Iran. Tra archeologia, religione e storia

12 luglio 2008. Partenza da Milano Malpensa, ore 11.30. Volo Iranair. Solo un’ora di ritardo. Un tizio dell’agenzia Adineh ci dà il benvenuto e ci dice che viaggeranno con noi altre due persone e che all’arrivo un autista ci attende per portarci in albergo. Ci danno da mangiare e da bere in abbondanza. Arrivo verso le 18 (o forse più)....
Scritto da: mar.te
iran. tra archeologia, religione e storia
Partenza il: 12/07/2008
Ritorno il: 26/07/2008
Viaggiatori: in coppia
12 luglio 2008.

Partenza da Milano Malpensa, ore 11.30. Volo Iranair. Solo un’ora di ritardo. Un tizio dell’agenzia Adineh ci dà il benvenuto e ci dice che viaggeranno con noi altre due persone e che all’arrivo un autista ci attende per portarci in albergo. Ci danno da mangiare e da bere in abbondanza. Arrivo verso le 18 (o forse più). Primo impatto con la calura di Teheran. Appostati davanti all’ingresso dell’Imam Khomeini Airport per fumare la prima sigaretta dopo tante ore, papà pronuncia le ultime parole famose “spostiamoci da qui che c’è un bocchettone che butta aria calda!”. No, non è un bocchettone dell’aria condizionata … è semplicemente la temperatura iraniana. L’aeroporto, a 35 km. Dalla città è nuovissimo, spaziale, in una landa quasi deserta. Lunga attesa al controllo documenti per i “foreign”, tutti gli iraniani sono già fuori. Noi, 10-12 stranieri passiamo lentamente. Noi quattro passiamo proprio per ultimi.

L’autista è il fratello del proprietario dell’agenzia viaggi, ci porta in albergo, un po’ schiacciati nella Peugeot grigia (“ma come faremo domani se ci sarà anche la guida?”). Papà, accanto all’autista, si esibisce con il solito inglese lungo un’autostrada tutta nuova. Lungo il percorso niente da segnalare eccetto il Santuario dell’imam Khomeini, un enorme complesso con quattro minareti e una gigatesca “casa per i pellegrini”.

Si entra in Teheran da sud a nord. La zona meridionale si chiama Zam zam è più povera, c’è moltissimo traffico, tanta gente per le strade. Ormai è buio. Albergo Laleh International, puro stile anni ’70, ai piedi della zona collinare della città. Stanza al 10° piano. E la cena? Usciamo in perlustrazione. A circa 500 metri troviamo un locale decente, popolare, ma accogliente. Io prendo un tè, papà un megapanino con birra analcolica. Scopriremo che alcune sono discrete, una buona, altre pessime perché aromatizzate ai gusti più strani.

Il mattino dopo all’alba partiamo per l’aeroporto della città, Mehrabad, non lontano dal centro, volo interno per Shiraz, circa un’ora. Ma … orrore! “Have you glass…?(!)” La polizia scopre la fiaschetta di grappa … i ligi pasdaran ritirano l’acool e stendono “opportuno” verbale. Come inizio non c’è male! E’ il 13 luglio e sono le sette del mattino: risveglio a sorpresa. A differenza di Teheran dove c’è foschia, Shiraz (1491 mt slm), a sud è chiara e luminosa. Sole potente, caldo asciutto. Ottimo albergo, il Pars International. Primo cambio: per un euro ti danno 14.000 rials. Per semplificarsi la vita (e complicarla a noi) spesso gli iraniani indicano il prezzo in toman, che è un sottomultiplo. Prima visita: al complesso monumentale di Shah-e-Cheragh (risale al XIV sec.), con un enorme cortile su cui si affacciano due veneratissimi mausolei. E’ pieno di pellegrini iraniani. Primo chador obbligatorio fornito all’ingresso. Donne da una parte, uomini dall’altra. La guida ci istruisce “lasciate parlare me, voi fingete di essere musulmani”. Forse siamo bravi attori, ci lasciano entrare. Ma una solertissima ulteriore “custode” nerovestita mi fa capire che non va bene che io mi trovi lì. Sono io musulmana? So io il nome del signore che è sepolto a pochi passi da noi? (è Sayyed Mir Ahmad, fratello dell’Imam Reza, morto a Shiraz nel 835, ovvio!). Cercano di portarmi da qualche parte, verso l’interno del mausoleo, io faccio lo gnorri, dispenso sorrisi, ma decido di uscire a gambe levate. Mi copro fino agli occhi e anche più su e mi siedo sotto il portico, davanti all’ingresso aspettando gli altri. La giovane, solerte e scandalizzata custode non mi cerca fin lì.

