetti fabbricati con la classica stoffa ricamata finissimamente con stupendi colori; è un breve percorso fra case in legno e paglia, le bambine indossano gli abiti tradizionali e seguono i visitatori nel tentativo di vendere almeno qualche braccialettino al suono di “uaan dollaar” mentre le mamme controllano e ricamano; nel secondo (praticamente una sola costruzione) viene mostrata la coltivazione, lavorazione e tessitura del cotone. Proseguiamo sulla strada stretta ma ben asfaltata fino all’ampio posteggio (zeppo di pullman, tuk tuk e bancarelle che servono una famosa insalata di papaia verde) di ingresso al parco delle cascate Kuong Si. Prendiamo lo zaino con il pranzo e gli asciugamani (chiesti in prestito all’albergo) e seguendo la guida ci avviamo nella natura talmente rigogliosa che lascia pochi spazi per vedere il sole. Subito si incontrano i recinti con gli orsi che pigri camminano, si arrampicano qua e la o si dondolano in amache fatte da strisce di gomma intrecciate; poco oltre ci sono le pozze più basse delle cascate, sono davvero una meraviglia! Ora che le vediamo possiamo confermare che le cascate Kuong si sono giustamente considerate uno stupendo spettacolo della natura. Lungo i sentieri e nelle pozze più grandi c’è gran folla di turisti (anche laotiani essendo domenica) ma chi sa nuotare non può rinunciare ad un tuffo e una nuotata (di tanto in tanto ci sono panchine, tavoli e nei pressi della pozza più frequentata ci sono anche servizi e spogliatoi), mentre le piscine più piccole, senza turisti, sono ideali per farci qualche passo. Vicino al salto principale (circa 80 mt), in uno spiazzo tra la vegetazione, ci sono tavoli apparecchiati e un servizio di catering per i gruppi organizzati (c’è anche il posteggio per chi preferisce non camminare). Dopo averla sciato la guida e consumato il nostro pic nic risaliamo la cascata principale, giunti velocemente in cima togliamo le scarpe e rimbocchiamo i pantaloni, poi attraversiamo le calme acque che stanno avviandosi al salto e completiamo il giro in men che non si dica. Quindi ripercorriamo i sentieri fino all’ingresso e all’ora concordata ci troviamo dall’auto. Sulla strada del ritorno sostiamo ancora ad ammirare le risaie terrazzate, in un complesso per dar da mangiare pezzi di bambù ad alcuni elefanti ed in un villaggio khmu (questa volta autentico senza ombra di turismo) per fare una camminata fra le case (dalle pareti fatte con sottili strisce di bambù intrecciate, i tetti in paglia sormontati dalle antenne paraboliche e per staccionate zucche e piante di dragon fruit) e fra la gente di questa etnia di montagna. In serata non rinunciamo al mercato; incamminati per le stradine sentiamo i gong che richiamano i monaci alla preghiera ed entrati in un monastero è una piacevole emozione ascoltare le nenie intonate dai monaci accosciati sui tappeti all’interno del tempio (in compagnia di un paio di cani allungati sul pavimento).
09.11
La questua dei monaci è uno dei punti forti del nostro viaggio e per vivere ancora una volta questa emozione anche oggi usciamo prima delle 6. Dopo colazione la mattinata libera ci permette di fare rilassanti passeggiate. Andiamo lungo il Khan a controllare se per caso i ponticelli in bambù sono stati ultimati (manca poco ma non sono ancora interamente percorribili quindi non possiamo salirci), visitiamo (sempre lasciando le scarpe sulla soglia) Vat Phaxhan, Vat Killy e Buddhist Archive, Vat Sibounheuang (dove una campanella richiama i monaci per il pasto), Vat Xienqmouane, Vat Phapai, Vat Choumxhong, Vat Mai, Hau Pha Bang e i giardini reali. Nel primo pomeriggio con volo Vietnam Airlines ci spostiamo in Cambogia; fin da subito ci rendiamo conto che la vivacità di Siem Reap contrasta con la tranquillità di Luang Prabang. Durante il tragitto verso l’Angkor Holiday Hotel la nostra intraprendente ed esperta nuova guida Hom Dara, in italiano, ci dà indicazioni per andare a cenare nella zona di Pub Street e ci consiglia di non cambiare ma di utilizzare direttamente i dollari (anche il resto viene dato in dollari, solo nei casi in cui il resto è inferiore a 1 usd viene dato in banconote real). Sistemati i bagagli usciamo alla ricerca del quartiere Pub Street; in alcune strade si susseguono le agenzie turistiche e di massaggi (sul marciapiede antistante le ragazze in divisa cercano di accaparrarsi i clienti e spesso vi è una vasca in vetro con i pesci dove i clienti possono immergere i piedi per farseli pulire), c’è una zona di mercato (con bancarelle di frutta, tra cui la custard a noi sconosciuta, di dolci, di insetti/larve/serpentelli pronti da mangiare) e le strade dei ristoranti (dove ristoranti e pub sono così attaccati che c’è il rischio di sedersi al tavolino di un locale diverso da quello che si è scelto); ovunque la folla di turisti è impressionante, le luci e la musica incrementano ulteriormente il caos.