Il cantiere di restauro dei mattoncini strutturali decorati attrae irresistibilmente due del gruppo. A Shiraz visitiamo la cittadella, l’Arg-e-Kharim Khani che risale alla dinastia Zand (XVIII sec.). Il Museo Pars, sulla storia della regione e sui suoi personaggi famosi è interessate e ben curato. La moschea del Reggente semplicemente magnifica, come sospesa in un silenzio assoluto, con la semplice purezza delle sue linee.

La moschea del Jameh-ye-Atiq, antica e nascosta (la fondazione risale al IX sec.), con nel cortile un bel padiglione del XIV sec., quintali di tappeti arrotolati al sole e una polverosa pace. A Shiraz le tombe dei poeti Hafez e Saadi sono visitatissime e non solo perché si trovano all’interno di bei giardini. Pare che i due siamo famosissimi e ancora molto amati e apprezzati. Una delle due tombe ha qualcosa di liberty dannunziano. Un gruppetto di chiassose ragazze vuole che mi unisca a loro per una foto. Come molti altri giovani qui in Iran sono curiosi e scherzosi, ma il nostro inglese e il loro non permette grandi discorsi.

Visitiamo la moschea di Nasir-Ol-Molk. Al pomeriggio al Giardino Eram (frequentatissimo da iraniani piuttosto benestanti): ripasso di nomi di piante e fiori, in latino! (aria di casa), nel giardino un bel palazzotto qajaro del XIX sec. A proposito di giardini: l’Iran ne è pieno, sono ben tenuti, ben irrigati, spessissimo hanno bei getti d’acqua e ruscelli artificiali.

A Shiraz assaggiamo il faludeh, un sorbetto “a ricci” fatto con farina di riso e acqua di rose, una antica specialità locale.

Il Bazar-e-Vakil è una bella struttura che visitiamo in un’ora del pomeriggio in cui molte botteghe sono ancora chiuse. L’aria all’interno del bazar è ferma e pesante: per una sosta rinfrescante facciamo una puntata all’Hammam e-Vakil che presenta una collezione di strani drappi che assomigliano a delle coperture per cammelli: ci spiegano che sono invece antichi “copri-porta”.

All’indomani dopo una buona cena nel solito ristorante sotterraneo, partiamo per Persepoli, a 60 km. Circa da Shiraz. L’antica città ha alle spalle la montagna e, davanti a sé, una vastissima pianura. E’ un lugo bello e silenzioso, ben tenuto, con un piccolo ma bel museo in cui sono raccolti alcuni reperti trovati nel sito. Alcuni resti di Persepoli sono spettacolari: la Grande Scalinata, l’Apadana, il Triplyon. A Pasargade (a 50 km. Da Persepoli) la tomba di Ciro è la cosa più bella da vedere. Si staglia lì solitaria, su un altopiano arido e battuto dal vento caldo, bella nella sua semplicità, peccato per le impalcature (sono lì da parecchi anni e credo che ci resteranno ancora visto che nessuno ci lavora).

A non molta distanza, Naqsh-e-Rostam, un luogo imperdibile dell’Iran archeologico. Sono delle spettacolari tombe nella roccia in cui sono sepolti alcuni re achemenidi. La solennità del luogo, battuto dal vento, in un silenzio rarefatto per cui anche noi parliamo piano… In alto sulla parete rocciosa le tombe e i rilievi. A poche centinaia di metri una specie di “anticamera” all’aria aperta, un’altra incisione magnifica (in un sito un po’ trascurato). La storia è passata di qui.