10.11
La prima tappa del mattino è alla main entrance del sito di Angkor Thom per fare i biglietti (con foto, validi 7 gg, da mostrare agli ingressi ed ai vari controlli interni) e dare un’occhiata a mappe e illustrazioni. Le visite iniziano dal Roluos Group (i templi più antichi) con Preah Ko, Bakong e Lo Lei; nei pressi di Lo Lei visitiamo anche il tempio moderno/pagoda ed il monastero abitato da parecchi monaci (un paio stanno eseguendo riti/benedizioni) e da un nutrito gruppo di anziani volontari (testa rasata e camicia bianca) che collaborano in cucina e nelle altre attività quotidiane. Proseguiamo con le visite di Bantey Srei e Bantey Samre. Il sole picchia soprattutto sulle scalinate e sui piani alti dei templi, per ripararsi senza sudare è meglio l’ombrello del cappellino. La stagione delle piogge quest’anno è stata scarsa ma c’è ancora acqua nei canali intorno ai templi e li impreziosisce. Ai margini di ciascun tempio c’è una piattaforma su cui gruppi di musici (menomati dalle mine e organizzati in cooperative) suonano melodie per integrare i sussidi statali. Ci fermiamo in un villaggio per conoscere la lavorazione ed acquistare lo zucchero di palma e per vedere un pozzo/fontana fatto costruire da una famiglia italiana in memoria del figlio. Dara è molto preparato sui templi e sulla storia antica, ma ci racconta anche della coltivazione dei vari tipi di riso, delle palme di cui si utilizza tutto (legno per barche e case, foglie per tetti e cesti, frutti come cibo e come oggetti, fiori e linfa per zucchero, ecc), degli usi e delle abitudini nelle campagne cambogiane. Pranziamo a base di involtini primavera sulla terrazza di una tipica casa in legno su palafitte di fronte al bacino Srah Srang. Le visite previste per la giornata sarebbero finite così le integriamo (grazie alla disponibilità di Hom Dara e dell’autista) iniziando con alcune previste per l’indomani ed aggiungendo alcuni templi. Ci incamminiamo in un ampio sentiero nella foresta per raggiungere Pre Rup, Banteay Kdei fino al Ta Prohm. Bisogna essere sul posto per capire quanto siano incantevoli questi luoghi e suggestive queste rovine contornate dall’acqua e avvolte dalla foresta. Ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati ad avere tutto il tempo che vogliamo per visitare e fotografare quando all’interno del Ta Prohm (che secondo Dara subisce l’impressionante ressa di turisti per tutte le ore di apertura di tutti i giorni dell’anno) incontriamo 3 gruppi di italiani (in tutto 70 persone) che vengono continuamente sollecitati dalle rispettive guide ad avanzare. Sostiamo ancora per le foto al Thommanon, alla porta/ponte sud di Angkor Thom e al tramonto su Angkor Wat con i riflessi sul lago fra i fiori di loto. E’ uno spettacolo anche la fiumana di persone che, sul viale, esce dal sito in pulman, in bici, in tuk tuk, su elefanti … Ceniamo al Koulen con spettacolo di danze Apsara (1 ora in tutto): il buffet è ben fornito ma l’assalto di circa 500 persone è devastante (scelta tattica sempre vincente in questi casi accaparrarsi subito frutta e dolci).