Partenza per Yazd. La strada attraversa prima una zona montagnosa (gli Zagros) e poi un territorio ben coltivato e con discreta presenza di acqua per irrigazione. L’arrivo a Yazd (425 km.) è preceduto da una sosta “offerta gelato locale”. Ma non bisognava evitare? Ma al diavolo le eccessive precauzioni, accettiamo. E’ buonissimo. La cittadina in cui lo gustiamo si chiama Taft e ci regalano anche del pane, il migliore mai mangiato in quindici giorni). A pranzo avevamo fatto una sosta in una cittadina chiamata Abarku dove facciamo il pieno di sigarette e assaggiamo un “latte/yogurt/menta” che loro apprezzano molto con l’onnipresente kebab iraniano perché assai dissetante, ma a noi non piace affatto.

Yazd è ai margini del deserto, con le montagne alle spalle come per proteggerla. Fa molto caldo, ma l’umidità è bassissima (meno del 10%). L’albergo (Moshir-al-Mamalek), diverso dai soliti, è molto piacevole, con giardino, fontane e camere arredate con misurata fantasia locale. La nostra guida sostiene che ci troviamo a oltre 3000 mt. Slm ma la Lonely Planet (preziosa, anche se essenziale) dice 1230 mt.! La guida, punta sul vivo, per tutto il resto del viaggio non ammetterà mai l’errore.

Yazd è come incastrata tra due deserti: il Dasht-e-Kavir e il Dasht-e-Lut. Marco Polo è passato di qui. La città è piena di badjir – le torri del vento – che raccolgono l’aria, la rinfrescano facendola passare su di uno specchio d’acqua e la riconvogliano all’esterno. Essendo una città del deserto, Yazd ha dedicato all’acqua addirittura un museo, da non perdere. Una gran parte del centro città è fatta di case di mattoni di fango, ma non si tratta affatto di povere case, tutt’altro. Sono ben ristrutturate, ma secondo criteri architettonici e costruttivi antichi, i vicoli sono stretti e freschi. Sembra deserta Yazd, ma gli abitanti ci sono, solo che sono nascosti dietro le loro belle porte a due battenti (uno per le donne e uno per gli uomini). La Moschea del Jameh è spettacolare con i due minareti alti 50 mt. Ci portano a vedere un allenamento di uno strano sport locale praticato da uomini di tutte le età e di tutte le stazze, al suono martellante di un tamburo. Si tratta di esercizi a corpo libero con roteazione di grosse “clave” di legno che pesano ciascuna diversi kili. E’ strano stare seduti in questa palestra circolare, nell’aria pesante nonostante qualche ventilatore, bombardati dal rullare del tamburo suonato da un ragazzo che sta appollaiato in una specie di tribuna sopraelevata e, con il suono, dà il tempo per gli esercizi. Noi siamo lì, curiosi discreti, ci offrono il tè, non badano mimamente a noi. E noi apprezziamo. Comunque è stato così in tutto il viaggio. Gli iraniani se ne infischiano solennemente del turismo tanto che non esiste l’inseguimento al turista per vendergli qualcosa o peggio, la visita (organizzata) al luogo dove si produce e si vende qualcosa. Potete stare in Iran anche un anno e nessuno vi proporrà mai di acquistare qualcosa. Nemmeno i tappeti. Al giardino di Bagh-e Doulat Abad, con il badjir più alto della città, incontriamo due coppie di turisti iraniani provenienti dalla regione del Caspio. Uno è molto loquace, dice che è un insegnante e vuole sapere quanto guadagnano gli insegnanti in Italia. Ci offrono un sacchetto di mele.

La Khan-e-Lari è la casa di un notabile del sec. XVIII, oggi di proprietà dello Stato, ben restaurata e visitabile come museo. Nella città vecchia visitiamo la “Tomba dei Dodici Imam” e la cosiddetta “Prigione di Alessandro”, ricordo di un tempo lontano in cui tutto era diverso, in attesa che tutto cambi di nuovo. Nuova sosta tè e … piedi al fresco in una bella fontana. Ma il “biglietto da visita” di Yazd è l’Amir Chakhmaq che credevamo fosse una moschea, con i suoi minareti, portici e iwan, e invece è una porta della città. Splendida.

Sparsi nella città ci sono diversi “Nakhl” di legno: enormi strutture utilizzate nelle processioni che si svolgono in una festa religiosa molto sentita (la Lonely dice che si tratta di Ashura, la nostra guida spiega poco) e sui quali si appendono nastri e altre cose, simili ai nostri ex-voto.

Visitiamo anche una moschea molto popolare e assai frequentata. E’ un mattino ed è mercoledì: oggi possono entrare solo le donne! Yazd è città di zoroastriani, una piccola ma significativa comunità religiosa antichissima che ha ancora in Iran un certo numero di fedeli oggi ben tollerati dalle autorità islamiche. Visitamo il Tempio del Fuoco (Ateshkadeh) che è visibile, protetto da un grande vetro: pare che arda ininterrottamente dal 470 d.C. Le “Torri del silenzio”, a pochi km. Dalla città sono spettacolari, accanto un cimitero zoroastriano. Visitate così, al tramonto, sono molto suggestive e ci restituiscono il senso di un tempo lento e lontano.

Chak-Chak è una manciata di case abbarbicate sulla roccia, comunità zoroastriana che venera questo luogo per un’acqua sgorgata dalla roccia a salvare la vita di una fanciulla.

Risalendo a nord verso Isfahan attraversiamo Abarqu con la sua bella ghiacciaia d’altri tempi: una magnifica, enorme costruzione di argilla che ricorda i coperchi dei cestelli di gelato dei vecchi carretti; un cipresso millenario meta di qualche viaggiatore in cerca di ombra nell’assolato pomeriggio costituisce anche per noi un momento di piacevole riposo.

A Meybod risaliamo lentamente la collina in cima alla quale si trovano i resti di un’antichissima fortezza (il castello di Narein). La torre degli uccelli attira la nostra curiosità, se non proprio la nostra attenzione. Un’altra spettacolare ghiacciaia costruita in epoca safavide.

Da Yazd a Isfahan ci sono 300 km. Passando per Nain (dove visitiamo la Masjid-e Jome (del X sec.) con bellissime decorazioni a stucco sui pilastri e il minareto più alto di tutta la Persia. Diamo una veloce occhiata anche a un piccolo museo etnografico ospitato in una casa tradizionale.

L’hotel Aliqapu di Isfahan “non ci vuole” causa un fax mai giunto. Siamo fortunati, perché ci portano all’Abbasi che è il meglio che c’è, spettacolare la hall, magnifico il giardino. I pezzi forti della città sono: la Moschea dell’Imam (io sono rimasta senza parole. Purtroppo non era fotografabile per due ragioni: primo perché non si sa da che parte scattare per fare entrare nell’obiettivo tutto quel ben di Dio, secondo perché il cortile era occupato totalmente da bianchi teloni per proteggere i fedeli dal sole. Risultato: la moschea era come sospesa in un non-luogo/non-tempo). Abbiamo imparato (quasi) tutto sui mattoncini strutturali colorati che formani i mille disegni geometrici delle superfici e la tecnica detta “dei sette colori” per i disegni vegetali.

Il palazzo di Ali Qapu è piuttosto strano con colonne altissime di legno che sostengono la copertura della terrazza che affaccia sulla piazza più grande che io abbia mai visto (forse troppo, gli edifici si perdono in quella vastità): è seconda solo a Tiennammen a Pechino. Di fronte, la moschea di Lutfollah, bellissima: un trionfo decorativo, perfetta.

La Moschea del Jameh (XI-XIV sec.), la più grande dell’Iran, con un magnifico mihrab a stucco. Splendido accostamento di azzurro e beige, cupola in laterizio.