11.11
La prima visita è il Bayon, è subito un tuffo nella folla. E’ imponente e misterioso, le 216 facce di pietra scrutano con sorriso enigmatico in ogni direzione, le scalinate sono ripide, ci sono anche i personaggi in costume per le foto. A seguire il Baphuon, il Phimeanakas e le terrazze degli elefanti e del re lebbroso. E’ tutto straordinario e spettacolare, dall’alto la vista è particolarmente appagante per i colori (grigio/rosso dei monumenti, azzurro del cielo, verde di prati/acqua/foresta). Sono caratteristici i numerosi monaci presenti in tutti i monumenti ed anche le scimmiette lungo le strade interne alla foresta. A fine mattinata entriamo nuovamente in Angkor Wat, questa volta per la visita completa; è immenso, grandioso con magnifici bassorilievi. Dara è stato disponibile a concentrare tutte le visite nella mattinata per poterci accompagnare nel pomeriggio (extraprogramma) a Chong Kneas. Ci dirigiamo verso il lago costeggiando il fiume Stueng Siemreap (che è pieno di immondizia e plastica). Nei tratti di strada sterrati (per lavori) si sobbalza fino a toccare il tettino del tuk tuk. Fuori dalla città ci fermiamo in un campo di loto (attrezzato), prendiamo un fiore intero e uno senza petali dal quale Dara estrae i semi/frutti e ce li da a mangiare (sgusciata la buccia verde polposa sono come una mandorla bianca e morbida, sono buoni,dolci, freschi) spiegandoci che anche del loto viene utilizzato tutto (gambo, foglie, petali, frutti).
Giunti al lago Tonle Sap saliamo su una barca, che attraversando il villaggio galleggiante ci porta fin dove il lago ha sempre l’acqua. Ancorate alle mangrovie le case appoggiano su grandi bidoni che garantiscono il galleggiamento qualunque sia il livello dell’acqua; generalmente sul lato rivolto al lago non hanno la parete perciò si può vedere l’interno, gli abiti spesso sono appesi alle grondaie; vicino ad alcune case ci sono pollai e serre galleggianti. Alcuni ragazzini stanno spruzzandosi e sembra corrano sull’acqua in realtà corrono sulla terra che affiora; ci sono barche che passano a vendere di casa in casa. Lasciata la barca, prima di risalire sulla strada, attraversiamo la parte del villaggio su palafitte. L’acqua quest’anno si è ritirata presto e così sul terreno ancora fangoso cresce già l’erba, ci sono mucche al pascolo, galline, immondizia e plastica abbandonata. Alcune case sono in muratura altre in paglia e lamiera; la parte sotto le case, all’interno della palafitte (alte almeno 5/6 metri – collegate con ripide scale), spesso funge da magazzino con soppalchi e legnaie; appese a delle finestre ci sono grandi sacchi pieni di lattine e bottiglie vuote (pronte per essere vendute). Ritornati in città facciamo ancora una passeggiata nei giardini di fronte al palazzo reale.
12.11
Con nuovo autista e nuovo pulmino partiamo verso la capitale. Fuori da Siem Reap si presentano subito le grandi distese piatte di risaie costellate di palme; le case, su palafitte, hanno sempre sul fianco grandi anfore per l’acqua piovana, davanti uno stagno rettangolare con ninfeee (bianche, azzurre o fucsia) o loto e spesso sono abbellite anche da altri fiori. Dara, molto attento ai nostri interessi, fa fare frequenti soste per foto alla gente che lavora nei campi, ai bufali nel lago, alle ninfee e fiori di loto, alle bancarelle che lungo la strada cuociono e vendono riso con fagioli neri contenuto in pezzi di canne di bambù, ai posti dove il riso viene arrostito in bacinelle di alluminio e poi schiacciato con un maglio mosso coi piedi da delle ragazze, a dei locali di villeggiatura sul Tonle Sap e con una deviazione ci porta anche all’antico ponte kmer Kompong Kdei. Durante tutto il tragitto ci racconta la storia recente con la dominazione francese ed il tragico periodo di Pol Pot (entrambe hanno segnato le popolazioni e ne hanno cambiato usi e costumi), ci racconta della sua attività/aspirazioni (di come organizza tour anche avventurosi direttamente per i privati) e della sua vita. Sostiamo in una cittadina dove vediamo i preparativi sfarzosi per un matrimonio e alcune case addobbate per un funerale, negozi che espongono grandi quantità e varietà di pesci, topi e larve nelle varie fasi di essiccazione o insacchettati per la vendita. In un tratto di strada (fino ad ora ampia e ben asfaltata) sono in corso lavori per il rifacimento della pavimentazione con strumenti “artigianali”; a rallentare il nostro percorso