Il quartiere armeno di Jolfa: oltre al ristorante in cui abbiamo mangiato molto bene, la cattedrale di Vank e il complesso adiacente con il museo della storia e arte armena e ricordi del genocidio di questo popolo. La comunità armena di Isfahan conta 7000 persone.

La città è attraversata dal fiume Zayandeh, solcato da bei ponti. Ne abbiamo attraversati due, pedonali: Si-o-seh, il ponte dei 33 archi lungo 300 mt. Del XVI sec. E il Khaju, del secolo successivo, lungo 130 mt.

I Minareti Oscillanti sono un’attrattiva popolare di Isfahan. Alle 18 un tizio sale in alto e spinge a forza di braccia un minareto dall’interno finchè il minareto gemello inizia a oscillare per “simpatia”. Centinaia di turisti iraniani e qualche occidentale a godersi lo spettacolo.

Il “Roseto dei Martiri” (Golestan-e-Shohada) è uno strano posto: giardino, cimitero, luogo di pellegrinaggio e di incontro. Vi sono sepolti, tra gli altri, i caduti della guerra Iran-Iraq degli anni ’80. Il Palazzo di Chehel-Sotun, in mezzo a un bel parco con molti corsi d’acqua è bella struttura costruita per lo svago di ricchi signori all’epoca di Abbas II (XVII sec.), al pian terreno una serie di dipinti di battaglie piuttosto originali per l’Iran.

Isfahan ha un gran bel bazar, una grossa parte del quale propone prodotti di artigianato anche piuttosto belli. Uscendo dal bazar dalla porta di Qeysareh ci si trova buttati sulla piazza gigante, dove ci hanno offerto un ottimo gelato alla crema con cialda. Visitiamo anche il palazzotto di Hash Behesht, sempre in un giardino, un po’ più piccolo e meno conservato di Chehel, ma con un certo fascino retrò (sec. Xvii). Sarebbe proibito visitare l’interno, ma l’autista prende l’iniziativa e convince il soldato di guardia. Di lì a poco si forma una piccola fila, ma … nessun altro è ammesso! Ci guardano stupiti. Verso il tramonto ci imbarchiamo in una salita piuttosto impegnativa all’Ateshkadeh, la collina con il Tempio del Fuoco sulla sommità (epoca sassanide).

Addio Isfahan, rotta verso Hamedan. A pochi km. Dalla città, verso sera, visitiamo un posto strano: mezza fiera di paese, mezza passeggiata archeologica. E’ buio, c’è un gran casino, ma non passiamo inosservati. Ci guardano e ridono (simpatici iraniani!…). C’è il Ganjnameh, il “Libro del Tesoro”, un’incisione rupestre di ringraziamento alla divinità zoroastriana da parte di Serse (IV sec. A.C.) in tre lingue: persiano antico, elamita e neo-babilonese. Ci fidiamo perché non conosciamo nessuna delle tre! Più avanti una bella cascata, ma è buio pesto e non proseguiamo oltre. Dimenticavo: fa un fresco assolutamente inatteso.

Raggiungiamo Hamedan via Ardestan-Kashan-Arak (inquietante città con una centrale nucleare e una mega raffineria. In più, una tempesta di vento).

Ad Hamedan ci sono da vedere due mausolei (quello di Bu-Ali-Sinna – Avicenna – e quello di Baba Taher). Davanti al nostro albergo, Baba Taher, (hall orrendamente kitsch, camera peggio) un gran giardino, come sempre affollato e il mausoleo di Alaviyan (e vai con il chador!). Hamedan conserva la Tomba di Ester e Mordechai, un piccolissimo spicchio di ebraicità iranica: è una torre funeraria con uno strano portale in pietra da 400 kg.! L’edificio è del XIII sec. Ad Hamedan ci sono gli scavi archeologici dell’antica Ecbatana, dell’epoca dei Medi e degli Achemenidi. Lasciamo Hamedan alla volta di Zanjan (320 km.). Al bazar papà compera le scarpe di Ali Babà! Albergo modesto, ma accettabile. Bella vista sulle montagne. Prima di arrivare in città visitiamo un luogo molto suggestivo, Takht-e-Soleiman (Trono di Salomone, ma Salomone non c’entra). Era un centro spirituale zoroastriano, luogo selvaggio e bellissimo con lago di origine vulcanica, che, a causa del progressivo sedimentarsi di calcare e non so che altro minerale, si sta restringendo. Il sito era utilizzato dagli ilkhanidi come residenza estiva.

Non lontano da Zanjan si trova il Mausoleo di Oljetu. Si erge solo soletto nell’assolata pianura, con la sua cupola alta 50 mt. E il diametro di 25: è la più grande del mondo. Voluto per ospitare le spoglie dell’Imam Ali, il sultano mongolo che l’aveva ordinato non aveva però ottenuto il placet delle autorità religiose e così … se l’è tenuto per sé. Oljeitu Khodabandeh, convertitosi all’Islam sunnita, vi fu sepolto nel 1317. Visitiamo il cantiere del restauro a cui hanno lavorato anni fa anche degli italiani. All’ingresso una bottega di oggetti artigianali con proprietario molto arcigno, ma prezzi ottimi. Papà compera i coltelli.

A Zanjan manchiamo la visita ai lavatoi pubblici di Rakhtshor Khaneh (è lunedì infatti! … e magari pensarci prima?) e visitiamo al volo la Moschea di Khanum (ancora chador: ma non era obbligatorio solo nei Mausolei? Comunque qui le donne sono gentili e curiosissime e una ragazza ci offre, non sappiamo perché, un bel panino a testa).

Sosta a Kashan per vedere un grande hammam (Hammam-e-Khan) e una casa tradizionale dell’inizio del XIX sec. Ben restaurata: la Khan-e Borujerdi.

Zanjan-Tabriz: 280 km. Ci stiamo avvicinando alla fine del nostro viaggio. Lungo il tragitto visitiamo a Maragheh le due torri funerarie (Gonbad e-Sorkh, torre rossa, e Gonbad e-Kabul, torre blu). Spiccano nella città senza altre attrattive, fatto salvo l’Osservatorio astronomico (ora in disuso). A ridosso della Gonbad e-Kabul stanno costruendo un complesso commerciale-residenziale: un disastro! Dimenticavo: a Maragheh visitiamo (anche se il custode non è affatto contento) una moschea con bellissime colonne lignee e un’aria da romantico ottocento: si materializzano anche due soldati che entrano (ed escono) con noi: turisti o controllori? Non lontano da Tabriz si intravvede il grande lago di Orumiye. Il mattino dopo rotta verso nord, verso il cuore dell’Azerbaijan iraniano. Attraverso Marand arriviamo a Jolfa, città di confine con l’enclave del Nakhjavan che si incunea tra Armenia e Repubblica dell’Azerbaijan. A pochi km. Da Jolfa c’è la chiesa cristiano-armena di Santo Stefano. Fu San Bartolomeo – uno dei dodici apostoli – a fondare la prima comunità cristiana in questa terra nel 62 d.C. Il nucleo antico della chiesa attuale è del XIV sec. E’ piuttosto spoglia all’interno, mentre l’esterno è più ricco, con una bella cupola e rilievi con croci e altri simboli donati dai pellegrini e murati nell’edificio. Annesso, un monastero in fase di ristrutturazione.

Poco lontano scorre il fiume Arras che segna il confine. Al di là tutte le case hanno tetti simili ai nostri. Potenza dei confini! Ovviamente non si può fotografare, ma papà non resiste.

La zona di confine tra Armenia e Azerbaijan è stata recentemente teatro di scontri (1989-1994). Scorgiamo la bella montagna di Ilanda (il “Monte del Serpente”). Facciamo una sosta in un’area molto frequentata da gitanti iraniani che si godono il fresco in un canyon profondo dove scorre un bel torrente e cade una cascata.