inoltre arriva un copioso acquazzone. Deviando su una strada sterrata andiamo a visitare il Prasat Kuha Nokor. L’antico tempio Kmer condivide i giardini con un tempio moderno e un paio di bambini monaci con enormi stivali di gomma stanno tagliando l’erba con il decespugliatore. Ritornati sulla strada n 6 ci fermiamo a Skunk in una ampia piazza attrezza come una specie di autogrill dove le bancarelle vendono oltre ai famosi ragni fritti anche grilli, insetti, cavallette, uova col pulcino sode, uccellini cotti interi, ecc.; mantenendo le distanze per il pranzo acquistiamo delle bananine da aggiungere ai nostri snacks di parmigiano, biscotti e barrette. Nei pressi c’e anche il monumento ai ragni ed agli anacardi di cui molti frutteti fiancheggiano la strada. Mentre proseguiamo ci viene il dubbio di andare diretti a Phnom Penh: facciamo notare a Dara che il nostro programma prevede il passaggio per Komphong Cham, sentita l’agenzia Dara si scusa dicendo che gli italiani solitamente non sono interessati al ponte di bambù e che credeva non fosse ancora stato ricostruito. Attraversiamo Komphong Cham, dall’aspetto francese e con traffico vivace, fino al Mekong nel punto dove inizia il grande ponte in bambù. Il ponte è quasi ultimato (mancano pochi metri, sostanzialmente una porta per far passare le imbarcazioni), è costruito appena sopra il livello dell’acqua (ma con l’acqua che diminuisce si eleverà di alcuni metri), facciamo una camminata sopra i fitti intrecci (un po’ molleggiati) fino all’interruzione, è ampio e robusto tanto da farci passare le auto, collega la città con l’isola di Koh Paen e, ogni anno da quando le acque lo distruggono fino alla completa ricostruzione, viene sostituito da alcune chiatte (per percorrerlo si paga pedaggio pari al costo delle chiatte e pare sia un buon business). Proseguiamo sulla strada nazionale 7 attraversando il Mekong e fermandoci a fotografare dal ponte le chiatte con le case e le reti dei pescatori. Percorrendo la s n 11 e poi 8 incontriamo molte piantagioni di alberi della gomma, mentre di fianco alla s n 6 (che riprendiamo dopo aver ancora attraversato il Mekon) le coltivazioni lasciano spazio alle industrie. Giunti in centro, a pochissima distanza dal Juliana Hotel, l’autista è costretto a farsi istruire telefonicamente dalla reception (il nostro gps da le indicazioni corrette ma alcune strade minori sono chiuse) perché il traffico dell’ora di punta rende complicato raggiungerlo. L’albergo è una piacevole sorpresa rispetto alle valutazioni viste su internet.
13.11
Come tutte le grandi città Phnom Penh è caotica, cresciuta a dismisura negli ultimi anni è ancora sgangherata (con incredibili grovigli di fili elettrici e contrasti fra vecchio e nuovo). Come da noi richiesto, fin dall’inizio della programmazione del viaggio, non visitiamo il museo del genocidio (essendo l’ultimo giorno del viaggio ci lascerebbe un ricordo troppo triste). Saliamo sulla collinetta dove sorge il Wat Phnom e poi scorriamo una serie di monumenti tutti recenti posti su grandi boulevard. Facciamo pochi tratti a piedi perché il sole picchia deciso e ci sono molti malintenzionati (Dara trasale quando sente una motoretta arrivare da dietro mentre camminiamo nell’ampia zona pedonale posta al centro di un blvd). Visitiamo il palazzo reale con tutti i suoi padiglioni, compresa la pagoda l’argento e giardini. All’ingresso ci soffermiamo ad ammirare un grande albero con stupendi grandi fiori carnosi mentre all’interno, oltre che per ammirare i tesori, ci piace sostare qualche attimo vicino ai tanti grandi ventilatori in funzione. Dara ci racconta del re che non è sposato (ma ha alcuni concubini ed ha già designato il suo successore) e di sua madre, la regina, che è di padre italiano. Di fronte ai giardini reali sostiamo ad ammirare la grande X formata dalla confluenza dei 2 fiumi: il Mekong che arriva e prosegue ed il Tonle che secondo la stagione inverte la sua corsa e porta o prende l’acqua dal lago Sap. Il pomeriggio, visto il caldo cocente, preferiamo trascorrerlo in albergo, all’ombra ai bordi della piscina, in attesa di essere accompagnati in aeroporto da dove i voli Thai partono in perfetto orario.
14.11
Atterriamo a Milano con un anticipo di circa 30 minuti e appena riaccendiamo i cellulari sentiamo le prime notizie degli attentati terroristici avvenuti nella notte a Parigi. Laos e Cambogia: un gran bel viaggio in cui tutto è andato bene!