Al ritorno a Tabriz, città moderna e vivace, ci accoglie una sorpresa. Durante la nostr assenza un forte temporale ha danneggiato una conduttura d’acqua potabile e una corsia della superstrada è allagata. Albergo di lusso (Tabriz International) con pianista allegato e atmosfera manageriale. C’è un bel bazar a Tabriz dove comperiamo una specie di supposta per cammelli (è zucchero!). Se volessimo comperare tappeti non c’è che l’imbarazzo della scelta. La Moschea Blu è (era) bella, ma un terremoto l’ha devastata. Ricostruita in modo discutibile, conserva un bel portale e luminosi interni. Vicino c’è un gran bel Museo Archeologico con le caratteristiche “borsette di pietra” per gli antichi ministri del tesoro. La Constitution House è un palazzo di epoca qajara che fu negli anni 1906-1911 il centro della Rivoluzione.

Ultimi spiccioli di Iran: il Mausoleo dei Poeti, pretenziosa e brutta costruzione fatta erigere per celebrare il poeta Shahriyar. Il parco Elgoli, affollatissimo, su una collina, con un grande specchio d’acqua (con ristorante al centro). Tè di fine giornata offerto dal proprietario di un chiosco.

Aeroporto di Tabriz, 14° giorno. Partiamo (lentamente!) per Teheran. C’è un sacco di gente. A sera siamo nuovamente al Laleh International di Teheran e ci arrangiamo per la cena nel solito locale con una buona … pizza iraniana (non è una battuta). Le cartoline le abbiamo spedite. Speriamo bene. Ci manca un pensiero per Enrico. I tempi sono stretti … vicino all’albergo la cartina indica “Centro Commerciale”. Ci avventuriamo. Dopo un’ora di infruttuosi giri (ma non doveva essere lì vicino??) chiediamo a un locale. “sì, certo, andate avanti due strade, no … forse tre…”. Ma anche lui rigira tra le mani la cartina. Infatti non troviamo niente. In più è venerdì (quindi è quasi tutto chiuso). Ma là in fondo c’è gente che esce allegra da un edificio che assomiglia a un nostro supermercato. Ci fiondiamo. E’ una fiera dell’artigianato locale! Ma troviamo il souvenir giusto.

Ultimo giorno: visita al Palazzo Golestan, fatto costruire sul sito di una cittadella safavide dallo shah qajaro Nasser-al-Din, nel XIX sec. L’ivan-e-Takht-e-Marmar è un salone aperto sul bel giardino con un gigantesco trono di alabastro sostenuto da statue (sempre di alabastro) a grandezza naturale. Il complesso comprende altri palazzi e palazzotti di un certo fascino.

Il Museo Nazionale dell’Iran ha bei pezzi da Shush e Persepoli. Manchiamo il Museo dei Gioielli (è venerdì!) e visitiamo il Museo dei Vetri (che non attira l’interesse di papà). Passiamo davanti all’edificio che ospitò l’ambasciata statunitense, teatro di eventi drammatici (colpo di stato del 1953) e tragici (assalto e presa di 53 ostaggi per 444 gg.). I guardiani della Rivoluzione lo chiamano “US den of espionage”.

Nel pomeriggio visita al complesso di Sa’d Abad, nella zona a nord della capitale, dentro un immenso e magnifico parco pubblico. Il Palazzo Bianco, residenza estiva dell’ultimo Shah, con gli “stivali” di bronzo (resto di una statua distrutta dai rivoluzionari) e nelle stanze ancora arredate come all’epoca, anche un tappeto di 143 mq. Il Palazzo Verde, più sobrio e nascosto, voluto da Reza Khan, padre dell’ultimo shah.

L’ultima cena iraniana a suon di musica (altissima) in un bel locale con temperatura polare. Ultimo saluto a Teheran con uno sguardo al monumento simbolo della città, l’Azadi, costruito nel 1971 per celebrare i 2500 anni dell’impero persiano. Slanciato e svettante, auspicio di un futuro più democratico e sgombro di nubi rivoluzionarie. E’ il nostro augurio per questo popolo che non merita nessuna guerra.



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